1 Riguardo a quest’ultima – per fare solo un esempio – varie ricerche hanno rilevato come nelle Storie si possa cogliere una lunga serie di rimandi alla poesia di Teognide. Per un puntuale confronto – sia tematico che lessicale – tra le opere di questi due Autori si veda anzitutto C. Elena, « Echi teognidei nel tripolitikos di Erodoto », S. Cataldi (dir.), Poleis e politeiai. Esperienze politiche, tradizioni letterarie, progetti costituzionali, Atti del Convegno Internazionale di Storia Greca (Torino, 29 maggio-31 maggio 2002), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004, p. 105-131. In particolare, appare molto significativa la « consonanza che si riscontra nelle loro opere a proposito dell’aleatorietà delle sorti umane, che, in ultima analisi, sono nelle mani degli dei » (ibid., p. 113) : i quali « sono molto più potenti dei mortali » (Teognide, Elegie, introduzione, traduzione e note di F. Ferrari, Rizzoli, Milano, 20093, p. 173 : v. 617-618), e « possono adontarsi di fronte alla superbia di un uomo se questi, piccola entità che vive nella piena oscurità del futuro, osa valicare i propri limiti e formulare giudizi recisi su ciò che avverrà, scordando la precarietà della propria condizione » (C. Elena, « Echi teognidei nel tripolitikos di Erodoto », art. cit., p. 113-114).
2 Oltre ai saggi e agli articoli che verranno via via richiamati su questo tema fondamentale, mi limito inizialmente a segnalare : J. Griffin, « Herodotus and Tragedy », C. Dewald e J. Marincola (dir.), The Cambridge Companion to Herodotus, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, p. 46-59. Un approccio critico alla visione di Erodoto come storico « tragico » (in considerazione, precisamente, della generale instabilità delle vicende umane che caratterizza – come vedremo – la sua concezione del mondo) si ritrova invece in S. Saïd, « Herodotus and Tragedy », E. J. Bakker e I. J. F. De Jong e H. van Wees (dir.), Brill’s Companion to Herodotus, Leiden - Boston - Köln, Brill, 2002, p. 117-147, p. 147 : « It is precisely this pervasive instability which prevents the Herodotean world from being “tragic”, if tragedy implies the belief in an iron law of history. Each fall of a ruler is balanced by the rise of another and all disasters have a bright side ».
3 Per un primo confronto tra i due Autori, le cui opere appaiono legate da un « forte intento morale », mi limito a segnalare W. C. Kirk, Aeschylus and Herodotus, CJ, 51, 1955-1956, p. 83-87 (traduzione mia da p. 87).
4 Particolarmente significativa in questo senso è la c. d. « elegia alle Muse » (elegia 1 Diehl), di cui mi limito a citare solo un breve passaggio (v. 16-17): « Non durano infatti a lungo, per i mortali, i risultati della tracotanza, ma Zeus controlla come vada a finire ogni cosa » (Solone, Frammenti dell’opera poetica, premessa di H. Maehler, introduzione e commento di M. Noussia, traduzione di M. Fantuzzi, Milano, Rizzoli, 2001, p. 101).
5 U. Curi, La Forza dello sguardo, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, p. 115. Oltre agli studi classici su questo tema, una preziosa indagine sull’origine arcaica del concetto di « giustizia » nel mondo greco è stata condotta da A. Jellamo, Il Cammino di Dike. L’Idea di giustizia da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli Editore 2005.
6 Particolarmente illuminante su questo tema è il prezioso saggio di R. Bodei, « Conoscenza e dolore. Per una morfologia del tragico », Il Centauro. Rivista di filosofia e teoria politica, 7, 1983, p. 3-27 (citazione da p. 3).
