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X. Lo stato

p. 141-156


Texte intégral

1Nella mia introduzione a questa serie di lezioni ho enumerato i problemi della filosofia sociale e politica e li ho categorizzati in tre maniere – come problemi economici, come problemi politici e come problemi della conoscenza e del pensiero, o ciò a cui talvolta ci riferiamo come lato spirituale della vita. Ci siamo già occupati dell’economia; oggi inizieremo a considerare il secondo gruppo di problemi, quelli che vanno sotto la categoria della politica.

2Parlando in termini generali i problemi della politica sono suddivisi in quattro tipologie: (a) il problema dello stato, la sua natura, lo scopo della sua giurisdizione, e così via; (b) il problema del governo, la sua natura, la sua funzione, l’estensione della sua giurisdizione, assieme alle questioni riguardanti il governo aristocratico o democratico, la democrazia diretta e indiretta, e pure, a questo proposito, se di un governo ci sia davvero necessità; (c) il problema della legge, la sua natura, la sua funzione; e (d) il problema dei diritti e dei doveri delle persone, incluse le questioni della protezione di questi diritti e il rafforzamento di questi doveri tramite la legge.

3Non conviene provare a occuparsi di questi problemi in serie, così come li ho appena elencati. Una tale discussione sarebbe sia artificiosa che fuorviante, e inutilmente complessa. È meglio concentrarsi su un’idea principale che ponga in relazione tutti e quattro questi concetti: lo stato, il governo, la legge, e i diritti e i doveri. Di questi termini, la legge si avvicina a essere quello più essenziale, poiché le persone devono agire di necessità conformemente a una legge di un tipo o di un altro. L’unico significato della legge sta nella sua effettiva applicazione da parte dello stato. Quando lo stato fa effettivamente rispettare la legge, i problemi politici diventano principalmente problemi di legge. In politica ci chiediamo se qualcosa sia legale o illegale, ossia se rispetta la legge o la viola, ci occupiamo della punizione dei criminali, il problema del diritto penale, ci interessiamo anche ai processi con cui le leggi sono messe in atto e applicate; perciò, oltrepassando tutte le suddivisioni del nostro secondo principale insieme di problemi, quelli politici, scopriamo che la legge è il concetto centrale.

4Ora, guardiamo per un momento alla questione dello stato. È quasi impossibile dare una precisa definizione del termine, e se anche ci fosse, non sarebbe molto vantaggiosa per i nostri fini. Per noi sarà più utile parlare dello stato piuttosto che tentare di definirlo in una frase.

5Uno stato deve avere un popolo, e deve avere un territorio – ma una zona di terra che ospita delle persone non costituisce necessariamente uno stato. Guardate l’India, per esempio – un territorio così vasto che si parla di esso come di un subcontinente, una popolazione di migliaia di milioni di persone che hanno le proprie tradizioni e costumi, ma l’India non è ancora uno stato, è solamente una colonia della Gran Bretagna. Perché uno stato esista, oltre al territorio e alla popolazione, ci deve essere un’organizzazione politica o un governo. Ma il governo non è lo stato, è solo un’organizzazione o uno strumento dello stato.

6Qualche volta la gente dice che lo stato è un’organizzazione sociale che ha il potere di controllare il comportamento della propria popolazione. Tuttavia lo storico sa molto bene che ci sono molti altri poteri oltre allo stato. Il padre di famiglia, il capoclan, il capotribù – tutti questi sono esempi di agenti di controllo sociale che precedono lo stato come lo conosciamo. Anche nel mondo contemporaneo il comportamento è controllato da ogni genere di organizzazione – associazioni di volontariato, chiese, compagnie finanziarie e industriali, e così via. In un certo senso, lo stato è più o meno simile a queste organizzazioni. Forse possiamo raggiungere una migliore comprensione della natura dello stato se, invece di esaminarlo direttamente, ci approcciamo a esso in maniera indiretta.

7Così facendo, realizziamo che quando le persone si riuniscono in una qualche forma di vita associata avvertono la necessità di organizzarsi, e formulano regolamenti e regole per governare la condotta dei membri del gruppo. Qualche forma di restrizione è inevitabile – non solamente nello stato, ma anche in una condizione di anarchia. Sebbene gli anarchici rifiutino di riconoscere che lo stato sia autorizzato a governare, o a imporre qualsivoglia restrizione alla condotta individuale, accettano che ci debba essere necessariamente un qualche tipo di regolamentazione del comportamento umano. In America il movimento anarchico richiede a coloro che vogliono farne parte di indicare la loro volontà di osservare le norme che proibiscono ai membri di esseri funzionari di governo, di votare, di candidarsi a funzioni politiche o a posizioni di servizio civile, o di appartenere a qualsiasi altra associazione con un governo formale istituzionalizzato. Qualitativamente, questa restrizione non è diversa da quelle imposte dallo stato nella forma di leggi che proibiscono certi comportamenti.

