Chapitre V
Il matrimonio con un’Augusta: forma di legittimazione?
p. 119-142
Résumé
Pendant la période julio-claudienne, les modalités de la succession impériale ne sont pas encore définies de façon précise. L’étude pose comme hypothèse que le mariage avec une Augusta (un terme qui qualifie une femme de l’entourage de la domus Augusta) puisse représenter pour le mari (ou le futur mari) une forme de légitimation en vue de l’obtention du pouvoir impérial. Sont examinés sous cet angle de vue les mariages de Séjan et de C. Silius respectivement avec (Claudia) Livia Julia sous le règne de Tibère, et avec Valeria Messaline sous le règne de Claude.
Texte intégral
1Come sottolinea da ultimo Francesca Rohr Vio1, in età augustea si venne a delineare un nuovo soggetto politico: la domus principis o Augusta. La domus Augusta si forma con matrimoni (e divorzi), nascite, promozioni personali, integrazioni e allontanamenti. Si tratta di una nuova area di mediazione tra princeps e società che vedrà la progressiva estinzione dell’e-lemento nobiliare tradizionale che l’aveva generata e il ricambio sociale al suo interno: si assiste, cioè, al definitivo passaggio da gens a domus2. Le più recenti indagini storiografiche hanno dimostrato che non bisogna confondere la domus Augusta con la corte imperiale vera e propria: si tratta, infatti, di due strutture diverse, in quanto la corte riuniva l’entourage del principe oltre la cerchia familiare propriamente detta3. Con il trascorrere del tempo, però, le due strutture tendono a sovrapporsi: più di un secolo e mezzo dopo, l’imperatore Marco Aurelio nelle sue Meditazioni4 descriverà la corte augustea: «La corte di Augusto: moglie, figlia, nipoti, figliastri, sorella, Agrippa, parenti, personale di famiglia, amici, Ario, Mecenate, medici, sacrificatori5 ». La domus Augusta perpetuava le caratteristiche della domus aristocratica di età tardorepubblicana, ma «assumeva funzioni pubbliche e agiva come soggetto politico6». È evidente che Augusto volesse assicurare un futuro al sistema politico da lui creato:
Coltivava un progetto di successione e il suo obiettivo risiedeva nel trasmettere alla morte i suoi poteri a un esponente della famiglia in un sistema di principato dinastico. In ciò Augusto si muoveva nel solco della tradizione gentilizia secondo cui il ruolo politico e sociale (e di conseguenza economico) di un individuo nello Stato si trasmetteva di generazione in generazione tra discendenti-consanguinei di sesso maschile7.
2Recentemente Frédéric Hurlet8 ha convincentemente analizzato il passaggio da gens a domus in età augustea sulla base di una consapevole ideologia dinastica; in particolare viene sottolineato che
Il est un fait que la pensée dynastique était centrale dans la culture politique aussi bien de la République romaine que du Principat et préexistait à Auguste. […] Mais elle n’avait pas à l’époque républicaine de dénomination et c’est Auguste qui lui trouva un nom spécifique et lui donna une visibilité exceptionnelle.
3Tale logica gentilizia è manifestata da Augusto attraverso l’adozione, nel 17 a.C., dei due nipoti naturali, cioè i due figli maschi nati dal matrimonio della figlia Giulia con il suo sperimentato e valido collaboratore Agrippa, appartenente, però, all’oscura gens Vipsania9. I due ragazzi, Caio e Lucio Cesari, però, morirono in giovane età e Augusto fu costretto a riconfigurare la sua successione, attraverso l’adozione di Tiberio (Tiberius Claudius Nero che, conseguentemente, mutò il proprio nome in Tiberius Julius Caesar), figlio di primo letto della moglie Livia, e di Agrippa Postumo, ultimogenito di Agrippa e di Giulia. A Tiberio venne imposto di adottare a sua volta Germanico, il figlio del fratello Druso Maggiore10. In tal modo, Augusto sperava di ricomporre i dissidi tra le due anime della domus, la giulia e la claudia.
4Augusto comunque lasciò inalterate le forme di conferimento di potere della tradizione repubblicana (investitura formale da parte del senato e del popolo, esercizio dell’imperium e della tribunicia potestas), ma, contestualmente, precostituì una chiara e univoca linea dinastica, secondo la logica gentilizia propria dell’età repubblicana. Ed è proprio la creazione di un’u-nica dinastia familiare che dimostra, più di ogni altra cosa, il cambiamento politico, che muta da una costituzione repubblicana a un ordinamento di tipo monarchico. Gli onori concessi ai nipoti Marcello (figlio della sorella di Augusto Ottavia) e a Gaio e Lucio Cesari (soprattutto il consolato in giovanissima età) non potevano definire costituzionalmente il loro ruolo di successori, ma non c’era nessun dubbio che in questa veste erano percepiti dall’opinione pubblica. Tali successori, in mancanza di figli maschi, furono scelti da Augusto attraverso l’adozione di membri della sua famiglia, ai fini di perseguire una successio in domo, secondo quanto asserito da Tacito11. Secondo Velleio Patercolo12, il senato e il popolo romano premevano perché Tiberio subentrasse alla posizione paterna («ut stationi paternae succederet»), quella stessa statio («stationem meam») che Augusto avrebbe voluto trasmettere, in un primo tempo, al nipote e figlio adottivo Gaio13. L’ideologia sottesa a questa statio è ancora ambigua, ma tenderà, nel tempo, a identificare la funzione e la dignità imperiale, come si evince dalle parole di Antonino Pio riportate da Frontone14.
5All’interno di questa politica dinastica si verifica un atto totalmente innovativo, che sarà destinato ad avere profonde ripercussioni nella costituzione della domus Augusta. Augusto, infatti, stabilì nel suo testamento che la moglie Livia e il figlio adottivo Tiberio fossero i suoi eredi; in particolare Livia in familiam Juliam nomenque Augustum adsumebatur15; anche Svetonio16 ci informa della divisione dell’eredità e dell’obbligo da parte di Livia di portare il suo nomen. Come sottolinea Anthony Barrett, il passaggio è di fondamentale importanza, ma, a ben vedere, questa adozione non ha mai ricevuto l’attenzione che merita. Essa pare rientrare da un punto di vista giuridico nella categoria delle adozioni testamentarie, che, però, non hanno mai avuto un’analisi adeguata da parte dei giuristi contemporanei e quindi risulta molto «difficile capire quali fossero le sue conseguenze sul piano strettamente legale17»; anche sulle valenze politiche non c’è stata unanimità tra gli studiosi nell’intendere un effettivo ruolo istituzionale (o meno) di Livia all’indomani della morte di Augusto18.
6Se, da un lato, la condicio nominis ferendi indurrebbe a ritenere che tali adozioni testamentarie fossero delle vere e proprie adozioni, con tutte le conseguenze giuridiche del caso19, tuttavia permangono ancora molti dubbi sugli scopi effettivi di questo tipo di adozione20. Christiane Kunst21 sottolinea giustamente la necessità di essere molto cauti nel formulare ipotesi sulla base di documentazione carente, ma è altrettanto evidente, nel caso di Livia, la volontà politica insita in tale adozione, così come in quella di cui lo stesso futuro primo imperatore era stato protagonista in qualità di adottato da parte del prozio materno C. Giulio Cesare nel suo ultimo testamento. Il giovane Caio Ottavio aveva cambiato il suo nome in Caio Giulio Cesare Ottaviano22, ma aveva sentito la necessità di fare approvare tramite una lex curiata questa sua adozione: Appiano23 dice espressamente che grazie a questa procedura Ottaviano aveva potuto acquisire lo stesso status giuridico dei figli naturali. Anche l’adozione di Livia fu riconosciuta da un senatus consultum e venne sottoposta all’approvazione formale dell’assemblea popolare per avere un effettivo valore legale: il senato deliberò, secondo il costume del tempo, la costruzione di un’ara adoptionis a scopo commemorativo che, però, Tiberio rifiutò di fare edificare, conformemente alla sua volontà di limitare feminarum honores24. Parimenti Tiberio non volle, stando alle parole di Cassio Dione25, che fosse costruito a Roma un arco in onore della madre.
