Il matrimonio tra Romani e barbari nella legislazione tardoantica
p. 503-512
Résumés
La question de l’union entre Romains et barbares dans la législation du ive siècle est l’objet d’une constitution unique promulguée par Valentinien Ier en 370 ou 373. Cette loi est conservée dans le seul Code Théodosien (III, 14, 1) : la commission présidée par Tribonien ne l’a en effet pas retenue lors de la compilation du Code Justinien. La mesure est d’une rigueur extrême : elle ne se limite pas en effet à interdire le mariage entre Romains et barbares, mais prévoit également la peine de mort pour ceux qui braveraient l’interdiction. Les raisons qui ont poussé Valentinien Ier à prendre cette disposition ne semblent pas devoir être recherchées dans le domaine religieux : le terme gentiles employé dans le texte paraît synonyme de « barbares » et non de « païens ». C’est plutôt vers le contexte historique immédiat qu’il faut se tourner : l’empereur est alors confronté à un regain de tension avec les Alamans le long de la frontière rhénane, au moment même où Théodose installe des contingents barbares en Gaule et en Italie du Nord.
Whether Romans and barbarians could marry in the 4th century law is dealt with in only one constitution promulgated by Valentinian I in 370 or 373. This law was kept only in the Theodosian Code (III, 14, 1) since the commission presided over by Tribonian did not take it into account while the Justinian Code was being compiled. Such a decision was drastic indeed: not only did it not confine itself to prohibiting marriages between Romans and barbarians but it also allowed for the death penalty for any law-breaker. The reasons that made Justinian take such a decision did not apparently have anything to do with religion. The term gentiles used in the text indeed seemed to refer to «barbarians», not to «pagans». Closer attention should thus be focused on the short-term historical backdrop, the Emperor then being confronted with growing tension at the hands of the Alamans along the Rhine frontier just as Theodose was positioning barbarian units in Gaul and Northern Italy.
Texte intégral
1Può un unico testo legislativo, e per di più trasmesso in modo incompleto, bastare per un tentativo di ricostruzione plausibile di storia politica e sociale? E’ doveroso porsi un quesito di ordine metodologico a fronte della legge del Codice Teodosiano che proibisce il matrimonio tra i provinciali e i barbari. La legge pone non pochi problemi a cominciare dalla perentorietà dell’enunciato e dalla severità della pena che si prevede per i tragressori.
2Il testo di CTh III, 14, 1 è ben noto :
IMPP. VALENT(INIANVS) ET VAL(ENS) AA. AD THEODOSIVM MAG(ISTRVM) EQVITVM.
Nulli prouincialium, cuiuscumque ordinis aut loci fuerit, cum barbara sit uxore coniugium, nec ulli gentilium prouincialis femina copuletur. Quod si quae inter prouinciales atque gentiles adfinitates ex huiusmodi nubtiis extiterint, quod in his suspectum uel noxium detegitur capitaliter expietur.
DAT. V KAL. IVN. VALENT(INIANO) ET VALENTE AA. CONSS.
3La datazione della legge non è del tutto sicura1. Si oscilla infatti tra il 370 e il 373 senza che ci siano ragioni decisive per preferire l’una o l’altra2. Rientriamo comunque sempre all’interno del periodo di regno di Valentiniano I.
4Esiste poi un problema di inquadramento geografico oltre che storico. Desidero subito ricordare una tesi che è stata avanzata di recente e che per varie ragioni non mi pare si possa seguire. Secondo Alexander Demandt questa legge deve riferirsi a un contesto africano e risalirebbe al 3733. Stefan Rugullis, riprendendo in parte gli argomenti di Demandt, data la legge al 371 con riferimento all’insurrezione di Firmus4.
