3. L’uso politico della cancel culture in Italia: strane convergenze con l’ideologia del gender
p. 62-84
Texte intégral
1Nel nostro paese, dunque, la cancel culture è un prodotto giornalistico: è, infatti, nel discorso mediatico che ha preso forma, o meglio, che ha assunto le diverse forme che abbiamo illustrato nel capitolo precedente. Come gli studiosi dei media hanno messo in evidenza, però, è proprio a partire dal discorso mediatico e dalle sue “logiche” che si definiscono, nella società contemporanea, forme e contenuti del discorso politico (Altheide 2004). È proprio così, infatti, che la cancel culture, declinata di volta in volta come censura, pensiero unico o politicamente corretto – espressione, quest’ultima, sempre accompagnata da sostantivi che ne mettono in evidenza un supposto potere coercitivo: fra tutti, “dittatura” – è entrata prepotentemente nel discorso politico. Questo processo ha rafforzato le istanze dei gruppi e dei partiti più conservatori, in particolare, ma ha raccolto anche, qua e là, le preoccupazioni di esponenti del fronte opposto. Il grande tema attorno al quale la retorica politica anti-cancel culture ha trovato terreno fertile è, ancora una volta, quello del genere, o meglio del “gender”.
2Nel primo capitolo abbiamo illustrato come quella del cancellare sia una pratica originariamente attuata da un movimento che è, poi, stata successivamente etichettata come cancel culture.
3In Italia, però, non esiste neanche un corrispettivo di quel movimento che possa giustificare l’ansia attorno alla presunta diffusione della cancel culture, la quale nasce e si diffonde solo nella retorica mediatica, giornalistica e politica. E è proprio questa retorica che, creando lo spauracchio della cancellazione, della censura, del bavaglio, ha di fatto alimentato un movimento di reazione che, questo sì, ha avuto effetti concreti, innestandosi su un movimento che esisteva già, ossia quello anti-gender, potenziandone le istanze e le capacità di azione.
4In questo capitolo proviamo a fare il punto sull’uso politico della cancel culture nel nostro paese, guardando in particolare alle intersezioni e sovrapposizioni con la cosiddetta “ideologia del gender” e al caso su cui queste sovrapposizioni si sono saldate: quello del dibattito sul disegno di legge Zan. Lo faremo guardando ai discorsi e alle retoriche portate avanti da attori politicamente rilevanti (esponenti di partiti politici, collettivi, associazioni) anche di schieramenti diversi e con diverse visibilità e capacità di mobilitazione che, a vario titolo e da prospettive differenti, hanno evocato la cancel culture in relazione a questioni relative a identità e differenze di genere, orientamento sessuale, famiglia e riproduzione. L’intento non è quello di mettere le posizioni di questi attori sullo stesso piano, ma di ricostruire i termini di un dibattito che ha preso forma nell’arena politica e che, facendo leva proprio sulla cancel culture, ha prodotto effetti di realtà.
3.1. A volte ritornano: ideologia gender e cancel culture
5Di cosa parliamo quando parliamo di gender? Il termine entra in uso quando, nei primi anni 2000, il Vaticano inventa l’espressione “ideologia del gender”. Questa, usata intercambiabilmente con “teoria del gender”, sta a indicare l’insieme delle conoscenze sviluppate nel campo degli studi di genere distorcendole, però, fino a trasformarle in un’ideologia appunto, un progetto politico volto ad annullare le differenze sessuali e, in ultima analisi, la persona umana (Garbagnoli 2014). L’ideologia gender, infatti, così com’è stata formulata dai suoi detrattori, sarebbe all’origine di un progetto di diffusione di omosessualità, transessualità, perversione sessuale, con l’obiettivo di minare alla base la famiglia naturale e i ruoli di genere per giungere a superare una volta per tutte le differenze sessuali (Bernini 2016). Si tratta fondamentalmente di un dispositivo retorico che ha lo scopo di delegittimare sia gli studi di genere come ambito di ricerca, sia le istanze antisessiste, antidiscriminatorie e di riconoscimento portate avanti dai movimenti femministi e dalle minoranze (Garbagnoli 2014). Una reazione, dunque. E proprio per questo suo carattere reazionario l’espressione si è trasformata, nel corso degli anni, da dispositivo retorico a fulcro di un progetto politico conservatore sempre più influente, anche in Italia.
3.1.1. L’ideologia gender e il suo uso politico
6L’inizio della storia dell’ideologia (o teoria) gender si fa risalire alla protesta della Chiesa contro l’uso della parola “genere” nel documento prodotto dall’ONU in occasione della Conferenza mondiale sulle donne di Pechino del 1995 (Bernini 2016). Dopo di allora, è stato con i pontificati di Ratzinger, prima, e di Bergoglio, poi, che il Vaticano ha iniziato una battaglia culturale contro tutto ciò che si discostava dall’ortodossia religiosa intorno ai ruoli di genere, alla sessualità e alla riproduzione, etichettandolo genericamente come “ideologia del gender” o “teoria del gender”. Nella dettagliata ricostruzione di Sara Garbagnoli (2014) emerge come dalla metà degli anni Novanta iniziano a essere prodotti, nella galassia cattolica e conservatrice statunitense, interventi e testi che hanno al centro la critica alle “femministe del genere” e alle loro teorie che, postulando l’origine sociale delle differenze sessuali, mirerebbero ad abolire la natura umana. Queste tesi vengono riprese nella pubblicazione, a opera del Pontificio Consiglio per la Famiglia, di un testo intitolato Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche. Pubblicato in Italia nel 2003, il Lexicon è una sorta di glossario di termini che hanno a che fare con sessualità, famiglia e genere. I sei lemmi in cui si ritrovano i tratti caratteristici dell’espressione che dà il titolo a questo paragrafo vengono raccolti da Monsignor Anatrella, psicanalista francese vicino al Vaticano, in una pubblicazione intitolata Gender. La Controverse che esce in Francia nel 2011 (ibid.)1. Nel testo viene sintetizzata la teoria del gender come ideologia antiscientifica che rifiuta la naturalità della differenza sessuale e che rischia di produrre «rivendicazioni che possiamo qualificare infantili e che creano un terreno favorevole alla violenza» (ivi, p. 255). Da allora, la teoria o ideologia gender entra a pieno titolo nel dibattito politico in Francia. In un primo momento, infatti, si diffonde con il dibattito intorno alla legge sul matrimonio omosessuale approvata nel 2013 e fortemente osteggiata in particolare dal collettivo Manif pour tous, strettamente legato alla Conferenza dei vescovi francesi2. In seguito, giunge in Italia in occasione della prima proposta di legge contro l’omotransfobia – il disegno di legge Scalfarotto del 2013 – e delle iniziative di diffusione di strumenti di formazione per gli insegnanti intorno agli stereotipi di genere, la discriminazione omotransfobica e la diversità delle forme familiari proposta da Valeria Fedeli, all’epoca Ministra dell’Istruzione in quota Partito Democratico. Il movimento italiano di attivismo anti-gender – che si raccoglie in particolare intorno alle Sentinelle in piedi, un gruppo di pressione religioso e fortemente conservatore – ha finora dato i suoi frutti, riuscendo non solo a bloccare il disegno di legge Scalfarotto, ma anche a congelare i progetti di formazione nelle scuole in nome della precedenza delle famiglie nell’educazione dei figli (Selmi 2015; Garbagnoli 2014) e a modificare sostanzialmente la legge Cirinnà sulle unioni civili (Prearo 2019).