7Si può ritenere che lo scopo politico di questa adozione (Livia diventò così equiparabile a una filia naturalis di Augusto) fosse quello di rafforzare la successione di Tiberio che, in tal modo, poteva vantare il fatto di appartenere alle principali gentes del tempo (Julia e Claudia) e di discendere direttamente dal carismatico predecessore sia per parte di padre (adottivo) che di madre (naturale). Assume, però, particolare rilevanza la trasmissione del cognomen Augustus a Livia, che diventa totale e assoluta prerogativa della gens giulio-claudia e con il quale Livia sarà ricordata in tutti i documenti ufficiali successivi al 14 d.C.26. Lungi dal ritenere che Augusto volesse configurare un vero e proprio potere istituzionale per Livia, del tutto incompatibile con la mentalità romana del tempo27, è a mio parere evidente il ruolo fondamentale affidato a Livia, già nella stesse intenzioni del marito-padre adottivo, nella progressiva creazione di una domus Augusta divina28. Tale domus divina diveniva base del culto dinastico e del consenso da parte della società reale al potere imperiale, e diveniva luogo dove l’apoteosi decretata ad Augusto, all’indomani della sua morte, aveva introdotto un elemento del tutto nuovo con cui i successori di Augusto stesso avrebbero necessariamente dovuto fare i conti29. Ne sono prova evidente la tabula Siariensis e il senatus consultum de Cnaeo Pisone patre, immediatamente successivi alla morte di Germanico, figlio adottivo e nipote naturale (figlio del fratello Druso) di Tiberio, nel 19 d.C.: Pisone è colpevole, in primis, di non avere rispettato la maiestas della domus Augusta. In ogni caso per Tiberio il legame di sangue con la madre, divenuta Julia Augusta e prima sacerdotessa del culto del divo Augusto, è una importante fonte di legittimazione del suo potere30. Ovidio31 la definisce come moglie e sacerdotessa («coniunxque sacerdos»), mentre Velleio32 parla di sacerdotessa e figlia («sacerdotem ac filiam») di Augusto.
8Nessuna donna (nemmeno la sorella Ottavia o la moglie Livia) è menzionata nelle Res Gestae, nel bene o nel male (e questo è un dato, a mio parere significativo)33, anche se ormai la storiografia contemporanea ha accreditato il ruolo femminile nella costruzione della nuova domus Augusta che, sulla base del carisma del suo capostipite, divi filius e divus egli stesso post mortem, acquisì una condizione di superiorità rispetto a tutte le altre domus34. Il mos maiorum romano non consentiva che le donne si occupassero di politica, ma, già dalla fine dell’età repubblicana35 e, soprattutto, con la creazione di un nuovo regime politico, basato sul potere di un singolo (princeps), era in un certo qual modo inevitabile che le donne finissero per avere un ruolo determinante nell’assicurare la successione dinastica dello stesso princeps36, come succedeva da tempo nelle monarchie ellenistiche37. Ma è l’adozione di Livia, nuova Julia Augusta, che determina, a mio parere, la possibilità di affiancare il concetto carismatico di «augustalità» anche a una donna. Nella tabula Siariensis38 si legge «[… et Julia] Augusta mater eius et Drusus Caesar materque Germanici Ca [esaris Antonia…]» scelgono gli onori più appropriati da tributare a Germanico tra quelli proposti dal senato. Tra questi onori sarebbe stato elevato un monumento «in circo Flaminio pe [cunia publica]… ad eum locum in quo statuae divo Augusto domuique Augus [tae publice positae es] sent…». Tale gruppo avrebbe ricompreso:
[una] statua Ger[manici Caesaris]… in curru triumphali et circa latera eius statuae D [ rusi Germanici patris ei] us, naturalis (di sangue) fratris Ti(berii) Caesaris Aug(usti) et Antoniae matris ei [us et Agrippinae uxoris et Li] viae sororis et Ti(berii) Germanici fratris eius et filiorum et fi [liarum eius].
9La presenza femminile nella domus Augusta acquisisce in tal modo un evidente ruolo pubblico, funzionale alla successione dinastica. Tuttavia, come giustamente sottolinea Alessandro Galimberti39, la chiave dinastica «non è di per sé sufficiente per comprendere la lotta politica e le differenti prospettive ideologiche relative alla concezione del principato–nate soprattutto all’interno della domus Augusta – alle quali sono riconducibili gli stessi conflitti politici intradinastici».
10In età giulio-claudia la successione imperiale non è ancora configurata in modo incontrovertibile. Si può quindi, a mio parere, aprire uno spazio perché il matrimonio con una Augusta possa essere presentato come forma di legittimazione nell’aspirazione al potere imperiale: è questo il caso, sempre a mio parere, di Seiano e di C. Silio, rispettivamente con (Claudia) Livia Giulia e con Valeria Messalina. E’stato giustamente scritto che: «Le non-alignement des femmes au sein de la famille impériale existe […], mais avec des nuances et des précautions40.» Viceversa, la linea femminile può diventare importante fonte di legittimazione imperiale. Come è ben noto, Claudio, subito dopo essere diventato imperatore, chiese al senato l’apoteosi della nonna Livia, richiesta che veniva posta dodici anni dopo la morte della donna. Infatti, Claudio discendeva da Augusto per via femminile, tramite la madre Antonia Minore, figlia della sorella di Augusto Ottavia, ma la «nonna Livia, per parte di padre […] rappresentava il rafforzamento più concreto e il legame più stretto per consolidare la sua posizione successoria con il potere imperiale di Augusto enfatizzando la linea maschile diretta41».
11(Claudia) Livia Giulia è figlia del cosiddetto Druso Maggiore (Nero Claudius Drusus) e di Antonia Minore e, pertanto, è la sorella di Germanico e di Claudio, il futuro imperatore. Si sposò una prima volta intorno all’1 a.C. con Gaio Cesare, il nipote naturale di Augusto adottato da quest’ultimo. Non pare vi siano motivi validi per dubitare dell’esistenza di questo primo matrimonio, come invece propone Susan Wood42, in quanto sia Tacito43 che Cassio Dione44 lo citano espressamente. Rimasta vedova nel 4 d.C. di Caio Cesare, Livia Giulia sposò il cosiddetto Druso Minore (Nero Claudius Drusus poi Drusus Julius Caesar dopo l’adozione del padre da parte di Augusto)45, il figlio che Tiberio aveva avuto dalla prima moglie Vipsania Agrippina, figlia di Agrippa e della prima moglie Pomponia Cecilia Attica. La propaganda imperiale poneva in risalto l’equilibrio dei due rami della famiglia giulioclaudia. Questo equilibrio si fondava principalmente sulla concordia dei due giovani principi, Germanico (figlio di Druso Maggiore e di Antonia Minore e marito di Agrippina Maggiore), e lo stesso Druso Minore46: tale concordia doveva, nel contempo, caratterizzare l’immagine pubblica delle loro consorti: due Giulie erano mogli di due Neroni Claudi Drusi Giuli Cesari. Secondo Tacito47, invece, questa supposta armonia a corte era del tutto ingannevole in quanto la stessa corte era suddivisa in due parti, una a favore di Germanico e l’altra a favore di Druso Minore. Una prerogativa in più a favore di Agrippina era la sua eccezionale prolificità, che rispondeva appieno a quanto stabilito dalla legislazione augustea degli anni 18-17 a.C.48.
