IV. La riforma sociale
p. 77-94
Texte intégral
1Nelle precedenti lezioni di questa serie ho sviluppato due punti importanti: (1) la teoria si origina nei momenti in cui la società è in preda al disordine e i normali processi di interazione sociale sono interrotti; e (2) il conflitto sociale avviene quando gli interessi di certi gruppi sono perseguiti a detrimento di altri gruppi attraverso la soppressione degli interessi di questi ultimi. Una posizione sproporzionatamente privilegiata di certi gruppi a svantaggio di altri costituisce un’ingiustizia che genera conflitto.
2Questo punto di vista costituisce una deviazione rispetto a quanto è stato generalmente sostenuto dalla filosofia sociale e politica fino a questo momento. Coloro che hanno famigliarità con la storia della filosofia sociale e politica coglieranno immediatamente la differenza. Le precedenti teorie possono essere sussunte sotto tre categorie generiche: (a) l’individualismo, che sottolinea le libertà, i diritti, e la dignità dell’individuo; (b) il socialismo che pone l’accento su legge e ordine come strumenti per il benessere del corpo sociale considerato nella sua totalità; e (c) una terza posizione che si impegna a raggiungere un terreno intermedio tra questi due estremi, esprimendo, da un lato, interesse per la libertà e i diritti dell’individuo, mentre al tempo stesso, d’altro canto, sostiene la necessità di legge e ordine e dell’armonioso funzionamento della società. Questo terzo punto di vista postula un’opposizione fra diritti e libertà dell’individuo da un lato e la domanda di stabilità sociale dall’altro, e individua le origini del conflitto sociale in questa opposizione.
3Tutte e tre queste prospettive sono abbastanza differenti da quella che sto portando alla vostra attenzione. Noi sosteniamo che sia più utile – in altre parole, che si conformi maggiormente a quanto possiamo osservare obiettivamente, quando la nostra analisi è ponderata e attenta – pensare la società in quanto costituita da persone riunite in gruppi di varia sorta, piuttosto che composta da serie di persone individuali considerate alla stregua di enti. E sosteniamo che il conflitto sociale avvenga non perché gli interessi degli individui sono incompatibili con quelli della società, ma perché gli interessi di alcuni gruppi sono ottenuti a svantaggio, o tramite la soppressione, degli interessi di altri gruppi.
4Se il nostro approccio al problema è valido, allora i filosofi degli ultimi trecento o quattrocento anni si sono sbagliati; e la definizione standard di conflitto sociale come disparità fra gli interessi degli individui da un lato, e quelli della società dall’altro, implica un essenziale errore di interpretazione dei fatti in discussione, per come i recenti sviluppi delle scienze sociali ci permettono di osservarli e interpretarli. Vediamo, dunque, se attualmente esiste una differenza pratica e fondamentale fra le teorie sino a oggi accettate e quella che ora proponiamo, o se la differenza è meramente terminologica e teoretica.
5Consideriamo ancora una volta il nostro problema basilare, il conflitto sociale. Come abbiamo detto, l’uso strumentale delle scienze sociali ci consente di vedere che la società è composta di molti gruppi di persone, non di una mera aggregazione di individui. Da questa definizione, segue la definizione di conflitto sociale come disparità fra gli interessi perseguiti da gruppi di persone.
6Quando un gruppo ottiene una posizione riconosciuta di privilegio e potere, quando diventa il gruppo dominante in una società, i suoi membri tendono a considerare tutti gli interessi che non riguardano il loro gruppo come interessi individuali, e i propri come interessi della società. In altre parole, dal proprio punto di vista, il gruppo dominante è la società, i suoi interessi sono gli interessi della società, e il benessere del gruppo dominante è identificato con il benessere della società. I membri del gruppo dominante non accettano interessi diversi da o in competizione con i loro, non perché siano gli interessi di altri gruppi, ma perché quasi invariabilmente attribuiscono tali interessi a persone singole, e perciò postulano un conflitto fra tali individui da un lato e la società dall’altro (la quale, dal loro punto di vista, coincide con il loro gruppo). Il fatto che questo genere di definizione fosse stato adottato acriticamente dai primi filosofi sociali condusse questi ultimi, ovviamente, a riprodurre una definizione fallace di conflitto sociale.