7 Erodoto, Storie, traduzione, introduzione e note di L. Annibaletto, Milano, Mondadori, 2011, p. 150 (I, 207). Per un approfondimento su questo tema in Erodoto rimando anzitutto a S. O. Shapiro, Learning through Suffering : Human Wisdom in Herodotus, CJ, 89, 1994, p. 349-355. L’Autrice osserva, in particolare, che « Erodoto non precisa se la sofferenza sia l’unico modo in cui gli uomini possono ottenere la saggezza. Non sappiamo, ad esempio, come Solone ed Artabano abbiano acquisito la loro saggezza. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che la saggezza può essere ottenuta attraverso la sofferenza, e che quando ciò avviene essa acquisisce una certa forza e validità, e non viene dimenticata » (traduzione mia da p. 354). Una prospettiva complementare è stata sviluppata da H. P. Stahl, « Learning Through Suffering ? Croesus’ Conversations in the History of Herodotus », YCIS, 24, 1975, p. 1-36, secondo cui il fatto che né Ciro né Cambise abbiano potuto beneficiare dei consigli di Creso dimostra che l’uomo ha una capacità di apprendimento limitata.
8 Eschilo, Le Tragedie, traduzione, introduzioni e commento a cura di M. Centanni, Milano, Mondadori, 2003, p. 407.
9 R. Bodei, « Conoscenza e dolore. Per una morfologia del tragico », art. cit., p. 8-9. La citazione interna fa riferimento alla nota affermazione di Aristotele (Poetica, XI 1452 a).
10 Come viene espresso con un’altra formula emblematica, quasi al termine delle Storie (IX, 16) : « Il più tremendo dolore che ci possa essere fra gli uomini è questo : aver molta saggezza e nessuna autorità » (Erodoto, Storie, op. cit., p. 809).
11 L. Belloni, « Un inganno regale (Erodoto, III 65, 6). Nomos e pathos nella figura di Cambise », PP, 61, 2006, p. 269-293, p. 282.
12 Questo tema è stato ben analizzato da M. Dorati, « Μῆτις e conquista del potere nelle Storie di Erodoto », Acme, 51, 1998, p. 203-211. Ulteriori approfondimenti sono forniti da M. Dorati, « Cultura tradizionale e tematiche dell’inganno in Erodoto », QS, 19, 1993, p. 65-84.
13 Come si può evincere, in particolare, dalle parole della Pizia relative a Gige, quarto antenato di Creso : « il quale, mentre era guardia del corpo degli Eraclidi, uccise il suo signore accondiscendendo a un inganno ordito da una donna, e ne ebbe la dignità regale, che a lui non spettava affatto » ; Erodoto, Il Regno di Creso (I, 1-92), a cura di L. Belloni, Venezia, Marsilio Editori, 2000, p. 139 (I, 91).
14 Erodoto, Storie, op. cit., p. 29.
15 Cf. A. Lesky, Geschichte der griechischen Literatur, Bern, Francke, 1957, tr. it. di F. Codino, Storia della letteratura greca. I : Dagli inizi a Erodoto, Milano, Il Saggiatore, 1962, p. 410.
16 Cf. F. Châtelet, La Naissance de l’histoire, Paris, Minuit, 1962, tr. it. di M. Spinella, La Nascita della storia. La Formazione del pensiero storico in Grecia, Bari, Dedalo Libri, 1974, p. 97.
17 Lo stesso Châtelet si richiama in tal senso a E. Burnouf, Histoire de la littérature grecque, Paris, Delagrave, 1869, Vol. I, p. 333 : « L’action historique racontée par Hérodote est un drame, qui commence à une faute et aboutit à un désastre ».
18 Il valore semantico della radice hamart è stato ben approfondito da J. M. Bremer, Hamartia. Tragic Error in the Poetics of Aristotle and in Greek Tragedy, Amsterdam, Hakkert, 1969, il quale distingue anche in Erodoto diverse sfumature di significato, specificando i diversi passi in cui esse ricorrono (p. 37-38).
19 Questo tema è stato particolarmente approfondito da J. A. Arieti, « History, Hamartia, Herodotus », D. V. Stump, J. A. Arieti, L. Gerson e E. Stump (dir.), Hamartia : The Concept of Error in the Western Tradition, New York, E. Mellen, 1983, p. 1-25. Si vedano in particolare le affermazioni : « For Herodotus, irrationality is the moving cause of human history. It is the beginning of the chain of events » (p. 7) e « men are irrational, and their irrationality is what generates history » (p. 20).
20 Proprio su tale distinzione insiste ripetutamente il già citato articolo di Arieti (ibid.) : specificando inoltre che « le due più grandi manifestazioni di irrazionalità sono le errate interpretazioni di presagi o di oracoli e l’illecita condotta sessuale » (traduzione mia da p. 7 : « the two greatest manifestations of irrationality are mistaken interpretations of omens or oracles and wrongful sexual conduct »).