12Dopo la nascita di una bambina, Giulia49, Livia Giulia diede alla luce due maschi gemelli, poco dopo la morte di Germanico avvenuta nel 19 d.C.50. La narrazione storica di Tacito51 mette in evidenza il fatto che a partire dal 23 d.C. il prefetto del pretorio Seiano tendeva a occupare una posizione di sempre maggiore rilievo nella corte imperiale tiberiana, ma, aggiunge lo stesso Tacito52, «ceterum plena Caesarum domus53». Sempre secondo il racconto tacitiano, allora, Seiano progettò di eliminare tutti questi Cesari che si frapponevano al suo progetto politico di raggiungere il pieno potere diventando imperatore («parando regno»)54: il primo ostacolo venne identificato in Druso Minore che nel 21 d.C. aveva assunto il II consolato55 e che aveva accusato esplicitamente il padre di cercare un «adiutorem imperii alium… ut collega dicatur56». A questo punto Tacito inserisce la più completa e drammatica descrizione di Livia Giulia tramandataci dalle fonti57: sgraziata e bruttina da bambina, era diventata una donna bellissima; Seiano la sedusse e, di conseguenza, Livia Giulia non poté negargli più nulla, dato che aveva perduto la rispettabilità matronale: «neque femina amissa pudicitia» (secondo un topos lessicale che risale almeno al racconto liviano delle vicende di Lucrezia58, ripreso da Sallustio nella descrizione di Sempronia nella Congiura di Catilina59) alia abnuerit. Tacito accusa esplicitamente Livia Giulia di avere assassinato il marito Druso Minore, per compiacere Seiano, indotta dal desiderio narcisistico di regnare accanto al suo nuovo marito («ad coniugii spem, consortium regni et necem mariti impulit»). Tacito è inorridito per il fatto che una matrona come Livia Giulia, nipote di Augusto, nuora di Tiberio, madre dei figli di Druso Minore, abbia deciso di contaminare se stessa e il suo aristocratico genere con un amante di origine municipale, affascinata dalla torbida atmosfera del delitto e dalla perversione. Opportunamente, Francesca Lamberti60 parla di «stereotipi di segno invertito» per significare «l’allontanarsi di donne che avrebbero tutti i requisiti per incarnare l’ideale della honesta matrona dal “modello”… precostituito e tramandato da epoca alto-repubblicana».
13Anche il racconto di Cassio Dione è molto preciso: nella narrazione degli avvenimenti relativi al 23 d.C. viene anticipato che la morte di Druso Minore avrebbe causato la sventura dei molti che ne avevano gioito61: sarebbero stati infatti uccisi Agrippina Maggiore e i suoi figli maschi (tranne Caligola). Secondo il resoconto di Dione, Seiano, infatti, aveva sempre cercato di isolare politicamente Agrippina Maggiore e i suoi figli, perché pensava che dopo la loro morte avrebbe potuto sposare Livia, la moglie di Druso, che amava, e impossessarsi del potere, perché non ci sarebbe stato più nessun successore di Tiberio; l’imperatore, infatti, non amava il nipote, Tiberio Gemello, perché lo riteneva frutto di un adulterio. Seiano raggiunse l’apice del suo potere nel 31 d.C., quando divenne console assieme all’imperatore per i primi sei mesi62, ma Tiberio stava già progettando la sua eliminazione, in quanto temeva che Seiano divenisse imperatore al suo posto63. Tiberio gli conferì l’imperium proconsulare64, ma poi gli vietò di andare in Campania, nonostante Seiano avesse addotto come scusa la malattia della donna che aveva intenzione di sposare. Tiberio lo denunciò con una lettera in senato: Seiano venne imprigionato65, morì strangolato in carcere il 18 ottobre del 31 d.C. e i suoi tre figli vi furono parimenti giustiziati poco tempo dopo. La figlia femmina (Aelia) Iunilla, già fidanzata con il giovane Druso, figlio del futuro imperatore Claudio e della sua prima moglie Plautia Urgulanilla, sarebbe stata prima stuprata dal carnefice66, poiché non era consentito che una vergine fosse uccisa in carcere. La moglie divorziata di Seiano, Apicata, non venne condannata, ma, poco dopo la morte dei figli, si uccise. Prima, però, aveva scritto una lettera a Tiberio con cui lo informava che il figlio Druso Minore non era morto di morte naturale nel 23 d.C., ma che era stato avvelenato da Seiano e dalla sua amante Livia Giulia. Quest’ultima, pertanto, venne messa a morte per volontà di Tiberio o della stessa madre Antonia Minore67.
14Sono state studiate le motivazioni del comportamento e del suicidio della ex-moglie di Seiano: banalmente, si è pensato alla gelosia femminile nei confronti della rivale Livia Giulia68 oppure al desiderio di colpire di Tiberio che le aveva fatto uccidere i figli. Forse Apicata si è voluta vendicare con una falsa accusa di avvelenamento, come suppone Barbara Levick69. Infatti, di questo supposto avvelenamento non c’è nessuna prova concreta e sembra essere, piuttosto, una vicenda costruita a posteriori, senza dubbio in seguito al fallimento della coniuratio Seiani e alla sua esecuzione nel 31 d.C.70, per screditare ulteriormente i congiurati. Apicata si uccise il 26 ottobre del 31 a.C. e la sua morte fu registrata nei Fasti Ostienses71: «[Apicata] Seiani (uxor) se occidit»72. Un dato è, però, significativo: un documento ufficiale come i Fasti Ostienses riportano la data del suicidio di Apicata, dello strangolamento di Seiano in carcere73 e del figlio primogenito Strabone74 e, successivamente, della eliminazione della coniuratio Seiani75, mentre degli altri due figli riportano la dicitura, con la scoperta di un nuovo frammento rispetto all’edizione del CIL, «[in Gem(oniis)]/ iacuerunt»76: sono quindi sopravvissuti, perlomeno, fino al dicembre del 31 d.C.77. Dione, quindi, non afferma il vero quando dice che tutti e tre i figli di Seiano e di Apicata erano stati uccisi nell’ottobre del 31 d.C. e che per questo motivo la donna aveva scritto la lettera di denuncia del complotto a Tiberio, prima di suicidarsi. L’unico dato certo, a mio parere, è che la condanna di Seiano e del primogenito e il suicidio della moglie sono stati percepiti come avvenimenti di tale rilevanza politica da essere registrati in un calendario ufficiale, a riprova che l’azione e il comportamento dello stesso Seiano erano stati un reale e concreto pericolo per il governo di Tiberio, a tal punto che è stato scritto che i fasti di Ostia «célèbrent comme une victoire le suicide en 31 apr. J.-C. d’Apicata, l’épouse de Séjan78».
