Cruenta spectacula in otio civili et domestica quiete non placent1
p. 465-480
Résumés
En 325 (CTh XV, 12, 1) Constantin abolit la condamnation à combattre en tant que gladiateurs et la commua en peine de travaux forcés dans les mines. Son objectif clairement avoué était d’éviter «en un âge de paix publique et de calme sur le plan intérieur», des spectacles impliquant des effusions de sang. Néanmoins, les combats de gladiateurs continuèrent à être organisés à travers tout l’Empire. Cette communication vise à mettre en lumière les «ambiguités» du code criminel de Constantin, particulièrement la proportion selon laquelle l’ordre impérial était respecté ou pas.
Constantine in 325 (CTh XV, 12, 1) abolished the condemnation to fight as gladiators and commuted the punishment in hard labor to the mines. His stated aim was to avoid «in an age of public peace and domestic tranquility» spectacles involving the shedding of blood. However, gladiatorial games continued to be enacted throughout the empire. The paper tries to shed light on the «ambiguities» of Constantinian criminal repression and especially on the ratio of the emperor’s command.
Dédicace
Dedicato alla memoria del Professor Gennaro Franciosi
Texte intégral
1. «Gli spettacoli cruenti non sembrano opportuni allorché la vita pubblica e quella privata trascorrono in pace ed in tranquillità. Per questa ragione, proibiamo del tutto che siano gladiatori coloro che erano soliti meritare questa condizione e questa condanna per un crimine commesso, piuttosto li farai sottostare alla pena dei lavori forzati in miniera, affinché senza spargimento di sangue raffigurino le pene per i loro crimini»1.
1Emanata a Beirut ed indirizzata a Massimo, indicato come prefetto del pretorio, il più elevato organo, dopo l’imperatore per l’amministrazione della giustizia2, la costituzione dell’imperatore Costantino, il primo ottobre del 325, consoli Paolino e Giuliano, vieta di irrogare condanne ai giochi gladiatori e prevede che la pena sia sostituita da quella del metallum3. Non solo. Forse, a ben leggere il testo costantiniano, possiamo anche ipotizzare che, con la recisa affermazione omnino gladiatores esse prohibemus eos, qui forte delictorum causa hanc condicionem adque sententiam mereri consueuerant, metallo magis facies inseruire, l’imperatore abbia anche inteso destinare alle miniere quanti, in precedenza, avessero subito la condanna ad esibirsi nei giochi nel circo come gladiatori ed, allo stato, si trovassero nella condizione di «gladiatores»4, impegnati, come ricorda Quintiliano, in una inhonesta pugna, in harena, populo spectante5.
2Forse ispirata dal Concilio di Nicea6 o, forse, dovuta all’influenza esercitata sull’imperatore da Lattanzio7, certo salutata, dagli ambienti cristiani filocostantiniani, come espressione della nuova morale cui si ispirava l’imperatore spinto ad intervenire ne cruentis gladiatorum spectaculis urbes contaminentur8, la decisione sui gladiatori si presenta come ulteriore spia delle «ambiguità» che caratterizzano la repressione criminale in epoca costantiniana9. Infatti, l’intervento imperiale se da un lato afferma il principio che i condannati devono essere sottoposti alle pene per i propri crimini senza spargimento di sangue e riconosce che la damnatio alla pena del ludo è una pratica crudele; dall’altro non sembra sancire la definitiva soppressione dei giochi gladiatori.
3Costantino, a ben leggere il testo conservato nel Teodosiano, vieta la damnatio in ludum e la sostituisce con quella in metallum.
4Più tardi, i commissari giustinianei avrebbero conservato solo l’incipit della costituzione (Cruenta spectacula in otio ciuili et domestica quiete non placent. Quapropter omnino gladiatores esse prohibemus10). Il loro intervento avrebbe, così, valorizzato l’aspetto retorico e moralistico della misura costantiniana. Privilegiando l’affermazione che, in piena pace pubblica e nella «tranquillità domestica», gli spettacoli gladiatorii non sembrano opportuni in quanto incitano ed abituano alla violenza quanti vi assistono, i commissari avrebbero segnato la fine del mondo dei gladiatori che, ormai, era al tramonto perché, con la decisione costantiniana, aveva perso la principale fonte di reclutamento11. Nel contempo, inoltre, avrebbero ribadito, sostanzialmente, il principio che all’imperatore spettava il compito di educare i propri sudditi e di dirigere la loro vita, riconoscendogli il potere di individuare i comportamenti che, nella vita quotidiana, avrebbero dovuto essere vietati in quanto non placent12.
