2. Lo studio psicosociale delle molestie sessuali
p. 23-45
Texte intégral
1Quello delle molestie di strada è un fenomeno talmente diffuso che nessuna donna rimarrebbe sorpresa se scoprisse che, nel contesto italiano, più del 69% delle rispondenti a un’indagine sul tema ha raccontato di essere stata pedinata almeno una volta nella propria vita da un gruppo di uomini in un luogo pubblico. Su 1459 partecipanti, poi, il 79% ha dichiarato di essere stata vittima di molestie di strada da parte di uno sconosciuto prima dei 17 anni, il 57% prima dei 15 e il 9% prima dei 10 anni1. Alla luce di questi dati, ci si potrebbe aspettare che le molestie di strada costituiscano una delle forme di molestie maggiormente visibili e, di conseguenza, più energicamente condannate e studiate. Tuttavia, ciò che accade è l’esatto contrario. Le aggressioni verbali e fisiche che le donne subiscono tutti i giorni nei luoghi pubblici sono una delle facce della violenza di genere più sommerse e normalizzate. Ciò non stupisce, soprattutto se si considera che persino lo stupro costituisce ancora un tabù e che, quando denunciato, attiva degradanti processi di colpevolizzazione della vittima2. Per tali ragioni, non è difficile immaginare quale sorte tocchi a forme di violenza definite meno gravi, quali il catcalling3.
2Come vedremo nelle prossime pagine, tali considerazioni trovano conferma nella letteratura psicosociale sull’argomento; la maggior parte delle ricerche si è infatti concentrata sul più ampio fenomeno delle molestie sessuali, tralasciando tutto ciò che attiene alle molestie da parte di sconosciuti in luoghi in pubblici. A seguire, verranno illustrati alcuni dei più rilevanti studi sull’argomento, con un focus particolare sui lavori che hanno indagato le motivazioni sottostanti le molestie e le conseguenze di tali azioni sulle vittime. Il capitolo si conclude con una panoramica delle (poche) ricerche sul più specifico fenomeno delle molestie di strada.
2.1. Le ricerche psicosociali sugli antecedenti delle molestie
2.1.1. Sesso, potere e minaccia alla propria identità
3Una delle domande più importanti circa le molestie sessuali riguarda le motivazioni che sottendono tale comportamento. Perché le persone (in genere uomini) continuano a mettere in atto azioni moleste? Qual è la loro motivazione? Cosa ci guadagnano? Sono almeno tre le spiegazioni che sono state avanzate dalla letteratura psicologica: il sesso, il potere e la protezione della propria identità di genere4. Gli uomini (e in alcuni casi le donne) possono molestare perché cercano eccitazione e/o soddisfazione sessuale. In secondo luogo, le molestie sessuali possono essere motivate dal bisogno di potere sulle donne (o sul gruppo di vittime più in generale). In terzo luogo, le molestie sessuali (subite dalle donne e, più atipicamente, dagli uomini) possono costituire un mezzo per rafforzare la propria identità di genere (maschile) o per difenderla quando è percepita come minacciata. Di seguito, esamineremo ciascuna di queste motivazioni alla luce delle ricerche sull’argomento.
4La prima motivazione alla base delle molestie sessuali – ottenere favori sessuali – è piuttosto intuitiva. La soddisfazione o l’eccitazione sessuale sembrano infatti essere per definizione l’obiettivo primario delle molestie sessuali. Tuttavia, come indicato da Maass e colleghe, se il desiderio di sesso fosse la motivazione principale, allora i molestatori (tipicamente uomini eterosessuali) dovrebbero ricercare le loro vittime tra le donne che maggiormente soddisfano gli ideali femminili di bellezza e personalità5. Questo, però, non accade. In una ricerca del 2007, attraverso la somministrazione a 309 persone – uomini e donne – di questionari finalizzati all’indagine dell’auto-attribuzione di tratti di mascolinità e femminilità e delle esperienze di molestie, Jennifer Berdahl ha dimostrato che le vittime di molestie sessuali hanno spesso caratteristiche più tipicamente maschili che femminili6. Ciò suggerisce che solo una parte dei comportamenti molesti può essere ricondotta al desiderio sessuale e che altre motivazioni entrano in gioco quando vengono commessi episodi di violenza.
5La seconda motivazione riguarda il bisogno di potere sulla vittima e si basa sul legame tra potere e sesso, particolarmente radicato nelle società in cui le relazioni tra uomini e donne sono definite da forti disuguaglianze di potere. La connessione tra potere e sesso è in linea con l’idea che, in alcuni uomini, questi due concetti siano automaticamente collegati. John Bargh, Paula Raymond, John Pryor e Fritz Strack hanno approfondito tale relazione attraverso una serie di esperimenti che prevedevano l’utilizzo di un paradigma di misurazione implicito, noto come sequential priming paradigm. In psicologia, le tecniche implicite misurano le associazioni di tipo automatico tra concetti presenti nella memoria delle persone. Le associazioni automatiche caratterizzano una componente dell’attività cognitiva umana che opera al di fuori della consapevolezza e dell’intenzionalità, quella che viene chiamata cognizione implicita. A questa componente implicita si affianca una componente esplicita, della cui attività siamo consapevoli. Lo studio della componente automatica della cognizione va di pari passo con lo sviluppo di strumenti di misurazione indiretti, come il sequential priming paradigm. Tale procedura prevede che i partecipanti vedano al centro di uno schermo una parola (definita parola target) e che la pronuncino a voce alta nel minor tempo possibile. Prima della parola target, sul lato dello schermo viene mostrata un’altra parola, definita parola prime. La variabile misurata è il tempo impiegato dai partecipanti per pronunciare la parola target una volta comparsa al centro dello schermo: minore è il tempo e maggiore è l’associazione nella memoria dei partecipanti tra la parola target e la parola prime. I risultati dell’esperimento di Bargh e colleghi hanno mostrato che i partecipanti più veloci nel pronunciare le parole target legate al sesso comparse dopo le parole prime legate al potere erano uomini che avevano ottenuto un alto punteggio nella Likelihood to Sexually Harass (LSH) Scale, una misura della propensione a mettere in atto comportamenti molesti. In assenza di consapevolezza, il potere e il sesso sembrano dunque interconnessi nella mente di coloro che hanno un’alta disposizione alle molestie sessuali7. L’idea che le molestie siano guidate dal potere piuttosto che dal desiderio sessuale è in linea con gli studi che dimostrano che i molestatori spesso preferiscono vittime particolarmente vulnerabili, tra cui le donne che hanno risorse limitate per reagire, che appartengono a più minoranze o che sono già state vittime di violenza interpersonale in passato8. In linea con questa interpretazione sono anche gli studi che mostrano tassi di molestie maggiori tra gli uomini con un elevato orientamento alla dominanza sociale, cioè coloro che manifestano una tendenza ad approvare le disuguaglianze tra i gruppi9.