15Le motivazioni del comportamento di Livia Giulia, a mio parere, sono legate alla sua volontà di preservare la successione del figlio Tiberio Giulio Cesare Nerone Gemello che, non a caso, verrà fatto uccidere dal successore di Tiberio, Caligola, nel 38 d.C., secondo la testimonianza di Svetonio79 e di Cassio Dione80. Come per molte principesse della domus Augusta, i matrimoni di Livia Giulia furono dinastici e, in tutti i casi, si auspicava che fossero fecondi. Il destino di Livia Giulia la accomuna alla cognata Agrippina Maggiore. Entrambe rimasero vedove, ma per entrambe la funzione dinastica si era esaurita, dato che l’imperatore Tiberio poteva contare, come già detto, su una casa «piena di Cesari»81: sono 5 nipoti naturali o adottivi, i due gemelli figli di Druso (ma nel 23 d.C. morì, come appena ricordato, un gemello, Ti. Germanicus (Julius) Caesar82, mentre il secondo, Ti. Julius Caesar Nero (Gemellus)83, morirà nel 38 d.C.) e i tre maschi di Germanico, Nerone, Druso e Caio, futuro imperatore Caligola «quorum non dubia successio»84, ulteriormente imparentati tra di loro attraverso il matrimonio di Nerone con la figlia di Druso Minore e di Livia Giulia85.
16Tiberio non consentì, evidentemente, alle nuore di risposarsi: lo mette in chiaro Tacito sia a proposito di Agrippina Maggiore86 che di Livia87. I due matrimoni potevano aprire pericolosi spazi dinastici per il quadro che Tiberio aveva inteso dare alla successione come ben evidenziato dal s. c. de Cnaeo Pisone patre88 e come riporta lo stesso Tacito89. Vorrei avanzare l’ipotesi90 che il «delitto» di cui si macchiò Livia Giulia stia proprio nella sua volontà di sposare Seiano. Attraverso questo matrimonio non tanto lo stesso Seiano, ma eventuali figli della coppia sarebbero potuti diventare capaces imperii, minando lo schema successorio elaborato da Tiberio91. Questo è il motivo per cui Tiberio non consentì alle due donne di risposarsi. Per Tiberio Seiano è un adiutor92 e un socius laborum93, ma non può essere un filius. Tacito94, racconta che già nel 25 d.C. Seiano accecato dall’eccessiva fortuna («nimia fortuna socors») e «muliebri insuper cupidine incesus, promissum matrimonium flagitante Livia» («pressato da Livia che insisteva per il matrimonio»), aveva scritto una lettera a Tiberio: aveva, infatti, saputo che Augusto, quando cercava un marito per la figlia, non aveva disdegnato di prendere in considerazione cavalieri romani. Se, pertanto, Tiberio pensava a un marito per Livia, rimasta vedova, poteva prendere in considerazione un amico «ut coniunctione Caesaris dignus crederetur», pur nella consapevolezza di non potersi sottrarre ai suoi doveri: proteggere il principe dagli attacchi di Agrippina idque liberorum causa. La risposta di Tiberio è emblematica ed esprime causticamente il pensiero del principe95: il matrimonio di Livia con Seiano avrebbe destabilizzato la domus Augusta: «si matrimonium velut in partes domum Caesarum distraxisset»96; Tacito riprende, in questo contesto la sua idea, già espressa in precedenza, sulla divisione in due parti, o meglio rami familiari, della domus tiberiana97. L’imperatore prosegue il suo discorso e aggiunge:
Falleris enim, Seiane, si te mansurum in eodem ordine putas, et Liviam quae C. Caesari, mox Druso nupta fuerit, et mente acturam, ut cum equite Romano senescat.
Seiano, ti sbagli di grosso se pensi di rimanere nello stesso ordo e se pensi che Livia, già moglie di Caio Cesare e di Druso, accetti di invecchiare accanto a un cavaliere romano.
17Seiano gode già di una posizione di favore per volontà dello stesso Tiberio, ma il matrimonio con la nuora del principe lo avrebbe elevato a una posizione intollerabile rispetto alle cariche già rivestite da Germanico, da Druso Maggiore e dai maiores familiari del princeps. Tiberio può consentire che Seiano acceda al consolato, ma non ne permette l’ingresso all’interno della domus Augusta, il cui carattere dinastico è esplicitato pubblicamente, tra gli altri, dal SC de Cnaeo Pisone patre98. La logica che è sottesa alla formazione del concetto di domus Augusta è, infatti, esclusivamente familiare e gentilizia99. La stessa idea era stata condivisa già da Druso Minore che si sarebbe lamentato del progetto matrimoniale che avrebbe coinvolto la figlia di Seiano e Druso, il figlio del futuro imperatore Claudio e Urgulanilla, e del fatto che Seiano avrebbe avuto nipoti in comune con la famiglia dei Drusi. Ovviamente tali confidenze gli sarebbero state carpite dalla moglie adultera Livia Giulia («corrupta uxore»)100. Tale fidanzamento, però, non era andato a buon fine per la prematura morte del promesso sposo101.
18Ritengo che Seiano volesse, invece, legittimare la (tentata) sua successione a Tiberio attraverso il matrimonio con Livia Giulia, con la quale nel 23 d.C. si era instaurata una recente complicità («recentem Liviae conscientiam102»); è possibile, inoltre, che Seiano conoscesse la donna da tempo, in quanto aveva accompagnato il primo marito di Livia Giulia, Caio Cesare, in Oriente nell’1 a.C. A mio parere Antonia Minore, madre della stessa Livia Giulia, intervenne proprio per impedire questo matrimonio e le sue eventuali conseguenze politiche e dinastiche. La gerarchia di corte non poteva prescindere da quella del rango, in quanto il prefetto del pretorio proveniva dall’ambito degli amici di Tiberio di grado inferiore, stante il suo status di cavaliere, che ad ogni modo gli aveva fornito gli strumenti del potere che gli erano derivati dalla sua carica di prefetto del pretorio103.
19Oppure, se Zonara104 scrive correttamente e non fa confusione (come invece io sarei propensa a credere), il matrimonio fu effettivamente celebrato105 e Seiano si era imparentato con Tiberio per il tramite di Livia Giulia106. Antonia Minore venne quindi a conoscenza dei progetti di Seiano, probabilmente diretti contro l’ultimogenito maschio di Germanico, Caio, il futuro imperatore Caligola, e ne informò Tiberio. Lo stesso Zonara mette in stretta relazione di continuità gli avvenimenti: Tiberio elevò Seiano a grande fama, ne diventò parente con il matrimonio con Giulia figlia di Druso107 e lo fece uccidere. Tacito108 allude al fatto che Seiano è stato «collega, consulatus socius» et gener di Tiberio, «Claudiae et Juliae domus partem». E’possibile che l’incertezza delle fonti sia dovuta proprio all’intervento della corte tiberiana nella preparazione della vulgata della vicenda, per cui le notizie sul matrimonio tra Seiano e Livia Giulia, effettivamente avvenuto o soltanto progettato, siano state sottoposte a filtri e censure, analogamente a quanto sarebbe avvenuto poco meno di vent’anni dopo con l’affaire Silio-Messalina, come vedremo tra breve. L’unione tra Seiano e Livia Giulia poteva essere presentata alla plebe e ai soldati (questi ultimi base fondamentale del potere imperiale) in chiave dinastica. Contravvenendo alla logica aristocratica della famiglia, Livia Giulia si macchiò di una colpa grave e, pertanto, è in primis condannata dalla stessa madre, cui sarà affidata da Tiberio per la soluzione finale: non l’esilio, ma la morte109.
