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XIV. Nazionalismo e internazionalismo

p. 199-206


Texte intégral

1Questa sarà l’ultima lezione in cui ci occuperemo dei problemi politici, quelli inclusi nella seconda delle categorie con cui abbiamo classificato i problemi della filosofia sociale e politica. Durante le lezioni più recenti abbiamo parlato dei problemi dello stato. Oggi discuteremo dei problemi politici sul piano internazionale e delle loro relazioni con lo stato.

2All’inizio di questo ciclo di incontri, ho suggerito che tutta la filosofia sociale e politica consiste nello sforzo di comprendere e fornire un quadro teoretico per lo studio dei conflitti che sorgono quando gruppi differenti all’interno di una società, o di differenti società, perseguono scopi incompatibili. I conflitti di cui ci occuperemo oggi sono quelli che nascono quando la gente dimostra ostilità verso chi proviene da un luogo differente, e rifiuta di fare gli sforzi necessari per comunicare con loro. Estendendo questa idea, osserviamo che persone appartenenti a uno stato trattano quelli che vengono da un altro paese con sospetto e ostilità ancor maggiori. Tutti questi conflitti sono di natura psicologica, tanto quelli fra gruppi differenti all’interno di una data società, quanto quelli fra persone di nazioni differenti. Fra gli esseri umani c’è una forte tendenza a temere gli sconosciuti, e più gli sconosciuti sono diversi da noi, più diventa probabile che li tratteremo con spregio. Parliamo di loro addirittura come selvaggi o barbari. E dal momento che popoli differenti hanno talvolta standard morali diversi, le persone tendono a considerare quelli che differiscono da loro moralmente inferiori, o persino immorali. Questi fatti, e altri simili, danno l’idea dell’incidenza di questo genere di conflitto fra i popoli. Quando un gruppo avverte l’urgenza di estendere il raggio del proprio potere e della propria influenza spesso invade i territori di un altro gruppo, e quindi sorge un conflitto – o, se l’azione avviene a livello internazionale, una guerra. In quest’ultima forma, diviene la fonte dei problemi internazionali.

3Il problema è così ovvio da non richiedere ulteriori commenti. Tutti sappiamo che ognuno ha, chi più chi meno, rapporti di lealtà determinati dalle relazioni geografiche. Le persone che vivono nello stesso villaggio, o anche nella stessa provincia, in maniera più o meno naturale nutrono sentimenti di lealtà basati su fattori geografici. L’estensione logica di questa idea ci porta al concetto di fedeltà alla nazione. Quest’idea di lealtà geografica si esprime in due modi: da una parte, le persone tendono a collaborare e a dare supporto agli altri membri del loro gruppo; dall’altra c’è la tendenza a guardare con sospetto o ostilità i membri di altri raggruppamenti geografici. Quando emergono delle difficoltà, le persone si uniscono ai loro vicini o ai loro compatrioti in un conflitto aperto contro quelli che sono fedeli a qualcun altro.

4Al giorno d’oggi, l’idea di stato-nazione ci è così famigliare che quasi ci dimentichiamo quanto sia relativamente recente il suo sviluppo storico. Con alcune importanti eccezioni, si può dire che sia una creazione del xix secolo. Prima della comparsa dello stato-nazione come unità, la fedeltà geografica era limitata soprattutto al livello del villaggio, della città, o della provincia.

5Sebbene, come abbiamo appena notato, lo stato-nazione non sia divenuto l’unità tipica dell’organizzazione politica sino al xix secolo, erano senza dubbio esistiti stati-nazione prima di allora. Il fatto che le isole che la compongono fisicamente fossero isolate dal continente europeo fu indubbiamente uno dei fattori che spinse la Gran Bretagna a diventare uno dei primi stati-nazione nel senso moderno. Successivamente comparvero stati-nazione come Spagna, Olanda e Francia, ma il numero di tali unità rimase basso fino al xix secolo. La Germania era composta da più di un migliaio di piccoli principati, e anche l’Italia era formata da una serie di ducati, repubbliche e principati, alcuni dei quali si facevano guerra tra loro. Fu solo a metà del xix secolo che Germania e Italia si unificarono rispettivamente in stati-nazione, e, nel senso in cui ne stiamo parlando, il Giappone di fatto non acquisì tale status fino alla restaurazione Meji nel 1869. Anche adesso, molti paesi stanno cercando di diventare stati-nazione e di prendere il posto che spetta loro nella famiglia delle nazioni – Polonia, Boemia, Armenia, India, Irlanda, e tanti altri ancora. Si vede che lo stato-nazione è, a tutti gli effetti, qualcosa di nuovo sotto il sole.