21 F. Trisoglio, « L’Intervento divino nelle vicende umane dalla storiografia classica greca a Flavio Giuseppe e ad Eusebio di Cesarea », ANRW, II, 21, 2, 1984, p. 1047-1050.
22 L. Belloni, introduzione di Erodoto, Il Regno di Creso, op. cit., p. 16.
23 La cui « fortuna » letteraria e filosofica è stata ben illustrata – con particolare riguardo a Francesco Petrarca – da S. Longhi, « Solone, Creso e la vita felice », C. Berra (dir.), I Triumphi di Francesco Petrarca, Gargnano del Garda (1-3 ottobre 1998), Milano, Cisalpino, 1999, p. 153-173. L’autrice ricorda inoltre il breve ma significativo richiamo contenuto negli Essais di Montaigne, nel capitolo dedicato all’opportunità di giudicare la felicità umana solo dopo la morte (I, 19).
24 L. Bottin, « La Tragedia di Creso », G. Avezzù (dir.), Διδασκαλίαι. Tradizione e interpretazione del dramma attico, Padova, Imprimitur, 1999, p. 5-39, p. 6.
25 Anche per questa dicotomia tra « il mondo della storia e il mondo della verità » traggo spunto dal citato articolo di Bottin (ibid., p. 6-7).
26 Ibid., p. 7.
27 Ibid., p. 5.
28 In tale prospettiva è stato appunto sottolineato che « Erodoto menziona la prosperità di persone importanti quando e solo quando il disastro è imminente » (D. Lateiner, « A Note on the Perils of Prosperity in Herodotus », RhM, 125, 1982, p. 97-101, p. 100 ; traduzione mia).
29 S. O. Shapiro, « Herodotus and Solon », ClAnt, 15, 1996, p. 348-364, p. 348 (traduzione mia). Come è stato opportunamente rilevato, nelle Storie la figura di Solone « esprime le concezioni etiche, religiose e filosofiche proprie di Erodoto » ; al tempo stesso, peraltro, « il suo discorso non è una libera creazione » dello storico, ma piuttosto « un cauto adattamento della sua conoscenza dei versi soloniani » : cosicché si può affermare che « esso contiene sia opinioni prese in prestito da Solone sia opinioni originali proprie di Erodoto » (A. Rémillard, « A Herodotean Reading of Solon », Hirundo, 8, 2009-2010, p. 11-20 [https://www.mcgill.ca/classics/files/classics/2009-10-03.pdf], p. 11 ; traduzione mia). Sulle affinità concettuali riscontrabili tra queste due grandi figure si veda anche C. C. Chiasson, « The Herodotean Solon », GRBS, 27, 1986, p. 249-262.
30 Cioè : i giorni della vita di un uomo.
31 L. Bottin sottolinea come l’affermazione soloniana – attraverso il termine eucharistos – indichi propriamente il « morire con animo grato » : ossia « ringraziando gli dèi e la fortuna per i beni avuti e il dolore evitato » (« La Tragedia di Creso », art. cit., p. 11-12).
32 Erodoto, Il Regno di Creso, op. cit., p. 77-81 (I, 32).
33 Erodoto, Storie, op. cit., p. 287 (III, 40).
34 Cf. M. Pohlenz, Herodot, der erste Geschichtschreiber des Abendlandes, Berlin - Leipzig, Teubner, 1937, p. 110-125.
35 C. Del Grande, Hybris. Colpa e castigo nella espressione poetica e letteraria degli scrittori della Grecia antica (da Omero a Cleante), Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1947, p. 227.
36 M. Maslanka Soro, « Alcuni aspetti della sofferenza tragica nell’Aiace di Sofocle », Arctos, 29, 1995, p. 115-135, p. 117, n. 10. Particolarmente significative in tal senso sono ad esempio le parole di Dario nei Persiani (v. 739-752) : « Ah ! troppo presto le profezie si sono compiute ! E contro mio figlio Zeus ha fatto precipitare il compimento degli oracoli divini ! […] Ma è certo, quando uno si dà da fare, anche gli dèi gli danno una mano ! […] Lui, un mortale, credeva di esser più potente anche degli dèi – che idea insensata ! » (Eschilo, Le Tragedie, op. cit., p. 67-69).