20Al momento dell’ascesa al potere, nel gennaio del 41 d.C., Claudio era sposato con Valeria Messalina che era pronipote di sangue, sia per parte di padre che di madre, di Ottavia, la sorella di Augusto; la donna, in quanto tale, apparteneva alla più alta aristocrazia di corte. Messalina è passata alla storia come la prostituta imperiale («meretrix Augusta»), grazie ai ritratti che di lei propongono Giovenale, Tacito, Svetonio e Cassio Dione. Questi autori rappresentano Messalina come esponente al femminile dei tria vitia legati alla caratterizzazione del tiranno: avaritia, saevitia, libido, e cioè avidità di denaro, crudeltà ed eccessi sessuali110. Sulla base di queste fonti, Messalina è schiava della passione erotica (furor). A lei viene attribuito ogni sorta di comportamento negativo, ma non va dimenticato il fatto che per la prima volta la moglie di un imperatore aveva partorito un figlio maschio, dopo l’ascesa al potere dello stesso imperatore. Questo fatto, indubbiamente, aveva rafforzato in un primo momento la posizione di Messalina a corte, tanto è vero che furono coniate ad Alessandria tetradracme in argento che celebravano la sua fecunditas come apportatrice di benessere a tutto l’impero111. Il 47 d.C. è l’anno in cui Messalina pare rafforzare la propria posizione a corte, anche se può essere un espediente retorico usato dalle fonti per preannunciarne la catastrofe. Cassio Dione112 ci dice che Messalina e i suoi liberti avevano mano libera nel far condannare a morte chiunque, per avidità o per capriccio, e potevano abbindolare Claudio come volevano, ma, come è noto, non ci sono giunti i libri 7-8-9-10 di Tacito, quelli che vanno dal 37 al 47 d.C., dove sarebbe potuto emergere un ritratto diverso della «prima» Messalina113.
21Esaminiamo l’affaire Silio-Messalina. Silio è il console designato nel 48 d.C. ed è figlio di quel C. Silio, console ordinario nel 13 d.C., che era stato condannato da Tiberio assieme alla moglie Sosia Galla, in quanto, fedele all’amicitia per Germanico, era rimasto al fianco di Agrippina Maggiore nel suo scontro con Seiano-Tiberio. Il C. Silio console designato nel 48 d.C. chiese in senato il ripristino della lex Cincia che, come ci dice Tacito114, «cavetur antiquitus, ne quis ob causam orandam pecuniam donumve accipiat», vietava, cioè, che per patrocinare una causa in tribunale si accettassero denaro o donativi. La sua azione, in realtà, sembra mirare alla repressione di delatori e giudici corrotti, come il tristemente famoso P. Suillio Rufo, che si arricchivano smodatamente grazie ai loro traffici. Silio pare preoccupato per la sempre più forte posizione di cui godevano persone vicine all’imperatore, anche di bassa estrazione, a scapito delle prerogative dei senatori aristocratici, soggetti alle epurazioni di Claudio, che procedeva ad un rigido controllo delle liste del senato stesso115.
22In questa temperie, Tacito descrive una Messalina sempre più irritata e crudele: ad esempio, in occasione dei Giochi Troiani, cui parteciparono i giovani aristocratici nel corso dei Ludi Secolari organizzati da Claudio nel 47 d.C., quando la plebe applaudì con più calore L. Domizio Enobarbo, figlio di Agrippina e futuro imperatore Nerone, piuttosto che Britannico, figlio di Claudio e della stessa Messalina. In questo contesto Messalina perderebbe la testa per Silio, «iuventutis Romanae pulcherrimum».116 Tacito adopera il verbo exardesco, che indica l’incontrollabile libidine femminile, parola già adoperata dagli scrittori antichi per esemplificare le donne «degenere» a causa della loro passionalità perversa, ad esempio Clodia, la Lesbia catulliana, secondo la descrizione di Cicerone117. Tacito costruisce una scala di valori dei vizi di Messalina, per cui l’impudicitia incontrollabile è addirittura più forte della sua ambizione al potere118.
23Silio ripudiò la moglie Giunia Silana perché, dice Tacito, non potè fare altro, se non voleva morire. Si noti la ripetizione delle vicende già attribuite alla coppia Seiano-Livia Giulia. Tacito aggiunge che Messalina andava a trovare Silio «non furtim, sed multo comitatu», con servi, liberti e tutto l’apparato di corte come se «translata iam fortuna»,119 come se il potere imperiale fosse già transitato in un altro luogo, cioè nella casa dell’adultero. Queste parole che, ovviamente, per Tacito sottolineano come gli amanti fossero senza freni e senza vergogna, necessitano una breve riflessione. Qual era lo scopo di Silio e Messalina? Di questa strana storia gli storici si sono già occupati in passato, ed è stato discusso molto se si sia trattato di un mero adulterio oppure se vi fossero risvolti politici. Le opinioni degli studiosi al riguardo sono molto diverse.
24C’è chi nega espressamente ogni congiura e giustifica l’adulterio di Messalina con il fatto che il suo matrimonio con Claudio era infelice e che la ninfomane Messalina preferisse avere rapporti sessuali con il giovane e aitante Silio piuttosto che con l’anziano e deforme Claudio120; c’è chi sostiene che la giovane Messalina fosse «innamorata alla follia», una sorta di eroina romantica ante litteram contro cui si scontra l’ottuso razionalismo dei consiglieri del principe121; anche per Werner Eck122 Messalina è animata dalla passione erotica. C’è chi invoca la «sexualidad libre»123 di Messalina, che giocherebbe un ruolo decisivo nel suo matrimonio con Silio, sessualità che viene interpretata anche come la precisa volontà di sottrarsi al controllo maschile, così da diventare il simbolo della totale negatività femminile agli occhi degli uomini romani. Addirittura c’è chi ha pensato124 che Messalina potesse essere affetta da una vera e propria patologia, e cioè l’impossibilità di raggiungere la soddisfazione sessuale.
25Invece, c’è chi sostiene, a mio parere con ragione, la teoria del complotto politico: secondo l’opinione di Eckhard Meise il matrimonio tra Silio e Messalina si deve interpretare come una congiura che mirava a spodestare Claudio125, mentre Garrett G. Fagan126 mette in evidenza che «there was a political dimension to what happened», anche se nega l’esistenza di un vero e proprio complotto. Secondo un’altra ipotesi127, si tratterebbe piuttosto di un complotto dei liberti imperiali ai danni di Messalina, che presentarono a Claudio come matrimonio quello che, in realtà, sarebbe stata la mera celebrazione di un Baccanale da parte di Silio e Messalina stessi. A me, invece, sembra evidente che di tratti del tentativo di trasferire il potere imperiale da Claudio a Silio, attraverso la mediazione di Messalina, come, d’altra parte, afferma lo stesso Tacito, e che i congiurati mirassero all’eliminazione fisica di Claudio128.