7Allora ripetiamo: secondo la nostra attuale visione il conflitto sociale si verifica quando uno o più gruppi godono di un livello di libertà e diritti che depriva gli altri gruppi di quelli loro dovuti. Come abbiamo visto, non si tratta di uno scontro fra individui da una parte e società dall’altra. Non è un conflitto fra libertà e diritti da un lato opposti a legge e ordine dall’altro. Secondo noi la persona che inizia un movimento di riforma sociale non è necessariamente un radicale, ma qualcuno che cerca di modificare o rivedere le istituzioni esistenti; nella prospettiva classica, egli è ritenuto invariabilmente come un deviato che si è armato per ingaggiare una guerra contro la sua società, egli è il colpevole nel conflitto sociale.
8Ma nella nostra teoria, il conflitto sociale è una questione di gruppi in conflitto – e i gruppi sono, per definizione, sociali. Il gruppo su una delle sponde del campo di battaglia davvero crede fortemente di star combattendo per il benessere della società nel suo insieme, così come lo crede il gruppo che a esso si oppone dall’altro lato. Se fosse lecito attribuire le azioni della fazione invisa o subordinata a individui dissidenti, sarebbe per lo meno ragionevole far notare che anche il gruppo sovraordinato è composto da membri individuali, attribuendo a essi in quanto individui il ruolo di difensori dello status quo. Come abbiamo indicato, la differenza pratica consiste nel fatto che gli interessi del gruppo dominante tendono a essere implicitamente identificati con quelli della società, mentre gli interessi perseguiti da un gruppo subordinato di norma non sono riconosciuti tali. Questo fatto spiega perché i leader dei movimenti di riforma siano così spesso additati come piantagrane.
9A questo punto potremmo rifarci nuovamente al conflitto fra stato e chiesa, che è stato un aspetto davvero evidente della storia medievale in Europa. Dopo il relativo caos dei secoli bui, allorché la chiesa si affermò quale agente stabilizzante nella maggior parte delle regioni dell’Europa occidentale, era abbastanza naturale identificare gli interessi di tale istituzione e, di conseguenza, gli interessi della classe ecclesiastica che governava la chiesa, con gli interessi della società. I leader politici – duchi, principi, persino i re – erano generalmente subordinati rispetto alla chiesa e, almeno apparentemente, accettavano l’identificazione fra gli interessi di questa con quelli più ampi della società.
10Tuttavia, quando le emergenti istituzioni politiche cominciarono a sviluppare interessi e rivestire funzioni incompatibili con il sistema di governo ecclesiastico, il risultato fu un conflitto che venne definito in termini di ribellione di alcuni arrivisti contro l’ordine stabilito. Questa spiegazione fu sostenuta non solo dagli ecclesiasti, che identificavano i propri interessi con quelli della società, ma continuò a caratterizzare la mentalità generale pure quando un considerevole numero di persone iniziò a trarre la conclusione che i loro interessi potevano essere meglio soddisfatti dalle istituzioni politiche piuttosto che dalla chiesa in quanto tale. Gli interessi della chiesa erano pubblicamente accettati: quelli rappresentati dai concorrenti che stavano lentamente facendo capolino non godevano ancora di un tale riconoscimento pubblico, e perciò erano largamente considerati alla stregua di interessi individuali piuttosto che propriamente sociali.
