I srapporti legislativi tra le due partes imperii
p. 233-243
Résumés
L’époque d’Arcadius et d’Honorius fournit de nombreux exemples qui témoignent soit du caractère unitaire de la législation de l’empire tardif, soit prouvent, à l’inverse, l’autonomie avec laquelle la partie occidentale procédait indépendamment de la partie orientale, malgré l’unanimitas affichée dans les suscriptions des constitutions. La question a perdu les accents polémiques qui étaient naguère les siens, mais les travaux des romanistes, à la différence de ceux des historiens, manifestent encore des doutes envers la thèse d’une complète séparation législative: ils restent ainsi ancrés dans les aspects rigides et formels du problème. En réalité, le thème de l’unité ou de la division législative entre les partes Imperii pendant tout le ive siècle doit être abordé à travers un examen détaillé des rapports internes entre les différents collèges impériaux. Ma contribution se propose d’attirer l’attention sur deux lois occidentales qui, par le sujet particulier qu’elles traitent, ne peuvent avoir été appliquées dans la partie orientale de l’Empire: CTh XVI, 8, 14 du 11 avril 399 et XVI, 8, 17 du 24 juillet 404. Leur contenu singulier en fait un témoignage important de la complète séparation entre les deux partes Imperii.
The time of Arcadius and Honorius provides us with plenty of instances highlighting either the single character of the Late Empire’s legislation, or conversely proving how much leeway both western and eastern parts enjoyed, despite the unanimitas proclaimed in the headings of the constitutions. The issue is not now as controversial as it used to be but the Roman Law scholars’ works, unlike their fellow-historians’, still show some scepticism about the thesis propounding a complete legislative separation. By so doing, the former remain entrenched in the rigid, formal aspects of the case in point. Actually, the issue of legislative unity or division between partes Imperii all through the 4th century must be approached through a close scrutiny of the inner workings between the different imperial colleges. This paper aims to focus on two western laws which, owing to the specific topic they dealt with, cannot have been enforced in the eastern part of the empire: CTh XVI, 8, 14 April 11th 399 and XVI, 8, 17 July 24th 404. Their specific contents dramatically show the complete separation between both partes Imperii.
Texte intégral
1Il problema dei rapporti legislativi tra le due partes Imperii ha avuto, da sempre, una vicenda singolare. Accesi sostenitori hanno affermato, ma taluni lo affermano ancora, che, nonostante la divisione in due partes, l’Impero di Roma sia restato senza interruzione unitario nell’applicazione delle norme emanate in ognuna di loro: una legge avrebbe avuto pieno vigore anche nell’altra rispetto a quella di emanazione. Contemporaneamente, al contrario, si è asserito che questa unitarietà fosse un dato esclusivamente nominale e che si esauriva nell’intestazione della legge con gli imperatori in carica e con la coppia consolare eponima scelta d’accordo. Di fronte a queste affermazioni tanto distanti tra loro vi è stata una continua ricerca d’attestazioni che confermassero la tesi prescelta e così alcune leggi tardoantiche sono servite allo stesso modo per testimoniare sia l’unitarietà legislativa di tutto l’Impero oppure, esattamente all’opposto sono state invocate per mostrare come le due partes procedessero in modo del tutto autonomo nella loro attività normativa1. A favore della tesi della unanimitas, com’è stato detto, gioca un ruolo importante la nominale intestazione delle leggi a tutti gli imperatori in carica. Si trascura però che per molte leggi del iv secolo è stato dimostrato come questa circostanza sia da attribuire non al momento dell’emanazione della legge, ma alla successiva archiviazione2.