26La modalità che viene scelta è quella di un legittimo matrimonio tra un patrizio e un’Augusta, vale a dire un’appartenente all’inner circle della domus Augusta, che, in quanto tale, poteva, per la pubblica opinione, legittimare in qualche modo questo trasferimento di potere che, di fatto, era del tutto arbitrario. Si tratterebbe, in buona sostanza, di un «colpo di stato», nel quale era necessaria la presenza di Messalina, portatrice, sia per parte di padre che di madre, del sangue di Augusto e legittimatrice dell’azione eversiva. Infatti, come già sottolineato in precedenza, ormai la natura dell’istituzione del princeps non era in discussione, ma non era stabilito da nessuna parte quali fossero le regole della trasmissione dello stesso potere imperiale. Proprio in questa ottica andrebbero lette, a mio parere, le parole di Svetonio, secondo le quali Claudio acconsentì a fornire la dote alla moglie, quasi fosse la figlia, alla presenza di testimoni. E anche questo aspetto della vicenda, che non può non richiamare il precedente augusteo, andrebbe ulteriormente approfondito.
27Lo stesso Svetonio è sbigottito, come del resto Tacito129, che dice espressamente che è incredibile che il console designato si sposasse alla luce del sole con la moglie dell’imperatore («uxor principis»). Svetonio130 afferma che ciò che supera ogni verosimiglianza è che lo stesso Claudio avesse firmato il contratto di matrimonio fra Messalina e il suo amante Silio. Svetonio tenta una spiegazione, alla sua maniera, e dice che a Claudio era stato fatto credere che si trattasse di una finzione, allo scopo di allontanare da lui, trasferendolo su di un’altra persona, un pericolo dal quale, secondo alcuni prodigi, l’imperatore era minacciato. Questa versione, se mai aveva circolato e non era frutto del discredito di Svetonio per Claudio, evidentemente, era stata propagandata dai congiurati allo scopo di fornire legittimità alla loro azione, presentando il matrimonio come valido a tutti gli effetti, quasi una sorta di riproposizione del matrimonio fra Augusto e Livia con la, per così dire, benedizione del precedente marito, Tiberio Claudio Nerone.
28Leggiamo ancora Svetonio131:
Anche il suo amore per Messalina, per quanto pieno di passione, cedette non tanto per gli oltraggi indegni, quanto a causa della paura del pericolo, poiché si era convinto che lei volesse dare l’impero al suo amante Silio; in quei giorni, preso da una paura indegna, si rifugiò nell’accampamento dei pretoriani, e lungo tutto il tragitto chiedeva unicamente se l’impero era ancora nelle sue mani.
29I congiurati avrebbero dovuto portare dalla loro parte proprio i pretoriani, come ben insegnava il precedente di Caligola. Tacito descrive uno dei due prefetti del pretorio, L. Lusio Geta, come uomo non affidabile, nel bene e nel male132. Secondo il piano dei congiurati, Claudio doveva essere deposto da un nobile che ne sposasse la moglie e che si dichiarasse disposto ad adottarne il figlio Britannico133. Il loro matrimonio doveva essere dunque presentato come legittimo, effettuato in presenza di testimoni e, come tutti i matrimoni validi, destinato ad essere prolifico (liberorum causa). La legittimità del matrimonio tra Silio e Messalina ha dato luogo, evidentemente, a un dibattito giuridico. Antonio Guarino134 sostiene che questo matrimonio era stato preceduto dal divorzio tra Claudio e Messalina e già Olis Robleda135 aveva pensato che il matrimonio di Messalina con Silio fosse senz’altro da porsi in relazione con la manifestazione della volontà di Messalina di divorziare da Claudio.
30La corte, soprattutto i potenti liberti di Claudio, Pallante, Narciso e Callisto, non poteva accettare questo progetto matrimoniale e politico, ben consapevoli che le cose sarebbero cambiate con la caduta di Claudio e l’ascesa al potere di Silio. Pertanto avvertirono l’imperatore: a loro parere Silio non doveva tanto consegnare la casa, i servi e l’apparato di corte, ma doveva soprattutto restituire la moglie e strappare l’atto di matrimonio. Infatti, le nozze erano state viste dal popolo, dai senatori e dai soldati, cioè le basi fondamentali della legittimazione imperiale. Se Claudio non avesse reagito, e non si fosse fatto ridare la moglie, Silio tenet urbem136. E’evidente che, nella propaganda dei congiurati, è il matrimonio con l’Augusta che poteva rendere legittimo il potere di Silio. Claudio si consultò con i suoi amici più autorevoli («tum potissimum quemque amicorum vocat»)137, ne seguì i consigli di agire senza indugio alcuno e la sua repressione fu spietata, segno che tale congiura rappresentava un serio pericolo per il suo potere. Il console designato Silio venne condannato a morte e la sentenza venne eseguita nei castra praetoria, con una sentenza extragiudiziaria138. Vennero giustiziati Tizio Proculo, Vettio Valente, medico di corte, Pompeio Urbico, Saufeio Trogo, il prefetto dei vigili Decrio Calpurniano, Sulpicio Rufo, il procurator della scuola gladiatoria, e il senatore Giunco Vergiliano139. Va da sé che se si fosse trattato di un mero adulterio, non ci sarebbe stata una repressione così spietata. A nulla valsero le suppliche di Messalina, che andò incontro a Claudio facendosi accompagnare dai figli.
31Coerentemente con la sua caratterizzazione negativa della figura di Claudio, Tacito140 racconta che anche in questo frangente Claudio, obnubilato dal cibo, dal vino e dal sesso, avrebbe potuto perdonare Messalina. Corse perciò ai ripari il solito Narciso che ordinò ai soldati di giustiziare Messalina, «ita imperatorem iubere», come se l’ordine fosse partito dallo stesso Claudio. La cosa importante da sottolineare è, a mio parere, che l’elemento femminile della domus viene sentito come fonte di legittimazione imperiale, insignito ufficialmente, o meno, del titolo di Augusta. La concessione del titolo di Augusta a Messalina viene, in genere, negata dagli studiosi141, ma non va dimenticato che Messalina subì la damnatio memoriae dopo la sua condanna e il suo nome venne cancellato dalle iscrizioni pubbliche e private142. Messalina comunque compare come Augusta (Sebaste) sulle monete di alcune emissioni provinciali orientali, a Nicea143, a Nicomedia144 e a Sinope145. A Cesarea di Cappadocia furono emesse delle didracme in argento in un periodo compreso tra il 43 e il 48 d.C., che recano al dritto il suo ritratto con la legenda Messalina Augusti (uxor) in associazione, al rovescio, con le immagini dei tre figli di Claudio: Antonia (avuta dal suo matrimonio con Elia Petina), e Ottavia e Britannico, figli della stessa Messalina146. Cassio Dione147 dice che in occasione del trionfo di Claudio sulla Britannia nel 43 d.C. a Messalina fu concessa la proedria, vale a dire un posto centrale nelle cerimonie pubbliche, e l’uso del carpentum, su cui, infatti, seguì il carro trionfale di Claudio148, onori che erano già stati tributati a Livia e Antonia Minore, entrambe Augustae. Va, però, rilevato che tali prerogative furono concesse da Caligola anche alle sorelle, che, però, non furono Augustae (Agrippina lo sarà soltanto dopo l’adozione del figlio Nerone da parte di Claudio).