2. È ben noto che, ancora nel iv secolo, lo spettacolo del sangue versato nelle arene, in combattimenti gladiatorii oppure nell’expositio ad bestias, esercitava, ancora, un potere di attrattiva sul pubblico13, come dimostrano anche alcune attestazioni iconografiche14. Ciò, nonostante che, verso i giochi dei gladiatori15, fosse forte l’avversione e l’opposizione degli ambienti cristiani16; che imbarazzi verso gli «spettacoli cruenti» fossero stati, già, avvertiti da qualche parte del pubblico sia nella Roma repubblicana17 sia in epoca imperiale18; e che, in precedenza, anche nel mondo greco19, qualche spirito illuminato avesse manifestato, seppur senza una vera coscienza del problema, una certa perplessità verso i giochi gladiatori20.
5Nella prima metà del iv secolo, dunque, seppur con qualche differenza tra Oriente ed alcune provincie dell’Occidente, come in Gallia dove le distruzioni di qualche anfiteatro, dovute alle invasioni barbariche nella seconda metà del iii secolo, secondo alcuni21, avrebbero messo in crisi l’organizzazione di spectacula cruenta, sembra ben individuabile l’atteggiamento contraddittorio del mondo romano verso la gladiatura. Come è stato ben dimostrato in recenti studi, da un lato, in alcuni ambienti, se ne sottolinea la barbarie, dall’altro un vasto pubblico, senza distinzione sociale né di fede religiosa professata, sembra continuare a subire il fascino sinistro dello spettacolo offerto in harena da nequissimi homines22.
6È in questo clima che Costantino23 emana, a Berito, l’editto col quale proibisce che omnino gladiatores esse… qui forte delictorum causa hanc condicionem adque sententiam mereri consueuerant, metallo magis facies inseruire.
7Varie le motivazioni che, secondo gli studiosi, potrebbero aver indotto l’imperatore ad emanare la costituzione: influenza di principi cristiani, necessità di ordine pubblico, crisi economica, crisi di mano d’opera nel settore minerario che avrebbe reso necessarie nuove forme di reclutamento24.
8Vorrei, in questa sede, soffermarmi sulla misura costantiniana per coglierne un aspetto al quale, per quel che mi risulta, non è stato dato, sinora, ampia attenzione. Ciò nell’intento di contribuire ad una migliore individuazione della ratio della decisione imperiale.
9A mio avviso, una significativa chiave di lettura del divieto potrebbe rinvenirsi in una frase della stessa costituzione con la quale Costantino proibisce la condanna in ludum dei gladiatori. L’imperatore dichiara, infatti, che metallo magis facies inseruire. Per Costantino, dunque, sono i lavori forzati il segno visibile della pena che spetta a chiunque commette crimini scellerati. L’affermazione consente di ipotizzare che la damnatio ad metalla apparisse idonea, più di altre pene, ad assicurare una maggior pubblicità alla forza repressiva dello Stato e presentasse una maggiore capacità deterrente. Ciò perché le conseguenze giuridiche che la damnatio ai lavori forzati produceva sullo stato del condannato, le condizioni materiali in cui versava chi fosse stato in metallum datus25 e gli stessi prodotti del lavoro in miniera che potevano essere visibili, nel tempo, a tutti diventavano testimonianze destinate ad imprimersi, direttamente e, soprattutto, stabilmente, nella memoria collettiva.
10Non molto tempo dopo l’intervento costantiniano che privilegia la condanna ai lavori forzati rispetto a quella ai giochi, un Padre della Chiesa, S. Agostino avrebbe scritto:… de opere metallici quanta opera construuntur. Illius poena damnati ornamenta sunt ciuitatis26. Quanto costruito attraverso il lavoro forzato dei damnati, per essere «ornamento della città», attira l’occhio del passante. L’opera realizzata suscita in chi guarda, ad un tempo, ammirazione e timore, riporta alla mente il ricordo delle miserrime condizioni in cui versa l’esistenza del damnatus ai lavori forzati.
11Le fonti, soprattutto quelle latine, allorché descrivono il lavoro in miniera, pur se non sembrano lasciar trasparire alcuna partecipazione alle sofferenze dei minatori, non possono fare a meno di offrire un quadro fosco: l’attività dei minatori si svolge in spazi ristretti27 e malsani28, in condizioni di estremi disagi e pericolosità, con pregiudizio della loro stessa vita.
12Plinio il Vecchio, che era stato procuratore imperiale nella Spagna Tarraconese ricca di miniere, descrive, nel libro XXXIII della sua Naturalis Historia, le condizioni di quanti sono impegnati nello scavo materiale: nella catena dei minatori, solo quelli più vicini all’uscita vedono la luce del sole29, pallida è la loro facies30, sempre attuale è il pericolo di crollo delle pareti della galleria31.
13Gli autori cristiani sembrano, a differenza delle fonti pagane, maggiormente interessati alle condizioni di vita dei minatori. Ad un tempo lamentano ed esaltano la grave condizione in cui versano quanti hanno subito la damnatio ad metalla per aver testimoniato la propria fede.