7Nello stesso periodo storico e, in particolare, dopo la crisi recessiva del 2008-2011, in tutto il mondo occidentale si è assistito a un imponente sviluppo dei movimenti politici di stampo populista. Questi, nel nostro paese, si configurano come portatori di istanze populiste in senso stretto – quali l’opposizione fra popolo ed élite, sia nazionali sia sovranazionali (Unione Europea in primis) – e conservatrici in senso più ampio – contro l’immigrazione e contro gli attacchi all’ordine riproduttivo, entrambe considerate minacce per l’identità nazionale (Donà 2021; Prearo 2019; Serughetti 2021). La mobilitazione anti-gender da parte dell’attivismo religioso rappresenta il fulcro della stretta interazione fra gruppi cattolici e partiti di destra populista (Prearo 2019). La Lega, in particolare dalla segreteria di Matteo Salvini – al vertice del partito dal 2013 – in poi, è emblematica di questo spostamento dei valori centrali del partito verso quelli cristiani e specificamente verso la difesa della famiglia “naturale” contro l’uguaglianza di genere, i diritti LGBTQ+ e l’aborto. Come sottolinea Donà (2021), dal 2015, «la Lega è diventata sempre più strettamente alleata alla costellazione di attori mobilitati contro la cosiddetta “ideologia gender”» (ivi, p. 304; trad. nostra). Si tratta dell’esito di un processo di istituzionalizzazione della causa anti-gender che è passata da posizione di contestazione a posizioni di potere politico e amministrativo. Nella ricostruzione di Prearo (2019), sono proprio i movimenti cattolici anti-gender a sostenere i partiti populisti di destra che risultano poi premiati alle elezioni del 2018 – in particolare la Lega che, dopo aver ottenuto poco più del 17% di preferenze sia alla Camera sia al Senato, forma un governo insieme al Movimento 5 Stelle. Nel corso di questo processo, la strategia movimentista stabilisce un accordo elettorale con Lega e Fratelli d’Italia, i principali partiti della destra populista italiana, per cui i loro leader – Matteo Salvini e Giorgia Meloni – si appropriano del discorso anti-gender che entra direttamente nei loro programmi elettorali. Dall’altra parte, anche i leader dei movimenti religiosi – uno fra tutti: Massimo Gandolfini, a capo del comitato “Difendiamo i nostri figli” e portavoce ufficiale dell’attivismo neocattolico – acquisiscono la retorica populista del popolo contro le élite che sostiene, sul piano discorsivo, la maggioranza di governo. Emblema di questo processo è l’elezione al Senato, nel 2018, di Simone Pillon, esponente di spicco del movimento anti-gender, per il partito della Lega. Da allora, sono almeno due i casi esemplari del backlash (Faludi 1991) contro la parità di genere portati avanti da questa compagine politica: il disegno di legge Pillon, che intendeva introdurre il principio di “bigenitorialità” per le coppie separate con figli minori, e il Congresso mondiale delle famiglie organizzato a Verona nel 2019 (Donà 2021). D’altra parte, già nel 2016, Lorenzo Fontana, esponente della Lega divenuto poi Ministro della Famiglia del governo giallo-verde, dichiarava:
Ecco, dunque, da un lato l’indebolimento della famiglia e la lotta per i matrimoni gay e la teoria del gender nelle scuole, dall’altro l’immigrazione di massa che subiamo e la contestuale emigrazione dei nostri giovani all’estero. Sono tutte questioni legate e interdipendenti, perché questi fattori mirano a cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni. Il rischio è la cancellazione del nostro popolo. (cfr. Prearo 2019, p. 40)
8Ecco saldarsi il discorso della cancellazione, nella giuntura tra movimenti neocattolici e politici di destra: a rischio è «il DNA dei popoli cristiani» (ibid.). È questa minaccia a mobilitare l’attivismo anti-gender dei movimenti e l’attività politica dei partiti populisti, che dopo aver giocato un ruolo di primo piano nell’opposizione ad altri disegni di legge – Scalfarotto sull’omotransfobia, Cirinnà sulle unioni civili, Fedeli sull’educazione di genere (Prearo 2019; Bernini 2016) – si sono mobilitati anche sul disegno di legge Zan appropriandosi, questa volta, del linguaggio associato alla cancel culture – in particolare di “politicamente corretto” e “pensiero unico”, come vedremo nel prossimo paragrafo.
3.1.2 “Politicamente corretto” e “pensiero unico”: la cancel culture e lo spettro del gender
9Nella nostra ricerca per parole chiave compiuta sulle pagine Facebook di partiti e movimenti politici, l’espressione “cancel culture” ha dato 30 risultati, contro i 170 post che contenevano invece le parole “politicamente corretto” e i quasi 140 in cui si citava il “pensiero unico”. È con queste due espressioni in particolare, infatti, che la cancel culture – nell’accezione che abbiamo provato a ricostruire in questo volume – entra nella comunicazione social dei partiti e degli attori politicamente rilevanti, in particolare quelli di impostazione conservatrice e religiosa e/o di destra o estrema destra. Di “politicamente corretto”, nell’arco temporale coperto dalla nostra indagine, si è parlato ciclicamente a partire dal giugno 2020 dopo, dunque, l’esplosione delle proteste Black Lives Matter seguite all’assassinio di George Floyd. In particolare, se ne parla quando iniziano ad arrivare, sui giornali italiani, notizie che riguardano le presunte richieste di censura o revisioni di classici del cinema come Via col Vento, tacciato di veicolare acriticamente contenuti razzisti, e si discute, parallelamente, della distruzione delle statue di schiavisti e colonialisti negli Stati Uniti, fra cui quella di Cristoforo Colombo.
10Nel corso del 2020 e del 2021, con il progressivo dilagare di notizie – che, come abbiamo visto nel capitolo precedente, spesso sono ingigantite quando non false – riguardo a richieste di revisioni e censure di prodotti culturali di varia natura in chiave inclusiva e anti-stereotipo, le pagine social dei politici e dei partiti di destra colgono ogni possibile occasione per sottolineare le (presunte) storture e assurdità del politicamente corretto. Ecco allora, nel gennaio 2021, la pagina della Lega - Salvini Premier pubblicare la fotografia di un titolo di giornale (non è visibile la testata) che recita Usa, deputato dem conclude la preghiera con “amen” e “awoman” per rispettare la neutralità di genere: polemiche. Il post reca la didascalia: «A qualcuno il politicamente corretto sta sfuggendo di mano?»3. Nello stesso giorno pare scoppiare una polemica su Grease: Giorgia Meloni posta un collage di titoli de «Il Foglio» (“Omero razzista”. In America una scuola elimina l’Odissea) e de «Il Giornale» (Grease finisce nella bufera. “Misogino e razzista, via dai palinsesti”), con la didascalia: «La follia ideologica del politicamente corretto colpisce ancora e sfocia nel ridicolo». La storia viene ripresa immediatamente anche dalla pagina della Lega, che posta «SIAMO ALLA FOLLIA! Ormai fuori controllo la cultura del politicamente corretto che arriva a definire Grease, autentico capolavoro del cinema, un film “razzista, sessista e omofobo”. Dove andremo a finire?». È l’occasione anche per le già citate Sentinelle in Piedi per commentare la notizia postando un articolo, uscito sulla testata di riferimento «Il Timone», intitolato Lasciateci Grease e riprendetevi il politicamente corretto. Proprio a leggere l’articolo, però, che ricostruisce la vicenda all’origine della presunta polemica su Grease che, come titolava «Il Giornale», rischiava di essere addirittura escluso dai palinsesti, si scopre che il caso è portato in Italia da un giornalista de «Il Fatto Quotidiano» che riprende un articolo del «Daily Mail», che a sua volta riportava di come le critiche a Grease fossero arrivate da una «manciata di tweet» in grado di «raggranellare una settantina di likes o poco più»4.
11La falsità delle notizie e la dimensione della “minaccia” non fermano le progressive ondate di indignazione: il 25 gennaio 2021 un post di Giorgia Meloni reca un collage di titoli di giornale dell’«HuffPost» con Peter Pan, Dumbo e gli Aristogatti accusati di razzismo, Disney li vieta ai minori di 7 anni e de «Il Giornale» con Addio a re e regine: nasce il mazzo di carte rispettoso della parità di genere. La didascalia del post questa volta è illuminante: «Il politicamente corretto colpisce anche le carte da gioco e i classici per bambini, fortunatamente (per ora) non in Italia. Quando finirà questo delirio ideologico?».