6Lo sviluppo del nazionalismo ha comportato effetti sia positivi che negativi. È positivo il fatto che l’idea di lealtà geografica sia stata estesa a livello nazionale. La comparsa dello stato-nazione ha aiutato a sedare, o almeno a mitigare, i conflitti fra piccoli gruppi, portando le persone a far parte della più inclusiva comunità-stato, creando l’idea di simpatia e fedeltà nazionale. L’altro lato della medaglia è che ha anche comportato ostilità verso altri stati. Prima della nascita dello stato-nazione, la guerra raramente coinvolgeva i sentimenti degli uomini, e i soldati venivano arruolati come mercenari, capaci di combattere prontamente per un padrone come per il suo nemico. Oggi, al contrario, ogni stato possiede il suo Geist, e la guerra coinvolge l’intera società e tutti i suoi membri, così come le sue istituzioni – quelle industriali, commerciali, e educative. Appena prima che esplodesse la recente guerra mondiale, l’Europa era diventata una vera polveriera, con tutte le nazioni che tenevano i propri eserciti in stato di allerta. E quando la guerra arrivò, fu guerra totale; nessuno sfuggiva alle sofferenze che imponeva. Sì, il prezzo del nazionalismo è stato alto.

7Un’idea vicina a quella di stato-nazione è quella di sovranità, l’idea che lo stato sia l’autorità suprema nel governo del popolo all’interno dei propri confini e non sia tenuto a rispondere a un’autorità più elevata. Lo stato ha il potere di legiferare, amministrare, e giudicare – e non tollera alcuna interferenza esterna nell’esercizio di questi poteri. La conseguenza logica dell’applicazione di questo concetto di sovranità ai singoli stati-nazione del mondo è, senza dubbio, l’anarchia internazionale. Lo sviluppo storico della politica internazionale e quello della politica interna comportano soluzioni che sono diametralmente opposte le une alle altre. Quando, nella lezione precedente, abbiamo parlato della politica interna di un dato stato, abbiamo notato che, in pratica, la tendenza generale andava dall’autoritarismo alla democrazia, da un governo irresponsabile a uno che deve rispondere al popolo, dal dispotismo a un governo con poteri sensibilmente ristretti. Ma sullo scenario internazionale la storia è stata esattamente l’opposto; ogni stato detta legge per se stesso, non deve rispondere a nessuna istituzione a esso superiore, e il risultato è l’anarchia internazionale.

8In una tale epoca di anarchia internazionale, c’è un disperato bisogno di un diritto internazionale che, nella migliore delle ipotesi, possa garantire un pochino di ordine fra le nazioni. Ma è estremamente improbabile che anche quella piccola legge internazionale che ora abbiamo sui libri possa funzionare in tal maniera. L’effettività di una legge dipende dall’esistenza di un ramo esecutivo che sia pubblicamente riconosciuto. Tuttavia, per come si configura oggi, tale diritto internazionale non ha né un tribunale che formuli giudizi né un’autorità esecutiva che faccia rispettare tali decisioni. Quando il mondo è in pace, la legge internazionale funziona a meraviglia, ma non appena emergono delle difficoltà la sua efficacia svanisce. Per esempio, nella recente guerra mondiale, ogni contendente accusava l’altro di aver violato il diritto internazionale – ed è un dato di fatto che le accuse di entrambi gli schieramenti fossero fondate, perché entrambi violarono il diritto internazionale. Eppure, è difficile meravigliarsi di ciò dal momento che lo stesso diritto internazionale non è diventato legge, perché la legge non può riconoscere la legalità della guerra. Le leggi interne dello stato non riconoscono la legittimità della guerra. Ma la legge internazionale concede questo riconoscimento, e vara anche una quantità minima di regole che si suppone debbano essere osservate (ma che, come abbiamo visto, non lo sono) dalle nazioni in guerra le une con le altre. Dunque essa ha perso la propria efficacia, e non può nulla per attenuare la situazione di anarchia internazionale. I trattati fra nazioni possono integrare il diritto internazionale, ma allo stato attuale, nemmeno essi sono efficaci. I trattati sono fondati sull’equilibrio di potere fra le nazioni contraenti; dato che ogni parte tenta di aumentare il proprio potere, prima o poi le cose si sbilanciano, sorgono tensioni, e inizia la guerra – a dispetto delle misure previste dal trattato.