6La terza motivazione alla base delle molestie sessuali è la protezione dell’identità di genere. Elena Dall’Ara e Anne Maass, così come altri/e studiosi e studiose dell’argomento10, hanno suggerito di interpretare il fenomeno delle molestie sessuali adottando come cornice di riferimento la “teoria dell’identità sociale” di Henri Tajfel e John Turner, secondo cui l’immagine del nostro sé deriva dall’interazione tra ciò che noi pensiamo di noi stessi come individui (identità personale) e come membri di gruppi sociali (identità sociale). Le persone cercano di conseguire un’identità sociale positiva e se sentono di avere un’identità sociale inadeguata intraprendono azioni individuali o collettive per porvi rimedio, tra queste vi sono i comportamenti di favoritismo per il proprio gruppo e di svalutazione degli altri11. Sebbene tale teoria riguardi la categorizzazione sociale in generale, la letteratura psicosociale ha mostrato come questo approccio possa essere facilmente applicato alle questioni e all’identità di genere. Le relazioni uomo-donna sono infatti dicotomiche e reciprocamente esclusive, per cui qualsiasi miglioramento per uno dei due gruppi implica uno svantaggio per l’altro. Gli uomini hanno tradizionalmente goduto di uno status più elevato in quasi tutte le società; tuttavia, è altrettanto chiaro che il loro vantaggio è sempre più visto come illegittimo. Ad esempio, l’accesso esclusivo degli uomini a molte professioni, comprese le carriere di alto livello, è stato ed è tuttora minacciato dall’ingresso di donne che spesso hanno credenziali migliori e un livello di istruzione più elevato rispetto agli uomini già impiegati nell’organizzazione. Questi cambiamenti possono essere percepiti come minacciosi ed è quindi plausibile che producano tentativi di difendere lo status del gruppo dominante e di ristabilire le differenze a favore del proprio gruppo. Alla luce di tali considerazioni, ha senso pensare alla molestia sessuale come a una strategia finalizzata alla protezione o al ripristino dell’identità di genere (maschile) minacciata12. A conferma di quanto appena argomentato, diverse indagini hanno evidenziato un’incidenza particolarmente elevata di molestie sessuali in professioni tradizionalmente riservate agli uomini e in cui l’ingresso delle donne può essere percepito come minaccioso, si pensi, ad esempio, alle forze dell’ordine13. Sono tanti i fatti di cronaca che purtroppo vengono in mente se si pensa ad episodi di violenza, mobbing e molestie messi in atto nei confronti delle donne impegnate in ambiti tipicamente maschili. È il caso, ad esempio, della caserma Clementi di Ascoli Piceno dove le indagini per l’omicidio di Melania Rea portarono all’attenzione dell’opinione pubblica anche diversi casi di nonnismo di carattere sessuale di cui erano state vittime varie allieve, anche se solo poche avevano avuto il coraggio di denunciare14. E ancora, nel 2018, si parlò a lungo di Giulia Schiff, ventenne prodigio che partecipò e vinse il concorso per allievi ufficiali dell’Aeronautica militare. Nell’aprile 2018, effettuò il suo primo volo da sola, un momento così importante da meritare una cerimonia ad hoc: il cosiddetto “battesimo del volo”. Un rito goliardico che consiste nell’essere bagnati dai compagni con un secchio d’acqua o con un tuffo in piscina. Nel caso di Giulia, al bagno in piscina si aggiunsero molestie sessuali, frustate con verghe di legno e il lancio a mo’ di ariete contro l’ala di un aereo. La giovane denunciò l’accaduto ma quello che ottenne in cambio furono solo l’esclusione da parte dei compagni e innumerevoli punizioni da parte dei superiori.
7Un interessante lavoro sul ruolo della minaccia all’identità è stato condotto da Anne Maass, Mara Cadinu, Gaia Guarnieri e Annalisa Grasselli che, attraverso due studi sperimentali, hanno indagato la relazione esistente tra minaccia dell’identità di genere e propensione a mettere in atto comportamenti molesti15. In particolare, le ricercatrici sono partite dall’idea che le molestie sessuali potessero derivare dal desiderio di migliorare o proteggere (1) lo status del proprio gruppo di genere o (2) lo status del sé all’interno del proprio gruppo. La minaccia dello status del proprio gruppo può avvenire attraverso quella che è stata definita “minaccia di legittimità”, cioè la messa in discussione della legittimità delle differenze di status tra i gruppi. In altre parole, la minaccia di legittimità può essere vista come un caso particolare di minaccia al valore del gruppo, dove ciò che viene messo in discussione non è il valore del gruppo in sé, bensì la posizione sociale o i privilegi derivanti dall’appartenenza a quel particolare gruppo. Ad esempio, una femminista che difende l’uguaglianza dei diritti può riconoscere le conquiste dei maschi come categoria, ma può comunque mettere in discussione la legittimità dei privilegi occupazionali derivanti dall’essere maschio. Nel caso di minaccia dello status del sé all’interno del gruppo, invece, si ha quella che è stata definita “minaccia di mascolinità o prototipicità”, cioè la sensazione di minaccia esperita dai membri fortemente impegnati nel gruppo quando viene detto loro che hanno uno status periferico o marginale all’interno del gruppo. Tornando alla ricerca di Maass e colleghe, le autrici hanno investigato l’associazione tra minaccia dell’identità (sia in termini di legittimità sia di mascolinità) e comportamenti molesti attraverso due studi sperimentali. Nel primo, al fine di rendere saliente la minaccia di legittimità, i partecipanti interagivano via computer con una donna che, a seconda della condizione, poteva essere una femminista o una donna tradizionale. Nel secondo studio, invece, veniva resa saliente la minaccia di mascolinità facendo svolgere ai partecipanti di sesso maschile un test (fittizio) e facendo credere loro che i risultati indicavano che erano dei maschi piuttosto atipici. Al termine di entrambi gli studi, ai partecipanti veniva chiesto di scegliere delle immagini da mandare a una donna con cui credevano di interagire tramite chat. I risultati hanno mostrato che, per entrambi i tipi di minaccia, il livello di molestie sessuali – operazionalizzato come numero di immagini pornografiche inviate alla partner femminile – era significativamente maggiore rispetto alle condizioni di assenza di minaccia.
8Quasi dieci anni dopo l’importante ricerca appena descritta, Christopher Hunt e Karen Gonsalkorale hanno fornito evidenze del fatto che le molestie sessuali, sotto la minaccia dell’identità di genere, possono servire a scopi di ingroup-bonding, cioè a creare legami di gruppo tra i maschi che si conformano alle norme di mascolinità. Usando lo stesso paradigma di Maass e colleghe, gli autori hanno distinto le motivazioni legate alla minaccia dell’identità da quelle relative al legame di gruppo creando una situazione in cui le due motivazioni entravano in conflitto. In particolare, l’identità di genere dei partecipanti maschi è stata prima minacciata (o non minacciata, a seconda della condizione sperimentale) e poi è stata offerta loro l’opportunità di molestare una donna in presenza di un coetaneo che incoraggiava o scoraggiava tali molestie. Se la motivazione principale fosse stata il dominio sulle donne in risposta alla minaccia percepita, i maschi minacciati avrebbero dovuto molestare indipendentemente dal comportamento del coetaneo. Viceversa, se il legame con il proprio gruppo fosse stata la forza motivante, i partecipanti maschi minacciati avrebbero dovuto allineare il loro comportamento a quello del loro coetaneo compagno di gruppo. I risultati hanno mostrato che gli uomini molestavano di più quando la loro identità di genere era minacciata e quando un coetaneo maschio incoraggiava il comportamento molesto. Tuttavia, tale effetto è emerso solo per coloro con un elevato bisogno di conformarsi alle norme di mascolinità. Per questi uomini, quindi, le molestie sembrano funzionali al fine di ristabilire un’identità di genere positiva allineando la loro identità a quella degli altri membri del gruppo16.
9Importanti risultati in questa direzione sono quelli ottenuti da Frank Siebler, Saskia Sabelus e Gerd Bohner che, attraverso uno studio sperimentale, hanno dato ai partecipanti maschi l’opportunità di inviare alcuni messaggi a una partner (fittizia) attraverso una chat simulata al computer. Come trovato da Maass e colleghe, le partner presentate come femministe sono state molestate di più attraverso l’invio di contenuti sessisti rispetto alle donne tradizionali perché, per definizione, le femministe sfidano il privilegio maschile nella società e possono dunque rappresentare una minaccia per gli uomini con un’identità di genere tradizionalmente maschile17.
10L’idea che la minaccia alla mascolinità possa essere una forza motivante per la messa in atto di comportamenti molesti non è nuova nella letteratura sulle molestie sessuali. Ad esempio, una ricerca più datata aveva già dimostrato che gli uomini hanno molte più probabilità di sentirsi infastiditi, angosciati e umiliati da episodi di molestie tra persone dello stesso sesso rispetto a episodi molesti tra persone di sesso diverso. Secondo Margaret Stockdale, Michelle Visio e Leena Batra, le autrici che hanno esaminato tali effetti attraverso uno studio, gli uomini si sentono danneggiati dalle molestie sessuali tra persone dello stesso sesso perché queste esperienze rappresentano una minaccia alla loro mascolinità. Inoltre, le molestie sessuali tra uomini potrebbero essere usate come arma contro coloro che violano le norme di genere stereotipate su come gli uomini dovrebbero comportarsi18.
11In generale, è bene ricordare che sebbene ognuna di queste tre motivazioni (sesso, potere e minaccia all’identità) possa diventare la principale forza trainante in situazioni specifiche e possa essere diretta a determinati tipi di vittime, esse non si escludono a vicenda. Per esempio, le motivazioni legate al sesso e al potere possono coesistere, soprattutto nei maschi in cui i due concetti sono semanticamente legati. Allo stesso modo, esercitare potere sulle donne può diventare una forte motivazione per quei maschi che sono esposti a una minaccia identitaria, come nel caso dei maschi ad alto orientamento alla dominanza sociale, che sono particolarmente propensi a molestie quando la loro identità maschile è minacciata19.