37 L. Belloni, « Felice come un re (Hdt. 1, 32, 7-9) », L. Torraca (dir.), Scritti in onore di Italo Gallo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, p. 59-66, p. 59. Partendo insomma da una prospettiva totalmente diversa, « Creso si dimostra incapace di distinguere fra olbios ed eutuches, fra l’uomo che possa dirsi “felice” e chi, invece, nell’attesa di concludere bene la vita, debba ritenersi soltanto “fortunato” ; è dunque persuaso che la “felicità”, condizione stabile e duratura, sia omologa della ricchezza, di un benessere che, al contrario, è naturaliter esposto ad un alto rischio e racchiude in sé i presupposti di una hybris : una violenza in grado di travolgere gli uomini, di sradicarli dal benessere in cui vivono, e che magari era stato proprio il dio a concedere loro » (ibid., p. 59-60). Più in generale, tale articolo segnala la particolare diffusione ed evoluzione, nel mondo antico, del topos della beatitudo come prerogativa connaturata alla figura del sovrano.
38 Erodoto, Il Regno di Creso, op. cit., p. 81 (I, 33).
39 Ibid., I, 34. Il tema generale della « vendetta » o retribuzione divina (tisis), come strumento di interpretazione teologica causale nell’opera erodotea, è stato oggetto di numerosi studi ed approfondimenti, talvolta anche divergenti tra loro. In questa sede mi limito a segnalare H. R. Immerwahr, « Aspects of Historical Causation in Herodotus », TAPhA, 87, 1956, p. 241-280 ; J. de Romilly, « La vengeance comme explication historique dans l’œuvre d’Hérodote », REG, 84, 1971, p. 314-337 ; D. Lateiner, The Historical Method of Herodotus, Toronto, University of Toronto Press, 1989 ; D. Asheri, « Platea vendetta delle Termopili : alle origini di un motivo teologico erodoteo », M. Sordi (dir.), Responsabilità, perdono e vendetta nel mondo antico, Milano, Vita e Pensiero, 1998, p. 65-86. Quest’ultimo studio, a differenza dei precedenti, non condivide l’idea che in Erodoto il ruolo della vendetta si attenui nel mondo morale, facendo riferimento – in particolare – alla campagna militare di Serse : la quale « risulta tutta inquadrata nello schema teologico hybris/tisis », che del resto « era già maturato e compiuto quando Erodoto cominciò a lavorare alle sue Storie » (p. 65-66 e 85).
40 Erodoto, Il Regno di Creso, op. cit., p. 85 (I, 38). Come è stato ben rilevato, quindi, « questo umanissimo Creso non pretende di piegare il destino : si accontenta di allontanare da sé il dolore, cercando con sagge precauzioni di collocare l’evento doloroso oltre i limiti della sua vita […]. Creso si adagia sulla china della sventura cercando solamente di rallentare, per sé e per il figlio, la caduta » (L. Bottin, « La Tragedia di Creso », art. cit., p. 18).
41 Ibid., p. 14.
42 Ibid., p. 14-15.
43 Ibid., p. 19. A livello di « analisi narratologica » è stato peraltro messo in rilievo che anche i destinatari del racconto « non sono informati circa il significato del sogno e perciò possono simpatizzare per l’umana cecità di Creso, che prende i provvedimenti sbagliati, per Atys, che supplica per la sua morte e con fiducia interpreta erroneamente il sogno, e per Adrasto, che lealmente marcia verso il suo secondo omicidio » ; ma anche assumendo tale prospettiva si può giungere alla conclusione che « il narratore erodoteo non è un moralista, né un fatalista, bensì un tragico. Nel proemio annuncia che il suo intento è quello di preservare il kleos delle grandi imprese dei Greci e dei Barbari, ma da Achille in poi è noto che il kleos giunge solitamente ad un alto costo personale e le Storie provano ampiamente questa ferrea legge della storia umana » (I. J. F. De Jong, « Narratologia e storiografia : il racconto di Atys e Adrasto in Erodoto 1, 34-45 », QUCC, 80, 2005, p. 87-96, p. 96).