8Gli anarchici si oppongono fortemente all’esistenza dello stato. Richiamandosi a una società composta da individui che acconsentono liberamente a un’associazione volontaria, ripudiano l’autorità dello stato. Ai loro occhi l’applicazione della legge da parte dello stato costituisce un’ingerenza arbitraria nella libertà individuale, in particolar modo quando, nel processo, si esercita la forza.

9Comunque, il problema dell’uso della violenza da parte dello stato per controllare la condotta della propria gente è importante anche per altre persone, non solo per gli anarchici. Il conte Lev Tolstòj di Russia, per esempio, sostiene che l’uso della forza per qualsiasi scopo in qualunque tempo non è mai giustificato. Tuttavia lo stato perderebbe la sua ragion d’essere, se non impiegasse la polizia e le forze militari. Perciò, prima di occuparci di altri punti del problema, dobbiamo capire se l’uso della forza sia giustificabile o non lo sia mai.

10Pure quelli che si oppongono inequivocabilmente all’uso della forza fisica o legale ammettono l’inevitabilità di forze morali e psicologiche come la persuasione, il ricevere un ordine o un rimprovero. Ma ciò solleva la questione se ci sia una valida distinzione fra forza psicologica e forza fisica. Per come la vedo io, un netto distinguo di questo genere non può essere fatto. Verosimilmente neppure il più dispotico dei tiranni potrebbe comandare tutti i suoi sudditi attraverso la forza fisica. Non potrebbe imprigionare tutti gli abitanti, né metter loro le manette, né ordinare loro di fare questo e di astenersi dal fare quello contro la loro volontà. Egli può governare con successo solo quando esercita una qualche sorta di controllo psicologico sopra i suoi sudditi. Può incutere nelle persone il timore per la punizione fisica e la carcerazione, o li può convincere che è davvero nel loro interesse seguire i suoi precetti, così che essi desiderino agire di conseguenza – ma si tratta di controllo psicologico, non di uso della forza fisica. Inoltre, questo controllo psicologico è collegato all’eventualità che ci si possa appellare alla forza fisica. Potete vedere che non è facile dire quando finisca l’una e inizi l’altra.

11La storia ci fornisce innumerevoli esempi delle conseguenze nocive che sono derivate dall’impiego della forza da parte dello stato. Ma quando assumiamo un atteggiamento analitico nei confronti di questo fatto, scopriamo che il problema reale non è che la forza sia negativa di per sé, né è un problema se la forza debba essere impiegata o meno; la questione, piuttosto, è determinare quando e come la forza possa essere impiegata in maniera appropriata e saggia – non il problema del «se», ma il problema del «come». Ci opponiamo a pene come le carcerazioni di massa quando la gente viene ammanettata o picchiata, oppure quando si spara contro le persone, non perché rifiutiamo l’uso della forza in se stessa, ma perché consideriamo dannose le conseguenze dell’impiegare questo tipo di forza in queste maniere. Il danno ha due facce: da una parte fomenta una disposizione insensibile e crudele in chi la impiega, dall’altra spinge coloro che sono soggetti alla punizione a provare disperatamente a evitare la punizione stessa. Più la legge è crudele e ingiusta, più i criminali si sottraggono alle pene previste in maniera abile e determinata. Perciò quando ci diciamo contrari a particolari usi della forza a causa delle conseguenze sgradite, non stiamo ripudiando in maniera categorica qualsiasi uso della forza.

12La forza mentale e quella psicologica possono trovare espressione solo attraverso la forza fisica. Il pensiero della nostra mente, per esempio, può essere espresso solo attraverso l’atto fisico del parlare o dello scrivere, gesticolando, facendo smorfie e così via. Che valore potrebbe avere un pensiero se fosse sempre tenuto in mente, e non fosse fatto conoscere agli altri attraverso l’impiego dei muscoli della gola, della faccia o delle mani? Se voglio andare in centro città, devo esprimere il mio desiderio lasciando la stanza, prendendo l’auto, dicendo all’autista dove voglio che mi porti, e così via – ma queste sono tutte azioni fisiche. Tutto quello che voglio dire è che il problema non è se usare la forza mentale o quella fisica, il problema piuttosto concerne il quando e il come impiegare la forza – bisogna riconoscere che ogni volta sono coinvolti sia fattori psicologici che fisici.