14Tertulliano32, in particolare, presenta «la terra» da dove si estraggono oro e argento come «la disperazione dei condannati nelle maledette cave che portano la morte» e non manca di ricordare che «le miniere, al pari delle carceri, risuonano dei lamenti di chi è stato condannato al carcere a vita, ai lavori forzati o ad altra forma di servitù», che «chiunque patisce, per la sua fede in Dio, i lavori forzati, l’esilio, il carcere viene protetto dai suoi correligionari» e che «nelle miniere risuonano sempre i lamenti dei condannati»33:
De cultu feminarum I, 5, 1:
Aurum et argentum... Vnde sunt terra, scilicet,... in maledictorum
metallorum feralibus officinis poenali opera deplorata...
Apologeticum XXVII, 7:
Dum uice repugnantium uel rebellantium ergastulorum siue carcerum uel metallorum uel hoc genus poenalis seruitutis erumpunt...
Apologeticum XXXIX, 6:
Et si qui in metallis et si qui in insulis uel in custodis conflictentur,
... ex causa Dei sectae, alumni confessionis suae fiunt.
Apologeticum XLIV, 3:
De uestris semper aestuat carcer, de uestris semper metalla suspirant.
15Con lo stesso crudo realismo Cipriano descrive le condizioni del damnatus («... con i ceppi ai piedi... con le membra incatenate, avvinti da legami infami... nelle miniere il corpo non riprende le proprie energie riposando sopra un letto confortevole»):
Epistulae LXXVI, 2, 3-4:
Imposuerunt quoque conpedes pedibus uestris et membra felicia ac dei terapia infamibus uinculis ligauerunt, quasi cum corpore ligetur et spiritus aut aurum uestrum ferri contagione maculetur. Non fouetur in metallis lecto et culcitis corpus…
16Meno duratura nella memoria collettiva la condanna in ludum. Gli spectacula cruenta sembrano suscitare, nell’immediato, sentimenti più diretti e forti in un pubblico che, nei giochi gladiatori, sembra maggiormente apprezzare il piacere della violenza rispetto all’avvertire la forza repressiva dello Stato. Nello spettacolo gladiatorio l’aspetto ludico sembra prendere il sopravvento su quella che doveva essere la sua funzione di deterrenza. I Padri della Chiesa, è stato ben sottolineato34, ancora nei primi anni del v secolo, deprecano più le emozioni suscitate negli spettatori che la crudeltà del combattimento35, anche se la loro avversione sembra da collocarsi nel più vasto giudizio negativo che il mondo cristiano esprime sugli spettacoli in generale perché spengono nelle masse ogni attenzione verso fini ultraterreni o di perfezione interiore36. Coincidono infatti i giudizi di S. Gerolamo e S. Agostino – harena saeuit, circus insanit, theatra luxuriant37, turpitudines uariae theatrorum, insania circi, crudelitas amphitheatri38 –, non dissimili da quello espresso, in precedenza, da Tertulliano (circus furens, cauea saeuiens, scaena lasciuiens39).
17La misura costantiniana, dunque, nel vietare la condanna ai giochi gladiatori, prende di mira una pena sulla cui funzione deterrente nel sistema della cognitio extra ordinem, a mio avviso, già da tempo poteva essere oggetto di qualche riflessione critica.
18Sono illuminanti in tal senso un discusso testo di Callistrato40, tratto dal sesto libro de cognitionibus, e un passo del quinto libro delle Pauli Sententiae che ben appaiono due «classifiche» delle pene. Di un certo rilievo, inoltre, la lettura di una costituzione ancora di Costantino, emanata nel 315, vale a dire circa dieci anni prima del suo intervento che vietava le damnationes ad ludum41.
19Al primo posto del suo elenco delle pene42, Callistrato pone la furca, il rogo, la decapitazione. Segue quella coercitio che è vicina alla morte, la poena metalli. Quindi, l’in insulam deportatio. In fine le ceterae poenae (la relegatio, l’opus publicum, la fustigazione) che pertinent alla existimatio43 dei condannati ma dalla cui esecuzione non deriva la loro morte.
20Manca, dunque, un esplicito riferimento alla condanna ai giochi gladiatorii. Il ludus, al contrario, è presente nelle Pauli Sententiae. In queste, infatti, il gradus poenarum appare articolato in tre livelli. Al primo i summa supplicia (quelli che comportano la soppressione fisica del condannato: crocifissione, decapitazione, rogo), quindi le pene previste per i delicta mediocra (condanna ad metalla, ai giochi gladiatori, deportazione), infine le pene minimae (relegazione, esilio, esecuzione di opere pubbliche, carcere)44.
21Costantino, nel 315, dopo aver ricordato che «la pena del metallo veniva irrogata a quanti uiuentium filiorum miserandas inflingunt parentibus orbitates», dispone che siano condannati, invece, ai giochi gladiatori quei plagiari la cui colpa è manifesta45. L’imperatore distingue fra schiavi e libertate donati, da un lato, e liberi dall’altro. I primi sono condannati ad esibirsi nei giochi che saranno tenuti, cronologicamente, il più vicino possibile; i secondi possono essere messi a morte gladio se c’è l’eventualità che possano imparare a difendersi nel lasso di tempo che va dal momento della condanna a quello della sua esecuzione46.