11Un ulteriore e simile esempio è il conflitto fra religione e scienza nel periodo successivo a quello di cui stavamo parlando. Pure quando le istituzioni politiche assunsero una certa indipendenza dal controllo della chiesa, questa conservò un potere eccezionale. Le sue dottrine, incorporate nelle leggi, furono rafforzate dallo stato; essa mantenne, in larga misura, il controllo sull’educazione, e la formazione continuò a essere dominata dalle Scritture, dai commentari teologici e dalle speculazioni; la chiesa influenzò la legislazione e fu capace di conservare come propria prerogativa un ampio spettro di questioni per la cui risoluzione i giudizi delle coorti ecclesiastiche erano considerati conclusivi. La chiesa era la principale forza conservatrice della società, e imponeva il peso della propria influenza attraverso la preservazione e la perpetuazione dei costumi e delle tradizioni esistenti. Ai suoi occhi, il mantenimento della stabilità sociale era una responsabilità che doveva essere assunta e adempiuta da un’aristocrazia relativamente ristretta, i cui interessi erano assunti come coincidenti con gli interessi della società intera. Gli intellettuali indipendenti, e specialmente gli innovatori nelle scienze, erano ribelli e nemici della società il cui anticonformismo costituiva una minaccia alla stabilità. Il fatto che pure quelle richieste di riforma sociale, che ai giorni nostri paiono giustificabili in maniera completamente ovvia, fossero regolarmente rigettate con l’accusa di contrastare l’interesse generale esemplifica fino a che punto, a causa del dominio da loro esercitato sul lungo periodo, l’egoismo possa accecare i membri di un gruppo che considerano se stessi come la società nella sua totalità, e i propri ristretti interessi come quelli che meglio potrebbero servire i bisogni dell’intero corpo sociale.
12Lasciamo l’Europa e rivolgiamoci alla famiglia orientale per la nostra ultima descrizione, possibilmente la più indicativa, del punto che stiamo spiegando. La famiglia è l’unità basilare della società orientale, e di conseguenza è abbastanza naturale che gli interessi della famiglia siano ampiamente considerati come sinonimo degli interessi della società. Nell’organizzazione famigliare gli anziani occupano posizioni di prestigio, e esercitano un notevole potere. Spesso gli anziani inibiscono gli interessi delle donne e degli uomini più giovani nella famiglia a tal punto che questi ultimi fanno parte della famiglia solo in un senso preciso, che li relega virtualmente allo status di possedimenti – o, nel migliore dei casi, di agenti che devono obbedire agli ordini e portare a termine gli obiettivi degli anziani.
13Quando, in risposta a mutate condizioni, figli e fratelli più giovani iniziano a esprimere le proprie opinioni e insistono a voler scegliere le proprie occupazioni, decidendo della propria fede e scegliendo i propri coniugi, gli anziani percepiscono queste richieste come qualcosa di contrario all’interesse famigliare e, perciò, come una minaccia alla stabilità sociale. Dal loro punto di vista, salvaguardare gli interessi della società richiede che prima di ogni cosa siano salvaguardati gli interessi della famiglia; e gli interessi della famiglia esigono che figli e fratelli minori siano tenuti sotto controllo. Gli anziani non riescono a capire che le rivendicazioni dei figli e dei fratelli minori rappresentano a loro volta una specie di interesse sociale. La richiesta di scegliere il proprio lavoro, la propria fede, il proprio coniuge, è essenzialmente una domanda di equità sociale, di uguale opportunità per uno sviluppo libero; tale richiesta sembra preannunciare un disastro per la semplice ragione che non gli è stato ancora accordato un riconoscimento sufficientemente ampio dalla società in generale. Questa è un’altra descrizione del fatto che gli interessi dei gruppi che sono ancora subordinati a quelli dominanti, i quali identificano i propri interessi con quelli della totalità della propria società, sono generalmente contrastati o disprezzati – almeno fino a quando il gruppo subordinato non diventa grande abbastanza da costringerli al riconoscimento della propria rivendicazione come una componente operativa della parte più ampia della società. Credo si possa dimostrare che ogni caso di conflitto sociale nella storia ha avuto questo tipo di origine.