13La forza dovrebbe essere impiegata in maniera assennata e parsimoniosa, senza sprecarla sconsideratamente. Per esempio, è abbastanza verosimile che due persone ben disposte arrivino ai ferri corti semplicemente perché sono incapaci di usare la forza per far rispettare l’impegno che hanno preso. La funzione della legge e della politica è dirigere l’uso della forza in canali tali per cui, qualora essa si traduca in manifestazioni fisiche, la possibilità del conflitto sia ridotta e il pericolo di disperdere energie sia aggirato.

14Nella prima di questa serie di lezioni, quando ho discusso la funzione della filosofia politica e sociale, ho sottolineato la futilità sia di difendere che di attaccare le istituzioni esistenti attraverso ampie generalizzazioni, e ho insistito nel dire che la cosa da fare è esaminare e giudicare ogni caso individuale come un problema concreto. Dobbiamo tenere ciò in mente quando ci occupiamo della forza – determinando quali modi di impiegare la forza sono buoni e umani e quali sono dannosi e inumani – piuttosto che partire lancia in resta e adottare un’attitudine partigiana rispetto alla questione se la forza debba o non debba essere impiegata.

15Quali sono i criteri attraverso cui possiamo compiere una tale analisi e formulare un siffatto giudizio? Credo che per i nostri attuali scopi due criteri siano sufficienti.

16Il primo criterio è il benessere pubblico – se l’uso della forza contribuisce al benessere pubblico è buono; se è destinato a fini egoistici, è cattivo. Per esempio, possiamo dire che quando Guglielmo il Conquistatore usò la propria forza militare per invadere l’Inghilterra, e soggiogare e sfruttare gli anglosassoni, stava ricorrendo a un uso della forza che, secondo questo criterio, era dannoso. Lo stesso principio si applica ugualmente agli affari interni di una nazione e alle relazioni internazionali.

17Il secondo criterio è il livello massimo di sviluppo della conoscenza e del pensiero cui l’impiego della forza può condurre. Quando la forza porta alla soppressione e alla distruzione della conoscenza, o quando rende le persone meno volonterose e capaci di pensare, è dannosa; solo la forza che promuove lo sviluppo della conoscenza e contribuisce alla capacità di pensare è buona – e questo è particolarmente importante, poiché è la qualità della conoscenza e del pensiero della gente che determina se un’ulteriore applicazione della forza sarà saggia e in grado di contribuire ai fini umani.

18Quando applichiamo questi criteri, dobbiamo ricordarci che la forza può essere impiegata su tre livelli. Il primo di questi è semplicemente la spesa di energia fisica – il tipo di energia che è indispensabile in ogni attività umana. Un ebanista che costruisce un tavolo, per esempio, deve usare una sega, un tornio, un martello, una pialla, della cartavetrata, e così via – e usando ognuna di queste cose, spende energia. Usiamo la nostra energia quando mastichiamo il cibo o quando parliamo. Infatti, qualsiasi cosa facciamo spendiamo energia nel farlo.

19Il secondo livello cui siamo interessati è quello della coercizione e della resistenza. Quando qualcuno interferisce con la libertà d’azione di qualcun altro, quest’ultimo deve utilizzare un qualche tipo di forza per resistere al primo. Qui il problema è quando usare la forza, come e quanto. Quando una nazione è giustificata a impiegare la forza militare contro un’altra? Quando un governo è giustificato a impiegare le forze di polizia per bloccare le persone nelle attività in cui sono impegnate? Senza dubbio, ci sono occasioni in cui una tale forza deve essere impiegata. Ma il genere e il livello di forza di resistenza deve essere determinato in base alla natura e alla severità della forza coercitiva o all’ingerenza cui si deve rispondere. Più violenta e crudele è la natura della forza che infrange la legge, più è giustificabile il ricorso a misure energiche per contrastarla.

20Il terzo livello di forza di cui ci dobbiamo preoccupare è la violenza – una forza completamente negativa, distruttiva, quasi sempre inefficiente. L’energia è forza impiegata per raggiungere un obiettivo; la resistenza è forza impiegata per rispondere alla violenza; la violenza è forza consumata per nulla – o nel migliore dei casi per raggiungere un risultato distruttivo e non proficuo. L’antica legge penale, ricorrendo a punizioni crudeli come la decapitazione o la mutilazione – la legge del taglione – contribuiva invero agli appetiti depravati delle autorità stesse. I risultati per le autorità erano sia negativi sia dispendiosi, mentre i membri delle famiglie delle vittime tramavano vendette, o diventavano incorreggibili nella loro determinazione a evadere la legge. La violenza è uno spreco sia per gli affari interni di una nazione che per le relazioni internazionali. Per quanto riguarda l’uso della forza, il nostro problema, pertanto, è cercare i modi di usarla come energia di primo livello, o di impiegarla consciamente per raggiungere uno scopo. Più è costruttivo e parsimonioso l’uso della forza, meglio è. Dobbiamo capire come evitare il terzo livello – la violenza – in modo da evitare il bisogno di ricorrere al secondo livello – la resistenza.