9Tuttavia le persone cominciano a mal sopportare l’anarchia internazionale, e nonostante lo sviluppo del nazionalismo, stanno coltivando nuove forze per unire le nazioni separate del mondo. Si tratta di energie transnazionali, come la scienza, le arti figurative, la letteratura, la religione, il turismo, i servizi postali, il commercio, la finanza, e una quantità crescente di altre attività che non tengono conto dei confini nazionali. Tutte queste sono, in un modo o nell’altro, forze che contrastano la separazione delle nazioni. Gli sviluppi delle scienze in un paese sono divulgati e applicati in altre nazioni. Anche la religione, in maniera piuttosto considerevole, costituisce uno di questi fattori unificanti. La cristianità ha raggiunto gli angoli più remoti della terra; il buddismo è popolare in Cina, Giappone, India e Corea, come lo è nel Sud-Est asiatico. Potremmo moltiplicare gli esempi che testimoniano l’insofferenza dell’uomo nei confronti dell’anarchia internazionale, e la sua volontà di sviluppare forze transnazionali che tendano a unire piuttosto che a dividere il mondo.

10La funzione unificante dell’attività economica si è dimostrata essere più incisiva degli sforzi atti a perseguire l’unificazione del mondo attraverso la vita spirituale e religiosa dell’uomo. L’incremento dei commerci internazionali ha, in un certo senso, già unito il mondo. Un cambiamento nel prezzo dell’oro, dell’argento, del cotone, dell’orzo, o del riso in una nazione influenzerà l’andamento dei prezzi negli altri paesi. Come il mondo diviene più unito nelle questioni economiche e spirituali, i popoli divengono sempre più insofferenti nei confronti di quel tipo di politica che tenta di tenerli isolati in campi separati.

11Esistono due forze opposte che oggi operano nel mondo: da un lato, le tendenze unificatrici nella sfera economica e in quella spirituale hanno generato un’avversione crescente verso l’anarchia internazionale; dall’altro, i governi dei vari stati-nazione paiono impegnati in politiche che inevitabilmente conducono alla guerra. E la guerra oggi è di gran lunga più seria di quanto fosse in epoche passate. Ci sono due ragioni che spiegano la distruttività e la dirompenza della guerra moderna. Primo, la tecnologia ha prodotto nuovi strumenti bellici, di cui il sottomarino e l’aeroplano costituiscono due esempi. Armi tradizionalmente distruttive, come l’arco e la freccia, la pistola, il cannone, e così via, sembra non siano state inventate per scopi bellici; ma nella disperazione della guerra, le persone sono ricorse al loro impiego, e hanno cominciato a essere considerate soprattutto armi militari. Siccome la tecnologia moderna ha prodotto così tanti strumenti dal potere indicibilmente distruttivo, ogni guerra che scoppierà in futuro renderà tutte le guerre precedenti, compresa l’orribile guerra mondiale recentemente conclusasi, pallide e insignificanti. Il secondo fattore è semplicemente questo: da quando la guerra è divenuta una questione di tecnologia applicata in maniera così spiccata, non coinvolge più solo eserciti e flotte, ma l’intera economia delle nazioni in essa coinvolte. Quando la guerra scoppia, la capacità produttiva della nazione deve essere immediatamente riconvertita a vantaggio della produzione militare; la produzione di beni civili viene ridimensionata, e l’intera economia nazionale deve essere gestita in funzione degli scopi militari. In seguito, a guerra conclusa, sono richiesti anni di tempo, energia smisurata, e grande ingegno per riorganizzare l’industria secondo i criteri produttivi dei periodi di pace, e per riedificare e ricostruire le strutture distrutte dalla devastazione bellica.