2.1.2. Il ruolo dei media
12Sebbene le ricerche sulle molestie sessuali si siano per molto tempo concentrate sull’indagine dei fattori associati a questi comportamenti, solo di recente la letteratura sull’argomento ha cominciato a focalizzarsi sul ruolo dei media e sulla loro relazione con le norme sociali e le molestie sessuali.
13Negli ultimi vent’anni, la televisione ha veicolato una quantità agghiacciante di messaggi che stereotipano e oggettivano le donne, ritraendole come passive, dipendenti dagli uomini e come oggetti sessuali20. Un dato costante emerso dalle analisi dei contenuti della programmazione televisiva di tutto il mondo è la forte differenza nel grado di sessualizzazione del corpo delle donne e degli uomini. In molti programmi, le donne, a differenza delle loro controparti maschili, sono tipicamente presentate come elementi decorativi il cui valore si basa esclusivamente sul loro aspetto fisico: parlano meno e appaiono meno frequentemente nel ruolo di esperte. Al contrario, è più probabile che siano vestite in modo succinto e suggestivo e che posino in posizioni di sottomissione21. Simili differenze di genere sono tipiche anche delle pubblicità televisive. Carolyn Lin, ad esempio, ha analizzato 505 spot pubblicitari trasmessi negli Stati Uniti e ha scoperto che le donne, rispetto agli uomini, hanno maggiori probabilità di essere vestite in modo succinto e sono più spesso rappresentate come oggetti sessuali22. Risultati simili sono emersi in una più recente indagine condotta da Roberta Rosa Valtorta e colleghe sulle pubblicità televisive italiane. In particolare, attraverso l’analisi di 287 spot, abbiamo trovato che le donne sono rappresentate come più giovani e più legate a ruoli di cura in ambiente domestico rispetto agli uomini che, invece, appaiono indipendenti, sportivi e competenti. Le donne sono inoltre raffigurate più svestite e in maniera più sensuale e seducente rispetto agli uomini23.
14L’oggettivazione delle donne in televisione non è solo visiva, ma si esprime anche attraverso atti verbali espliciti e sottili. In questo caso, il contenuto oggettivante è tipicamente trasmesso attraverso messaggi in cui gli uomini fanno commenti sull’aspetto fisico delle donne, battute, gag e doppi sensi. A volte, questi eventi rappresentano veri e propri comportamenti molesti24. Ad esempio, Beth Montemurro ha analizzato un totale di 56 episodi di cinque diverse situation comedy americane per un periodo di cinque mesi. I risultati hanno evidenziato una media di quasi quattro comportamenti molesti per episodio, che andavano da prese in giro sessuali a sguardi o gesti allusivi, e una media di quasi un comportamento di molestie sessuali vere e proprie per episodio, con toccamenti sessualmente inappropriati e pressioni non richieste per appuntamenti e favori sessuali25. In modo simile, Elizabeth Grauerholz e Amy King hanno condotto un’analisi del contenuto di 48 ore di programmazione televisiva americana di prima serata e hanno scoperto che l’84% dei programmi conteneva almeno un episodio di molestie sessuali. In particolare, i comportamenti più frequenti erano l’uso di termini sessisti per descrivere le donne (ad esempio, “pupa” e “pollastrella”), i commenti sessuali incentrati sul corpo o sulle parti del corpo delle donne e il linguaggio del corpo che in genere coinvolgeva uomini o ragazzi che guardavano le donne o le ragazze in maniera allusiva. Come indicato dalle autrici, ciò che è interessante notare è che nessuno di questi atti è stato etichettato come molestia sessuale. Al contrario, tutti gli episodi sono stati presentati in modo umoristico e le vittime sono state ritratte come felici e in grado di affrontare efficacemente le molestie. Questi risultati suggeriscono che i programmi televisivi di prima serata trasmettono il messaggio che le molestie sessuali non sono gravi e che le vittime dovrebbero essere in grado di gestire da sole queste situazioni26. In sintesi, l’oggettivazione delle donne nei programmi televisivi spazia da forme più esplicite e dirette – come la presenza di modelle vestite in modo provocante o commenti sessuali – a forme più sottili e indirette – come la presenza delle donne utilizzate in veste di mero elemento decorativo o l’uso di doppi sensi.
15Alla luce di tali evidenze ha senso chiedersi quali siano gli effetti di tali contenuti sul comportamento molesto nei confronti del genere femminile. Per rispondere, Silvia Galdi, Anne Maass e Mara Cadinu hanno condotto due esperimenti durante i quali i partecipanti di sesso maschile sono stati esposti a una di tre clip televisive in cui le donne erano ritratte: (a) come oggetti sessuali, (b) in ruoli professionali o (c) escluse, cioè non presenti. Attraverso il primo esperimento, le autrici hanno trovato che gli uomini esposti a contenuti televisivi oggettivanti avevano una maggiore propensione alla coercizione sessuale e manifestavano più comportamenti molesti rispetto ai partecipanti nelle altre condizioni. Tali variabili sono state misurate attraverso un questionario relativo all’intenzione a mettere in atto comportamenti molesti e attraverso un paradigma sperimentale simile a quello utilizzato da Maass e colleghe descritto in precedenza. Nello specifico, ai partecipanti è stato chiesto di scambiare alcuni messaggi tramite chat con una persona (fittizia) di genere femminile. Il contenuto dei messaggi da mandare doveva essere scelto tra una serie di battute, alcune delle quali sessiste e moleste. Il secondo esperimento non solo ha confermato la relazione tra esposizione a contenuti oggettivanti e propensione alle molestie sessuali, ma ha anche fornito una possibile spiegazione per questa relazione: vedere contenuti oggettivanti aumenta la conformità degli uomini alle norme sociali legate al genere maschile. Tale adesione, a sua volta, aumenta l’intenzione a mettere in atto comportamenti molesti27.
16Coerentemente con questi risultati, Robert Hitlan e colleghi hanno trovato che, dopo aver visto un video che mostrava donne ritratte in modo sessualmente oggettivato, i partecipanti di sesso maschile ponevano più domande sessiste durante un successivo finto colloquio di lavoro rispetto agli uomini a cui non era stato mostrato quel tipo di contenuto28. Questi risultati fanno eco a quanto era già emerso in studi precedenti. Qualche anno prima di questa ricerca, Laurie Rudman ed Eugene Borgida avevano infatti trovato che gli uomini esposti a spot televisivi che ritraevano le donne come oggetti sessuali non solo erano più propensi a pensare alle donne come a oggetti sessuali, ma mostravano anche comportamenti più sessisti in una successiva interazione con una donna (complice dei ricercatori) rispetto a coloro che non erano stati esposti alla stessa tipologia di filmato. In particolare, rispetto agli altri partecipanti, quelli esposti agli spot televisivi oggettivanti si sedevano più vicini e facevano più domande sessiste e inappropriate durante l’interazione. È interessante notare che sia la donna con la quale interagivano i partecipanti sia gli osservatori indipendenti presenti durante lo studio hanno giudicato il comportamento di questi uomini come più sessista e molesto rispetto a quello messo in atto dagli altri29.
17Risultati simili sono emersi in studi che hanno indagato l’impatto di contenuti oggettivanti nell’ambito dei videogiochi. Rispetto ai videogiochi neutri, i videogiochi che includono personaggi femminili sessualmente oggettivanti hanno infatti aumentato l’accettazione del mito dello stupro30 da parte dei ragazzi (di età compresa tra i 12 e i 15 anni) e la tolleranza degli adulti e degli adolescenti maschi nei confronti delle molestie sessuali31. Inoltre, un interessante esperimento condotto negli Stati Uniti ha mostrato la relazione tra videogiochi oggettivanti e propensione alle molestie sessuali. Nello specifico, 74 studenti maschi sono stati assegnati in modo casuale a giocare con un videogioco sessualmente esplicito o a uno di due giochi neutri. Al termine dell’attività, tutti i partecipanti svolgevano un compito di decisione lessicale in cui dovevano determinare il più rapidamente possibile se una stringa di lettere era oppure no una parola premendo un pulsante. Le parole presentate erano parole legate alla sfera sessuale o neutre. Infine, ai partecipanti veniva chiesto di compilare un questionario sull’intenzione a mettere in atto comportamenti molesti. I risultati hanno mostrato che giocare con un videogioco che oggettiva il genere femminile può innescare pensieri legati al sesso, incoraggiare gli uomini a vedere le donne come oggetti sessuali e portare a intenzioni comportamentali moleste nei loro confronti. In maniera simile, un lavoro più recente ha evidenziato che giocare a videogiochi violenti e sessisti aumenta l’adesione alle credenze maschiliste, soprattutto tra i partecipanti che si identificano fortemente con personaggi maschili dominanti e aggressivi. Di particolare rilevanza è che gli autori hanno trovato che l’approvazione di convinzioni maschiliste riduce l’empatia verso le vittime di violenza sessuale32.