21Abbiamo appena detto che si ottengono migliori risultati quando la forza è usata costruttivamente e parsimoniosamente; si hanno risultati peggiori, quando è usata in maniera distruttiva e dispersiva. Questi criteri di economia e costruttività sono applicabili tanto alla famiglia, quanto ai contesti economici e agli affari nazionali – ma oggi stiamo parlando dello stato. Conviene allo stato impiegare la forza per lo sviluppo dell’educazione, lo sfruttamento delle risorse minerarie, la costruzione di ferrovie e strade, l’edificazione di case per il suo popolo; tuttavia è dannoso per lo stato impiegare la forza per uccidere le persone.

22Perché lo stato è diventato un’organizzazione che detiene il potere supremo? Semplicemente perché gli esseri umani hanno bisogno di giustizia. Quando due esseri umani si scontrano, devono trovare una terza persona che decida chi è nel giusto. Quando sono in disaccordo, o quando qualcuno trova che i propri interessi entrino in conflitto con quelli del vicino, questi finiscono necessariamente per dipendere da qualcun altro che faccia da mediatore e trovi una soluzione ai loro problemi, dal momento che per gli esseri umani è difficile essere equanimi nei propri giudizi quando sono coinvolti in prima persona in una disputa. Tuttavia non è un terzo partito qualsiasi a poter fornire un giudizio che entrambi i contendenti accetteranno. Le persone hanno una naturale tendenza a ricercare un potere più grande di loro, un potere che possa produrre decisioni coerenti con la giustizia in cui hanno fiducia – e seguendo questa tendenza hanno sviluppato l’istituzione dello stato, organizzandolo in maniera tale che il suo potere fosse supremo.

23Vi potreste chiedere perché la parte terza che è indispensabile per passare in giudizio e dare un’equa soluzione a un conflitto non possa essere la famiglia, la chiesa, la compagnia finanziaria, o un’organizzazione di volontariato. Queste istituzioni minori fanno la stessa cosa – ma lo scopo del loro potere e della loro autorità è limitato, e perciò possono farlo solo su scala ridotta. Inoltre, qualche volta chi è coinvolto nella contesa può essere un membro di uno di questi raggruppamenti più piccoli, e il suo avversario verosimilmente potrebbe non accettare come equa una decisione emessa in simili circostanze. Questo tipo di situazione genera il bisogno di un’organizzazione più inclusiva. Più una cultura è complessa, più sono strettamente legate fra loro tutte le organizzazioni che la compongono, e maggiore è il bisogno di un potere mediatore che sia più grande di ognuna di loro – da qui la necessità dello stato con il suo potere supremo.

24Gli anarchici, che rigettano l’idea dello stato, sostengono che le persone debbano essere libere di formulare i propri giudizi. Alcuni di loro criticano particolarmente le ingerenze in questioni personali quali l’amore e il matrimonio, affermando che questi sono affari relativi al giudizio individuale. Oggi, molti di noi sono d’accordo circa il fatto che i giovani dovrebbero godere di un’ampia discrezionalità quando scelgono i propri compagni e le persone che desiderano sposare. Ma il matrimonio è un’istituzione sociale tanto quanto personale. Certamente non potremmo lasciare cose come il divorzio e la custodia dei bambini al giudizio indipendente delle persone coinvolte. Questo è solo uno dei problemi che dobbiamo affrontare con ordine; ce ne sono innumerevoli altri. Più una società diventa avanzata, più aumentano le dispute e i conflitti di interessi che devono essere mediati da una parte terza. Alla fine giungiamo al punto in cui questo terzo partito deve essere per forza l’istituzione inclusiva e permanente conosciuta col nome di stato.

25Dopo aver visto come lo stato si evolve e diventa l’organizzazione permanente del potere supremo della società, possiamo tornare al problema che abbiamo posto all’inizio di questa lezione, ossia il criterio attraverso cui dobbiamo valutare lo stato. Come abbiamo visto, la ragione per cui uno stato può esercitare un potere supremo è che esso è lo strumento più efficace per il benessere di tutta la dimensione pubblica. L’organizzazione più piccola non può esercitare un potere supremo, né si può guardare a essa per avere dei giudizi risolutivi, perché ogni singola organizzazione rappresenta solo un segmento della totalità del pubblico.