32L’ultima cosa da analizzare è perché Messalina abbia fatto questa scelta. Aveva veramente perso la testa per Silio? I «Gender Studies» (ad esempio Sandra R. Joshel149 parla espressamente, a questo proposito, di «female desire», cioè del desiderio sessuale femminile) pongono l’accento sul fatto che la scelta del libertinaggio possa essere un’opzione femminile valutabile, oggi, in chiave femminista, cioè come scelta trasgressiva, antagonista al potere maschile dominante. Se tali categorie interpretative non possono essere del tutto applicabili per la storia antica, sicuramente, a livello aristocratico, si tratta di una scelta politica. In ogni caso, a mio parere, la politicamente perdente Messalina non può non essere vista che come esempio di falsa liberazione femminile. È possibile che nel resoconto tacitiano della vicenda di Messalina e di Silio ci sia anche una somiglianza con la vicenda di Giulia e di Jullo Antonio, dove chiaramente l’uso della sessualità era una forma di antagonismo al princeps150 e, a ben vedere, con quella di Seiano e di Livia Giulia, dove la sessualità della Augusta non poteva non avere esiti dinastici. La scelta di Messalina fu dovuta, a mio parere, alla sempre più incalzante presenza di Agrippina Minore o, meglio, dei partiti che in queste donne si riconoscevano. Già gli studiosi contemporanei151 hanno messo l’accento sul fatto che, fin dai primi tempi dell’ascesa al potere di Claudio, Messalina si preoccupasse di assicurare la successione al figlio Britannico. Se, in un primo momento, pare che Claudio considerasse a tutti gli effetti suo erede Britannico152, è evidente che deve essere successo qualcosa che indusse Messalina a non ritenere più sicura la posizione del figlio. E’probabile che lo stesso Claudio avesse incominciato a vedere in Agrippina Minore uno strumento di esaltazione, rispetto a Messalina, del suo legame con il fratello Germanico e la cognata Agrippina Maggiore, sempre amati dalle truppe e dal popolo di Roma, basi fondamentali delle manifestazioni di consenso al principe. Non va dimenticato che lo stesso Tacito, parlando dell’affetto popolare per il giovane Nerone piuttosto che per Britannico153, evoca la «memoria Germanici, cuius illa reliqua suboles virilis», il ricordo di Germanico, di cui rimaneva quella unica discendenza maschile.
33Tacito154 è illuminante a proposito delle difficoltà di Messalina: Silio premeva per passare definitivamente all’azione ed, evidentemente, spodestare Claudio. Messalina temporeggiava. Silio dice che «mansuram eandam Messalinae potentiam, addita securitate» («Messalina sarebbe stata sempre potente, ma più sicura»). Se la posizione di Agrippina Minore a corte si faceva sempre più forte, la scelta di Messalina cadde su di un personaggio il cui padre era stato condannato sotto Tiberio, per avere onorato la sua amicizia con Germanico e Agrippina Maggiore. Mi sembra chiaro il tentativo, da parte dell’Augusta di indebolire la posizione della rivale, che faceva leva proprio sull’ingombrante figura della madre, moglie del compianto Germanico, ma che si prestava a facili manipolazioni. Gli stessi amici di Germanico avevano seguito strade politiche diverse. La pietà che suscitava la tragica figura di Agrippina Maggiore era, come abbiamo visto, motivo sufficiente dell’appoggio popolare di cui godevano la figlia Agrippina Minore e il figlio di lei, Nerone, che, come ben sappiamo, succederà a Claudio.
34A mio parere, la mancanza di chiarezza su questa vicenda è dovuta al fatto che Silio e Messalina avevano lo stesso scopo (eliminare Claudio), ma motivazioni diverse. Già il Momigliano155 aveva sottolineato il fatto che Silio, console designato, era un patrizio e che Messalina, sposandolo, aveva come scopo politico quello di stabilire un «true senatorial principate», un vero e proprio principato senatorio. Anche di recente l’affaire fra Silio e Messalina è stato interpretato «all’interno di una cospirazione aristocratica contro Claudio»156. Io penso, invece, che questo fosse lo scopo del solo Silio. Infatti, non vanno dimenticate le sue battaglie in senato contro gli uomini, di bassa estrazione, che facevano carriera facendo i delatori per l’imperatore. Messalina, invece, voleva assicurare la posizione di Britannico contro gli emergenti Nerone e Agrippina Minore, ma il liberto Narciso, uomo di corte, ne anticipò abilmente le mosse e ne provocò la caduta. In ogni caso, va rilevato che il legame tra Silio e Messalina, formalizzato o meno da un matrimonio, fu interpretato da Claudio e dai suoi consiglieri in termini politici e come tale risolto.
35Da ultimo va sottolineata l’acuta interpretazione di Mullens157, che pure data ai primi anni ‘40 del secolo scorso: Messalina rivendica «il diritto di disporre del trono». E’ indubbio che l’idea di fertilità e, quindi, di continuità dinastica era associata, già a partire da Augusto, alla «First Lady» della casa imperiale, cosa che, come è già stato ampiamente sottolineato nel corso di queste pagine, conferiva alle donne della domus Augusta una funzione di legittimazione del potere maschile imperiale. Ma la «First Lady», antica e moderna, rimane sempre e comunque nient’altro che una donna sposata a un uomo di potere: le sue possibilità di un’azione politica autonoma, ancorché ampiamente descritte e commentate negativamente dagli scrittori antichi (ma non dalle fonti epigrafiche e documentarie in genere) in nostro possesso, e ancorché i margini di manovra per un’Augusta siano sicuramente superiori a quelli delle matrone di età repubblicana, rimangono, a mio parere, un’eventualità molto remota e poco praticabile.
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Notes de bas de page
1 Rohr Vio, 2014a, p. 148-149 e ivi la bibliografia precedente.
2 Pani, 2003; Girotti, 2010.
3 Michel, 2015 e ivi la bibliografia precedente.
4 M. A., Ad se ipsum, 8.31.
5 Vedere Rohr Vio, 2014a, p. 149.
6 Rohr Vio, 2014a, p. 160.
7 Rohr Vio, 2014a
8 Hurlet, 2015, citazioni rispettivamente a p. 118 e a p. 134.
9 Tac., ann., 1.3: «M. Agrippam, ignobilem loco, bonum militiae et victoriae socium».
10 Vedere, da ultimo, Cenerini, 2013b, e ivi la bibliografia precedente.
11 Tac., hist., 1.15-16.
12 Vell., 2.124.2.
13 Gell., 15.7.3.
14 Fronto, ep., 1.168N.
15 Tac., ann., 1.8.1.
16 Suet., Aug., 101.2; cfr. anche Vell., 2.75.3; Dio Cass., 56.46.1.
17 Barrett, 2006, p. 219.
18 Barrett, 2006, p. 225-234.
19 Salomies, 1992.
20 Lindsay, 2010, p. 86.
21 Kunst, 1996; vedere, in generale, Kunst, 2005.
22 Vedere, da ultimo, Chausson, 2013.
23 App., BC, 3.94.
24 Tac., ann., 1.14.2.
25 Dio Cass., 58.3.
26 Barrett, 2006, p. 223.
27 Vedere Yakobson, 2003; eccellente discussione della dottrina in Kolb, 2010.
28 Vedere ora Cenerini 2014b, p. 79-81.
29 Gnoli, 2014.
30 Zecchini, 2003.
31 Ov., Pont., 4.9.107.
32 Vell., 2.75.3.
33 Tale mancanza fu già notata dal Mommsen: vedere Ridley, 2003, p. 70.
34 Moreau, 2005.
35 Rohr Vio, 2014b.
36 Sugli spazi «politici» delle donne nella tarda età repubblicana, vedere anche Rohr Vio, 2012; Cenerini, 2012; Rohr Vio, 2013.