22Nell’intervento imperiale la damnatio ad metallum appare, in una graduazione delle pene, meno severa rispetto alla condanna ai giochi gladiatori47 la cui irrogazione, nel dettato dell’imperatore, appare eccezionale e giustificata dalla particolare odiosità ed efferatezza del crimen. La condanna è ad ludum solo se la colpevolezza del plagiarius è manifesta e si ha ben cura di evitare che il condannato, se di stato libero, possa acquisire quelle abilità che lo renderebbero idoneo a se defendere. Inoltre, seppur la costituzione non ha efficacia retroattiva in quanto ad metallum restano sottoposti quanti, in precedenza, per aver commesso quel crimine, erano stati condannati al lavoro in miniera, l’imperatore si preoccupa di togliere a questi ultimi ogni speranza di sfuggire, in futuro, alla loro sorte48. Precisa, infatti che essi non potranno mai reuocari dal loro stato damnati ad metalla.
23Sebbene l’elenco del gradus poenarum ricordato da Callistrato potrebbe non essere esaustivo49 e più complessa appaia la lettura dell’intervento imperiale, possiamo ritenere che le tre fonti sembrano conservare la traccia di un percorso culturale che, nel sistema delle pene criminali della cognitio extra ordinem, si avvia ad affermare il successo della condanna ad metallum su quella ai giochi gladiatori.
24Costantino, con la sua costituzione del 325, proibisce la condanna alla pena dei giochi gladiatori e, alla fine, con Giustiniano non ne troviamo traccia. Nelle Istituzioni, trattando dei iudicia publica, i commissari non fanno menzione della damnatio ad ludum né fra quei giudizi che sono qualificati capitalia quae ultimo supplicio adficiunt uel aquae et ignis interdictione uel deportatione uel metallo né, tantomeno, fra quelli indicati come publica che infamiam irrogant cum damno pecuniario50. Nel Codice, sotto il titolo 44, De gladiatoribus penitus tollendis, dell libro 11 è conservato, come sopra ricordato51, solo l’incipit della costituzione costantiniana oggetto di questa riflessione.
3. Costantino, dunque, nel 325, non sembra avere abolito i giochi gladiatori ma solo la condanna ad ludum52. Combattimenti di gladiatori continuarono ad essere organizzati53. Lo stesso imperatore, in un rescritto del 330 indirizzato alla città umbra di Spello, riconosce il diritto della città a mantenere i suoi giochi gladiatorii54. Ancora Costantio, successivamente, nel 357, proibisce a qui in urbe Roma gladiatorum munus impendunt di arruolare fra i gladiatori milites uel eos, qui palatina sunt praediti dignitate55.
25La persistenza di spettacoli nei quali sono impegnati gladiatori trova conferma anche in un rescritto che, nel 365, Valentiniano, indirizza a Simmaco, potente praefectus Vrbi. L’imperatore minaccia multe pesanti per i magistrati che condannano i Cristiani ludo56, con una costituzione il cui fine non è il divieto di crudeli combattimenti ma quello, ben più limitato, di non sottoporre i Cristiani, in quolibet crimine deprehensi, alla pena dei giochi57.
26Non molto dopo, nel 366 o nel 367, Valentiniano, Valente e Graziano, in una costituzione indirizzata a Vivenzio, prefetto dell’urbe, affermano che neminem de numinis nostri sacrario prodeuntem harena suscipiat58.
27Circa un ventennio dopo, a leggere Simmaco59 e Prudenzio60, i giochi dei gladiatori sembrano ancora tenuti a Roma61.
28In questa città, secondo una notizia di Teodoreto sulla quale la dottrina discute62, i giochi, in seguito ad incidenti scoppiati nell’anfiteatro, sarebbero stati vietati nel 404 da Onorio63 che, in precedenza nel 399, secondo alcuni studiosi64, aveva già disposto la chiusura delle scuole gladiatorie65. Nel 397, inoltre, Arcadio e Onorio avevano imposto la extrema solitudo a quanti e gladiatorio ludo ad seruitia senatoria transisse constabit66. Ancora a giochi nel circo fanno riferimento testimonianze numismatiche della prima metà del v sec. d. C67.
29Nei secoli iv e v, dunque, i combattimenti gladiatori, nelle due partes Imperii, sono ancora tenuti. Certo la loro importanza e la loro diffusione appaiono minori rispetto ai primi due secoli dell’Impero quando i cruenta spectacula erano tra le istituzioni più consolidate del mondo romano68. Una situazione economica sempre più grave69, l’affermarsi dei nuovi valori predicati dal cristianesimo che aveva portato alla nascita ed al consolidarsi di una diversa sensibilità, le distruzioni – anche di anfiteatri – dovute alle invasioni barbariche sono fra le cause principali che avevano, per alcuni, in Occidente, già dalla fine del III secolo70, determinato lo spontaneo venir meno dell’interesse popolare verso i combattimenti dei gladiatori71.