12Per queste ragioni sempre più persone giungono alla conclusione che deve essere fatto qualcosa per sostituire un’anarchia internazionale che dimostra di avere un costo così esorbitante in termini di benessere umano. Ora c’è più gente che crede che i principi che operano in seno al sistema politico democratico dello stato possano essere estesi a livello internazionale, e che sia per noi possibile avere un’organizzazione internazionale responsabile ed efficace. Questo non sarà un obiettivo facile da raggiungere. Ciò che serve è una fondamentale ricostruzione del mondo – una ricostruzione che sarà possibile solo attraverso la cooperazione dei governi interni ai vari stati-nazione. Un primo passo necessario sarà lo sviluppo della cooperazione, all’interno di un quadro giuridico, fra i diversi governi.

13Fino ai giorni nostri, i popoli in quanto tali non hanno avuto voce in tutto quello che riguarda la pianificazione della politica estera, e perciò non è stato possibile estendere i principi propri della politica democratica interna alle relazioni internazionali. Pure in quei casi in cui le politiche interne di uno stato sono di natura assolutamente democratica, la sua politica diplomatica rimane ancora sotto il controllo di pochi ufficiali governativi. Questo è qualcosa che va cambiato. Le persone devono interessarsi, informarsi, chiedere di avere voce nella politica estera del proprio governo, di certo ci sono poche speranze di avere un’organizzazione internazionale responsabile a meno che non ci siano politiche estere democratiche all’interno degli stati-nazione che costituiscano questa medesima organizzazione.

14L’insofferenza di così tanti popoli verso l’anarchia internazionale fu la ragione primaria dell’entusiasmo con cui così tante nazioni accolsero la proposta del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson di costituire una Lega delle Nazioni. Era una proposta che avrebbe mutato la situazione mondiale di anarchia, dandole un governo internazionale responsabile. Vi erano misure concrete per la legislazione internazionale, l’amministrazione, la sfera giudiziaria – misure che avrebbero messo fine alla sovranità assoluta, e avrebbero reso inutili alleanze offensive e difensive e altri trattati simili fra coppie di nazioni. Era un progetto per una soluzione in cui tutti i poteri inerenti la legislazione internazionale, l’amministrazione, e la giustizia sarebbero stati esercitati da un’organizzazione internazionale competente. Non c’è bisogno di andare oltre nei dettagli, notiamo solo come l’impazienza nei confronti dell’anarchia internazionale portò milioni di persone a salutare con gratitudine e sollievo la proposta del presidente Wilson per una Lega delle Nazioni.

15Non è necessario che vi dica del disappunto e dello scoraggiamento che molti di noi hanno provato durante l’anno passato di fronte al fallimento di altri suggerimenti del presidente Wilson per realizzare organizzazioni internazionali. Alcune nazioni miopi hanno perseguito il proprio vantaggio, e hanno lucrato a spese delle nazioni sconfitte in guerra. Queste sono cose risapute. Ma il disappunto è momentaneo, non permanente. Confido nel fatto che le tendenze di cui ho parlato siano, di fatto, operative, e che la situazione mondiale sia destinata a migliorare.

16È difficile prevedere come la Lega delle Nazioni possa incaricarsi con successo delle funzioni per cui è stata creata, ma ci sono già alcuni sviluppi che suggeriscono ottimismo. Il primo di questi sviluppi è che si tratta di uno strumento di arbitraggio. La sua importanza non riposa solo sul fatto che può formulare un giudizio equo in caso di disputa, ma, fatto ancor più importante, può ritardare l’esplosione di una guerra. Quando un membro della Lega delle nazioni è coinvolto, il tribunale arbitrale deve prima di tutto svolgere un’indagine sulla situazione della nazione-membro prima che questa possa entrare in guerra. E può darsi il caso che, mentre l’indagine procede, i popoli delle nazioni coinvolte riescano a moderare i propri umori, e si dimostrino meno disposti a imbarcarsi in operazioni belliche dispendiose e devastanti. In questo modo il numero di guerre verrà senza dubbio sensibilmente ridotto, perché allo stato attuale ci sono davvero poche persone al mondo che vogliono la guerra.