18Alla luce di tutte queste informazioni, riteniamo importante chiudere la sezione sulle cause e gli antecedenti delle molestie sessuali riportando un importante lavoro condotto da Francesca Guizzo e Mara Cadinu sul ruolo che i media possono avere nel sensibilizzare sul tema dell’oggettivazione femminile al fine di mitigare il fenomeno delle molestie e il sessismo ostile. In due esperimenti, le autrici hanno presentato ai partecipanti uno di tre video: (a) una campagna web contro l’oggettivazione femminile, (b) un documentario naturalistico o (c) un video in cui le donne erano ritratte come oggetti sessuali. Al termine della visione, tutti i partecipanti dovevano compilare un questionario che misurava le intenzioni a mettere in atto comportamenti molesti e il livello di sessismo. Inoltre, adottando lo stesso paradigma di Maass e colleghe, veniva chiesto loro di scambiare alcuni messaggi tramite chat con una persona (fittizia) di genere femminile. Il contenuto dei messaggi veniva scelto tra una serie di frasi, alcune delle quali sessiste e moleste. I risultati hanno dimostrato che gli uomini esposti al video di sensibilizzazione (la compagna contro l’oggettivazione) mostravano un comportamento meno molesto, un sessismo ostile più basso e una minore intenzione di coercizione sessuale rispetto ai partecipanti nelle altre due condizioni. Degno di nota e in linea con gli altri lavori qui descritti, è che i partecipanti che vedevano il video sessualmente oggettivante riportavano maggiori livelli di intenzioni comportamentali moleste rispetto agli altri partecipanti. Ulteriori analisi svolte dalle due ricercatrici hanno infine mostrato che osservare il video di sensibilizzazione diminuiva i livelli di sessismo ostile ed è proprio questo atteggiamento che ha svolto un’importante funzione nello spiegare perché la compagna web contro l’oggettivazione fosse associata a una riduzione di molestie sessuali33.
19Quanto abbiamo visto ci suggerisce che il comportamento molesto può dipendere da una moltitudine di fattori, sia individuali sia situazionali. Solo in rari casi è il desiderio sessuale a spingere alla molestia, mentre più frequentemente sembrano entrare in gioco la percezione di potere e di minaccia della propria identità di genere. Degno di nota è che molto spesso è la semplice esposizione televisiva a donne oggettivate che aumenta l’accessibilità nella memoria delle persone dell’idea di donna come oggetto sessuale, nonché di altri costrutti strettamente correlati, quali il sessismo e le molestie. Una prospettiva teorica a sostegno di questa argomentazione è la “teoria della diffusione dell’attivazione” proposta da Allan Collins ed Elizabeth Loftus nel 1975. Secondo tale approccio, la presentazione e l’elaborazione di uno stimolo con un particolare significato attiva schemi (o costrutti) semanticamente correlati e li richiama alla mente. Questa attivazione rende le informazioni correlate al costrutto temporaneamente molto accessibili, aumentando così la probabilità che persone, stimoli o eventi incontrati successivamente vengano valutati nel contesto dei costrutti attivati. Pertanto, è plausibile pensare che le rappresentazioni televisive o i contenuti visivi di donne oggettivate promuovano l’accessibilità non solo del costrutto della donna come oggetto sessuale, ma anche dei costrutti correlati, come le credenze e le norme stereotipate sul ruolo di genere34.
20Tutte queste informazioni sono sicuramente importanti per capire il fenomeno delle molestie sessuali e cosa motivi le persone (soprattutto gli uomini) a mettere in atto comportamenti di questo tipo. Ma quali sono le conseguenze per le vittime? Nel prossimo paragrafo affronteremo questo tema presentando alcuni dei principali contributi della psicologia sociale che si sono concentrati sull’argomento.
2.2. Le ricerche psicosociali sulle conseguenze delle molestie
21Non c’è dubbio che le molestie sessuali possano avere gravi conseguenze per le vittime e, nel caso di molestie legate al lavoro, anche per l’organizzazione. Diverse metanalisi35 hanno documentato in modo consistente questi esiti negativi36. In particolare, le molestie sessuali possono avere effetti dannosi sulla salute fisica e mentale delle vittime. Per quanto riguarda la salute fisica, gli effetti tipici riguardano i sintomi psicosomatici legati allo stress, come mal di testa, nausea, affaticamento, problemi gastrointestinali, insonnia, inappetenza, perdita di peso, mal di schiena, fastidi articolari e vulnerabilità alle infezioni37. Inoltre, attraverso una ricerca che ha coinvolto 349 studentesse universitarie italiane, Patrizia Romito e colleghe hanno mostrato che le vittime di molestie sessuali presentano disturbi mestruali, che rischiano di diventare cronici, più di frequente rispetto a coloro che non hanno mai vissuto tali esperienze38. Altri/e studiosi/e si sono occupati di indagare l’impatto del fenomeno tra quasi 3000 adolescenti, trovando che l’aver subìto qualsiasi tipo di molestia è significativamente associato all’(ab)uso di sostanze, a comportamenti autolesionistici e a una scarsa soddisfazione per il proprio corpo39. A tal proposito, diversi lavori hanno evidenziato come l’esperienza di molestie sessuali sia associata alla probabilità che si manifestino disturbi alimentari40. Interessante è che questa associazione sembra emergere non solo per le donne, ma anche per gli uomini vittime di molestie41.
22I problemi di salute mentale legati alle molestie sessuali includono depressione, ansia, rabbia, irritabilità e pianto incontrollato. Inoltre, le vittime mostrano spesso sintomi indicativi del disturbo post-traumatico da stress, suggerendo che almeno alcune forme di molestie sessuali dovrebbero essere considerate traumi gravi42. Considerando le conseguenze più ampie e meno specifiche delle molestie sessuali, la letteratura ha generalmente documentato una riduzione del benessere psicologico, della soddisfazione per la propria vita e dell’autostima. I risultati di uno studio che ha coinvolto 759 studenti e studentesse universitari/e ha mostrato che il rischio di disagio mentale tra coloro che hanno subìto molestie sessuali è significativamente più alto. In particolare, è emerso come le vittime di genere maschile tendano a essere colpite da sintomi depressivi e quelle di genere femminile da episodi di ansia e di panico43. In maniera analoga, una ricerca condotta tra adolescenti e preadolescenti in Finlandia ha evidenziato che vivere un episodio di molestia non solo porta a sintomi depressivi ma può anche essere un indicatore della probabilità di mettere in atto comportamenti delinquenziali, come piccoli furti e danneggiamenti di edifici pubblici (ad es., strutture scolastiche). Tali associazioni sono significative per tutti i partecipanti, ma particolarmente forti per i maschi che, come suggerito dagli autori, subendo una molestia sessuale potrebbero sentire minacciata la propria identità maschile e reagire con maggiore intensità44.