12Dunque, il fenomeno in Italia effettivamente non esiste: nessuno nel nostro paese sta chiedendo di rimuovere film o cartoni animati dai palinsesti, o di modificare le carte da gioco, o di rivedere i finali delle fiabe, come nella già menzionata polemica sul bacio non consensuale del principe a Biancaneve (si veda anche § 2.1), discussa anche su alcune pagine di esponenti politici. Il 4 maggio 2021, infatti, Meloni commenta il caso con: «Continuano le deliranti censure e indignazioni del politicamente corretto. Ma davvero qualcuno sostiene queste idiozie?», e il 5 maggio sulla pagina della Lega leggiamo: «l’inutilità del politicamente corretto. Biancaneva [sic] vittima di violenza del principe?». Che il fenomeno sia originato altrove, però, sembra chiaro a tutti: Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista – che a luglio 2021 riprende la notizia, già citata nel capitolo precedente, sul presunto sessismo dei cavi audio – lo esplicita nella sua colorita didascalia al post: «Aspettiamo con ansia che, mentre la crisi economica avanza, questa ennesima cazzata del politicamente corretto, che arriva – come sempre – dal mondo anglosassone, venga recepita dai nostri campioni».
13Insomma, il fenomeno esiste altrove, non nel nostro paese, ma bisogna correre ai ripari prima che le richieste di censura prendano piede anche in Italia. Una prima occasione arriva nel marzo 2021, quando il senatore della Lega Simone Pillon commenta un articolo di “Dagospia” che recita:
La deriva del parlamento europeo che vuole imporre la neo-lingua del pensiero unico progressista a tutta l’UE – vietato dire “padre” e “madre” (sostituiti da un generico “genitori”). Guai a dire anche “matrimonio gay”: si dice “matrimonio egualitario”. Il nuovo glossario è un clamoroso assist alla “cancel culture” dilagante in tutto l’occidente e non è diverso dalla furia iconoclasta dei talebani che abbatte le statue….
14Pillon, infatti, mette in guardia:
Orwell lo aveva capito, e i filosofi della decostruzione lo hanno teorizzato. Ora il parlamento europeo lo sta attuando. Se vuoi controllare la realtà, devi controllare il linguaggio. La neolingua del relativismo verrà imposta anche nei documenti ufficiali europei. Spariscono papà e mamma, sostituiti da genitore 1 e 2. Sparisce il matrimonio gay, definito pudicamente “egualitario”, e scompare lo sgradevole utero in affitto, sostituito dalla generosa “gestazione per altri”. La Lega, con l’amica europarlamentare Simona Baldassarre in testa, si è battuta per fermare questa deriva talebana. Non permetteremo che si avvelenino le parole. Non permetteremo che si cancelli la dolcezza di mamma e papà.
15Sull’onda dell’indignazione per il dilagare di notizie attorno a presunte manifestazioni di cancel culture, dal maggio 2021, le pagine di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia e Lega - Salvini Premier iniziano a rilanciare dichiarazioni di una varietà di personaggi più o meno noti che si esprimono con durezza contro il politicamente corretto: «una stupidaggine» secondo Pier Francesco Pingitore, regista, citato dalla pagina di Fratelli d’Italia il 13 maggio; una «follia collettiva, un bavaglio inaccettabile» dice Elisabetta Canalis come riporta la pagina della Lega - Salvini Premier il 18 maggio; sulla stessa pagina, il 22 maggio, apprendiamo che secondo Enrico Mentana «I gay si possono prendere in giro», e sulla pagina di Giorgia Meloni leggiamo, il 1 giugno, che secondo Luca Ricolfi: «È paradossale, ma il politicamente corretto – nato per combattere le discriminazioni – sta diventando, oggi, uno dei meccanismi attraverso cui passano nuove e meno visibili forme di discriminazione»5. Non mancano le dichiarazioni, riprese dalla pagina della Lega l’8 giugno 2021, del regista Gabriele Salvatores, che afferma: «Il politicamente corretto sta diventando più pericoloso degli stereotipi perché ingabbia la libertà di espressione. Le regole americane? Sono ridicole. Come la presenza sui set del gender manager destinato a garantire il risalto alle interpretazioni femminili». E ancora, Hoara Borselli, citata ancora una volta sulla pagina della Lega, che dichiara «Si sta andando verso una deriva pericolosissima. Il politicamente corretto vuole riscrivere completamente i nostri usi e costumi, le nostre parole, il nostro modo di mangiare. Siamo al punto che addirittura la torta di mele viene definita razzista». Si delinea così un clima che evoca una psicosi collettiva, dalle conseguenze potenzialmente disastrose, come teme il senatore Pillon, che il 13 ottobre 2021 posta:
Anche la Lego si inchina al politicamente corretto e rimuove ogni riferimento di genere dai propri prodotti. Vedremo quante ruspe rosa riusciranno a vendere alle bambine. Sullo sfondo resta un Occidente che non sa più neppure distinguere tra maschile e femminile, ed etichetta le sacrosante differenze come “stereotipi sessisti da abbattere”. Eutanasia di una civiltà.
16Ecco, dunque, condensato il fulcro delle preoccupazioni legate al dilagare del “politicamente corretto”: l’annullamento delle differenze sessuali e la conseguente cancellazione delle identità.
17Il tema del politicamente corretto è così cavalcato a destra da essere, a settembre 2020, al centro del programma elettorale di Giorgia Meloni, che nel discorso di insediamento come presidente del partito europeo ECR (Conservatori e Riformisti Europei), riportato da un articolo del «Secolo d’Italia», afferma:
I nostri valori sono sempre di più sotto attacco, il mainstream politicamente corretto spinge per un’Europa senza identità e senza radici, per l’immigrazione di massa, per la distruzione della famiglia, per l’abbattimento dei simboli della nostra storia e della nostra cultura in nome di un antirazzismo strumentale. Spetta a noi Conservatori difendere gli europei da questa deriva, riportare l’Europa ad essere la culla di valori e di cultura che è stata per migliaia di anni, costruire una società che difenda la libertà di impresa senza dimenticare chi ha meno, difenderla dalle minacce interne ed esterne di vecchi e nuovi fondamentalismi.
18Sulla pagina Facebook di Fratelli d’Italia, questo articolo è postato con la didascalia «difendiamo l’Europa dall’aggressione del politicamente corretto». Come mettere in pratica tale azione di difesa? Ecco un esempio: in occasione del controverso Columbus Day, il 12 ottobre 2020, in cui si ricorda l’approdo di Cristoforo Colombo sul continente americano, Meloni rivendica la presentazione di una proposta di legge per «inasprire le pene per chi vandalizza i monumenti». Il riferimento, velato ma non troppo, è all’episodio dell’imbrattamento della statua di Indro Montanelli a Milano a opera delle attiviste di Non Una Di Meno. Il motivo della mobilitazione è presto detto: «La sinistra odia la storia, soprattutto quella italiana. È per questo che vuole abbattere le statue e cancellare il passato»6.
19L’altra grande questione su cui si sono concentrati i media italiani rispetto alla questione Black Lives Matter e cancel culture è, infatti, la distruzione di monumenti negli Stati Uniti che ritraevano personaggi schiavisti e colonialisti di cui si è detto nel capitolo 1. In Italia questi avvenimenti sono commentati quasi immancabilmente con i toni allarmistici di chi teme che si voglia «cancellare la storia» e i politici di destra riprendono queste notizie – e l’unico episodio riconducibile al tema in Italia, quello appunto della vernice rosa versata sulla statua di Montanelli – con commenti indignati del tenore di quello che si legge sulla pagina di Fratelli d’Italia il 14 giugno 2020: «ecco i veri talebani del politicamente corretto».
20“Politicamente corretto” sembra essere, dunque, un’espressione-ombrello sotto la quale trovano riparo (per così dire) istanze diverse, che hanno a che fare con sessismo e omofobia ma anche col razzismo e che vengono messe sullo stesso piano, semplificate e indistintamente rispedite al mittente. “Pensiero unico”, altra espressione ricorrente nella retorica politica di destra, ha caratteristiche simili, con l’aggiunta del carattere di una più marcata forza ideologica e di una pretesa di egemonia, che avrebbe come esito la censura tipica della cancel culture. Proprio queste caratteristiche sono portate in primo piano da un post comparso sulla pagina di Giorgia Meloni il 14 febbraio 2020, che recita:
Drag queens, identità di genere e sessuale, gay sex education: queste alcune delle “lezioni” - con tanto di cartelli illustrativi - nel programma dell’assemblea di istituto in un liceo di Bologna. Attività non facoltative, visto che è obbligatoria la partecipazione ad almeno una di esse. Solo io ritengo assurdo che gli studenti siano obbligati ad assistere alla solita propaganda ideologica tanto cara al pensiero unico?!