26Per riassumere quanto è stato detto, lo stato è considerato buono quando rappresenta il benessere pubblico generale, ma non è buono, non importa se viene definito democrazia o in qualche altra maniera, qualora rappresenti gli interessi di una minoranza della propria popolazione, o di un monarca e dei suoi parenti, o di un partito politico, o di una classe economica. In politica il problema fondamentale è costruire uno stato che lavori costantemente al benessere di tutti quanti i suoi cittadini.

Lezione x – Appunti

27Possiamo ora iniziare a parlare dei particolari aspetti politici della vita sociale.

28La discussione può essere delimitata dalla natura dei problemi di cui si occupa: si tratta di questioni come I) la natura e il fine dello stato, o il problema dell’autorità politica; II) la natura e la costituzione del governo, o degli enti preposti all’esercizio dell’autorità, il valore delle varie forme di governo, come la monarchia, l’impero, l’aristocrazia, la democrazia contro la democrazia rappresentativa pura, i poteri legittimi del governo, il legislativo, l’esecutivo, il giudiziario, e le loro reciproche relazioni…; III) la natura e [lo] scopo della legge, la sua relazione col governo da un lato e con il cittadino dall’altro; IV) il sistema dei diritti e doveri o degli obblighi legali con cui il sistema della legge diviene concreto e operativo. Se proviamo a definire il concetto di politica invece di enumerare i vari problemi inclusi nella discussione, ci potrebbe essere d’aiuto notare due cose. In primo luogo il concetto di legge si trova in tutti i problemi menzionati. Secondariamente, l’idea che la legge ha un’autorità che non è semplicemente morale – ossia che non poggia solamente sul riconoscimento che ha da parte della coscienza individuale, ma che viene fatta rispettare anche contro il desiderio personale da qualche ente generale. Ci troviamo nella sfera della discussione politica ogni qual volta iniziamo a considerare cosa un particolare individuo può fare legalmente, e cosa può compier solo illegalmente, e quali enti e strumenti prescrivono cosa è legittimo e cosa non lo è, proteggendolo in queste sfere di attività legali, e limitandolo, frenandolo e punendolo nelle azioni illegali.

29Iniziamo la nostra discussione considerando il significato dello stato come autorità politica suprema. Dobbiamo tuttavia notare che legge e autorità non sono coestensive con lo stato per come oggi lo conosciamo, e che l’odierna identificazione del problema della natura dello stato con la natura dell’autorità politica, il potere di fare la legge e di far rispettare norme di comportamento, è il prodotto di uno sviluppo storico che non è stato lo stesso dappertutto – per esempio,

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molti degli attuali problemi della Cina sono strettamente connessi al fatto che essa si trova faccia a faccia con popoli e paesi che hanno portato più in là di quanto la Cina stessa abbia fatto la formazione e il consolidamento [dello] stato in quanto centro della regolamentazione sociale. Come abbiamo notato in precedenza, le organizzazioni di famiglia e clan, basate su reali o presunti legami di sangue, furono senza dubbio le prime organizzazioni a esercitare controllo, a determinare cosa i propri membri potessero o non potessero fare, a ricompensarli e punirli. Contribuirono alla concezione paternalista o addirittura patriarcale dello stato quando quest’ultimo si formò, e divennero la spina dorsale dello stato assoluto in connessione con certe dottrine religiose e morali, lo stato che si incentra in maniera mistica su una singola famiglia o individuo, di natura semidivina o superumana – un imperatore, Cesare, Mikado. Anche le forme più estreme di anarchismo politico – quelle che desiderano l’abolizione dello stato – devono riconoscere malgrado tutto l’esistenza di un qualche gruppo sociale che, in quanto gruppo, esercita un qualche controllo e disciplina sui propri membri – unioni, società, corporazioni, cooperative, scuole collettive… Ciò getta luce sui problemi della politica in modo tale da far notare che ognuna di tali organizzazioni ha regole e regolamenti, siano essi scritti o non scritti.

30Mentre l’anarchico può porre enfasi sul diritto di ogni individuo di entrare a far parte di una qualsiasi organizzazione o di abbandonarla secondo il proprio volere, egli tuttavia deve ammettere che i bambini, per esempio, non sono in grado di esercitare tale scelta, e che entrare in un’organizzazione durevole implica obblighi permanenti – in altre parole, il porsi sotto una qualche autorità. Così sono venuto a conoscenza di una società anarchica negli Stati Uniti i cui membri si erano impegnati a non votare mai o a non rivestire incarichi pubblici, di avere a che fare il meno possibile con governo e pubblici ufficiali. Il giuramento all’organizzazione aveva la stessa natura dell’accettazione dell’unità politica. In pratica si viene a scoprire che l’anarchismo, o la negazione del valore e della validità di tutte le idee e attività politiche, si concentra su due aspetti: in primo luogo, sfiducia verso lo stato nelle forme in cui oggigiorno esiste, cioè come