23In ambito lavorativo, gli effetti delle molestie sessuali sono emersi come direttamente collegati a cali di rendimento, aumento dei tassi di assenteismo, ritiro dal lavoro, riduzione della soddisfazione lavorativa e diminuzione dell’impegno45. Il calo delle prestazioni è stato studiato anche attraverso un’interessante ricerca sperimentale condotta da Sarah Gervais, Theresa Vescio e Jill Allen. Nel loro studio, a seconda della condizione, i partecipanti (uomini e donne) potevano ricevere uno sguardo sessualmente oggettivante durante un’interazione con una persona dell’altro sesso complice delle ricercatrici o potevano essere guardati negli occhi in modo neutro. Successivamente, veniva chiesto loro di svolgere una serie di problemi di matematica e di compilare un questionario finalizzato all’indagine dell’intenzione di voler interagire con il/la partner una seconda volta. I risultati hanno mostrato che ricevere uno sguardo allusivo e molesto causava una diminuzione delle prestazioni matematiche nelle donne, ma non negli uomini. Inoltre, le autrici hanno notato che le donne (ma non gli uomini) che ricevevano lo sguardo oggettivante riportavano maggiori livelli di motivazione a impegnarsi in interazioni successive con il partner. Una spiegazione fornita dalle studiose circa questi risultati risiede in quella che viene definita “minaccia dello stereotipo”, cioè la paura di confermare lo stereotipo e di essere giudicati in base ad esso. Nel caso dello studio di Gervais e colleghe, ricevere lo sguardo sessualmente allusivo può aver attivato la minaccia dello stereotipo nelle donne, portandole a pensare che il loro aspetto contasse più della competenza e peggiorando il loro rendimento nella performance matematica. Anche l’aumentata motivazione all’interazione con il partner può essere stata attivata dalla minaccia dello stereotipo. Da un lato, lo sguardo oggettivante può aver trasmesso alle donne il messaggio che il loro aspetto è apprezzato, ma dall’altro può aver veicolato l’idea che le loro altre qualità sono meno importanti. Tale svalutazione può, a sua volta, aver innescato la paura di essere socialmente rigettate e reso salienti la preoccupazione per l’appartenenza di gruppo e i legami sociali. Uno sguardo molesto e sessualmente allusivo sembra quindi in grado di innescare un circolo vizioso in cui le donne peggiorano le loro prestazioni ma continuano a interagire con le persone che le hanno portate a ottenere risultati inferiori alle aspettative46.
24In maniera simile, Robin Gay ed Emanuele Castano hanno riscontrato un deficit di prestazioni in compiti cognitivi quando le donne erano oggetto di attenzioni sessuali, un calo che tuttavia gli autori non hanno attribuito alla minaccia dello stereotipo ma all’aumento del carico cognitivo. Alle partecipanti allo studio (solo donne eterosessuali) veniva fatto credere che sarebbero state riprese per girare un video da utilizzare in studi futuri sulla formazione di impressioni. Durante la registrazione, dovevano sfilare e veniva ripreso il loro corpo sia davanti sia dietro. A seconda della condizione sperimentale, la persona che girava il video era un uomo (condizione di oggettivazione sessuale) oppure una donna. Al termine dell’attività, alle partecipanti veniva chiesto di compilare un questionario finalizzato all’indagine dell’auto-oggettivazione – cioè l’interiorizzazione dello sguardo molesto e oggettivante – e di svolgere una serie di compiti semplici ma impegnativi in termini di carico cognitivo. In particolare, veniva mostrata loro una serie di caratteri alfanumerici non ordinati e il loro compito era quello di riscriverli con le lettere elencate in ordine alfabetico e con i numeri in ordine crescente. Ogni volta che eseguivano questo compito, veniva misurato il tempo impiegato. I risultati hanno mostrato che le donne nella condizione di oggettivazione sessuale impiegavano più tempo per risolvere il compito cognitivo; tuttavia, questo effetto era più forte per le donne con maggiori livelli di auto-oggettivazione47.
25Degno di nota è che alcuni lavori hanno indagato e mostrato che anche forme di molestie relativamente lievi, come la mera esposizione a contenuti sessualmente oggettivati, possono avere importanti conseguenze sociali. Nelle pagine precedenti, abbiamo visto come contenuti televisivi che oggettivano e molestano le donne portano a una maggiore accettazione del mito dello stupro e alla propensione alle molestie sessuali. È rilevante che questi stessi contenuti possono impattare negativamente sul benessere di chi viene preso di mira in quelle immagini (generalmente le donne). Attraverso sei esperimenti, Tanja Hundhammer e Thomas Mussweiler hanno reso salienti dei contenuti sessuali attraverso dei compiti di priming. Ai partecipanti veniva chiesto di svolgere delle attività molto semplici al computer, come indicare se una stringa di lettere era o meno una parola; tuttavia, a seconda della condizione sperimentale, prima di vedere la stringa da valutare, i partecipanti potevano vedere per pochi secondi una parola (o un’immagine) legata alla sfera sessuale oppure una parola (o un’immagine) neutra. Al termine del compito, tutti i partecipanti compilavano un questionario sull’identificazione con il proprio genere e sulla categorizzazione di sé come uomo o donna. Inoltre, veniva chiesto loro di svolgere alcune attività sgradevoli non collegate all’esperimento (ad esempio, mangiare il maggior numero possibile di gallette di riso secche, insapori e non salate per un “test del gusto”) con l’obiettivo di indagare il livello di sottomissione, tratto tradizionalmente tipico del genere femminile. I risultati hanno mostrato che i partecipanti esposti in modo subliminale agli inneschi sessuali (in forma verbale o pittorica) si sono descritti in modo più stereotipato e si sono anche comportati in linea con i ruoli di genere tradizionali, con le donne che sono diventate più sottomesse e gli uomini più assertivi e dominanti. In generale, questi risultati suggeriscono che il materiale sessualmente esplicito e allusivo a cui ci si può trovare esposti è in grado di contribuire in modo sottile al mantenimento dei ruoli di genere tradizionali48.
26È importante notare che la gravità delle conseguenze delle molestie sessuali varia notevolmente da un ambiente all’altro e da una vittima all’altra, il che suggerisce che i fattori sociali – come il sostegno percepito – e i fattori personali possano contribuire congiuntamente alla comparsa o alla riduzione degli esiti legati alle molestie. Alcune vittime, infatti, affrontano direttamente il molestatore, mentre altre non sono in grado di agire né direttamente (affrontando il molestatore) né indirettamente (rivolgendosi ad altri) perché temono ritorsioni o si aspettano una mancanza di sostegno. Tra le differenze individuali, è sicuramente importante ricordare che alcune vittime sono più disturbate dalle molestie sessuali rispetto ad altre e alcune ricerche hanno dimostrato come tali valutazioni svolgano un importante ruolo di moderazione degli effetti di questi comportamenti. Attraverso la somministrazione di un questionario a 3001 poliziotti e 1295 poliziotte olandesi, Stans de Haas e colleghi hanno trovato che, sebbene le donne fossero più spesso infastidite dalle molestie sessuali rispetto agli uomini, il genere non moderava la relazione tra molestie sessuali e salute mentale e fisica. Ciò che riduceva l’impatto negativo delle molestie sessuali era invece l’essersi sentiti infastiditi dall’episodio: indipendentemente dall’essere uomini o donne, le vittime che si sentivano infastidite dai comportamenti molesti hanno riportato più problemi di salute mentale e fisica rispetto alle vittime che non si sentivano disturbate dall’accaduto49.
27Uno studio condotto negli stessi anni ha esaminato le differenze nella valutazione dell’episodio molesto e nella gravità dei sintomi di stress post-traumatico tra 105 donne nere che sono state molestate sessualmente da un bianco o da un nero. Le analisi hanno rivelato che le donne hanno valutato le molestie commesse da un bianco in modo più negativo rispetto a quelle commesse da un nero. Inoltre, le molestie commesse da un bianco avevano maggiori probabilità di coinvolgere autori di status più elevato e di includere comportamenti molesti che combinavano etnia e genere contemporaneamente. Ciò che però è interessante notare è che i risultati di questo studio sembrano almeno in parte confermare quanto trovato nel lavoro di de Haas e colleghi descritto in precedenza sul ruolo del sentirsi infastiditi dall’episodio molesto. Nello specifico, ciò che viene trovato dalle autrici è che il fatto di sentirsi disturbati dalla molestia, valutando quindi più gravemente l’accaduto, mitigava gli effetti negativi dell’episodio sulla salute soprattutto nel caso di molestie sessuali commesse da un bianco nei confronti di donne nere perché tali episodi erano percepiti come più offensivi e spaventosi provocando reazioni di stress post-traumatico più gravi50.
28Un’altra importante variabile, già menzionata in precedenza, che sembra moderare gli effetti delle molestie sessuali sulla salute fisica e mentale delle vittime è la presenza o l’assenza di supporto e sostegno sociale. In generale, una metanalisi condotta da Gabriela Topa Cantisano e altri suggerisce che gli effetti dannosi delle molestie sessuali variano notevolmente in funzione del grado di supporto sociale disponibile per la vittima51. In un interessante lavoro di Jennifer Doty e colleghi, le associazioni tra molestie sessuali, conseguenze negative e supporto sociale sono state indagate attraverso la somministrazione di un questionario a un campione molto ampio di ragazzi e ragazze americani di età media pari a 14 anni. I risultati hanno evidenziato che i comportamenti molesti hanno più probabilità di essere messi in atto ed esperiti da studenti delle scuole superiori piuttosto che delle scuole medie e, soprattutto, che la comunicazione con i genitori e gli insegnanti può avere un’importante funzione protettiva dovuta alla necessità di supporto sociale che caratterizza queste situazioni52.