2Per molti studiosi, invero, il mito della unanimitas non costituisce più l’oggetto di un dibattito aspro e polemico come avveniva agli inizi della sua nascita. Quei molti, storici, credono nella tesi della separazione così com’era stata fermamente affermata dai «maîtres de la critique du Code Théodosien», J. Gothofredus, Th. Mommsen, O. Seeck3. Diversamente l’accettazione di questa da parte della letteratura romanistica non è piana: si continua a credere ed a scrivere che in età tardoantica vigesse un regime per cui la ricezione delle norme emanate nell’altra parte dell’impero, in Oriente ad esempio, avvenisse in Occidente in modo del tutto automatico. Pertanto le norme di una pars Imperii dispiegherebbero la loro efficacia, senza alcun intervento dell’autorità imperiale dell’altra, in virtù del fatto che si tratterebbe di un Impero unico. Un atto formale del titolare del potere normativo era necessario a contrario, vale a dire solo nel caso che si volesse la disapplicazione della norma inviata dal contitolare dell’Impero. In prima analisi è da porre l’accento sulla circostanza che quest’opinione comporta necessariamente l’accettazione dell’ipotesi, preliminare, in virtù della quale in linea generale al momento dell’assunzione alla suprema carica ogni titolare del potere imperiale dovesse dichiarare di volere un regime di automatica validità delle norme provenienti dall’altra pars Imperii. In aggiunta si deve supporre necessario un atto generale dichiarativo della volontà imperiale. Naturalmente questo andava riproposto ad ogni nuova composizione del collegio imperiale. Non ci sono testimonianze di tutta questa fase preliminare.
3Veniamo alla tesi opposta che crede in due partes Imperii con una legislazione completamente indipendente. Naturalmente la ricezione di una legge poteva ugualmente avere luogo, ma era necessario un atto singolo di promulgazione della legge che proveniva dall’altra parte dell’impero: tanto equivaleva all’emanazione di una nuova legge.
4Si accetta senza dubbio il principio per il quale ogni imperatore del iv secolo provvedesse a legiferare per il territorio posto sotto il suo controllo in modo autonomo rispetto al collega, o ai suoi colleghi4. Il problema nasce solo ipoteticamente nell’età di Costantino, mentre, in effetti, si può iniziare ad analizzarlo solo dal regno di Valentiniano e Valente. L’anno di partenza del problema allora è il 365, il primo vero anno di impero disgiunto dei due fratelli pannonici; l’anno finale può essere considerato il 429, il 26 di marzo (CTh I, 1, 5), quando Teodosio II detta le regole per una ricezione formale delle leggi tra le due partes. La regola dettata troverà attuazione, per quanto si conosce e per quanto si immagina, solo con i Gesta Senatus Romani de Theodosiano publicando del 438: atto solenne, ma nel complesso irrituale, di una Roma in declino in un Impero che non esiste più5.
5A mio avviso, allora, il problema della ricezione legislativa si può temporalmente collocare in questi settant’anni. Non interessa certo tutta l’età tardoantica. Il periodo è denso di grandi trasformazioni e la ricerca di un equilibrio interno procede in parallelo con la necessità della difesa dei confini. Pertanto un esame della questione negli anni individuati non può prescindere dalla considerazione delle contingenze storiche e non può, al contrario, restare confinato solo sugli aspetti formali delle leggi. Su queste però pesano, e non possono essere trascurati, i modi di come queste ci siano pervenute.
6Al centro di questi settant’anni è l’età di Arcadio ed Onorio, il periodo che va dal 395 al 408 offre spunti particolarmente interessanti e molti di quegli esempi ambivalenti di cui si diceva sono tratti appunto dalla legislazione dei due figli di Teodosio I. Tengo a riproporre allora la lettura di due leggi dell’Occidente tratte dal libro XVI del Codice Teodosiano. Dirò subito che, a mio parere, emanate in Occidente non possono essere state recepite in Oriente ne con un’autonoma promulgazione ne tanto più in via automatica. Si vanno invece ad inserire come un tassello nella politica di grande chiusura nei confronti dell’Oriente che il regime di Stilicone persegue alla fine del iv secolo.
7I due documenti, da un lato, dimostrano come l’imperatore di Occidente non volesse avere alcun rapporto con il Patriarca degli Ebrei, mentre, dall’altro, costituiscono un ulteriore esempio della politica protezionistica che alla fine del iv secolo caratterizza l’atteggiamento occidentale nei confronti di Arcadio6.
8Nel titolo De Iudaeis spiccano per il loro singolare contenuto due leggi emanate in Occidente dall’imperatore Onorio: la prima è dell’11 aprile 399 (CTh XVI, 8, 14) e la seconda emanata cinque anni dopo, del 25 luglio 404 (CTh XVI, 8, 17).