30Costantino, con la sua decisione del 325, sembra avvertire che, ormai, i giochi gladiatori non esercitano più un grande fascino sul pubblico del quarto secolo e che, pertanto, la pena del ludus finisce col veder sminuita la sua funzione esemplare.
31Saranno i commissari di Giustiniano che, conservando, nel Codex, solo l’incipit della costituzione costantiniana, prenderanno atto della realtà e segneranno la definitiva fine degli spettacoli gladiatori.
32Il cruenta spectacula in otio ciuili et domestica quiete non placent che, con Costantino sembra assumere connotazione moralistica e retorica72, finisce con l’acquistare, nel codice di Giustiniano, significato di deliberazione e sanzione di una pratica la cui ideologia di morte e di sangue non può più trovare spazio in un mondo nel quale l’imperatore si presenta custode della pace «domestica» e dell’ordine pubblico73.
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G. Ville, «Les jeux de gladiateurs dans l’Empire chrétien», MEFRA, 72, 1960, p. 273-335.
Ville 1979
G. Ville, «Religion et politique: comment ont pris fin les combats de gladiateurs», Annales ESC, 34, 1979, p. 651-671.
Ville 1981
G. Ville, La gladiature en Occident: des origines à la mort de Domitien, Rome, 1981 (BEFAR, 245).
Vismara 1987
C. Vismara, «Sangue e arena. Iconografie di supplizi in margine a: Du châtiment dans la cité», Dialoghi di Archeologia, 1987/2, p. 135-155.
Vismara 1991
C. Vismara, Il supplizio come spettacolo, Roma, 1991.
Wiedemann 1992
Th. Wiedemann, Emperors and Gladiators, London-New York, 1992.
Wilsdorf 1986
H. Wilsdorf, «Zur Historia Christianorum ad metalla damnatorum», dans H. Kalcyk, B. Gullath, A. Graeber (éd.), Studien zur alten Geschichte. Siegfried Lauffer zum 70. Geburtstag am 4 August 1981 dargebracht von Freuden, Koullegen und Schüler, III, Roma, 1986, p. 1031-1048.
Winterbottom 1984
M. Winterbottom, The Minor Declamations Ascribed to Quintilian, Berlin-New York, 1984.
Notes de bas de page
1 CTh XV, 12, 1: IMP. CONSTANTINVS A. MAXIMO P(RAEFECTO) P(RAETORIO). Cruenta spectacula in otio ciuili et domestica quiete non placent. Quapropter qui omnino gladiatores esse prohibemus eos, qui forte delictorum causa hanc condicionem adque sententiam mereri consueuerant, metallo magis facies inseruire, ut sine sanguine suorum scelerum poenas agnoscant P(RO)P(OSITA) BERYTO KAL. OCTOB. PAVLINO ET IVLIANO CONSS.
2 Gli studiosi, tuttavia, ritengono che la carica rivestita da Massimo fosse quella di vicario d’Oriente: si v., in tal senso, De Giovanni 2003, p. 98 ove in nota 225 rinvio alla letteratura precedente.
3 De Martino 1975, p. 173, nota 2; utile, inoltre, ancora la lettura di Buckland 1908, p. 405.
4 Si v., in tal senso, De Giovanni 2003, cit. p. 99.
5 Ps. Quint., Declamationes minores 302 (Winterbottom 1984, p. 125).
6 L’ipotesi fu avanzata da Gothofredus 1736, V (1741), p. 450.
7 Ville 1960, p. 315; Amarelli 1978, p. 120-121, dove confronto tra la costituzione costantiniana e Lact., Div. inst. VI, 20, 8 e rinvio alla letteratura più risalente.
8 Eusebio, Vita Constantini IV, 25.
9 Giuffré 1993, p. 181; Santalucia 19982, p. 280-287; Brasiello 1937.
10 CJ 11, 44 (43), 1. Vede altresì, Luchetti 1996, p. 570-571, nota 151.
11 Ville 1960; Auguet 1976; Grant 1967.
12 Rinvio, per tutti, a Lauria3 1967, p. 285-287. Si v., fra gli altri, Bonini 1990.
13 Clavel-Lévêque 1984; nonché Callu 1984; Grodzynski 1984; Ville 1981, su cui si v., in particolare, le osservazioni di Masi Doria 1983; Wiedemann 1992; Veyne 1976, p. 701-705; MaCmullen 1990a, p. 236-238, e 1990b, p. 142-145; Vismara 1991, p. 70-74; De Giovanni 2003, p. 103-105, ove discussione dell’episodio di Alipio, ricordato da Agostino, Conf. VI, 8, 13, che «trascinato a viva forza da alcuni conoscenti nell’anfiteatro e sicuro di restare spiritualmente insensibile agli spettacoli, al contario, alla vista del sangue venne preso da un turbamento improvviso ed incominciò a godere di quei duelli».