21L’espressione torna in alcune dichiarazioni che arrivano dall’estrema destra, con CasaPound che il 25 giugno 2021 condivide un post del suo consigliere di Ostia, Luca Marsella, a proposito della legge promulgata da Orban, presidente dell’Ungheria, che mette al bando l’esposizione dei minori a contenuti che riguardano la sessualità, che postulano la divergenza fra sesso assegnato alla nascita e identità di genere e che parlano di omosessualità. Nel post si legge: «Tutti contro Orban per la sua legge in difesa di minori e famiglie. Se provi a opporti al pensiero unico arcobaleno sei un mostro, omofobo e autoritario. Anche se hai stravinto le elezioni, d’altronde la democrazia vale soltanto quando fa comodo a loro. #IostoconOrban».
22Anche i gruppi religiosi conservatori agitano lo spauracchio del pensiero unico che mina le fondamenta della famiglia “naturale”: ne è un esempio il post con cui le Sentinelle in Piedi condividono, nel luglio 2021, una notizia diffusa da SkyTg24 secondo cui «Ong premia Harry e Meghan: limitandosi a due figli tutelano l’ambiente», la didascalia recita: «I premi del pensiero unico, sempre più esplicito».
23Ma se di “politicamente corretto” si tenta, qua e là, di dare se non una definizione quantomeno una delimitazione del suo campo semantico, questo “pensiero unico”, invece, cos’è? Richiamato, come abbiamo visto, come grande matrice di propaganda ideologica, non sembra avere tratti definiti, in linea con quanto Altheide (2004) ricorda a proposito della comunicazione politica sui media, per cui ad accattivare meglio il pubblico sono spesso i discorsi fumosi, ma che evocano inquietudine, senso di minaccia e, dunque, paura. Nell’uso che se ne fa nella comunicazione politica dei partiti di destra sui social, il “pensiero unico” ha a che fare con discorsi su sessualità, famiglia, riproduzione, orientamento sessuale e identità di genere. Sembra, dunque, di fatto, sovrapponibile in gran parte alla retorica che gravita attorno all’“ideologia gender” che, come abbiamo raccontato, è il punto centrale dei discorsi della destra populista dalla svolta salviniana della Lega in poi. È proprio l’ideologia gender, infatti, a rappresentare, in questa retorica, un generico progressismo di sinistra, che negli Stati Uniti chiamerebbero woke, e che nel nostro paese si interseca ad altri -ismi: globalismo, buonismo, per citarne alcuni (specialmente nell’accezione di “pensiero unico” che fa riferimento alle posizioni sull’accoglimento dei migranti e alla conseguente temutissima “sostituzione etnica”).
24A essere centrale nella retorica su politicamente corretto e pensiero unico, come già rilevato nel capitolo precedente per quanto riguarda la comunicazione giornalistica, è lo spauracchio della censura che incombe su tutto quanto non si allinei ai presunti diktat della cancel culture. Semplificando all’osso, l’imposizione del pensiero unico che si fonda sul politicamente corretto implicherebbe la censura di tutto ciò – o di tutti coloro – che vi si discostano. Che questa rappresentazione sia veritiera o meno importa poco: a essere rilevanti sono i suoi esiti che, come ci ricorda Bosco (2012) riprendendo Bourdieu, non sempre sono il risultato di una deliberata manipolazione della verità, ma «possono in certi casi produrre effetti che modificano profondamente il contesto» (ivi, p. 126). Se, da un lato, il discorso giornalistico serve a creare una realtà in cui esiste un rischio di cancellazione; dall’altro, quello politico serve ad agire contro quel rischio, a indignare e a mobilitare, producendo degli effetti sulla realtà, come si vedrà nel prossimo paragrafo dedicato all’analisi del caso che più di tutti ha catalizzato i discorsi su cancel culture e teoria gender nel nostro paese: il disegno di legge Zan.
3.2. Censura e cancellazione: lo spettro dell’identità di genere e l’affossamento del ddl Zan
25Il disegno di legge Zan è stato presentato alla Camera nel maggio 2018, ma portato in prima discussione assembleare nell’agosto 2020, al termine dell’iter d’esame in Commissione conclusosi il 30 luglio di quello stesso anno.
26Il dibattito attorno a questo disegno di legge si è intersecato con i discorsi sulla cancel culture – che, come abbiamo visto, hanno preso le mosse nel nostro paese proprio nell’estate 2020 – lungo due direttrici: quella della censura e quella della cancellazione identitaria.
27Il tema della censura è richiamato da quei discorsi di opposizione al ddl fondati sull’idea che quest’ultimo rappresenti, di fatto, un bavaglio alla libertà di opinione. Lo spettro agitato è che diventi reato e si rischi il carcere a sostenere idee tradizionali (che nel campo conservatore si confondono con l’idea di “naturale”) come, per esempio, che ci vogliano una mamma e un papà per ogni bambino e che le persone omosessuali non possano (e anzi, non debbano) avere figli.
28Strettamente legato al tema della censura, quello della cancellazione identitaria sposta la minaccia dal piano discorsivo a quello esistenziale. Non solo non si potrà più dire mamma e papà, ma le mamme e i papà non ci saranno più, come non ci saranno più uomini e donne una volta completato il piano dell’abolizione delle differenze sessuali di cui il ddl Zan rappresenta solo, in quest’ottica, la manifestazione più strettamente coercitiva in quanto, appunto, proposta di legge. Va detto che il timore della cancellazione delle differenze sessuali è stato espresso anche da alcune parti del femminismo italiano, quello più legato alla teoria della differenza e più influente nel nostro paese (Ghigi 2019), che ha letto in particolare nell’espressione “identità di genere” contenuta nel disegno di legge il rischio di una svalutazione dell’esperienza femminile e, per estensione, delle storiche rivendicazioni delle donne. Intellettuali e politici anche del fronte progressista o di sinistra si sono, infatti, espressi proprio in merito all’uso della parola “genere” all’interno del ddl Zan. «il Manifesto», per esempio, a maggio 2021 titola La legge Zan e le ragioni del femminismo della differenza e poi sottotitola «DDL ZAN. La rivolta delle donne contro la cancellazione del proprio sesso non va sacrificata alla sacrosanta tutela delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali e transgender». Analogamente, sempre a maggio 2021, «Avvenire» su Facebook pubblica un articolo dal titolo L’architrave del ddl Zan. L’imbroglio del transumano base dell’“identità di genere” accompagnato dal seguente post: «La cancellazione della differenza sessuale consegna al mercato un individuo perfettamente neutro, soggetto fluido, precario assoluto. Perfino nel suo corpo (di Marina Terragni)».
29Ancora un’avvertenza: si tratta di due direttrici, quella della censura e quella della cancellazione identitaria, che è possibile distinguere analiticamente, ma che inevitabilmente si intersecano nei discorsi, nelle pratiche e negli attori che le hanno percorse. Vediamole entrambe.
3.2.1 Chi censura chi?
30Una parte importante della contestazione al disegno di legge Zan si è fondata sulla retorica dei rischi per la libertà di opinione e di espressione, minacciata da una orwelliana – aggettivo di cui si è fatto un uso smodato – “polizia del pensiero” pronta a intercettare e a punire con il carcere le opinioni non conformi.
31È il fuoco di un video satirico pubblicato dal deputato della Lega Alessandro Morelli sulla pagina della Lega - Salvini Premier, in cui l’onorevole chiama al telefono persone dal cognome “politicamente scorretto” (nello specifico “Negro”) spacciandosi per una commissione anti hate speech per avvisarle che dovranno cambiare cognome altrimenti potrebbero essere denunciati. Il post reca la didascalia: «allarme arcobaleno-caproni! Noi siamo dalla parte del buonsenso: in ragione del politicamente corretto non si può cambiare il nome a tutto!».