5In realtà rimane preferibile collocare la legge in un’epoca di accresciuti insediamenti di gruppi di barbari effettuati dal generale Teodosio in Gallia e in Italia5. In particolare a contingenti di Alamanni, insediati lungo il corso del Po attorno al 370, furono assegnate terre da coltivare come tributarii (secondo una tipologia che deve essere considerate simile a quella dei laeti in Gallia)6. E’presumibile che tali insediamenti suscitassero reazioni e preoccupazioni a vari livelli. Un passo di Zosimo (IV, 12, 1), che merita di riportare per esteso, menziona una « coscrizione straordinaria » all’interno degli elementi più giovani delle popolazioni collocate lungo il Reno :
« Valentinien recruta une troupe de gens aussi nombreuse que possible parmi les barbares qui habitent près du Rhin et parmi les paysans des provinces soumises aux Romains, les enrôla dans les unités armées et les entraîna si bien aux exercices de la guerre que, du fait de la crainte qu’inspiraient le zèle et l’expérience des soldats dans ce domaine, aucun des peuples établis au delà du Rhin ne troubla les villes soumises aux Romains pendant neuf années pleines »7.
6Purtroppo l’attendibilità del passo è incerta : lo stesso riferimento a nove anni interi di pace per le città romane lungo la frontiera renana è smentito da quanto risulta da altre fonti sulla turbolenza del periodo. Sappiamo invece che Valentiniano ordinò a Teodosio di condurre una campagna contro gli Alamanni nell’area del Reno Superiore nel 370 in cui intervenne di persona l’anno successivo8.
7Si tratta di verificare in primo luogo se la legge sia da considerarsi come un fatto isolato, dovuto a motivazioni di ordine contingente, oppure se sia stata concepita in funzione di una politica funzionale a un disegno generale di rafforzamento delle frontiere. Queste erano esposte ormai da decenni alle incursioni dei barbari con cui è presumibile che le popolazioni locali avessero cercato una forma di intesa. Se è vera questa seconda ipotesi si potrebbe vedere nel provvedimento una misura volta a fronteggiare il rischio di una denazionalizzazione delle province di confine9.
8Uno spunto, contenuto in una lettera di Ambrogio, merita di essere segnalato. Il vescovo di Milano raccontando alla sorella delle vicende della corte milanese dominata da Giustina e delle sopraffazioni compiute dai Goti ariani (siamo nel pieno della crisi della Pasqua del 386) parla di questi Goti come coloro (ep. 76, (20) 12) quibus ut olim plaustra sedes erat, ita nunc plaustrum ecclesia est. Il riferimento ai plaustra, dunque a carri di trasporto, vuole indicare evidentemente gruppi di barbari di recente insediamento.
9Si può considerare per acquisito che gentiles valga in questo, come in casi analoghi, come sinonimo di barbari, ovvero di popolazioni non sottomesse all’Impero10. Meno sicuro è che Valentiniano pensi specificamente ai limitanei barbari cui si concedevano terre da coltivare alla frontiera in cambio della loro cooperazione nella difesa delle frontiere stesse.
10In proposito c’è una considerazione di ordine propriamente militare, ma con implicazioni anche di natura sociale, che non mi sembra sia stata tenuta nella giusta considerazione. Nella necessità di riorganizzare l’esercito Valentiniano – contrariamente a quello che risulta dal passo di Zosimo – dovette essere costretto a guardare come area di reclutamento al Danubio oltre che al Reno. Le incursioni degli Unni, infatti, avevano sradicato le popolazioni gotiche proprio attorno al 370. Il reclutamento al loro interno di nuovi soldati risultava particolarmente vantaggioso per le necessità dell’esercito riorganizzato11. I Goti potevano essere reclutati individualmente o insediati con le loro famiglie. Nello stesso tempo però è lecito immaginare che Valentiniano, insediato nella capitale strategicamente più prossima alla frontiera renana, Treviri, volesse evitare che uno stato necessità di natura militare determinasse una rottura degli equilibri di natura sociale12.