37 Bielman, 2002.
38 EDCS, no 45500034.
39 Galimberti, 2014, p. 185.
40 Cogitore, 2014, p. 179.
41 Cordovana, 2014, p. 273.
42 Wood, 1999, p. 180.
43 Tac., ann., 4.40.4.
44 Dio Cass., 55.10.18.
45 PIR, I. 219.
46 Tac., ann., 2.43.6: «sed fratres egregie concordes et proximorum certaminibus inconcussi».
47 Tac., ann., 2.43.5-6.
48 Vedere, da ultimo, Hidalgo de la Vega, 2012, e ivi la bibliografia precedente.
49 Raepsaet-Charlier, 1987, nota 422, p. 360-362.
50 Tac., ann., 2.84.
51 Tac., ann., 4.1.
52 Tac., ann., 4.3.1.
53 Questi Cesari incrementarono ulteriormente la loro parentela con il matrimonio tra Nerone, figlio di Germanico e di Agrippina Maggiore, e Giulia, figlia di Druso e di Livia Giulia: cfr. Tac., ann., 1.3.3; Dio Cass., 60.18.4.
54 Tac., ann., 4.1.3.
55 Hurlet, 1997, p. 219-220.
56 Tac., ann., 4.7.2.
57 Tac., ann., 4.3-5.
58 Cfr. Cenerini, 2013a, p. 27-29.
59 Cfr. Cenerini, 2013a, p. 59-60.
60 Lamberti, 2014, p. 83-84.
61 Dio Cass., 57.22.
62 Dio Cass., 58.6.2.
63 Dio Cass., 58.4.1.
64 Dio Cass., 58.7.4.
65 Dio Cass., 58.9-10.
66 Dio Cass., 58. 11. 5.
67 Dio Cass., 58. 11. 7.
68 Storoni Mazzolani, 1992, p. 249-250.
69 Levick, 1999, p. 161.
70 La maggior parte degli studiosi ritiene del tutto inverosimile l’avvelenamento di Druso Minore da parte della copia «diabolica» costituita da Seiano e da Livia Giulia: vedere, da ultimo, Hurlet, 1997, p. 223; Levick, 1999, p. 127; Lyasse, 2011, p. 137.
71 CIL XIV, 4533, II. 17-1 = Vidman, 1982, p. 42, 25-26.
72 Bellemore, 1995, ritiene che Livia e Seiano si fossero effettivamente sposati e che pertanto la moglie menzionata nei Fasti Ostienses sia la stessa Livia Giulia.
73 CIL XIV, 4533, II. 15 = Vidman, 1982, p. 42, 23.
74 CIL XIV, 4533, II. 16 = Vidman, 1982, p. 42 et 24-25.
75 Vidman, 1982, p. 42, 39-41 : coniur(atio) Seian[i] / [extincta e]t compl[ures] / [in s] calis [Gemoniis iacuer(unt)].
76 Vidman, 1982, p. 42, 27-29 ; Bargagli & Grosso, 1997, p. 24.
77 Vedere Raepsaet-Charlier, 1987, p. 37-38, nota 14: (Aelia) Iunilla; Levick, 1999, p. 274, nota 71.
78 Voisin, 1987, p. 273.
79 Suet., Cal., 23.
80 Dio Cass., 59.3 e 8; Winterling, 2005, p. 52-53, ritiene che si tratti di una decisione autonoma di Caligola e dedica spazio alla testimonianza di Filone (Leg., 31).
81 Tac., ann., 4.3.1.
82 Tac., ann., 4.15.1: cfr. PIR I, 224.
83 PIR I, 226.
84 . Tac., ann., 4.12.2.
85 Raepsaet-Charlier, 1987, p. 360-362, nota 224: Julia.
86 Tac., ann., 4.53.1-2.
87 Tac., ann., 4.39-40.
88 Vedere Lyasse, 2010.
89 Tac., ann., 4.4.1.
90 Già formulata dans Cenerini, 2014a.
91 Levick, 1999, p. 130, lo ha bene messo in luce: «like his predecessor, though in a less drastic way, the Princeps prevented any interference with the scheme he had laid down».
92 Tac., ann., 4.7.1.
93 Tac., ann., 4.2.3.
94 Tac., ann., 4.39.
95 Tac., ann., 4.40.
96 Tac., ann., 4.40.3.
97 Vedere Galimberti, 2009, p. 132-133 e nota 44.
98 Cfr. ora Lyasse, 2010, e ivi la bibliografia precedente.
99 Vedere Pani, 2000 e 2003; Zecchini, 2003.
100 Tac., ann., 4.7.3.
101 Tac., ann., 3.29.4; Suet., Claud., 27.
102 Tac., ann., 4.12.3-4.
103 Boddington, 1963; Pani, 2003, p. 46.
104 Apud Dio Cass., 57.3.9.
105 Va ricordato che Livia Giulia, avendo partorito tre figli, era esentata, sulla base della recente legislazione augustea, dalla tutela: vedere ora Cenerini, 2009, p. 14-16.
106 Bellemore, 1995; Raggi, 2009, p. 69.
107 Vi è comunque incertezza sull’effettiva identità di questa Julia, che potrebbe essere anche la figlia di Druso Minore e di Livia Giulia: PIR I, 636.
108 Tac., ann., 6.5; 6.2 e 6.8.3.
109 Dio Cass., 58, 11, 6-7.
110 Questa, 1995 ; Questa, 1998.
111 Morelli, 2009, p. 72.
112 Dio Cass., 60.14.2-29.
113 Su Messalina vedere ora Bianchi, 2014.
114 . Tac, ann., 11.5.3.
115 Tac., ann., 11.25.
116 Tac., ann., 11.12.2.
117 Cic., Cael., 26.
118 Vidén, 1993, p. 35.
119 Tac., ann., 11.12.3.
120 Verdière, 1989.
121 Veyne 1990, p. 167-168.
122 Eck, 2002, p. 116-133.
123 Hidalgo de la Vega, 2007.
124 Gourevitch & Raepsaet-Charlier, 2003, p. 7-9.
125 Meise, 1969, p. 123-169.
126 Fagan, 2002, p. 573.
127 Colin, 1956.
128 Tesi già sostenuta in Cenerini, 2010.
129 Tac. ann., 11.27.
130 Suet., Claud., 29.3.
131 Suet., Claud., 36.
132 Tac., ann., 11.33.
133 Tac., ann., 11.26.2.
134 Guarino, 1974.
135 Robleda, 1976; 1982, p. 385-386.
136 Così Tac., ann., 11.30.
137 Tac., ann., 11.31.
138 Bauman, 1974, p. 181-187.
139 Tac., ann., 11.35.
140 Tac., ann, 11.37.2.
141 Saunders, 1994.
142 Tac., ann., 11.38.3.
143 RPC I, no 2033 e 2038.
144 RPC I, no 2074.
145 RPC I, no 2130, in cui espressamente è qualificata come Augusta.
146 Vedere Morelli, 2009, p. 72-73.
147 Dio Cass., 60.22.2.
148 Suet., Claud., 17.39.
149 Joshel, 1997, p. 221.
150 Rohr Vio, 2000, p. 208-250 ; 2007 ; 2011, p. 77-100.
151 Ehrhardt, 1978 ; vedere soprattutto Cogitore, 2002, p. 202-211.
152 Wood, 1992.
153 Tac., ann., 11.12.1.
154 Tac., ann., 11.26.
155 Momigliano, 1961, p. 76.
156 Pani, Todisco, 2014, p. 277.
157 Mullens, 1941-1942.
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