32È, dunque, innanzitutto un problema di poter (o non poter) dare alle cose il “loro” nome, pena denunce e persino il carcere, quello che si profila agli occhi dei detrattori del ddl Zan. Le Sentinelle in Piedi, condividendo sulla loro pagina il 4 agosto 2020 – quando il disegno di legge ha appena iniziato l’iter di discussione alla Camera – un articolo de «La Nuova Bussola Quotidiana» intitolato Malattie veneree, boom tra maschi omosessuali. Lo dice l’ISS, si chiedono: «Con la legge Zan si potrà più dirlo? Chi ci rimette?». In questo caso, a non poter essere detto, va da sé, è che l’omosessualità non può che avere conseguenze negative. Il senatore Pillon, attivissimo sui social, è fra i primi e principali critici del disegno di legge: nel giugno 2020 posta la sua interpretazione – che sarà quella condivisa da tutta la destra conservatrice – del ddl.
Oggi, alla commissione giustizia della Camera, continuano i lavori del pdl Zan-Scalfarotto. Sarà reato opporsi anche solo verbalmente all’insegnamento del Gender ai nostri figli. Anzi, visto che i genitori saranno condannati come omofobi e razzisti, interverranno i servizi sociali per prendere la custodia dei figli. Questa non è lotta alle discriminazioni, ma dittatura del pensiero unico. Nel frattempo il circolo LGBT intitolato a Mario Mieli (quello che scriveva: “Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro.”) porta la drag queen (che di professione è assistente sociale) a leggere fiabe gender ai bambini. Celebrare il valore della diversità e dell’amore che va oltre l’apparenza? Ognuno faccia quello che crede, e se ne assuma la responsabilità, ma lasciamo stare i bambini.
33Ecco tornare la retorica del “pensiero unico” e del potere coercitivo e della sua forza ideologica che si concretizzerebbe, in questa rappresentazione, proprio nel ddl Zan: passata questa legge, non solo si provvederà a insegnare il “gender” nelle scuole, ma sarà reato per i genitori opporvisi.
34Imposizione di una visione del mondo, dunque, e censura di tutte le altre: una «legge fascistissima», come la definisce Mario Adinolfi – leader del Popolo della Famiglia, un partito di impostazione religiosa e conservatrice – il 9 ottobre 2020 sulla sua pagina, paragonandola proprio alle «leggi approvate in Italia tra il 1925 e il 1927 con il solo obiettivo della cancellazione di qualsiasi possibilità di libera espressione del pensiero, per zittire gli oppositori del regime».
35I discorsi critici sul disegno di legge che arrivano da destra si focalizzano tutti su questi spauracchi: la corruzione dei bambini, esposti alla teoria gender, e la censura delle opinioni non conformi a quest’ultima. Nel maggio 2021, quando il disegno di legge è già stato approvato alla Camera e trasmesso al Senato, Matteo Salvini posta la sua interpretazione del disegno di legge, secondo cui il ddl Zan introdurrebbe «censura e carcere fino a 6 anni per le idee: essere contro le adozioni gay è un reato?? La legge inoltre vuole portare sui banchi di scuola, a bimbi di 5 o 6 anni, teorie e discussioni che per quell’età sono assolutamente inopportune, e che semmai spettano ai genitori». Per rimarcare la forza della minaccia rappresentata dal fronte progressista, negli stessi giorni il leader della Lega pubblica sulla sua pagina Facebook una card nella quale si riporta un virgolettato di Alessandro Cecchi Paone intervistato a La Zanzara su Radio24: «Dire che l’unica famiglia è quella tra uomo e donna è incitazione all’odio? Sì, perché crei infelicità negli esseri umani, se lo dici per me sei perseguibile». Il leader della Lega commenta così: «Ed eccoli smascherati. Il testimonial della legge Zan ammette candidamente che una legittima posizione sulla famiglia fondata su uomo e donna dovrebbe essere perseguibile penalmente come “incitamento all’odio” (!!!), alla faccia di chi dice che siano invenzioni di quel brutto retrogrado di Salvini… Le idee non si processano per legge, no al pensiero unico, viva la Libertà!».
36Entrambi gli spauracchi si trovano anche nel post del senatore Pillon, datato 11 novembre 2020, che recita:
Secondo Repubblica e Huffington Post “Le opinioni non si censurano ma le menzogne sì […] se uno di giovedì, dice ‘oggi è lunedì’, no, non è libero di farlo”. Perfetto. E allora perchè volete censurare con la legge Zan chi dice che solo le donne hanno il ciclo mestruale o che i bambini hanno una mamma e un papà? Perchè i vostri amici LGBTQYZ sono liberi di dire che i bambini possono nascere da due papà o che i maschi possono gareggiare nelle competizioni femminili? Censura legale solo quando lo decidete voi.
37Punto centrale, dunque, è capire cosa costituisca censura e cosa no a seconda della direzione da cui questa proviene: si tratta, in ultima analisi, della questione della legittimità della motivazione alla base della censura di cui abbiamo detto nel capitolo 2 (si veda anche § 2.2.2). A questo proposito, un caso emblematico è quello della polemica sull’intervento del rapper Fedez al Concertone del Primo Maggio 2021 trasmesso in Rai. Il cantante, nel discorso che accompagna la sua esibizione, si esprime a favore del ddl Zan, critica aspramente alcuni esponenti della Lega riportando alcune loro espressioni che definisce omofobiche, e denuncia la richiesta, arrivata dalla direzione della Rai, di non fare nomi e cognomi sul palco7. Il caso viene commentato, da destra ma non solo, con toni ironici al limite dello scherno: da Diego Fusaro, noto filosofo attivissimo sui social, arriva questo commento, emblematicamente ripostato dalle Sentinelle in Piedi.
Le sinistre fucsia hanno un nuovo eroe di riferimento. L’eroe ideale, miliardario e che parla solo di diritti arcobaleno, che si dice sotto censura e che poi si batte per una legge - il DDL Zan - che ha per punto portante la censura di ogni visione divergente dall’eroticamente corretto. Con tutto il rispetto per questo alfiere canoro del nuovo pensiero unico politicamente corretto, preferisco continuare a stare con Marx e con Gramsci: e lottare contro l’imperialismo della globalizzazione e contro lo sfruttamento capitalistico che si fa ogni giorno più intenso; tutte cose sulle quali le nuove sinistre fucsia e liberiste non hanno nulla da dire, quando non le appoggiano direttamente.
38Fedez, in quanto «alfiere canoro del nuovo pensiero unico politicamente corretto» e rappresentante nelle «nuove sinistre fucsia e liberiste», non sarebbe dunque altro che il proverbiale bue che dà del cornuto all’asino. È la stessa opinione espressa dal senatore Pillon sul caso, che il 2 maggio chiosa:
Fedez scopre l’acqua calda e denuncia la censura di Rai3. Capirai che notizia… Sono anni che lo diciamo… La cosa assurda è che si lamenta per la censura e poi fa lo spottone alla legge bavaglio per introdurre la censura gay. Ma si sa, alcune censure sono più uguali di altre… PS. Pensate cosa sarebbe successo se un artista avesse usato il palco della RAI per promuovere una legge della Lega, che ne so, per fermare l’immigrazione clandestina. Sarebbe scoppiata la rivoluzione. Anche alcuni artisti sono più uguali di altri.
39Ecco tornare la metafora orwelliana, questa volta da La fattoria degli animali, per avvalorare la tesi che si possa effettivamente parlare di censura solo in certi casi: quelli, cioè, che coinvolgono personaggi che esprimono opinioni non ammesse dalla dittatura del pensiero unico e che non supererebbero la «censura gay». Fra questi troviamo i già citati Pio e Amedeo (si veda anche § 2.2.1), il cui monologo in prima serata su Canale 5 è stato criticato per l’esortazione alle minoranze discriminate a non aversela a male per i termini offensivi con cui vengono nominate. I comici raccolgono le simpatie e la solidarietà dei leader della destra populista: di Matteo Salvini, che il 4 maggio diffonde l’hashtag #pioeamedeo accompagnato dalla didascalia «Contro ogni censura. “Un giorno senza sorriso è un giorno perso” (Charlie Chaplin)» e di Giorgia Meloni che, il primo maggio 2021, scrive:
In queste ore, vedo i soliti devoti del politicamente corretto iniziare una vera e propria crociata contro Pio e Amedeo, “colpevoli” di aver fatto una satira a loro non gradita. […] Viva l’ironia e la satira, lo dice una persona che ne è continuamente bersaglio. La mia solidarietà al duo comico: sono sicura che replicheranno col sorriso a queste stupide accuse e continueranno a far divertire tanti italiani, oggi ne abbiamo particolarmente bisogno.