11Un precedente sembra potersi vedere in una costituzione di Costantino del 28 aprile del 32313 con la quale si minaccia di irrogare la pensa più severa per le popolazioni che avessero ceduto ai barbari che premevano sulla frontiera danubiana (in particolare i Carpi) : si quis barbaris scelerata factione facultatem depraedationis in Romanos dederit uel si quis alio modo factam diuiserit, uiuus amburatur.
12Mi sembra che si possa delineare un coerente disegno di ampio respiro che Valentiniano Ier concepì per consolidare le frontiere e la compatezza del tessuto sociale senza ulteriori cedimenti verso forme di barbarizzazione. Non direi dunque che si possa liquidare questa legge come «una concessione fatta ai sentimenti arisocratici»14. Una tale concessione non solo non ha giustificazioni di per sé ma è del tutto implausibile per Valentiniano I.
13In realtà tutta la complessa e lunga linea di frontiera Reno-Danubio poteva considerarsi a rischio e richiedeva la massima attenzione da parte del potere imperiale. Non si deve dimenticare che al 369 risale la pace di Noviodunum (alle foci del Danubio non lontano da quelle del Dnjester dove operavano i Tervingi) stipulata tra Valente e Atanarico al termine della prima guerra gotica condotta dall’imperatore romano : secondo ogni evidenza si trattò di una pace di compromesso che pure non impedì a Valente di fregiarsi del titolo di Gothicus maximus. A Valentiniano non doveva sfuggire la precarietà della situazione. Basterà ricordare che già nel 376 i barbari con i quali era stata conclusa la pace del 369 chiedevano di essere accolti all’interno dell’Impero a fronte dell’approssimarsi degli Unni.
14Le fonti letterarie offrono sporadiche ma importanti testimonianze sulle novità che si andavano realizzando a fronte dell’aggravarsi della situazione militare sull’arco alpino. Sant’Ambrogio parla più volte, genericamente, di un vallum Alpium con riferimento alle barriere che si andavano realizzando nell’arco alpino nordorientale nella parte finale del iv secolo.
15In altri termini, se l’occasione di promulgazione della legge può risalire a una circostanza specifica abbiamo indizi sufficienti per considerarla espressione di un disegno di ordine generale, con riferimento a un problema, la barbarizzazione, che aveva gravi implicazioni di natura sociale e religiosa15.
16Il fatto che la sanzione prevista dalla legge sia particolarmente dura e che, di fatto, fosse disattesa era, a ben guardare, nell’ordine delle cose. Già il Gothofredus ebbe modo di osservarlo nel suo commento.
17Particolarmente clamoroso è stato considerato il fatto che alcuni alti ufficiali o generali barbari arrivassero addirittura a entrare, tramite matrimonio, nella stessa famiglia imperiale e a rivestire quindi un ruolo di primo piano nel governo dell’Impero. Il caso di Stilicone è emblematico. Tuttavia si può considerare la proibizione dei matrimoni misti come transitoria o addirittura effimera, che non avesse cioè un solido fondamento politico ed ideologico ? Che barbari già romanizzati e integrati per benemerenze di vario genere pervenissero ad alti livelli dell’amministrazione imperiale non è, a ben guardare, un fatto in radicale contraddizione con lo spirito della legge.
18Non si possono non ricollegare a un disegno strategico complessivo una serie di leggi di Valentiniano che vietavano il commercio di alcuni beni ritenuti di rilevanza strategica. L’oro non solo non doveva essere ceduto ai barbari per nessuna ragione ma addirittura si doveva fare in modo di sottrarlo loro se per caso costoro fossero riusciti a trovarlo (CJ 4, 63, 2 forse del 374)16.
19Di particolare interesse in questa prospettiva appare una costituzione conservataci nel Codice di Giustiniano che risale a un anno non precisabile tra il 370 e il 375 (CJ 4, 41, 1). Il divieto di trasferire ad barbaricum dei prodotti specifici riguarda il vino, l’olio e il liquamen, cioè il garum, una salsa di pesce che rientrava tra i prodotti di lusso (non vedo ragioni per credere, con Seeck, che facesse parte della stessa legge sul divieto di matrimonio)17. E’evidente che con un provvedimento di questo genere si voleva impedire qualsiasi forma di scambio commerciale con i barbari oltre frontiera.