9Ogni anno, in un periodo fisso, forse nel mese di Adar del calendario ebraico corrispondente al nostro febbraio-marzo, il Patriarca esule e ridotto a risiedere a Tiberiade inviava alle comunità ebraiche di tutto l’impero suoi emissari con lo scopo, d’antico costume, ma sempre rinnovato anche dopo la distruzione, di raccogliere l’obolo per il tempio di Gerusalemme, l’aurum coronarium. Tutti gli Ebrei si sentivano obbligati al versamento di questo contributo annuale: sia i residenti nella loro terra sia coloro, i piú, che l’avevano lasciata per stabilirsi nelle molte regioni dell’Impero. Tutti avevano continuato a versare una somma periodica anche dopo che il Tempio di Gerusalemme era stato incendiato: era corrisposta per il Patriarca e per la sua corte. Gli Ebrei in questo modo testimoniavano la loro diretta partecipazione alle esigenze organizzative del capo spirituale di tutti gli Ebrei della Diaspora. Il contributo annuo aveva una base fissa, ma era suscettibile d’aumento a seconda dell’andamento del raccolto. Dal II secolo, dopo che era stato costretto a lasciare Gerusalemme, dalla sua nuova residenza il Patriarca aveva continuato a tessere attraverso i suoi emissari una fitta rete di collegamenti e di dipendenze in tutte le regioni dell’Impero: era destinata alla raccolta di questo l’aurum coronarium, ma anche ad un controllo delle comunità che attuava approvando l’elezione dei responsabili civili e religiosi7. A capo di questa vasta comunità che comprendeva tutta la nazione giudaica, in Occidente ed in Oriente, il Patriarca era funzionale agli interessi del governo imperiale: per suo tramite l’imperatore esercitava un’indiretta sorveglianza su di un’etnia dal passato inquieto verso il regime romano. Grazie a questa l’Impero orientale finiva per acquisire una notevole quantità d’oro in tempi in cui la massa d’oro circolante andava sempre più assottigliandosi. Di segno opposto pertanto la legge di Onorio del 399 ha lo scopo di far rimettere all’erario imperiale d’Occidente la somma già raccolta dagli archisynagogi, dai presbyteri e dagli apostoli per quell’anno e per il futuro, sembrerebbe, di impedire che quest’operazione venga rinnovata. Non si è riusciti a spiegare, al di là d’ipotesi generali, come si origini quest’intervento imperiale e come si articoli il divieto che in esso è contenuto, ma soprattutto come sia potuto maturare questo negativo atteggiamento occidentale:
CTh XVI, 8, 14 (11 aprile 399):
IDEM AA [ARCADIVS ET HONORIVS] MESSALAE P(RAEFECTO) P(RAETORI)O.
Superstitionis indignae est, ut archisynagogi siue presbyteri Iudaeorum uel quos ipsi apostolos uocant, qui ad exigendum aurum adque argentum a patriarcha certo tempore diriguntur, a singulis synagogis exactam summam adque susceptam ad eundem reportent. Qua de re omne, quidquid considerata temporis ratione confidimus esse collectum, fideliter ad nostrum dirigatur aerarium: de cetero autem nihil praedicto decernimus esse mittendum. Nouerint igitur populi Iudaeorum remouisse nos depraedationis huiusmodi functionem. Quod si qui ab illo depopulatore Iudaeorum ad hoc officium exactionis fuerint directi, iudicibus offerantur, ita ut tamquam in legum nostrarum uiolatores sententia proferatur.
DAT. III ID. APRIL. MED(IOLANO) THEODORO V. C. CONS.
«GLI STESSI AUGUSTI [ARCADIO E ONORIO] AL PREFETTO DEL PRETORIO MESSALA.
È indegno di una superstizione che gli archisynagogi o i presbiteri degli Ebrei o coloro che chiamano apostoli, che in un periodo determinato vengono inviati dal patriarca ad esigere oro ed argento e, una volta esatta la somma e fatta la raccolta, gliela portino. Per questo confidiamo che tutto quanto sia stato raccolto, considerato il periodo, con esattezza deve essere rimesso al nostro erario: in futuro stabiliamo che nulla debba essere mandato al predetto patriarca. Sappiano pertanto i popoli degli Ebrei che rimuoviamo questo tipo di furto. E così gli inviati da quello spogliatore di popoli ebraici per compiere questa esazione devono essere portati dai magistrati perché sia pronunciata una sentenza contro di loro come se abbiano violato le nostre leggi.