14 Si v., sul punto, Vismara 1987, utili indicazioni, inoltre, in Spectacula I. Gladiateurs et amphithéâtres, Actes du colloque tenu à Toulouse du 26 au 29 mai 1987, Lattes, 1990, su cui la nota di K. Welch, JRA, 4, 1991, p. 272 ed in Futrell 1997 con le rec. di Carter 1999 e di P. Plass, JRS, 89, 1999, p. 236-237; Sabbatini Tumolesi 1980, p. 147-149; Golvin, Landes 1990. Utile, inoltre, Castorina 1976.
15 Toutain 1900; Lafaye 1896; Habel 1931, p. 609-612; Schneider 1918.
16 Rinvio, per tutti, a Ville 1960; a Forlin Patrucco 1984; ed a Veyne 1999, cui adde, ora Jacobelli 2003; Meijer 2004. Utile, ancora, Carcopino 1973. Tra le fonti, si v. Quint., Declamationes minores, 279 (Winterbottom 1984, p. 89) il quale, dopo aver ricordato che multi se a gladiatorum uulneribus auertunt et quamquam nemo dubitet et illud spectaculum in parte esse poenarum, non può fare a meno di osservare che nequissimorum quoque hominum suprema pericola habent suam gratiam.
17 Basti ricordare Cicero, Tusculanae disputationes, II, 17, 41: Crudele gladiatorum spectaculum et inhumanum nonnullis uideri solet, et haud scio an ita sit, ut nunc fit. Si v., per aspetti giusprivatistici della gladiatura, Guarino 1983 e Guarino 1985 (ora in A. Guarino, Pagine di diritto romano, IV, Napoli, 1995, p. 134-152 e p. 153-168).
18 Seneca, Heluia 17, 1, ricorda che i giochi gladiatori pur impegnando l’attenzione dello spettatore a volte non riescono a distrarlo. Marco Aurelio, VI, 46, afferma il proprio disgusto per i giochi dell’anfiteatro e dei luoghi simili, attribuendone, però, la causa alla «monotonia per uno spettacolo sempre uguale» (cf. altresì, I, 5 dove l’imperatore rivendica la sua neutralità rispetto alle fazioni del circo). Suetonio, Claudius XXXIV, rimprovera la crudeltà dell’imperatore Claudio perché quocumque gladiatorio munere, uel suo uel alieno, etiam forte prolapsos iugulari iubebat… ut expirantium facies uideret. Celebre, inoltre, la testimonianza di Elio Spaziano, in SHA, Ant. Car. I, 5, sulla simpatia popolare che, da giovane, il futuro imperatore riscosse quando feris obiectos damnatos uidit, fleuit aut oculos auertit. La notizia che Cassio Dione, LIX, 10, 4, riferisce, con toni di rimprovero, su Caligola per aver costretto cittadini a combattere come gladiatori sembra poter essere (Wiedemann 1992, p. 140) letta non solo come riserva dello storico sui giochi ma, soprattutto, come riprovazione del fatto che un imperatore costringa τῶν τε ἱππέων τίνα ἐπιφάνων μονομαχήσαι.
19 Plutarco, Moralia 822C, esorta nei Praecepta gerendae rei publicae «a cacciare dalla città tutte quelle forme di liberalità che suscitano ed alimentano l’elemento sanguinario e belluino dell’anima o quello triviale e licenzioso» (cfr., altresì, Moralia 1099 A, 997 C); Luciano, Demon 12. Si v., in proposito, tra gli altri, gli studi di Ville 1979.
20 Ville 1979, p. 653; Ville 1981, p. 447; Veyne 1999, p. 895; e di Chanez 1985.
21 Ville 1979, p. 651-652.
22 Veyne 1999, p. 883-887, nonché Cameron 1976, p. 170-174.
23 Per un’analisi delle caratteristiche culturali della società in epoca costantiniana rinvio a De Giovanni 2003, p. 177-207.
24 Ville 1979; Meijer 2004, p. 172; Wiedemann 1992, p. 170-171; Thuillier 2003; Cameron 1976.
25 E da ricordare che il damnatus ad metallum oppure in ludum porta il marchio della propria condizione impresso sul corpo dopo che Costantino ha proibito, forse nel 315, CTh IX, 40, 2 (= CJ 9, 47, 17), di scribere «in eius facie». Cf. in proposito, Salerno 2005.
26 Serm. CXXV, 5.
27 La lex metallis dicta 38-39 (FIRA, I, Leges, n ° 104) prescrive che le gallerie nei pozzi delle miniere non debbano superare la misura di quattro piedi (120 cm circa) in larghezza e di altrettanti in altezza: Proc(urator) explorandi noui metalli causa ternagum a cunicolo agere permittito, ita ut ternagus non plures latitudinis et altitudinis quam quaternos pedes habeat.