20Si tratta, almeno sulla carta, di una svolta di notevole portata anche se presto frustrata dagli sviluppi degli eventi.
21Non credo, peraltro, che si possa pensare a una linea pragmaticamente flessibile dello stesso Valentiniano volta ad allentare il vincolo della legge a favore proprio dei barbari insediati lungo le frontiere. Se le iustae nuptiae contratte da un barbaro con una romana ne sancivano il pieno inserimento nell’Impero è preferibile immaginare che la legge sia stata rapidamente e tacitamente superata dalla situazione militare e politica. Si deve viceversa considerare come plausibile la possibilità che la legge di Valentiniano sia stata applicata solo in Occidente ma non in Oriente.
22Ma anche in questo caso essa appare un interessante indizio di un disegno di ordine generale, di una strategia di accentuata vigilanza rispetto al problema barbarico. E’stato giustamente ricordato che le nostre fonti non registrano problemi legali particolari derivanti dalla contiguità di barbari e romani di cittadini e non18. Sembra plausibile immaginare che proprio l’accettazione di tale contiguità abbia progressivamente reso i provinciali indifferenti a una consanguineità che suscitava invece la diffidenza dell’autorità imperiale.
23Le fonti ecclesiastiche appaiono di particolare importanza per valutare la delicatezza della situazione in tutte le sue implicazioni. Nel pensiero cristiano è tradizionale la preoccupazione per i matrimoni misti legata alle disparità di culto. E’noto quanto stabilito già dal concilio di Elvira all’inzio del iv secolo in cui a essere presi di mira erano in particolare i matrimoni con gli ebrei :
DE PVELLIS FIDELIBVS NE INFEDILIBVS CONIVGANTVR19.
Haeretici si se transferre noluerint ad ecclesiam catholicam, ne ipsis catholicas dandas esse puellas. Sed neque iudaeis neque haereticis dare placuit, eo quod nulla possit esse societas fidelis cum infideli. Si contra interdictum fecerint parentes, abstinere per quinquennium placuit.
24Disposizioni analoghe si ritrovano più o meno regolarmente nei canoni dei successive concili.
25Nella stessa direzione andava una costituzione indirizzata da Costanzo II al prefetto del pretorio Evagrio nel 339 (CTh XVI, 8, 6).
26Per quanto riguarda i Goti si deve sottolineare la fiera ostilità manifestata da Ambrogio che li considera avversari irriducibili dell’Impero e dell’ortodossia cristiana. Ogni possibile forma di loro integrazione sembra esclusa a priori a causa di un’irriducibile e insuperabile estraneità di tale popolazione a qualsiasi forma di civiltà. Dunque il barbaro è nemico naturale della romanità e, quindi, del cristianesimo. Dunque deve restare al di fuori dell’Impero.
27Ambrogio arriva addirittura a giustificare, per combattere questo pericolo, strategie altrimenti inammissibili vale a dire il ricorso all’usura e all’immissione massiccia di vino nei mercati destinati ai barbari20. Sono strumenti considerati legittimi perché giudicati idonei a fiaccare la coesione del gruppo etnico e a minarne le capacità offensive. Tale atteggiamento presuppone, in realtà, una complessità di relazioni a vari livelli tra mondo romano e mondo barbarico, del tutto comprensibile in una situazione di frontiere relativamente instabili.