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capacità di azione [agency] politica benefica – non tanto la negazione della politica quanto quella di un certo organo come strumento più adatto alla regolamentazione sociale; in secondo luogo, la credenza che ogni esercizio di violenza fisica a fini coercitivi e repressivi sia ingiustificato. Per quanto importante, il primo punto è chiaramente secondario. Ora, di solito si pensa che questo uso della violenza delimiti la regione del legale e del politico da quella puramente morale. Dunque questo è il problema centrale. Qual è, se ce n’è una, la giustificazione per l’uso della forza in relazione all’osservanza della legge, delle regole in questione, e alla punizione per aver infranto le regole che riguardano qualsiasi organizzazione sociale permanente? Bisogna lasciare che gli individui siano i soli giudici? Se l’unica pena fosse la disapprovazione sociale espressa in forme puramente morali e senza regolari mezzi di espressione – detto altrimenti, un accordo fra tutti i membri della comunità di rifiutarsi di parlare con chiunque abbia commesso una certa cosa – ci vorrebbe senza dubbio un’organizzazione politica e ne deriverebbero conseguenze fisiche, come malattia e morte. È sbagliato usare la forza o minacciarne l’impiego per costringere un individuo a fare cose che non desidera fare, o usarla per restringere la sua libertà di azione – sottrargli le sue proprietà, metterlo in prigione o condannarlo a morte?

31Mi vengono in mente le seguenti riflessioni.

32Non è possibile fare una netta e assoluta distinzione fra la dimensione morale e quella fisica. Il problema non è fra la forza fisica da un lato e la forza morale dall’altro. La questione riguarda la differenza fra un uso intelligente e costruttivo della forza fisica e uno negativo, inefficiente e distruttivo. La forza fisica deve essere usata in ogni caso. Il problema è regolamentare il suo impiego per ottenere il risultato migliore; la questione morale ha a che fare con il suo uso in quanto valutato e giudicato secondo le conseguenze. In gran parte la violenza, pure quella impiegata da uno stato dispotico, opera attraverso intermediari mentali – attraverso le minacce di punizione. Si appella a un motivo, e da lì viene introdotto un fattore morale. Il guaio è che il motivo è assai spesso negativo, paura, timidezza, desiderio di evitare i disordini,

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motivi che, in coloro su cui viene esercitata una forza punitiva, deprimono e bloccano l’energia umana invece di suggerirne l’impiego, mentre in coloro che la esercitano vengono stimolate solo le più rudimentali energie mentali. Il possesso della forza è una risorsa così semplice che non necessita perspicacia, ingegnosità o il prender in considerazione fattori complessi. La sola evocazione dei poteri umani più rozzi incoraggia anche un loro uso irregolare e scoordinato – ciò che chiamiamo azione arbitraria. Pure laddove l’uso della forza da parte degli ufficiali di governo è regolato dalla legge, bisogna ammettere che spesso la violenza è impiegata in maniera stupida – come per esempio nelle carceri e prigioni ordinarie. La forza è usata saggiamente quando è sfruttata per risvegliare l’attenzione, per far pensare gli uomini, per farli riflettere sul corso delle loro azioni, per stabilire piani maggiormente adatti a mantenere l’ordine. Viene usata stoltamente quando produce solo reazioni emotive, paura, risentimento, odio, scontrosità, o quando smorza e deprime la facoltà di osservare e riflettere, ottundendo il pensiero.

33D’altra parte, una forza morale senza alcuna espressione fisica è impossibile. Ogni atto richiede energia fisica per la sua esecuzione e cambia l’ambiente in qualche modo. L’uso del giudizio, della persuasione, del ragionamento, l’appello alla coscienza, le memorie sono morali in modo tutto particolare, ma possono essere rese manifeste solo attraverso atti fisici. Il sarcasmo può essere doloroso tanto quanto un colpo di frusta, un rimprovero può essere più difficile da sopportare di uno schiaffo. Inoltre l’impiego di una dichiarazione può non essere una prova adeguata della genuinità di una credenza o di una convinzione. Ciò che una persona vuole fare è una prova se consiste in qualcosa di più di una dichiarazione. Parlare non basta. Quella persona vuole dare seguito alle sue chiacchiere con altre azioni? La prontezza ad agire in conformità con le proprie convinzioni quando comporta un rischio è l’evidenza universale che un’idea è reale. Idee e ideali che le persone non si curano di far rispettare, che non si sforzano di mettere in pratica, sono irreali.