29Tutto quello che è stato visto fino a questo punto riguarda il fenomeno delle molestie sessuali in generale. Come già discusso, le molestie di strada sono una forma particolare di molestie, più subdola e invisibile. Per tale ragione, gli studi psicosociali che si sono occupati della tematica sono una netta minoranza. Nel paragrafo che segue, verranno illustrati i lavori che hanno cercato di fare luce su questa tipologia di comportamenti ancora troppo spesso trascurati e banalizzati.
2.3. Le ricerche psicosociali sulle molestie di strada
30Data la somiglianza tra la definizione di molestie sessuali e quella di molestie di strada, è plausibile pensare che queste due forme di violenza siano spinte dalle stesse motivazioni e abbiano gli stessi effetti sul benessere fisico e psicologico delle vittime. In linea con quanto già detto nelle pagine precedenti, infatti, Margaret Crouch ha concettualizzato le molestie di strada come al servizio di uno scopo molto preciso: mantenere le donne al proprio posto. Secondo l’autrice, le molestie sessuali, e più nello specifico quelle di strada, sono un mezzo utile e funzionale al mantenimento dello status delle donne come subordinate nella società. Lo street harassment viene inoltre definito come uno strumento per tenere le donne in certi luoghi fisici e fuori da altri e per controllare il loro comportamento in quegli spazi53. Il fatto che le molestie di strada avvengano in luoghi pubblici non è affatto irrilevante, ma sta ad indicare che la libertà femminile nella fruizione degli spazi pubblici è ancora precaria e non del tutto completa. In questo senso, gli sguardi, i fischi e gli apprezzamenti hanno la funzione di ribadire una gerarchia sociale esercitando una forma nascosta di controllo. Il messaggio che si cela dietro questi comportamenti, e che in buona parte sembra essere la principale motivazione sottostante le molestie di strada, è che la condizione delle donne altro non è che una condizione di accesso al pubblico diversa rispetto a quella degli uomini, più limitata, e dunque serve a ricordare come il rapporto fra gli uomini e le donne sia necessariamente asimmetrico e disuguale54.
31Anche se lo street harassment può investire tutte le donne, in realtà a farne le spese più spesso sono coloro che, non uniformandosi ai ruoli tradizionali, infrangono le regole relative al loro posto nella società, un posto sancito e segnalato anche da precisi canoni di abbigliamento55. In definitiva, sebbene non ci siano specifiche ricerche a riguardo, le molestie di strada (come quelle sessuali) sembrano trovare la loro origine e il loro principale obiettivo nella manifestazione di potere, nel mantenimento delle disuguaglianze e, in certi casi, nella minaccia dell’identità di genere maschile.
32Anche per quanto riguarda le conseguenze sulle vittime, le molestie di strada sembrano andare di pari passi con quelle sessuali. Uno dei più citati e recenti studi sull’argomento è quello condotto da Maria DelGreco e John Christensen che, somministrando un questionario a 252 partecipanti di sesso femminile hanno fornito un’importante evidenza della relazione tra le esperienze di molestie di strada vissute dalle rispondenti e sintomi di ansia e depressione. Inoltre, gli studiosi hanno osservato che tali effetti negativi possono essere considerati una valida spiegazione del perché esperire molestie di strada comprometta spesso la qualità del sonno delle vittime56. Questi risultati in parte riflettono quelli emersi in un lavoro di poco più datato di Meghan Davidson e colleghi che, utilizzando la stessa metodologia di DelGreco e Christensen, avevano trovato che essere vittime di molestie di strada era associato a un incremento dei livelli di ansia. Degno di nota è che i ricercatori hanno spiegato questa relazione con la diminuzione della percezione di sicurezza degli spazi pubblici riportata dalle rispondenti57. Essere oggetto di attenzioni sessuali non desiderate da parte di sconosciuti in luoghi pubblici non ha solo effetto sul benessere fisico e mentale delle persone, ma influenza anche il modo in cui vengono percepiti e vissuti il mondo circostante e gli spazi affollati e isolati.
33Rachel Carretta e Dawn Szymanski, attraverso l’utilizzo di un questionario presentato a 367 giovani donne americane, hanno esaminato alcuni dei fattori principali connessi al disturbo post-traumatico da stress in seguito a un’esperienza di street harassment. I risultati hanno mostrato che il self-blame, il processo cognitivo per cui un individuo attribuisce a sé stesso il verificarsi di un evento stressante, gioca un ruolo fondamentale. Esso può presentarsi a causa dell’accettazione dei miti dello stupro e può spingere le donne a identificare dei comportamenti passati come responsabili dell’episodio di molestia (ad esempio, indossare determinati indumenti o camminare da sole di notte). Un altro fattore che può spiegare il legame tra molestie di strada e i sintomi del disturbo da stress post-traumatico che emerge da questa interessante ricerca è la vergogna, emozione in grado di innescare paura del rifiuto sociale e sentimenti di imbarazzo, umiliazione e inferiorità. È probabile che le esperienze di molestie da parte di estranei in luoghi pubblici facciano sentire le donne esposte e vulnerabili, suscitando così vergogna e il desiderio di nascondersi dall’attenzione indesiderata. Un altro fattore sul quale le autrici si sono soffermate è il pensiero femminista. Tale coscienza offre un quadro per comprendere il sistema del patriarcato e del sessismo, aiutando le donne a identificare lo street harassment come oppressione di genere e proteggendole dagli effetti dannosi di tali esperienze. L’identificazione con gli ideali femministi sembra quindi svolgere un ruolo protettivo nell’aiutare le donne che hanno subìto molestie di strada a combattere i sentimenti di impotenza associati ai sintomi del disturbo da stress post-traumatico58.
34A proposito di fattori protettivi, nella sezione relativa alle molestie sessuali abbiamo fatto riferimento all’importanza di alcuni fattori individuali, tra i quali le reazioni di chi subisce la molestia. Alcune vittime, infatti, affrontano direttamente il molestatore, mentre altre non sono in grado di agire e reagire. A riguardo, Kimberly Fairchild e Laurie Rudman hanno analizzato le associazioni tra molestie di strada, percezioni di auto-oggettivazione e limitazioni di movimento in un campione di giovani donne adulte, tenendo in considerazione anche le eventuali reazioni alla molestia. I risultati ottenuti da questo studio sono molto interessanti per una serie di ragioni. Prima di tutto, le autrici hanno mostrato che le esperienze di molestie di strada sono positivamente correlate all’auto-oggettivazione delle donne, fornendo quindi una delle prime evidenze circa il collegamento tra l’aver vissuto episodi di molestie in luoghi pubblici e il sentirsi come meri oggetti utili al soddisfacimento dei bisogni altrui. In secondo luogo, le ricercatrici hanno mostrato che tale relazione era vera soprattutto per coloro che affrontavano l’episodio reagendo con strategie passive (ad esempio, di auto-colpevolizzazione), piuttosto che per le donne che utilizzavano strategie di coping attive (ad esempio, affrontare il molestatore). Inoltre, le esperienze di molestie di strada e l’auto-oggettivazione erano positivamente associate con la paura che, a sua volta, aveva degli effetti sulle abitudini comportamentali delle rispondenti (ad esempio, maggiori restrizioni alla libertà di movimento)59. Come vedremo meglio nelle pagine a seguire, parte di queste relazioni trova conferma nella nostra ricerca, dove coloro che hanno riportato di essere stati vittime di molestie di strada negli ultimi quattro anni hanno manifestato maggiori livelli di auto-oggettivazione, ansia e incertezza per il futuro. Tutti sentimenti che, a loro volta, hanno influenzato le abitudini comportamentali dei nostri rispondenti, soprattutto in termini di evitamento60. Tale risultato è in linea con la letteratura teorica sull’argomento, secondo cui al centro della libertà di sentirsi a proprio agio negli spazi pubblici c’è la capacità di attraversarli mantenendo una certa zona di privacy e autonomia61. Se, al contrario, le donne sono soggette alla violazione di quella zona di privacy personale, quella stessa invasione le spinge a tornare nella sfera privata, dove possono evitare tali violazioni. Trasformando le donne in oggetti di attenzioni indesiderate quando si trovano in spazi pubblici, i molestatori trasmettono il messaggio che le donne appartengono solo al mondo del privato. Il cambio di rotta verso casa, la scelta dei posti sui mezzi pubblici, l’uso di cuffie e occhiali da sole per sentirsi invisibili: questi sono tutti esempi di comportamenti che le donne intraprendono regolarmente per evitare molestie sessuali e altre forme di violenza. Donne diverse, in momenti diversi, sono fortemente consapevoli di ciò che le circonda, sintonizzate sulla presenza di uomini sconosciuti. Se considerati in maniera isolata, tali cambiamenti possono essere liquidati come un risultato fastidioso ma necessario del vivere in un mondo in cui occasionalmente degli estranei possono farti del male. Se visti nel corso della vita di una donna, questi adattamenti vengono intesi come la risposta a un messaggio discriminatorio: le donne devono essere meno visibili e meno libere per essere al sicuro62.