28Una fonte che ha particolare importanza per il nostro discorso è l’epistola 19 di Ambrogio inviata nel 385 al vescovo di Trento Vigilio21. Questa lettera ha un valore particolare perché contiene i cosiddetti institutionis insignia, cioè una sorta di indicazioni pratiche che il neoeletto vescovo doveva seguire. Gran parte del programma pastorale contenuto nella lettera è dedicato alla disparità di culto tra i nubendi. Ci si può chiedere se una missiva tanto impegnativa presupponga che il problema fosse particolarmente rilevante nella diocesi trentina dove Vigilio esercitava la propria autorità22. Ambrogio è perentorio. Il suo linguaggio ricorda da vicino quello usato nei decreti conciliari e nei testi legislativi : «niente è più grave di unirsi con una alienigena in cui si assommano gli stimoli della lussuria e alla discordia le nefandezze del sacrilegio» (§ 7).
29Apparentemente, dunque, il timore del vescovo di Milano riguarda il matrimonio con donne barbare o, comunque, pagane. Resta il dato significativo che altri punti, come la necessità di riconoscere la giusta mercede ai lavoratori o la condanna dell’usura sono appena menzionati mentre di fatto l’unico tema svolto nella lettera è la condanna senz’appello dei matrimoni misti (sed prope nihil grauius quam copulari alienigenae, ubi et libidinis et discordiae incentiua, et sacrilegio flagitia copulantur). Nella lunga sezione finale Ambrogio, per esemplificare i rischi di tali matrimoni, ricorre alla storia di Sansone e Dalila (hoc ergo exemplo liquet alienigenarum consortia refugenda, § 34). Si deve altresì ricordare come siamo in una fase di acuta contrapposizione con la corte imperiale a Milano dominata da Giustina, di fede ariana. D’altra parte lo stesso Ambrogio è notoriamente pragmaticamente disponibile ad intrattenere relazioni con generali barbari come Bautone e Arbogaste, così come poi con Stilicone, quando ne vedesse ragioni di utilità.
30Un accenno alla stessa questione si deve probabilmente anche vedere, con il Gaudemet, in un passo del De Officiis Ministrorum (III, 13) ove Ambrogio afferma, tra l’altro, utilizzando anche in questo caso un exemplum biblico, honestatis enim fuit ne populus dei se profanis dederet, ne ritus patrios et sacramenta proderet23.
31D’altra parte si deve ricordare che l’aspetto religioso giocò un ruolo nell’ammissione dei Goti all’interno del 376. Le nostre fonti segnalano infatti una loro opportunistica conversione per guadagnarsi la fiducia dei Romani. Evidentemente la diffusione del cristianesimo tra i Goti, che era già iniziata prima del 376, fu usata dai loro capi per propiziare il proprio accoglimento all’interno delle frontiere imperiali24.
32Tensioni di natura sociale tra Romani e barbari erano inevitabilmente destinate a riproporsi sia pure in situazioni politiche diverse. A una concessione agli umori nazionalistici dell’aristocrazia romana sembrano riferirsi tre leggi emanate da Onorio tra la fine del iv e l’inizio del v secolo (397-416) in cui si comminano gravi pene per chi si vesta in modi che ricordino quelli dei barbari (CTh XIV, 10, 2-4)25. E’significativo che l’usus tzangarum atque bracarum nelle prime due leggi è proscritto a Roma mentre in quella che è cronologicamente l’ultima esso è sanzionato anche in non meglio specificate uicinae regiones. Verrebbe da pensare che, superata ormai la questione della difesa delle frontiere contemplata dalla costituzione di Valentiano sui matrimoni misti, al potere imperiale non restasse altra preoccupazione se non quella di tutelare un residuo di identità culturale di Roma e, verosimilmente, dell’Italia.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 A causa dell’incertezza sull’identità del magister militum dell’inscriptio cui la legge è indirizzata e, soprattutto, perché la subscriptio non indica alcun luogo di emissione della legge e i nomi dei consoli non sono sufficienti per datarla. I dati del problema sono già in Gothofredus 1736, p. 348-350.
2 Cf. Pergami 1993, p. 216 ; Soraci 1974, p. 77-81. Per il 373, cf. Bianchini 1988, p. 230-231 che crede che CJ 4, 41, 1 e CTh III, 14, 1 appartengano ad un’unica costituzione.