44 Ibid., p. 20.
45 Ibid., p. 23.
46 Erodoto, Il Regno di Creso, op. cit., p. 89 (I, 46).
47 Ibid., p. 91 (I, 47).
48 P. Pucci, « L’apologie d’Apollon dans Hérodote, 1, 91 », Mètis, 8, 1993, p. 7-20, p. 9 (traduzione mia, qui e nelle successive citazioni).
49 Sottolinea infatti Erodoto : « Da quando […] ne aveva accertato la veridicità, ne usufruiva senza limiti », Il Regno di Creso, op. cit., p. 97 (I, 55).
50 Il secondo termine ricorre ad esempio in Storie, I, 54, laddove si afferma che « Creso […] sperava vivamente di distruggere il regno di Ciro » (Erodoto, Il Regno di Creso, op. cit., p. 95). In questo senso si veda anche A. Corcella, Erodoto e l’analogia, Palermo, Sellerio Editore, 1984, p. 116 : « la parola-chiave del logos di Creso è elpis, la “valutazione” che, pur avendo basi razionali, si rivela errata ».
51 Come avviene in particolare nel passo richiamato alla nota precedente, in cui gli oracoli erano stati concordi nel predire a Creso che, « se avesse fatto guerra ai Persiani, avrebbe distrutto un grande impero », Erodoto, Il Regno di Creso, op. cit., p. 95 (I, 53).
52 L. Bottin, « La Tragedia di Creso », art. cit., p. 27. Sul piano ermeneutico, d’altra parte, è stato ben rilevato che nell’interpretazione dei due oracoli della Pizia « Creso diventa esemplare della complicità necessaria ad ogni lettura. I lettori sono sempre inizialmente complici, in quanto è il contesto del loro desiderio ad essere provocato e legittimato dalla lettura stessa. L’oracolo, in particolare, è l’enunciato prodotto per rispondere al nostro desiderio. Ed è proprio questo che determina l’universalità di tale enunciato » (P. Pucci, « L’apologie d’Apollon dans Hérodote, 1, 91 », art. cit., p. 12).
53 L. Bottin, « La Tragedia di Creso », art. cit., p. 33.
54 Erodoto, Il Regno di Creso, op. cit., p. 141 (I, 91).
55 Su tale epiteto riferito ad Apollo si veda (tra gli altri) P. Pucci, « L’apologie d’Apollon dans Hérodote, 1, 91 », art. cit. (spec. p. 16-20).
56 Erodoto, Il Regno di Creso, op. cit., p. 139-141 (I, 91).
57 Secondo C. Fornara, in particolare, ciò che rende Erodoto unico – e lontano da una concezione secolare della storia – è precisamente « la sua visione della natura imperativa del destino, una necessità imposta dal di fuori che vincola gli individui e gli stati ad agire secondo le proprie leggi ed il proprio piano. E questo piano, secondo Erodoto, assicurava il costante equilibrio di giusto e sbagliato, di ingiustizia e punizione » (traduzione mia da C. W. Fornara, « Human History and the Constraint of Fate in Herodotus », J. W. Allison (dir.), Conflict, Antithesis and the Ancient Historian, Columbus, Ohio State University Press, 1990, p. 25-45, p. 45 : « What makes Herodotus unique, however, is his view of the overriding nature of fate, a necessity imposed from without that constrains individuals and states to act according to its own laws and plan. That plan, Herodotus believed, ensured the constant balance of right and wrong, injustice and retribution, to which men must perforce submit when once the perpetration of an unjust act initiates the cycle »).
58 L. Bottin, « La Tragedia di Creso », art. cit., p. 33. Questo concetto viene espresso molto chiaramente anche nel Prometeo incatenato di Eschilo (v. 515 ss.).
59 Ibid., p. 34 : « Così come i sudditi di Creso o di Edipo, quando pensano che il loro re sia potente e felice come un dio, si sbagliano, e “la storia” fornirà loro la cocente delusione di vedere nel loro re nient’altro che un uomo, che però ha commesso l’errore di essere re ».