DATA TRE GIORNI PRIMA DELLE IDI DI APRILE A MILANO NELL’ANNO DEL CONSOLATO DEL SENATORE TEODORO»8.
10È da scartare l’ipotesi che un primo ordine di ragioni della legge possa ritrovarsi nell’ambiente sociale e politico da cui proveniva il suo destinatario, il prefetto del pretorio Valerius Messala Avienus9. L’11 aprile 399 il nobile romano è stato da poco nominato in sostituzione del milanese Flavius Mallius Theodorus: espressione dell’aristocrazia senatoria di Roma, scelto per sostituire l’esponente del partito cattolico milanese, aveva tutto l’interesse di trovare il sistema per alleggerire la pressione fiscale imperiale nei confronti della sua parte10. Bisogna per altro considerare che il legislatore oltre a motivare con sapiente correttezza la devoluzione all’erario occidentale dimostra una conoscenza della mutata situazione e dell’evoluzione subita dall’aurum coronarium. Il legislatore è informato del meccanismo attraverso cui il denaro arrivava al Patriarca e l’elenco di CTh XVI, 8, 14 non è casuale: archisynagogi, presbyteri Iudaeorum, apostoli ed infine il Patriarca. E’sufficiente intervenire in Occidente su uno degli anelli della catena per spostare la somma nelle casse imperiali. L’intervento è di una tale portata che non può essere attribuito esclusivamente all’iniziativa del solo prefetto Messala Avienus, ma deve essere il frutto sapiente della complessiva politica stiliconiana tesa ad esercitare pressioni sull’Oriente11. CTh XVI, 8, 14 finisce quindi per avere un notevole impatto sui rapporti Occidente-Oriente perché viene meno quell’afflusso di denaro e quindi quel possibile sostegno, anche economico, che l’alleato Patriarca di Palestina poteva dare al governo imperiale di Costantinopoli. La manovra di Onorio è di segno diametralmente opposto a ciò che Arcadio aveva inteso fare nei confronti della comunità ebraica con le leggi emesse negli anni 396 e 39712. In queste costituzioni, di poco precedenti al 399, anno della norma di Onorio, invece si riafferma il ruolo politico assegnato al Patriarca nella pars Orientis: il controllore dell’etnia ebraica al servizio del regime di Costantinopoli13. Il Patriarca è illustris e sembra che già da questi anni fosse stato insignito a titolo onorario della prefettura del pretorio. Onorio è al corrente anche di questo? Sia in CTh XVI, 8, 14 che nella successiva legge dello stesso Onorio con cui questa viene revocata (XVI, 8, 17) si parla del Patriarca e poi dei Patriarchi senza attribuire loro alcuna dignitas. Questa dimenticanza, certamente voluta, non può non essere un sintomo dell’atteggiamento imperiale che si teneva in Occidente verso il capo degli Ebrei. È da escludere che sia avvenuta per ignoranza. Se fosse presente solo nella legge del 399 si potrebbe pensare che un titolo concesso dall’Oriente in un momento di tensione politica non venisse riconosciuto. Diversamente la circostanza che poi si ripete anche nel 404 conduce a ritenere che, pur reintroducendo la possibilità della riscossione, Onorio non ha alcun interesse a riconoscere una dignitas, anche onoraria, al Patriarca e quindi il ruolo che svolge nell’Impero orientale. Ancora, anni dopo, nel 415 e nel 41614, quando Onorio vorrà intervenire sul regime degli Ebrei in Occidente indirizzerà la sua legge al didascalus Annas ed ai maiores Iudaeorum, al rabbino capo, probabilmente, ed alla comunità ebraica di Ravenna. I suoi interessi sono limitati all’Occidente.