35Prima di chiudere il capitolo, riteniamo importante porre l’attenzione su un risultato che sottolinea ulteriormente la pericolosità delle molestie di strada. Attraverso la somministrazione di questionari, Vicki Magley e colleghi hanno scoperto che, indipendentemente dal fatto che le donne considerino o meno le loro esperienze come molestie di strada, subiscono conseguenze negative simili a livello psicologico, lavorativo e sanitario. Dai loro risultati emerge chiaramente che è la molestia, e non il suo riconoscimento o la sua valutazione come episodio stressante, a portare a esiti negativi per il benessere63. Come notato anche dagli studiosi, non tutte le donne definiscono le loro esperienze come molestie, il che suggerisce che il processo di “etichettamento” è così lontano dall’effettiva esperienza di essere molestati che non ha senso aspettarsi che un riconoscimento del fenomeno possa influenzarne gli esiti psicologici. A questo proposito, esiste una letteratura relativamente ampia che documenta come, alla domanda su cosa costituisca una molestia, gli individui siano propensi a citare comportamenti sessualmente coercitivi, ma non diano invece risposte chiare sulle attenzioni sessuali indesiderate. Pertanto, una possibile ragione per cui le donne potrebbero non etichettare le loro esperienze come molestie è che la particolare situazione vissuta attraverso una molestia di strada non è conforme alla loro personale definizione di molestia64. Tale risultato è emerso anche nella nostra ricerca e, alla luce delle considerazioni appena fatte, rende ancora più palese quanto lavoro sia necessario fare per sensibilizzare e rendere riconoscibile un fenomeno tutt’oggi invisibile anche se sotto gli occhi di tutti.
Notes de bas de page
1 I dati di questa indagine, condotta da Hollaback! (ora nota come Right To Be), organizzazione non-profit impegnata nella lotta contro le molestie di strada, in collaborazione con la Cornell University, sono consultabili sul sito https://www.ilr.cornell.edu/worker-institute/blog/research-and-publications/ilr-and-hollaback-release-largest-analysis-street-harassment-date [ultima consultazione 10.10.2022]. Cfr. anche capitolo 1.
2 Cfr. capitolo 3.
3 Cfr. capitolo 1.
4 A. Maass, M. Cadinu, S. Galdi, Sexual harassment: Motivations and consequences, in M. K. Ryan e N. R. Branscombe (a cura di), The Sage handbook of gender and psychology, New York, SAGE Publications, Ltd, 2014, pp. 341-358.
5 Ibidem.
6 J. L. Berdahl, The sexual harassment of uppity women, “Journal of Applied Psychology”, 92, 2007, pp. 425-437.
7 J. A. Bargh, P. Raymond, J. Pryor, F. Strack, Attractiveness of the underling: An automatic power sex association and its consequences for sexual harassment and aggression, “Journal of Personality and Social Psychology”, 68, 1995, pp. 768-781.
8 Cfr. nota 4.
9 A. Maass, M. Cadinu, G. Guarnieri, A. Grasselli, Sexual harassment under social identity threat: The computer harassment paradigm, “Journal of Personality and Social Psychology”, 85, 2003, pp. 853-870.
10 E. Dall’Ara, A. Maass, Studying sexual harassment in the laboratory: Are egalitarian women at higher risk?, “Sex Roles”, 41, 2000, pp. 681-704. Si veda anche A. Maass, M. Cadinu, Protecting a threatened identity through sexual harassment: A social identity interpretation, in R. Brown e D. Capozza (a cura di), Social identities: Motivational, emotional, cultural influences, Hove, UK, Psychology Press, 2006, pp. 109-131.
11 Cfr. capitolo 5.
12 E. Dall’Ara, A. Maass, Studying sexual harassment in the laboratory: Are egalitarian women at higher risk?, “Sex Roles”, 41, 2000, pp. 681-704.
13 Cfr. nota 4.
14 Melania Rea è stata assassinata nel bosco di Colle San Marco (Ascoli Piceno) il 18 aprile 2011. Salvatore Parolisi, caporal maggiore dell’Esercito italiano, mise fine alla vita della moglie con 35 coltellate per non dover chiedere il divorzio e perdere così i privilegi di erede e i diritti di padre.
15 Cfr. nota 9.
16 C. J. Hunt, K. Gonsalkorale, Who cares what she thinks, what does he say? Links between masculinity, in-group bonding and gender harassment, “Sex Roles”, 70, 2014, pp. 14-27.
17 F. Siebler, S. Sabelus, G. Bohner, A refined computer harassment paradigm: Validation, and test of hypotheses about target characteristics, “Psychology of Women Quarterly”, 32, 2008, pp. 22-35. Cfr. anche nota 8.
18 M. S. Stockdale, M. Visio, L. Batra, The sexual harassment of men: Evidence for a broader theory of sexual harassment and sex discrimination, “Psychology, Public Policy, and Law”, 5, 1999, pp. 630-664.
19 Cfr. nota 9.
20 S. L. Bartky, Femininity and domination: Studies in the phenomenology of oppression, New York, Routledge, 1990. Si veda anche B. L. Fredrickson, T. A. Roberts, Objectification theory: Toward understanding women’s lived experiences and mental health risks, “Psychology of Women Quarterly”, 21, 1997, pp. 173-206.
21 J. L. Andsager, K. Roe, Country music video in country’s year of the woman, “Journal of Communication”, 49, 1999, pp. 69-82; J. J. Arnett, The sounds of sex: Sex in teens’ music and music videos, in J. D. Brown, J. R. Steele, K. Walsh-Childers (a cura di), Sexual teens, sexual media: Investigating media’s influence on adolescent sexuality, Londra, Routledge, 2002, pp. 253-264; L. M. Ward, Talking about sex: Common themes about sexuality in the prime-time television programs children and adolescents view most, “Journal of youth and adolescence”, 10, 1995, pp. 595-615.
22 C. A. Lin, Uses of sex appeals in prime-time television commercials, “Sex Roles”, 38, 1998, pp. 461-475.
23 R. R. Valtorta, A. Sacino, C. Baldissarri, C. Volpato, L’eterno femminino. Stereotipi di genere e sessualizzazione nella pubblicità televisiva, “Psicologia Sociale”, 11, 2016, pp. 159-188.
24 G. Fouts, K. Burggraf, Television situation comedies: Female weight, male negative comments, and audience reactions, “Sex Roles”, 42, 2000, pp. 925-932.
25 B. Montemurro, Not a laughing matter: Sexual harassment as “material” on workplace-based situation comedies, “Sex Roles”, 48, 2003, pp. 433-445.
26 E. Grauerholz, A. King, Prime time sexual harassment, “Violence Against Women”, 3, 1997, pp. 129-148.
27 Cfr. nota 4.
28 R. T. Hitlan, J. B. Pryor, M. S. Hesson-McInnis, M. Olson, Antecedents of gender harassment: An analysis of person and situation factors, “Sex Roles”, 61, 2009, pp. 794-807.
29 L. A. Rudman, E. Borgida, The afterglow of construct accessibility: The behavioral consequences of priming men to view women as sexual objects, “Journal of Experimental Social Psychology”, 31, 1995, pp. 493-517.
30 Con “mito dello stupro” ci si riferisce a false credenze riguardo le caratteristiche delle vittime di aggressione, dell’aggressore e del contesto in cui la violenza avviene, portando quindi a riconoscere come stupri e violenze solo i casi più estremi.