60 P. Pucci, « L’apologie d’Apollon dans Hérodote, 1, 91 », art. cit., p. 16.
61 Ibid., p. 17.
62 Ibid., p. 17-18. Approfondendo tale interpretazione, lo stesso Pucci specifica il valore che l’epiteto « Lossia » acquisisce nei tre diversi casi in cui viene utilizzato : « Mentre negli ultimi due casi la Pizia fa riferimento agli oracoli di Apollo, nel primo caso ella allude ad Apollo Moiragetes, ossia “colui che controlla le Moirai (Sorti)” […]. Appare chiaro che l’“Obliquo” e l’“Ambiguo” ha cercato di frodare le Moirai allo scopo di ottenere un rinvio per Creso. L’impiego di tale epiteto in questo contesto è una novità, ma il fatto che Apollo cerchi di cambiare il corso dei Moirai è, di per sé, notorio e si riscontra nella tragedia. In questo passo, quindi, la natura obliqua del dio potrebbe essere citata in quanto tratto positivo, poiché Apollo ha posto tale astuzia e tale inganno naturale al servizio di Creso, per salvarlo dalla disfatta […]. Questo ruolo ingannatore del dio degli oracoli complica la logica che dovrebbe controllare il destino o la sorte prestabilita, pepromene […] » (ibid., p. 19).
63 Plutarco, La Vita di Solone, a cura di M. Manfredini e L. Piccirilli, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 19954, p. 84-85 (27, 8).
64 Mi sembra preferibile ricomporre in questa formulazione le traduzioni fornite dall’edizione sopra citata e da L. Bottin, « La Tragedia di Creso », art. cit., p. 36.
65 Ibid., p. 36.
66 Persiani, 753-754 (Eschilo, Le Tragedie, op. cit., p. 69).
67 Il particolare linguaggio tragico delle Storie è stato oggetto di numerosi studi, e meriterebbe evidentemente una trattazione a parte. In questa sede mi limito a segnalare M. Frassoni, « Una “parola tragica” in Erodoto (Hdt. 3.32.4 ; Aesch. Cho. 695) », Lexis, 23, 2005, p. 189-196.
68 G. Bodei Giglioni, Erodoto e i sogni di Serse. L’invasione persiana dell’Europa, Roma, Donzelli Editore, 2002, p. 63. In particolare, il riferimento più prossimo alle parole di Artabano, nella tragedia greca, si può individuare nei versi di Eschilo : « Zeus, si sa, punisce i progetti troppo superbi : è lui che presiede al giudizio, e chiede il conto, severo » (Persiani, 827-828 : Eschilo, Le Tragedie, op. cit., p. 73).
69 Artabano rappresenta in sostanza il prototipo dell’« « ammonitore », una figura che in Erodoto compare ben ventuno volte e che ha il compito di mettere in guardia contro la hybris » (G. Bodei Giglioni, Erodoto e i sogni di Serse, op. cit., p. 62). A questo « consigliere inascoltato » di Serse fa riferimento anche l’articolo di M. Frassoni, « Una citazione soloniana in Erodoto (Hdt. 7.16 a 1) », Prometheus, 31, 2005, p. 229-242 : dove viene analizzata l’originale ripresa, da parte dello stesso Artabano, di un celebre frammento soloniano evocante l’immagine del mare agitato dai venti. In particolare, secondo l’Autrice, « la maggiore – e la più audace – innovazione che Erodoto compie nell’adattare la citazione al contesto » consiste nel fatto che « il mare sconvolto dai venti non è più l’immagine topica del popolo influenzato da demagoghi e tiranni […], ma diventa lo specchio fedele della tormentata interiorità di un tiranno, della sua volontà troppe volte fatta oggetto di violente pressioni esterne e inevitabilmente trascinata nell’errore » (ibid., p. 238).
70 Erodoto, Storie, op. cit., p. 611 (VII, 10).
71 Cf. G. Bodei Giglioni, Erodoto e i sogni di Serse, op. cit., p. 98.
72 Ibid., p. 83 in nota.
73 Ibid., p. 106.
74 Cf. N. Marinatos, « Wahl und Schicksal bei Herodot », Saeculum, 33, 1982, p. 258-264, p. 260.
75 G. Bodei Giglioni, Erodoto e i sogni di Serse, op. cit., p. 107.