11Dalla legge del 399 certamente risalta come gli appartenenti alla fede ebraica siano solo un casuale obiettivo della politica imperiale che era piuttosto diretta a porre un blocco all’esportazione di capitali verso l’Oriente. Come riflesso di una congiuntura di lunga tensione tra i governi di Costantinopoli e di Milano protrattasi per tutta la reggenza di Stilicone si determinò quindi ancora una volta la volontà di impedire l’afflusso d’oro e di argento verso l’Oriente e la Palestina: l’aurum coronarium destinato al Patriarca di Gerusalemme doveva essere dirottato all’erario imperiale di Occidente: nouerint igitur populi Iudaeorum remouisse nos depraedationis huiusmodi functionem. Il Patriarca è un depopulator e per questo è interrotta la raccolta in suo favore: era notizia diffusa in Occidente che molti Patriarchi avevano accumulato grandi ricchezze abusando delle loro prerogative. La somma che ogni anno veniva raccolta ed inviata al Patriarca non doveva certo essere di piccola entità provenendo da comunità, per quanto si conosce, ricche e numerose di un popolo radicato alla fine del iv secolo nei centri commerciali più importanti dell’Occidente ed in molti casi titolari dei commerci piú floridi con l’Oriente15. Costruita con sapienza ed accortezza grazie alla buona conoscenza di questo mondo e della sua rilevanza economica, l’illustrazione delle ragioni del provvedimento è condotta in modo tale che, al termine della lettura della legge, non si può concludere che si sia alla presenza di una disposizione persecutoria per gli Ebrei. In questo modo, forse, Onorio salvava anche i suoi rapporti con le comunità ebraiche a lui vicine. L’ultimo passaggio letto può far pensare invece che la norma sia stata emanata per sollevare i populi Iudaeorum dal contributo: in effetti l’imperatore ordina la devoluzione all’erario di quanto è stato raccolto per il 399 e, sembra, che per il futuro essi non debbano inviare più nulla. L’imperatore di Occidente non ha giurisdizione per proferire minacce o sanzioni e per intervenire direttamente sul Patriarca. Malgrado il brutto epiteto che ne dà, depopulator Iudaeorum, saccheggiatore di Giudei, la sanzione è rivolta solo contro coloro che provvedono alla colletta: quindi essa potrà operare anche contro orientali che saranno trovati nella pars Occidentis a raccogliere il denaro per il Patriarca. I magistrati occidentali dovranno perseguirli in quanto rei della violazione di una norma imperiale, occidentale.
12Come appartengono al campo delle ipotesi le motivazioni che avevano indotto Onorio ad emanare la legge dell’11 aprile 397 che spostava nelle bisognose casse imperiali il contributo per il Patriarca raccolto quell’anno dagli Ebrei allo stesso modo una ridda di supposizioni, ma non ragioni vere e proprie, sono alla base della revoca del divieto che l’imperatore ordina esplicitamente riferendosi a quanto aveva edittato in passato (dudum iusseramus):
CTh XVI, 8, 17 (25 luglio 404):
IDEM AA. [ARCADIVS ET HONORIVS] HADRIANO P(RAEFECTO) P(RAETORI)O.
Dudum iusseramus, ut ea, quae patriarchis a Iudaeis istarum partium ex consuetudine praebebantur, minime praeberentur. Verum nunc amota prima iussione secundum ueterum principum statuta priuilegia cunctos scire uolumus Iudaeis mittendi copiam a nostra clementia esse concessam.
DAT. VIII KAL. AVG. ROM(AE) HONORIO A. VI ET ARISTAENETO CONSS.
«GLI STESSI AUGUSTI [ARCADIO E ONORIO] AL PREFETTO DEL PRETORIO ADRIANO.
In passato abbiamo ordinato che tutto ciò che veniva offerto dagli ebrei di queste parti ai patriarchi, non dovesse essere offerto. Ora però abolita la prima disposizione in linea con i privilegi stabiliti dagli antichi principi vogliamo che tutti sappiano che dalla nostra clemenza è concessa agli ebrei la possibilità di fare invii.
DATA 8 GIORNI PRIMA DELLE CALENDE DI AGOSTO A ROMA NELL’ANNO DEL SESTO CONSOLATO DI ONORIO AUGUSTO E DEL CONSOLATO DI ARISTENETO»16.
13Le pressioni ebraiche sulla corte, un cedimento alle insistenze del governo orientale in un clima di minore tensione sono alcune congetture che vengono facili ed attorno a cui costruire il retroscena della legge del 25 luglio 404 riportata in CTh XVI, 8, 17. Onorio pertanto rinnova quei privilegi che erano stati disposti dai ueteres principes nei confronti degli Ebrei.