31 K. Driesmans, L. Vandenbosch, S. Eggermont, Playing a videogame with a sexualized female character increases adolescents’ rape myth acceptance and tolerance toward sexual harassment, “Games for Health Journal”, 4, 2015, pp. 91-94. Si vedano anche K. E. Dill, B. P. Brown, M. A. Collins, Effects of exposure to sex-stereotyped video game characters on tolerance of sexual harassment, “Journal of Experimental Social Psychology”, 44, 2008, pp. 1402-1408; K. Vance, M. Sutter, P. B. Perrin, M. Heesacker, The media’s sexual objectification of women, rape myth acceptance, and interpersonal violence, “Journal of Aggression, Maltreatment & Trauma”, 24, 2015, pp. 569-587.
32 A. Gabbiadini, P. Riva, L. Andrighetto, C. Volpato, B. J. Bushman, Acting like a tough guy: Violent-sexist video games, identification with game characters, masculine beliefs, and empathy for female violence victims, “PLoS one”, 11, 2016, e0152121.
33 F. Guizzo, M. Cadinu, Women, not objects: Testing a sensitizing web campaign against female sexual objectification to temper sexual harassment and hostile sexism, “Media Psychology”, 24, 2021, pp. 509-537.
34 A. M. Collins, E. F. Loftus, A spreading-activation theory of semantic processing, “Psychological Review”, 82, 1975, pp. 407-428.
35 La metanalisi è una tecnica statistica molto utilizzata in psicologia che permette di combinare i dati di più studi condotti su di uno stesso argomento, generando un unico dato conclusivo per rispondere a uno specifico quesito.
36 G. T. Cantisano, J. M. Domínguez, M. Depolo, Perceived sexual harassment at work: Meta-analysis and structural model of antecedents and consequences, “The Spanish Journal of Psychology”, 11, 2008, pp. 207-218; L. M. Lapierre, P. E. Spector, J. D. Leck, Sexual versus nonsexual workplace aggression and victims’ overall job satisfaction: A meta-analysis, “Journal of Occupational Health Psychology”, 10, 2005, pp. 155-169; C. R. Willness, P. Steel, K. Lee, A meta‐analysis of the antecedents and consequences of workplace sexual harassment, “Personnel Psychology”, 60, 2007, pp. 127-162.
37 P. McDonald, P., Workplace sexual harassment 30 years on: A review of the literature, “International Journal of Management Reviews”, 14, 2012, pp. 1-17.
38 P. Romito, C. Cedolin, F. Bastiani, L. Beltramini, M. J. Saurel-Cubizolles, Sexual harassment and menstrual disorders among Italian university women: A cross-sectional observational study, “Scandinavian Journal of Public Health”, 45, 2017, pp. 528-535.
39 M. M. Bucchianeri, M. E. Eisenberg, M. M. Wall, N. Piran, D. Neumark-Sztainer, Multiple types of harassment: Associations with emotional well-being and unhealthy behaviors in adolescents, “Journal of Adolescent Health”, 54, 2014, pp. 724-729.
40 P. Romito, C. Cedolin, F. Bastiani, M. J. Saurel-Cubizolles, Disordered eating behaviors and sexual harassment in Italian male and female university students, “Journal of Interpersonal Violence”, 34, 2019, pp. 2960-2974; S. Ø. Stensland, S. Thoresen, T. Wentzel-Larsen, G. Dyb, Interpersonal violence and overweight in adolescents: The HUNT Study, “Scandinavian Journal of Public Health”, 43, 2015, pp. 18-26.
41 Ibidem.
42 Si veda C. Avina, W. O’Donohue, Sexual harassment and PTSD: Is sexual harassment diagnosable trauma?, “Journal of Traumatic Stress: Official Publication of The International Society for Traumatic Stress Studies”, 15, 2002, pp. 69-75.
43 F. Bastiani, P. Romito, P., M. J. Saurel-Cubizolles, Mental distress and sexual harassment in Italian university students, “Archives of Women’s Mental Health”, 22, 2019, pp. 229-236.
44 R. Kaltiala-Heino, S. Fröjd, M. Marttunen, Sexual harassment and emotional and behavioural symptoms in adolescence: Stronger associations among boys than girls, “Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology”, 51, 2016, pp. 1193-1201.
45 Si veda K. T. Schneider, S. Swan, L. F. Fitzgerald, Job-related and psychological effects of sexual harassment in the workplace: empirical evidence from two organizations, “Journal of Applied Psychology”, 82, 1997, pp. 401-415.
46 S. J. Gervais, T. K. Vescio, J. Allen, What you see is what you get: The consequences of the objectifying gaze of women and men, “Psychology of Women Quarterly”, 35, 2011, pp. 5-17.
47 R. K. Gay, E. Castano, My body or my mind: The impact of state and trait objectification on women’s cognitive resources, “European Journal of Social Psychology”, 40, 2010, pp. 695-703.
48 T. Hundhammer, T. Mussweiler, How sex puts you in gendered shoes: Sexuality-priming leads to gender-based self-perception and behavior, “Journal of Personality and Social Psychology”, 103, 2012, pp. 176-93.
49 S. de Haas, G. Timmerman, M. Hoeing, Sexual harassment and health among male and female police officers, “Journal of Occupational Health Psychology”, 14, 2009, pp. 390-401.
50 K. C. Woods, N. T. Buchanan, I. H. Settles, Sexual harassment across the color line: Experiences and outcomes of cross- versus interracial sexual harassment among Black women, “Cultural Diversity and Ethnic Minority Psychology”, 15, 2009, pp. 67-76.
51 Cfr. nota 36.
52 J. L. Doty, A. L. Gower, J. H. Rudi, B. J. McMorris, I. W. Borowsky, Patterns of bullying and sexual harassment: Connections with parents and teachers as direct protective factors, “Journal of Youth and Adolescence”, 46, 2017, pp. 2289-2304.
53 M. Crouch, Sexual harassment in public places, “Social Philosophy Today”, 25, 2009, pp. 137-148.
54 M. G. Pacilli, Quando le persone diventano cose: corpo e genere come uniche dimensioni di umanità, Bologna, il Mulino, 2014.
55 A. Lahsaeizadeh, E. Yousefinejad, Social aspects of women’s experiences of sexual harassment in public places in Iran, “Sexuality & Culture”, 16, 2012, pp. 17-37.
56 M. DelGreco, J. Christensen, Effects of street harassment on anxiety, depression, and sleep quality of college women, “Sex Roles”, 82, 2020, pp. 473-481.
57 M. M. Davidson, M. S. Butchko, K. Robbins, L. W. Sherd, S. J. Gervais, The mediating role of perceived safety on street harassment and anxiety, “Psychology of Violence”, 6, 2016, pp. 553-562.
58 R. F. Carretta, D. M. Szymanski, Stranger harassment and PTSD symptoms: Roles of self-blame, shame, fear, feminine norms, and feminism, “Sex Roles”, 82, 2020, pp. 525-540.
59 K. Fairchild, L. A. Rudman, Everyday stranger harassment and women’s objectification, “Social Justice Research”, 21, 2008, pp. 338-357.
60 R. R. Valtorta, C. Sparascio, R. Cornelli, C. Volpato, Street harassment and its negative psychological outcomes in an Italian university population, “Psicologia Sociale”, 17, 2022, pp. 245-276. Cfr anche capitolo 4.
61 C. G. Bowman, Street harassment and the informal ghettoization of women, “Harvard Law Review”, 106, 1993, pp. 517-580.
62 F. Vera-Gray, L. Kelly, Contested gendered space: Public sexual harassment and women’s safety work, “International Journal of Comparative and Applied Criminal Justice”, 44, 2020, pp. 265-275.
63 V. J. Magley, C. L. Hulin, L. F. Fitzgerald, M. DeNardo, Outcomes of selflabeling sexual harassment, “Journal of Applied Psychology”, 84, 1999, pp. 390-402.
64 Si vedano P. A. Frazier, C. C. Cochran, A. M. Olson, Social science research on lay definitions of sexual harassment, “Journal of Social Issues”, 51, 1995, pp. 21-37; D. E. Terpstra, D. D. Baker, A hierarchy of sexual harassment, “The Journal of Psychology”, 121, 1987, pp. 599-605. Cfr. anche capitolo 4.
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