34Se la forza morale non può essere separata da quella fisica, allora cosa

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si vuol dire con questo? Due elementi nella forza morale; essa presuppone la comunanza di interessi, non l’ostilità. Presuppone che entrambe le parti abbiano lo stesso interesse nel raggiungere una comprensione e un accordo, e che l’altra parte abbia la volontà di cooperare per raggiungere una decisione. Sovente, anche se in conformità alla giustizia e al diritto, l’uso della violenza presuppone ostilità, antagonismo, riluttanza da parte dell’altro a pervenire a una conclusione ragionevole e equa. Di conseguenza vengono sollecitate frizioni e recriminazioni. L’altra persona assume di poter avanzare con successo la sua pretesa solo attraverso il ricorso alla violenza. Eccitando risentimento e ostilità si genera una quantità di mali maggiore di quelli dati. L’uso della persuasione, della discussione, presuppone ragionevolezza e almeno una moderata amicizia da parte dell’altro partito. Un trattamento benevolo è talvolta disarmante. Pertanto pure quando tale metodo di persuasione per mezzo dell’argomentazione non può essere sfruttato ulteriormente a causa della ritrosia dell’altra parte coinvolta, la forza dovrebbe essere impiegata in modo tale da promuovere attenzione e premura piuttosto che essere fine a se stessa. Il problema riguarda il tipo e il modo di utilizzo della forza per meglio sviluppare un atteggiamento ragionevole. Resistenza passiva o attiva, punizione positiva o isolamento, ritiro dal confronto?

35Possiamo distinguere tre gradi di forza. Il primo è il potere, l’energia nel raggiungere dei fini, che non è solo evidenza di buona fede e sincerità di convinzione ma anche l’unico modo in cui queste idee morali possono essere qualcosa in più che futili sentimenti interiori. Il secondo consiste nell’usare tale energia per disturbare gli altri, infliggere dolore o sofferenza o perdite ad altri. Ora il fatto che questa sia esercitata dallo stato e non da un individuo di per sé non la giustifica. La questione è se essa sia esercitata affinché la perdita conduca l’altra parte a una predisposizione mentale più razionale, e sia possibile una discussione in termini favorevoli a entrambi. Poi, in terzo luogo, c’è la violenza – la forza che è distruttiva, dannosa, che non ha assolutamente alcun effetto educativo e ricostituente – ovvero soggetta alla tendenza a distruggere e danneggiare. Bisogna ammettere che

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buona parte delle azioni dello stato, così come quelle degli individui privati, sia in pace che in guerra, sono violente in tal senso e vanno perciò moralmente condannate. Tuttavia, l’istituzione delle scuole è quasi totalmente un lavoro costruttivo. Le scuole richiedono soldi. Se un gruppo di persone si rifiuta di contribuire, la forza può essere usata per riportarli a migliori consigli (pagare le tasse) così come per portare avanti il lavoro utile. I casi di coercizione legittima, obbligo, ricadono in questa classe.

36Se aggiungiamo un’altra considerazione, la giustificazione teoretica per alcuni usi della forza da parte dello stato in quanto organizzazione è completa. Si è detto che ogni ideale sociale deve fondarsi sui fatti, le necessità della natura umana e il mondo. Ora il senso di ingiustizia, quello di risentimento e quello di riscatto sono molto pronunciati nella natura umana. Se non esistesse alcun ente pubblico di giustizia, le persone gestirebbero da sé castighi e rappresaglie. Alla fine ci sarebbe una forza più irregolare, controproducente e distruttiva, una maggiore invasione della libertà altrui, di quanto consentirebbe una fonte pubblica di violenza. L’azione dello stato è una coscrizione, una deviazione dell’azione privata che è economicamente conveniente. Ciò è chiaro se si guarda alla guerra fra nazioni. Quello di cui c’è bisogno è un qualche giudice e amministratore superiore. Senza quest’ultimo, ogni singola nazione si arma e si dà alla violenza quando pensa o si illude di aver subito un torto. Così prima dell’istituzione di enti pubblici che avessero il monopolio della forza, vi era più o meno una faida, una guerra privata, continua. Inoltre, senza alcuna cattiva intenzione, le persone si combattono l’una con l’altra e si danneggiano nel tentativo di portare a termine i propri piani. Un qualche tipo di arbitro imparziale con il potere di far rispettare le decisioni è necessario.