14Il loro particolare contenuto ne fa un’importante testimonianza che serve ancora una volta a sostenere come alla fine del iv ed agli inizi del v secolo vi fosse una completa separazione legislativa tra le due partes Imperii. La prova fornita da queste due leggi, per altro, trova conferma ulteriore in altre sempre emanate dallo stesso imperatore, ma successive al 408 quando a Pavia si sbarazzò dell’oramai ingombrante reggente che Teodosio aveva lasciato al giovane Onorio.
15Queste considerazioni, volutamente incentrate su leggi tratte dal libro XVI del Codice Teodosiano si aggiungono a tutti i dati in nostro possesso che dovrebbero vincere le resistenze di studiosi del diritto romano. Dubito però che questo sia possibile: la tesi dell’unità formale, dell’unanimitas continua ad avere sostenitori. Andremo avanti a discutere su questo problema ancora aperto, come recita il titolo di un recente contributo17. Io spero solo che questo serva alla migliore conoscenza del Codice Teodosiano18.
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Notes de bas de page
1 Il richiamo è diretto soprattutto a due leggi di Onorio del 398, CTh XII, 1, 157 e 158. La prima è stata emanata il 13 febbraio e la seconda il 13 settembre. Piú volte mi sono occupato di queste due costituzioni indirizzate al prefetto Flavius Mallius Theodorus, v. De Bonfils 1994; De Bonfils 1995; De Bonfils 1998; De Bonfils 2001.
2 Una bibliografia selezionata su questo tema si trova in De Bonfils 1998, p. 65-66, nota 20; De Bonfils 2001, p. 107-108 nota 1. A questi sono da aggiungere due altri lavori abbastanza recenti: Pietrini 1998; Lepore 2000.
3 Gaudemet 1955, p. 319 (= Gaudemet 1979, p. 169).
4 La spiegazione analitica relativa ai motivi per cui si accetta questa tesi si può leggere in De Bonfils 1996: a questa fanno sostanziale riferimento i lavori già citati alla nota 1.
5 Cf. De Bonfils 1998, p. 65-75; si veda inoltre il contributo di Andrea Lovato in questo stesso volume, p. 63-76.
6 Cf. De Bonfils 1998, p. 114 e p. 117; De Bonfils 2002, p. 154; De Bonfils 2006, p. 74-83.
7 Cf. De Bonfils 2006, p. 25 ss.
8 Si vedano le traduzioni di Magnou-Nortier 2002, p. 339; Delmaire et al. 2005, p. 388-390.
9 Discendente dalla antica stirpe dei Valerii, legatus Senatus dal 395 al 398 e prefetto del pretorio di Italia e Africa dal 399 al 400, la prima legge nota che gli fu inviata è proprio CTh XVI, 8, 14, cf. Ensslin 1931; Mazzarino 1990, p. 342-343; PLRE II, p. 760-761; Von Haehling 1978, p. 307-308 (Messala).
10 Sul prefetto del pretorio di Italia ed Africa in carica dal 397 al 399 e console unico per il 399, Flavius Mallius Theodorus, cf. De Bonfils 1998, p. 263 ss.
11 La legislazione di Arcadio nei confronti degli Ebrei è analizzata in De Bonfils 1998, p. 21. Vedere inoltre piú di recente De Bonfils 2004, p. 267 ss.