28 Lucrezio, De rerum natura VI, 806-810: nonne uides… qualis expiret Scaptensula subter odores? Quidue mali fit ut exalent aurata metalli (miniera di Scapte Hile in Tracia).
29 Plin., NH XXXIII, 72: lucem nouissimi cernunt. Si v. Lana 1985; Salerno 2003, p. 82-110.
30 Lucino, Pharsale IV, 298: Asturii scrutator pallidus auri; Sil. Ital., Punica I, 228-229: hic omne metallum: electri gemino pallent de seminae uenae.
31 Plin., NH, XXXIII, 72-73; XXXV, 37.
32 Sui riferimenti dell’apologeta alle persecuzioni contro i Cristiani si v. le pagine di Barnes 1985, p. 143-147. Cf. altresì, Wilsdorf 1986.
33 Apologeticum XII, 5; XXXIII, 7.
34 Wiedemann 1992, p. 147.
35 Veyne 1999.
36 Ville 1960.
37 Hier., Ep. XLIII, 3.
38 Agostino, Sermo CXCIX, 3.
39 Tertull., Adv. Marc. I, 27, 5.
40 Rinvio, in proposito, Salerno 2003, p. 41-43.
41 CTh IX, 18, 1: (riportata in CJ 9, 20, 16): IMP. CONSTANTINVS A. AD. DOMITIVM CELSVM VICARIVM AFRICAE. Plagiarii, qui uiuentium filiorum miserandas inflingunt parentibus orbitates, metalli poena cum ceteris ante cognitis suppliciis tenebantur. Si quis tamen eiusmodi reus fuerit oblatus, posteaquam super crimine paterit, seruus quidam uel libertate donatus bestiis primo quoque munere obiciatur, liber autem sub hac forma in ludum detur gladiatorum, ut, antequam aliquid faciat, quo se defendere possit, gladio consumatur. Eos autem, qui pro hoc crimine iam in metallum dati sunt, numquam reuocari praecipimus. D. K. AVG. CONSTANTINO A. IIII ET LICINIO IIII CONSS.
42 Dig XLVIII, 19, 28: Callistratus, Libro sexto de cognitionibus. pr. Capitalium poenarum fere isti gradus sunt. Summum supplicium esse uidetur ad furcam damnatio. Item uiui crematio; quod quamquam summi supplicii appellatione merito contineretur, tamen eo, quod postea id genus poenae adinuentum est, posterius primo uisum est. Item capitis amputatio. Deinde proxima morti poena metalli coercitio. Post deinde in insulam deportatio. 1. Ceterae poenae ad existimationem, non ad capitis periculum pertinent, ueluti relegatio ad tempus, uel in perpetuum, uel in insulam, uel cum in opus quis publicum daretur, uel cum fustium ictu subicitur.
43 Lo status dignitatis può, secondo il giurista, minui o consumi: Dig L, 13, 5, 1-3. Anche in questo passo manca un esplicito riferimento alla condanna ai giochi gladiatorii. Rinvio, ancora, a Salerno 2003, p. 41-43.
44 PS V, 17, 2 (3): Summa supplicia sunt crux crematio decollatio: mediocrium autem delictorum poenae sunt metallum ludus deportatio: minimae relegatio exilium opus publicum uincula.
45 Si discute se il crimen sia commesso su persona libera ed indifesa o su bambini ed adolescenti. Che la costituzione si riferisse ai sequestratori di bambini e adolescenti è opinione largamente diffusa fra gli studiosi: Lucchetti 1996, p. 571 e nota 152; Cervenca 1963, p. 255-257; Cenderelli 1963, p. 213-216; Lambertini 1980, p. 178-179; Santalucia 19982, p. 146. Al contrario, ritengono che il plagio fosse commesso su persone libere Biondi 1954, p. 488; Longo 1974, p. 474-475; Masi 1961, p. 320 (ma, in seguito, opinione diversa in Masi 1963, p. 416 e nota 1).
46 Lambertini 1980, p. 178-179.
47 Significativo il confronto della costituzione costantiniana con Lact., De mortibus persectorum, 22, 2 che annovera la condanna alle ferae fra le pene alle quali Massimiano condannava, più frequentemente, i Cristiani: Quae igitur in Christianis excruciandis didicerat, consuetudine ipsa in omnes exercebat. Nulla <poena> penes eum laeuis, non insulae, non carceres, non metalla, sed ignis, crux, ferae in illo erant cotidiana et facilia.