40Ancora, c’è chi, come Mario Adinolfi, prova a immaginare uno scenario alternativo, in cui a fare un monologo sul palco del Concertone fosse stato Povia, artista di spicco della galassia religiosa anti-gender:
Io non contesto la libertà di Fedez di dire quel che ritiene e ho sorriso alla furbizia con cui ha incastrato quei polli dei dirigenti Rai per apparire campione del coraggio contro la censura. Io chiedo solo: ma se la tirata sul ddl Zan dal concerto del Primo Maggio l’avesse fatta Povia, con le sue posizioni opposte a quelle di Fedez, che tipo di commenti ci sarebbero stati? Lo sappiamo bene: Povia sarebbe stato massacrato. Ma in Rai, dove sono censori per davvero, risolvono la questione alla radice impedendo a Povia di partecipare a qualsiasi kermesse canora, è sgradito al nuovo regime del politicamente corretto. Queste cose posso dirle solo sulle reti Mediaset e oggi le ho dette a Canale 5.
41Quest’ultimo commento è particolarmente interessante a proposito degli spazi in cui è permessa o meno la discussione su temi controversi, dal momento che le reti Rai e quelle Mediaset si dividono equamente lo share della prima serata8. Non è, dunque, davvero una questione di “non poter dire”, di negazione degli spazi di espressione e di discussione, di soffocamento della libertà di opinione, quanto piuttosto di percezione – vera o indotta – dell’esistenza o meno di tali spazi. Secondo Norris (2021), che scrive di cancel culture negli ambienti accademici, la percezione del silenziamento dipende dalla cultura che si considera egemonica in quel contesto. La retorica del pensiero unico e del politicamente corretto costruisce una realtà in cui a essere egemonica nel nostro paese sarebbe una cultura progressista woke di cui bisogna temere il potere di censura. Come vedremo nel prossimo paragrafo, la storia della mobilitazione contro il ddl Zan ha fatto emergere con chiarezza come far leva sulla paura della censura e della cancellazione identitaria abbia avuto degli effetti sulla realtà, quelli sì, censori.
3.2.2. La paura della cancellazione: effetti di realtà
42La retorica anti-gender ha avuto un ruolo di primo piano nell’affossamento del ddl Zan, soprattutto grazie alla forte influenza sulla politica italiana (e sui partiti populisti di destra in particolare) dei movimenti appartenenti alla galassia dei gruppi religiosi conservatori, neocattolici come li ha definiti Prearo (2019). Con il pretesto della difesa della libertà di opinione – declinata anche in termini di libertà di credo – questi gruppi di pressione hanno avviato una mobilitazione su scala nazionale di opposizione al disegno di legge. Al centro delle loro preoccupazioni c’era, ancora una volta, la cancellazione delle differenze sessuali e le conseguenze in primis per la famiglia tradizionale, poiché in fondo la differenza fra i sessi, nel frame cristiano che li incornicia, non ha senso né scopo se non quello riproduttivo. Su Facebook, le istanze dei movimenti neocattolici più influenti, vale a dire in particolare il comitato “Difendiamo i nostri figli” di Massimo Gandolfini (all’origine del Family Day), trovano spazio sulla pagina delle Sentinelle in Piedi, che il 29 febbraio 2020 pubblicano una vera e propria chiamata alle armi:
MESSAGGIO IMPORTANTISSIMO!!! Carissimi Amici, immagino che siate tutti già informati del fatto che la Conferenza dei Capigruppo della Camera ha deciso di portare in aula il ddl Zan contro la cosiddetta omofobia/transfobia il 30 marzo prossimo. Siamo ancora in attesa di avere l’elenco ufficiale di coloro fra di noi che verranno auditi in Commissione. Tutti gli amici che hanno dato la loro disponibilità si tengano, quindi, pronti. Ma dobbiamo fare molto di più. Esorto tutti ad organizzare iniziative che rendano informati e consapevoli tutti i cittadini italiani della posta veramente in gioco: si tratta di una legge illiberale, liberticida, in contrasto con il fondamento di una società democratica, cioè la libertà di pensiero e di espressione (garantito e sancito dall’articolo 21 della nostra Costituzione). Certamente tante cose possiamo fare: ognuno metta la sua fantasia per alzare un muro di consapevolezza che blocchi questa ennesimo tentativo di imporre il “pensiero unico”. Se è vero, come è vero, che nessuno deve essere discriminato, si parta dall’assunto che nessuno può essere discriminato e condannato per il proprio pensiero, i propri valori, il proprio credo religioso. Una società che non rispetta questo principio assume le caratteristiche di una dittatura inaccettabile. Teniamoci pronti anche a scendere in piazza. Stiamo pensando ad una manifestazione pubblica a Roma, con tempi e modalità che stiamo studiando. Chiamate a raccolta chiunque condivide questi valori: singole persone, famiglie, associazioni, gruppi, movimenti, parrocchie, circoli culturali, partiti e singoli parlamentari o uomini politici di vostra conoscenza (per esempio nel vostro territorio): abbiamo il dovere di alzare la voce perché è in gioco l’essenza stessa della democrazia, la libertà di pensiero e di manifestazione. Forza, coraggio, lealtà: il nostro unico avversario sono le forze illiberali che vogliono imporre un bavaglio alle nostre bocche e alla nostra mente. Un abbraccio a ciascuno di voi, con grande stima ed amicizia Massimo Gandolfini.
43A partire dal giugno 2020, sulla stessa pagina iniziano a essere pubblicati una serie di appuntamenti per manifestazioni in tutta Italia in opposizione al disegno di legge, che inizia il suo iter di discussione alla Camera. Le manifestazioni, che sono accompagnate da slogan come «No al reato d’opinione, anche se colorato arcobaleno» e «No al carcere per chi dice la verità sull’uomo e sulla donna. No alla repressione del dissenso rispetto al pensiero unico. Libertà nella verità», vanno a comporre la campagna #RestiamoLiberi, rilanciata nel corso dell’estate dai partiti di destra. La Lega esprime il suo supporto attraverso il senatore Pillon, punto di congiunzione fra il partito e i movimenti anti-gender, che il 12 luglio 2020 posta:
#restiamoliberi Ieri il popolo della famiglia è tornato a far sentire la sua voce: tra venerdì e sabato oltre 50 piazze per dire sì alla libertà di pensiero, di parola, di associaziine [sic], di educazione, di religione, tutte minacciate dal pdl zanscalfarottoboldrini. Altre ne seguiranno. Saremo sempre per il rispetto di tutti ma resteremo liberi contro questa dittatura strisciante, che prova a imporre il pensiero unico delle lobby LGBT, appoggiata da un governo che proroga lo stato di emergenza fino a dicembre per manipolare meglio la gente. Fermeremo tutto questo solo se ci aiuterete. Libertà. Sempre.
44Pochi giorni dopo, il 16 luglio, anche CasaPound rivendica la sua partecipazione alla manifestazione organizzata a Roma «contro la legge sulla cosiddetta “transomofobia”, in realtà un ulteriore attacco alla libertà di espressione per instaurare la dittatura del pensiero unico globalista». E lo stesso fa Giorgia Meloni, che racconta di essere
in piazza Montecitorio per dire no alla proposta di legge Zan. Una legge liberticida che punta solo ad introdurre un nuovo reato di opinione e a silenziare chi non si piega al pensiero unico. Se dico che l’utero in affitto è una barbarie, sto odiando qualcuno? No, è una battaglia che faccio per amore per difendere il diritto di un bambino ad avere un padre e una madre #RestiamoLiberi.