12 CTh XVI, 8, 11 (24 aprile 396); 12 (17 giugno 397); 13 (1 luglio 397).
13 Nelle istruzioni che l’imperatore Teodosio II trasmette il 20 ottobre 415 al prefetto del pretorio Aurelianus si legge la notizia che con un provvedimento indirizzato al magister Officiorum in carica erano stati tolti al Patriarca Gamaliel IV i codicilli di prefetto del pretorio onorario: CTh XVI, 8, 22: IDEM AA. [HONORIVS ET THEODOSIVS] AVRELIANO P(RAEFECTO) P(RAETORI)O II. Quoniam Gamalielus existimauit se posse inpune delinquere, quo magis est erectus fastigio dignitatum, inlustris auctoritas tua sciat nostram serenitatem ad uirum in(lustrem) mag(istrum) officiorum direxisse praecepta, ut ab eo codicilli demantur honorariae praefecturae, ita ut in eo sit honore, in quo ante praefecturam fuerat constitutus ac deinceps nullas condi faciat synagogas et si quae sint in solitudine, si sine seditione possint deponi, perficiat, et ut inter Christianos nullam habeat copiam iudicandi; et si qua inter eos ac Iudaeos sit contentio, a rectoribus prouinciae dirimantur. Si Christianum uel cuiuslibet sectae hominem ingenuum seruumue Iudaica nota foedare temptauerit uel ipse uel quisquam Iudaeorum, legum seueritati subdatur. Mancipia quoque Christianae sanctitatis si qua aput se retinet, secundum Constantinianam legem ecclesiae mancipentur. DAT. XIII KAL. NOV. CONSTANT(INO) P(OLI) HONORIO X ET THEODOSIO VI AA. CONSS., «GLI STESSI AUGUSTI [ONORIO E TEODOSIO] AL PREFETTO DEL PRETORIO AURELIANO. Dal momento che Gamalielus ritenne di poter impunemente commettere reati, soprattutto perché è stato collocato al culmine della gerarchia, sappia la tua illustre autorità che la nostra serenità ha inuiato degli ordini all’illustre capo degli uffici perché gli siano tolti i codicilli della prefettura onoraria, in modo che sia collocato nel posto che gli spettaua prima della concessione della prefettura, e inoltre deve procurare che non siano fondate sinagoghe e, se ve ne sono in luoghi solitari, se possono essere smantellate senza disordini, lo faccia. Inoltre Gamalielus non deve avere la possibilità di giudicare fra i Cristiani; la contesa sorta tra questi e gli Ebrei deve essere risolta dai gouernatori della prouincia. Se egli stesso, o un altro ebreo, abbia tentato di contaminare con la nota giudaica un cristiano o di qualsiasi altra setta, uomo ingenuo o schiauo, deve essere sottoposto alla seuerità delle leggi. Anche gli schiaui di religione cristiana che per caso detenga presso di sé, devono essere mancipati alla chiesa secondo la legge costantiniana. DATA TREDICI GIORNI PRIMA DELLE CALENDE DI NOVEMBRE A COSTANTINOPOLI NEL X CONSOLATO DI ONORIO E NEL VI CONSOLATO DI TEODOSIO AUGUSTI». Il magister Officiorum era il funzionario competente all’emissione delle patenti di nomina in quanto titolare del laterculum maius, l’elenco dei titolari della cariche maggiori dell’Impero. Nel 415 a reggere questo incarico ministeriale potrebbe essere Helion che lo diresse per un lungo periodo, dal 414 al 427: PLRE II, p. 533 e p. 1258. Su questa legge che stabilisce una linea di demarcazione precisa e netta tra il trattamento riservato al capo degli ebrei sino a quel 415 ed invece il declino nella considerazione imperiale che gli si prepara, cf. De Bonfils 2006, p. 84-89.
14 CTh XVI, 9, 3 del 6 novembre 415 e XVI, 8, 23 del 24 settembre 416. Un commento a queste due leggi di Onorio che si iscrivono nel clima politico della nuova capitale, Ravenna, e nelle oramai evidenti difficoltà del regno occidentale; cf. De Bonfils 1998, p. 187; De Bonfils 2002, p. 124 ss. ; p. 148 e 154; De Bonfils 2006, p. 37 nota 19.
15 Per avere un quadro del potere di cui godeva il Patriarca di Tiberiade quantomeno dalla seconda metà del III secolo in tutta la Diaspora e di come costituisse un concreto riferimento per tutti gli ebrei, s. l. la nota introduttiva di D. V. Piacente, L’ebreo catanese Aurelius Samohil, premessa a De Bonfils 2006, p. 9-21.
16 Una traduzione francese di questa costituzione di Onorio è in Magnou-Nortier 2002, p. 340-341; Delmaire et al. 2005, p. 392-395 (con riferimenti bibliografici).
17 Lepore 2000.
18 CTh I, 1, 5 del 26 marzo 429.
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Università di Bari
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