48 Rinvio, su questo punto, a Salerno 2003, p. 89-93.
49 Nell’elenco di Callistrato, infatti, non c’è traccia della damnatio ad bestias: Santalucia 19982, p. 263.
50 Inst IV, 18, 2.
51 Vedi § 1.
52 In tal senso Gascou 1967, p. 649; Wiedemann 1992, p. 156; e, precedentemente, Lafaye 1896. Dupont 1971, p. 493, nota 71, ritiene che il divieto costantiniano rimase circoscritto solo alle province orientali. Al contrario, De Giovanni 2003, p. 99-100, esprime la convinzione che la misura imperiale «pur contenendo una condanna chiara e generale dei cruenta spectacula non sia stata mai applicata con rigore neppure nelle province orientali».
53 De Giovanni 2003, p. 101-103.
54 CIL XI 5265; ILS 705.
55 CTh XV, 12, 2.
56 CTh IX, 40, 8.
57 Si potrebbero cogliere, in questo divieto, influenze dei Padri della Chiesa per i quali ingenuitas e baptismus sembrano costituire un’endiadi inscindibile: vedi per esempio, Agostino, Ser., CCCLVI, 3. Utili, a tal proposito, le osservazioni di Franciosi 1970, p. 274-277.
58 CTh IX, 40, 11.
59 Relatio VIII, 3: nullo dissentiente decretum est, quis modus censuum semel aut saepius fungendis… mediocritas editionibus adplicetur, quae gladiatorio muneri et quae scaenicis ludis sumptuum temperamenta conuenient…
60 Prud., In Symm., II, 1121.
61 Wiedemann 1992, p. 158.
62 Theodoret, Hist. Eccl. V, 26; Wiedemann 1992, p. 158-159; Meijer 2004, p. 173-174. Cf., altresì, fra gli studi più risalenti, Schneider 1918, p. 772; Beurlier 1896, p. 1607-1608.
63 Si v., in proposito, tra gli studiosi a noi cronologicamente più vicini, Meijer 2004, p. 173-174; Wiedemann 1992, p. 158-159.
64 Schneider 1918, p. 772; contra, però, Wiedemann 1992, p. 158 e 164, nota 74.
65 Il testo epigrafico dalla cui lettura si è desunta, gli altri, da Mommsen 1892, p. 755 con rinvio ad Usener 1882, p. 479, la chiusura delle scuole gladiatorie è conservato in CIL XIV, 157 e 300, due iscrizioni su una tavola di marmo «in utraque scripta. Rep… fossionibus Portuensibus». Le due iscrizioni appaiono, però, molto lacunose e la menzione dela chiusura di una scuola di gladiatori sembra, piuttosto, frutto di interpretazione dei primi editori. Dubbi, inoltre, in Meijer 2004, p. 173, per il quale il divieto risalirebbe al 404, dopo gli incidenti, a Roma, causati da un monaco Telemaco che per protestare contro i giochi gladiatori, durante uno spettacolo lasciò il suo posto e si gettò nell’arena per impedire ai gladiatori di continuare il duello. Gli spettatori, inferociti, lo massacrarono: Theod., Hist. Eccl., V, 26.
66 CTh XV, 12, 3.
67 Alföldi 1943, nota 176 e 204.
68 Wiedemann 1992, p. 5-8; Meijer 2004, p. 3-9.
69 Cf. in tal senso, Macmullen 1990b, p. 147-150. Sull’economia del tardo impero rinvio, per tutti, a De Martino 1979, p. 451-455.
70 MaCmullen 1990b, p. 147-150. Cf. inoltre, le pagine di Ville 1981, p. 453-457.
71 Non sarebbe casuale, secondo alcuni, in part. Meijer 2004, p. 174, che nella prima metà del IV secolo, Salv., De gubern. Dei VI, 10, «scagliando i suoi strali» contro i divertimenti pubblici, abbia attaccato la caccia agli animali selvaggi, le rappresentazioni teatrali, e le corse coi carri, omettendo qualsiasi riferimento ai combattimenti gladiatori, ormai abbandonati dal pubblico.
72 Nell’affermazione costantiniana sembra potersi cogliere il precedente di quanto sarà stabilito successivamente, nel 469, dagli imperatori Leone ed Antemio, CJ 3, 12, 9 (11), 2: Nec tamen haec religiosi diei otia relaxantes obscaenis quemquam patimur uoluptatibus detineri. Nihil eodem die sibi uindicet scaena theatrali aut circense certamen aut ferarum lacrimosa spectacula.
73 Significative le rigide prescrizioni sullo svolgimento dei giochi consolari che l’imperatore, NIust CV, 105, 1-2, emana nel 537. Cf. in proposito, Wiedemann 1992, p. 158-159, spunti inoltre in Dovere 19992, p. 129-132.
Notes de fin
1 Cette contribution a également été publiée dans Fivlia. Scritti per Gennaro Franciosi (a cura di F. M. d’Ippolito), IV, Napoli, 2008, p. 2423-2435 (= F. Salerno, Aspetti della ‘ Marginilita’ sul finire di un mundo, Napoli, 2009, p. 35-51)
Auteur
Università di Cassino
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