45La campagna continua per tutto il 2020 e il 2021 con l’aperto sostegno dei partiti di destra, che rilanciano e partecipano alla mobilitazione su scala nazionale9. Nell’ottobre 2020, sulla pagina di Giorgia Meloni leggiamo:
Fratelli d’Italia oggi in piazza senza simboli di partito al fianco dei cittadini, delle famiglie e delle tante associazioni che hanno organizzato una grande manifestazione a Piazza del Popolo per difendere la libertà di espressione da un progetto di legge ideologico e liberticida. Li ringrazio di cuore perché hanno avuto il coraggio di sfidare il pensiero unico dominante e dire chiaramente che il vero obiettivo del ddl Zan-Boldrini-Scalfarotto sull’omotransfobia non è combattere le discriminazioni, ma introdurre un nuovo reato d’opinione. Perché non c’è niente di civile e moderno nel definire “omofobo” chiunque dica no alla barbarie dell’utero in affitto o difenda il diritto di un bambino ad avere un padre e una madre […]. Lo scopo di questa proposta è un altro: punire, mettere in carcere e rieducare chi non si allinea al mainstream. Lo ha ribadito anche oggi il presidente della CEI, il cardinal Bassetti: “La libertà di pensiero non può essere discriminata perché ritenuta discriminante”. È una battaglia di libertà e di democrazia e noi di Fratelli d’Italia saremo sempre in prima linea per combatterla.
46La mobilitazione contro il ddl Zan, dunque, raccontata come battaglia per la libertà di espressione e di opinione, nei fatti rappresenta l’ultimo tassello che completa il puzzle della saldatura fra la destra populista e i movimenti religiosi attorno ai temi anti-gender (Donà 2021).
47L’opposizione al disegno di legge ha trovato sponda, però, anche in ambienti tradizionalmente associati al fronte progressista, quelli del femminismo della differenza e di parte dell’associazionismo lesbico. Sebbene il fuoco delle loro contestazioni fosse la cancellazione delle donne come conseguenza inevitabile dell’ammissione del concetto di identità di genere, le posizioni che sono state espresse sono allineate, in parte, a quelle del fronte conservatore. La contestazione da parte del femminismo storico italiano alla questione dell’identità di genere aveva già preso le mosse in precedenza, in occasione dei maggiori momenti di polemica intorno alla teoria gender, fra il 2014 e il 2016 (Bernini 2016). Durante la discussione sul ddl Zan, che annovera l’identità di genere fra i possibili motivi di atti discriminatori perseguibili in forza della legge, questi gruppi hanno espresso una veemente contestazione che si è mossa lungo le stesse direttrici che hanno guidato l’opposizione conservatrice: il rischio di censura, espresso in termini di no-debate, e quello di cancellazione. La pagina “RadFem Italia”, per esempio, che raccoglie la frangia italiana del movimento femminista radicale, il 27 marzo 2021, posta una petizione sulla piattaforma Change.org, intitolata «Il femminismo italiano non sostiene questa legge contro l’omotransfobia» con la seguente presentazione.
Basta con questa disinformazione Promuovere l’identità di genere significa affermare che essere donna è un sentimento, una percezione soggettiva autodefinita, basata su stereotipi maschilisti. Significa cancellare le fondamentali tutele basate sul sesso che le donne hanno conquistato dopo dure lotte. Significa perdere i dati statistici sui reati, sulle ingiustizie, sulle disuguaglianze tra donne e uomini. Significa perdere gli spazi suddivisi per sesso e tutte le azioni positive per le pari opportunità. Significa perdere la cognizione e la capacità di combattere le reali e sostanziali disuguaglianze, oppressioni e discriminazioni. Via l’identita di genere dal #DDLZan! Sosteniamo i diritti delle donne basati sul sesso e non sul genere con Declaration on Women’s Sex-Based Rights https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/dallarete/legge-contro-lomotransfobia-si-parli-di-transessualita-non-di-identita-di-genere/ https://www.change.org/p/ai-parlamentari-italiani-il-femminismo-italiano-non-sostiene-questa-legge-contro-l-omotransfobia.
48Poco tempo dopo, il 12 aprile, ArciLesbica, storica associazione del femminismo lesbico italiano, promuove sulla sua pagina Facebook un lungo appello di cui riportiamo alcuni significativi passaggi:
Appello: al senato è necessario cambiare il ddl zan […]. Siamo donne e uomini che fanno riferimento all’area politica del centro sinistra, ispirati ai valori di estrazione democratica e progressista, proveniamo da esperienze sociali e culturali differenti, da sempre schierati in battaglie contro ogni discriminazione, per la difesa dei diritti e la libertà delle donne. […] È attualmente in discussione al Senato della Repubblica, il ddl Zan già approvato alla Camera dei deputati, che dovrebbe combattere l’omotransfobia. […] Vogliamo presto un provvedimento che combatta in maniera severa l’omotransfobia, ma con amarezza rileviamo che questo disegno di legge si è trasformato in un manifesto ideologico, che rischia di mettere in secondo piano l’obiettivo principale e di ridurre pesantemente diritti e gli interessi delle donne e la libertà di espressione. […]Una legge attesa da decenni è stata, quindi, trasformata, in una proposta pasticciata, incerta sul tema della libertà d’espressione, offensiva perché introduce l’“identità di genere”, termine divenuto il programma politico di chi intende cancellare la differenza sessuale per accreditare una indistinzione dei generi. Un articolato che mischia questioni assai diverse fra loro e introduce una confusione antropologica che preoccupa. Fra le conseguenze vi sono la propaganda di parte, nelle scuole, a favore della maternità surrogata e l’esclusione di ogni visione plurale nei modelli educativi.
49Da una parte che apertamente si definisce progressista e di centrosinistra, dunque, arrivano critiche che su alcuni punti richiamano quelle espresse dai partiti di destra e dai movimenti religiosi: si contesta, infatti, un disegno di legge che rischia di limitare la libertà di opinione e che rappresenta l’espressione di un progetto ideologico che mira, in ultima analisi, ad abolire le differenze sessuali e aprire la strada ad ogni sorta di sovvertimento dell’ordine riproduttivo attraverso la propaganda nelle scuole.
50Così, come ricostruisce D’Alessio (2022), al momento della discussione sul ddl Zan la forte polarizzazione del dibattito ha fatto sì che le femministe della differenza fossero bollate come alleate della destra per via della loro forte opposizione alla promulgazione del disegno di legge. Ad esempio, il gruppo RadFem, il 19 maggio 2021, commenta così la notizia data da Huffpost sul coming out di Demi Lovato come persona non binaria, mettendola in relazione proprio con le premesse del ddl Zan: «Ecco qua: l’ultimo modo per cancellare le donne. Le teorie sull’identità di genere sono misogine». Poiché questo genere di posizioni sono espresse dalla parte più nota e influente del femminismo italiano, il rischio è che si sostengano e si portino avanti posizioni e agende politiche che finiscono per silenziare le voci critiche che spesso arrivano da chi si trova in posizioni ancora più marginali, come le persone trans e non binarie, come già rilevato da Phipps (2016) per il caso americano.
51In effetti, le posizioni espresse da alcune esponenti di quella parte di movimento sono state apertamente riprese e rilanciate dal fronte conservatore, che ha colto l’occasione per strumentalizzarle a ulteriore sostegno della causa anti-gender. Pillon, il 6 aprile 2021, riassume questa parziale convergenza in un lungo post su Facebook in cui leggiamo che
Nel frattempo si moltiplicano le prese di posizione laiche contro la proposta. Le femministe storiche Marina Terragni e Monica Ricci Sargentini e il laicissimo direttore di Huffington Post hanno manifestato notevoli preoccupazioni in ordine al ddl Zan. Anche il Dubbio, giornale dell’avvocatura, ha pubblicato una vera stroncatura a firma di Paolo Delgado. Il fronte laico si allarga e si affianca ai vescovi e all’associazionismo pro life impegnati in questa battaglia di libertà. […] Qui si tratta di continuare ad esser liberi di leggere la Bibbia, liberi di chiamare i maschi maschi e le femmine femmine, liberi di difendere i nostri figli da ogni forma di indottrinamento LGBT. Nei prossimi giorni spiegherò meglio cosa significa transumanesimo e perchè il ddl Zan è un passaggio fondamentale per cancellare l’umanità come la conosciamo e costruire a tavolino la nuova umanità transumana 2.0. Ecco perchè fermeremo il ddl Zan.
52Il ddl Zan ha catalizzato, dunque, tutta la retorica anti-gender che nell’ultimo decennio è stata prodotta non solo dagli ambienti conservatori, ma anche da parte di quelli progressisti. E se i movimenti religiosi hanno attribuito al disegno di legge facoltà di produrre una realtà distopica senza più maschi né femmine, popolata solo di persone omosessuali e trans e riprodotta tramite gestazione per altri, il femminismo radicale l’ha accusato di voler annullare l’esperienza femminile e le donne tout court.