17Il secondo motivo per cui l’ottimismo è giustificato è la riduzione degli armamenti. Fino a poco tempo fa la gente credeva erroneamente che il miglior modo per garantire la pace fosse prepararsi alla guerra, godendo di una sorta di tregua armata permanente; ma fortunatamente questa opinione sta scomparendo. Le persone hanno iniziato a realizzare che le nazioni hanno tutta l’intenzione di impiegare ciò per cui hanno speso soldi e fatica. Quando una casalinga prende un nuovo coltello, vuole usarlo il prima possibile, e tenerlo splendente e affilato il più a lungo possibile. La stessa cosa capita quando uno stato si sobbarca grossi eserciti e flotte – la tentazione di usarli, o almeno di minacciare di usarli, diventa troppo forte per essere sopportata. Ma iniziare una guerra è una cosa; fermarla un’altra. Nessuno vince una guerra al giorno d’oggi; l’onere dei vincitori è grande tanto quanto quello dei vinti. Spero con tutto il mio cuore che arrivi presto – e quando dico presto, intendo dire l’anno prossimo o nei prossimi due – il tempo in cui si richiederà in modo davvero irresistibile la riduzione degli armamenti e la formazione di un autentico governo mondiale.

18La terza ragione per un giustificato ottimismo è la dimostrazione che abbiamo avuto nei due anni passati di come la diplomazia aperta sia almeno possibile. Tradizionalmente, la politica diplomatica è stata segreta; infatti, certi accordi raggiunti fra i diplomatici più di un secolo fa non sono ancora di dominio pubblico. Ma i giorni della diplomazia segreta stanno finendo; la gente non è mai stata così informata come oggi, e l’opinione pubblica sta diventando più influente. Quando avremo una diplomazia aperta, e mi pare che sia necessario averla, avremo fatto un lungo passo verso un’organizzazione internazionale efficace.

19Correlata a quest’ultimo, ma elencabile anche come quarto motivo di ottimismo, è la possibilità di un’ingerenza pubblica nella politica diplomatica. La partecipazione pubblica alle decisioni diplomatiche segnerà un cambiamento drastico nella politica di vecchia data, secondo cui la politica estera non doveva solo essere segreta, ma doveva essere gestita da un numero ristretto di diplomatici e altri funzionari governativi. In ogni caso, oggi, sappiamo che non è vero che le decisioni diplomatiche non sono materia per il popolo, che nel suo insieme gioca un ruolo nelle relazioni diplomatiche del proprio stato paragonabile a quello dei diplomatici e dei funzionari di governo che appongono le firme sui documenti. Spero di vedere da parte dell’opinione pubblica una richiesta crescente di voce in capitolo nella determinazione delle politiche estere del proprio governo. Un tale movimento ridurrà la possibilità di una guerra, poiché i popoli nel loro insieme si oppongono a essa, ora che hanno imparato quanto sia enorme l’interesse che ogni singola persona ha in questo.

20In conclusione, non sto parlando di pace come mera assenza di conflitto armato – una concezione passiva che incontriamo troppo frequentemente. Pure gli uomini non patriottici, i codardi e i ricchi che vogliono evitare di perdere i propri soldi possono desiderare questo tipo negativo di pace. Tuttavia dobbiamo lavorare per una pace positiva, fondata su una comune iniziativa costruttiva intrapresa su scala internazionale. Come è vero che una nazione cresce forte coinvolgendo il proprio popolo in attività costruttive su vasta scala, il mondo si svilupperà più forte, e il pericolo della guerra scomparirà, quando le nazioni parteciperanno insieme a iniziative propositive che contribuiscono al loro comune benessere. Credo che si possa guardare a un tempo in cui finalmente la vita associata avrà luogo su scala mondiale, e l’umanità vivrà in una società che trascende tutte le barriere nazionali e linguistiche.

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