37Questi argomenti non stabiliscono che lo stato debba essere l’arbitro e l’esecutore. Sottolineano solo la necessità di un qualche partito esterno, oltre gli individui immediatamente coinvolti. Tuttavia, quando le relazioni sociali diventano complicate, e viene toccato

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un insieme sempre più ampio di interessi, quando le conseguenze delle azioni si espandono fino a parti terze al di là di dell’individuo, l’ente chiamato a operare deve diventare progressivamente permanente e esauriente nella sua azione. Per esempio, la ovvia obiezione alla teoria anarchica circa relazioni perfettamente libere nel matrimonio, senza alcuna supervisione o controllo pubblico, è che la relazione matrimoniale non termina con le due persone direttamente coinvolte. La naturale conseguenza del matrimonio è che i bambini e i loro interessi debbano essere protetti. Se l’intelligenza e l’affetto dei genitori non sono sufficienti, allora ci deve essere un potere esterno, qualcuno autorizzato ad agire, con la coercizione e il controllo se è necessario. Ora le diverse componenti della società moderna si sviluppano in modo sempre più intrecciato. È divenuto pressoché impossibile dire se l’effetto di un atto si limiti alle parti direttamente coinvolte in esso. L’effetto sull’interesse, la felicità e la libertà positiva degli altri è tale che deve esserci almeno un ente tanto esteso e durevole quanto lo sono gli interessi in gioco. Da qui lo sviluppo dello stato moderno. È corretto dire che se l’esperimento anarchico fosse testato in buona fede e con intelligenza in tutte [le] complesse condizioni di civilizzazione e su qualsiasi ampio territorio, tale esperimento avrebbe presto sviluppato un ente per la regolamentazione e la risoluzione di dispute e conflitti. Le persone che hanno rapporti con questo ente potrebbero non chiamarlo stato, ma sarebbe come lo stato. Quello che tutt’al più si potrebbe dire su di esso è che eserciterebbe le funzioni dello stato attuale in maniera più efficace e con meno abusi collaterali.

38Pur concentrandosi sull’obiezione a ogni impiego della coercizione nella legge e nell’amministrazione in quanto immorale, questa discussione si spinge oltre. Mostrando come la forza dovrebbe essere usata, gli scopi per cui dovrebbe essere usata, otteniamo un nuovo criterio per giudicare lo stato, e anche per gettare luce sui problemi connessi alla sua evoluzione storica. Da un punto di vista storico bisogna ammettere che lo stato nasce

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nella violenza e nell’oppressione, di solito dalla vittoria di un popolo su un altro e [dal] desiderio del popolo vittorioso di mantenere quello conquistato in una soggezione tale da poterlo sfruttare. Bisogna ammettere che lo stato storico è stato diretto soprattutto in conformità agli interessi di una minoranza sfruttatrice al governo, una casa regnante o una dinastia, o una classe economica che poteva usare il potere politico per perseguire i propri interessi. Ma bisogna concedere anche che sono state dichiarate battaglie politiche contro queste condizioni, e che la lotta politica per un governo democratico è stata principalmente un tentativo di mostrare che lo stato funzionava a favore dell’interesse pubblico – che in generale esso legifera e amministra nell’interesse del popolo.

39L’altro elemento in tale criterio è che le operazioni dello stato siano il più costruttive possibile – che nei suoi effetti sulla natura umana la sua azione incoraggi, coltivi quest’ultima piuttosto che limitarla e soffocarla, che usi il proprio potere per richiamare alla premura e alla riflessione anziché alla sola cieca emozione, e che stimoli la sfera pubblica, la comunicazione, la diffusione di idee e ispirazione, anziché incoraggiare [illeggibile] e la negazione di conoscenza e competenza.

40Per lungo tempo, agli albori del pensiero moderno, la controversia politica riguardò il valore dello stato, ed era portata avanti in Inghilterra da coloro che sostenevano che una limitazione del potere arbitrario dello stato fosse la cosa più importante, e nel resto del continente da coloro che erano colpiti dal valore dello stato in quanto condizione di pace e ordine sociali – da un lato i fautori dello stato liberale e limitato, dall’altro quelli dello stato assoluto. Mentre i primi hanno riscosso un successo completo quanto al loro desiderio di sviluppare un governo che dovesse essere rappresentativo dell’interesse pubblico e responsabile nei confronti del popolo, i secondi hanno avuto ampio successo nell’imporre la loro visione di uno stato sovrano e supremo, che non avesse alcuna autorità al di sopra di sé e non avesse responsabilità verso persona alcuna. In altre parole, lo stato nazionalista ha continuato a acquisire

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potere e dignità, mentre l’azione di legislatori e amministratori è stata sempre più limitata da controlli popolari. Prima di considerare l’apparente contraddizione che presenta uno stato che è assoluto ma i cui organi d’azione – il governo – sono limitati, dobbiamo considerare le due dottrine delle due scuole di pensiero politico.

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