3 Demandt 1972.
4 Rugullis 1991, p. 68-73. Obiezioni decisive a questa tesi sono in Soraci 1974, p. 79-81.
5 Amm. XXVIII, 5, 15: Per hanc occasionem impendio tempestiuam Alamannos gentis ante dictae [=Burgundionum] metu dispersos adgressus per Raetias Theodosius, ea tempestate magister equitum, pluribus caesis, quoscumque cepit ad Italiam iussu principis misit, ubi fertilibus pagis acceptis iam tributarii circumcolunt Padum. Elenco incompleto degli insediamenti di Sarmati lungo la pianura padana in Not. Dign. Occ., XLII. Cf. Cracco Ruggini 19952, p. 61-65 e Marcone 1994 e 1997.
6 Nella Not. Dign. Occ. sono attestati 12 praefecti laetorum.
7 Zosime, Histoire Nouvelle, IV, trad. di F. Paschoud, Paris, 1979, CUF, t. II, 2.
8 Cf. Demougeot 1984.
9 Secondo la tesi ampiamente svolta da Soraci 1974.
10 Soraci 1974, p. 94-106. Cf. CTh XIII, 11, 10, una costituzione indirizzata da Onorio al prefetto del pretorio Messala nel 399: quoniam ex multis gentibus sequentes Romanam felicitatem se ad nostrum imperium contulerunt, quibus terrae laeticae administrandae sunt, nullus ex his agris aliquid nisi ex nostra adnotatione mereatur.
11 Cf. Mc Neil 1994, p. 182.
12 Cf. Heather 1991.
13 CTh VII, 1, 1.
14 Williams, Friell 1994, p. 100.
15 Sembra in realtà che i soldati semplici barbari che abbiano ottenuto la cittadinanza siano una minoranza. La proporzione è invece più elevata per i sottufficiali e gli ufficiali da quel che risulta dai dati desumibili dal sepolcreto di Concordia (cf. Lettich 1983).
16 Pergami 1993, p. 630. La costituzione è indirizzata a Taziano che fu comes sacrarum largitionum dal 374 al 380. Successivamente Teodosio proibì anche il commercio della seta con i barbari che non passasse attraverso il controllo di un magistrato specifico (CJ 4, 40, 2).
17 Seeck 1919, p. 124. Della stessa opinione di Seeck sono anche Bianchini 1988, p. 230-231 e Pergami 1993, p. 507.
18 Cf. Liebeschuetz 1990, p. 13.
19 Cf. Rabello 1988.
20 In De Helia 53 (a. 389), Ambrogio ricorda con approvazione le esportazioni di vino verso i barbari per quanto vietati dalle leggi in quanto strumento di corruzione e di indebolimento dei nemici dell’Impero (cf. Cracco Ruggini 19952, p. 162-163).
21 Ma si veda già l’ep. II, 28, inviata da Ambrogio a Constantius, vescovo di Forum Cornelii, in occasione della Quaresima del 379, in cui c’è un riferimento all’insediamento di Illirici nella zona: habes illic Illyrios de mala doctrina Arianorum, caue ab eorum zizania…, (cf. Cracco Ruggini 19952 p. 63 e Lizzi 1989, p. 43-44).
22 Cf. Forlin-Patrucco 1984.
23 Cf. Gaudemet 1976, p. 302 ; Siola, Sargenti 1991, p. 64.
24 Cf. Heather 1986.
25 Anche in questo caso è significativa la coincidenza con la presa di posizione di Ambrogio. Si vedano l’ep. 69, 6 e, soprattutto, la 10, 9 indirizzata a Graziano nel 381 a conclusione del concilio di Aquileia. A Giuliano Valente che, ariano, si era imposto come vescovo di Poetovium la mancanza più grave che viene addebitata è quella di essersi abbigliato alla moda dei barbari (cf. Bianchini 1988, p. 244-245).
Auteur
Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali Università di Udine
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