53Il risultato: il 27 ottobre 2021 il Senato vota a maggioranza per il non passaggio all’esame degli articoli del disegno di legge, decretandone così la – temporanea – fine. L’esito, salutato da grandi esultanze, viene celebrato sulle pagine social di tutti gli attori politici che fin qua abbiamo citato. Alla fine dei giochi, la parte vittoriosa rimarca come si tratti, in realtà, di una vittoria di tutti e il 22 dicembre 2021 il senatore Pillon posta:
Chi di Gender ferisce, di Gender perisce. La Michela Murgia, sacerdotessa del politicamente corretto e del linguaggio rispettoso, con tanto di asterischi e schwa è sotto attacco social per aver osato ricordare che le sorelle Wachowski sono in realtà i fratelli Wachowski. Apriti cielo! Insulti e attacchi, nonchè accuse di transfobia per aver commesso l’esecrabile delitto di misgendering. La signora Murgia dovrebbe ringraziarci, perchè se fosse passato il ddl Zan, ora rischierebbe pure fino a 6 anni di carcere per istigazione alla discriminazione. Forse - a furia di trattamenti catrame e piume - anche gli pseudointellettuali de noaltri capiranno che questa menata del Gender e della self-id è semplicemente una sciocchezza, e scopriranno che i maschi sono maschi, e le femmine sono femmine. Meglio tardi che mai.
54In chiusura del capitolo ci sembra utile segnalare due nodi cruciali, che mettono in evidenza i cortocircuiti alla base del legame fra cancel culture e ideologia gender.
55Il primo riguarda la storia del concetto di politicamente corretto che, ricostruita da Faloppa (2022) e richiamata nel capitolo 2 di questo volume (si veda anche § 2.2.2), è la storia di un’espressione il cui significato è stato ribaltato e usato come spauracchio da parte della destra con l’obiettivo di agire effettivamente una censura verso le posizioni liberal e progressiste. D’altra parte, come abbiamo già avuto modo di osservare, la censura ha a che fare con il potere: non c’è censura quando qualcuno decide di non leggere, o comprare, o sostenere qualcuno o qualcosa, ma quando da chi occupa posizioni di potere arriva l’indicazione di non leggere, o comprare, o sostenere qualcuno o qualcosa. E è proprio questo a essere successo negli ultimi anni nel nostro paese intorno alle questioni di genere: Selmi (2015), per esempio, ha parlato dell’ingerenza del Vaticano nelle scuole, perché il gender – sotto forma di educazione alla diversità – non entrasse nei corsi di formazione degli insegnanti della scuola primaria e secondaria. Bernini (2016), invece, ha ricostruito come la galassia anti-gender si fosse già attivata per bloccare la discussione in Senato del disegno di legge Scalfarotto contro l’omofobia nel 2013 e per modificare sostanzialmente il testo della legge Cirinnà approvata nel 2016, e come a livello delle amministrazioni locali si siano espresse delibere in difesa della famiglia tradizionale arrivando a istituire, nella regione Veneto, la “Giornata della famiglia naturale”. A essere nuovo è l’innesto di questi discorsi sul problema della cancel culture, che è da imputarsi al fatto che la discussione del ddl Zan, per ragioni di contingenza storica, è avvenuta in concomitanza dell’esplosione (mediatica) del fenomeno anche in Italia. Ma la retorica è vecchia, vecchia è la mobilitazione e gli effetti sono déjà-vu. Effetti, in ultima analisi, di censura, ma nella direzione opposta rispetto a quanto i sostenitori dell’esistenza del politicamente corretto, del pensiero unico e della cancel culture vogliono farci credere.
56Il secondo nodo ha a che fare con il linguaggio. Come nel caso del discorso giornalistico, anche gli attori politicamente rilevanti hanno cara la retorica sul fatto che “per cambiare il mondo bisogna cambiare il linguaggio”, che arriva sia da destra (Pillon fra tutti) sia da parte del femminismo della differenza, uniti nel temere la diffusione del linguaggio inclusivo che cambierà le esistenze imponendo un nuovo modo di chiamare le cose. Allo stesso tempo, però, le battaglie sul linguaggio vengono descritte come “inutili”, per due motivi: perché a importare davvero solo le intenzioni dei parlanti, come si legge sottotraccia nel sostegno che da destra è arrivato a Pio e Amedeo, e usare termini denigratori non significa essere razzisti o omofobi; ma anche perché le “vere” battaglie contro le disuguaglianze sono altre.
Notes de bas de page
1 I sei lemmi sono: “‘Genere’: pericoli e portata di questa ideologia”; “Genere (‘gender’)”; “‘Genere’: nuove definizioni”; “Confusioni affettive e ideologiche che attraversano la coppia contemporanea”; “Omogenitorialità” e “Identità e differenza sessuale”.
2 La Manif pour tous (letteralmente “Manifestazione per tutti”) è un collettivo che raccoglie circa 40 associazioni riconducibili all’ala ultracattolica conservatrice dell’attivismo religioso (Garbagnoli 2014).
3 Le citazioni dei post riportate in questo capitolo sono letterali e non sono state modificate anche laddove riportassero errori grammaticali e/o sintattici.
4 Qua l’articolo de Il Timone: https://www.iltimone.org/news-timone/lasciateci-grease-riprendetevi-politicamente-corretto/?fbclid=IwAR2eiCiBQIaoWgmXm7P33S0IZKezsl2ppi02t6PVo2uurI-0qzUr5QOXBGY
5 È interessante notare come Luca Ricolfi sia diventato nel corso dei mesi un vero e proprio punto di riferimento per la destra su questi temi: invitato a Atreju, il congresso di Fratelli d’Italia, propone un intervento, ripubblicato in video sulla pagina Facebook del partito l’8 dicembre 2021, in cui spiega le cinque forme di politicamente corretto che ha individuato, esordendo con toni allarmistici su come negli Stati Uniti i tecnici del suono addirittura non si possano più riferire ai cavi audio come “maschio” e “femmina”. Le sue dichiarazioni sul tema sono citate a più riprese anche da Matteo Salvini.
6 Il tema della cancellazione della storia torna ciclicamente in Italia in occasione del “Giorno del ricordo”, controversa ricorrenza istituita per commemorare le foibe, che ha sempre generato accesi dibattiti politici attorno alla possibilità di non celebrarla. Tuttavia, in questi casi non si scomoda la cancel culture perché, come già detto nel capitolo precedente, non è tanto la pratica del cancellare a generare indignazione quanto le sue motivazioni soprattutto se legate alle questioni di genere.
7 A questo link la ricostruzione de «la Repubblica»: https://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2021/05/01/news/primo_maggio_fedez_attacca_la_lega-298992729/ [ultima consultazione 17 maggio 2022].
8 Secondo i dati Auditel di marzo 2022, l’ultima sintesi mensile disponibile al momento in cui scriviamo, nella fascia oraria 20.30-22.30 in un giorno medio il totale dello share dei canali Rai è del 35,5%, quello dei canali Mediaset il 35,1%. Fonte: https://www.auditel.it/wp-content/uploads/2022/03/Sintesi-Mensile-Marzo-2022-ts-cum-7.pdf [ultima consultazione 15 maggio 2022].
9 Qui l’elenco delle città che hanno ospitato la manifestazione: https://www.restiamoliberi.it/elenco-citta/ [ultima consultazione 15 maggio 2022].
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Pink is the new black
Stereotipi di genere nella scuola dell’infanzia
Emanuela Abbatecola et Luisa Stagi (dir.)
2017
Raccontare l’omofobia in Italia
Genesi e sviluppi di una parola chiave
Paolo Gusmeroli et Luca Trappolin
2019
Pensare la violenza contro le donne
Una ricerca al tempo del covid
Patrizia Romito, Martina Pellegrini et Marie-Josèphe Saurel-Cubizolles (dir.)
2021
Prostituzione e lavoro sessuale in Italia
Oltre le semplificazioni, verso i diritti
Giulia Garofalo Geymonat et Giulia Selmi (dir.)
2022