14Ricapitolando: il conflitto sociale non è mai una competizione fra l’individuo e la sua società, ma un conflitto fra due gruppi, uno dei quali è pubblicamente riconosciuto da gran parte della società, mentre l’altro non ha ancora ottenuto tale riconoscimento. Il gruppo dominante, che si percepisce come la società, non riesce a concepire che le rivendicazioni dei gruppi non ancora riconosciuti costituiscono, di fatto, un genere di interesse sociale. Questi fatti diventano più chiari quando realizziamo che tutti i principali movimenti di riforma nel mondo hanno attraversato tre fasi.
15Al fine di illustrare e definire queste fasi, consideriamo il movimento per i diritti delle donne che prese piede in Europa e America fra la fine del xix e l’inizio del xx secolo. Dopo aver occupato per tempo immemorabile una posizione di inferiorità nella società occidentale, le donne cominciarono a reclamare i propri diritti a partecipare alla vita industriale, economica e professionale secondo le proprie condizioni e lavorare secondo le proprie scelte, piuttosto che nelle sfere rigidamente delimitate in cui erano state ammesse, di volta in volta, dalla loro società maschilista. Esse rivendicavano l’opportunità di condividere i doveri sociali, e quindi avere potere politico; perciò dovevano ottenere il diritto di voto. Questo movimento per l’emancipazione delle donne dalle restrizioni che erano sempre state loro imposte avvenne attraverso le tre fasi che abbiamo postulato caratterizzare ogni rilevante movimento di riforma.
16In primo luogo, naturalmente, c’è un periodo di tacita accettazione dello status quo. Dal momento che le donne erano sempre state subordinate agli uomini, esse tendevano a accettare l’inferiorità delle donne come un dato di fatto. (Pure oggi, in Gran Bretagna, una coppia sposata è, agli occhi della legge, una persona – e quella persona è, ovviamente, il marito.) L’ineguaglianza fra uomini e donne era considerata come un fatto di natura – inalterabile, e quindi da accettare necessariamente.
17La seconda fase è quella della sfida. La società è soggetta a cambiamenti, e questi cambiamenti creano nuove rivendicazioni. Una nuova conoscenza viene alla luce, e la gente inizia a pensare in maniere differenti da quelle cui è stata abituata. I «fatti di natura» si rivelano non immutabili dopo tutto, e presunte «verità universali» iniziano a vacillare.
18Fino a tempi alquanto recenti, la necessità imponeva che la maggior parte delle donne rimanesse a casa, impegnata nelle faccende domestiche, e producesse molti dei beni materiali della vita come gli oggetti d’artigianato (i tessuti sono un buon esempio). Tuttavia l’invenzione delle macchine accelerò la rivoluzione industriale, e la produzione meccanizzata nelle industrie rimpiazzò l’artigianato. Le donne lasciarono le proprie case per lavorare nelle fabbriche; e in quanto partecipi stipendiate in un contesto industriale in espansione, iniziarono a concepire se stesse in una luce differente.
19La rivoluzione industriale creò anche il bisogno di un’istruzione generalmente più accessibile di quanto fosse stata in passato – e questa istruzione fu resa gradualmente disponibile tanto alle ragazze quanto ai ragazzi, dapprima solo per quanto concerneva i rudimenti, infine anche per quanto riguardava l’educazione superiore. Non era così semplice per una donna scolarizzata accettare l’idea dell’inferiorità femminile come lo era stato per le loro nonne. Sempre più donne divennero consapevoli, e poi cominciarono a risentirsi, dell’ingiustizia di essere private del diritto di voto e di ricoprire incarichi, e dunque di partecipare direttamente al miglioramento della società attraverso canali politici.
20Ma le vecchie istituzioni sono rigide, i vecchi concetti morali persistenti, gli antichi costumi resistenti. Il numero di donne che parteciparono attivamente ai movimenti per i diritti delle donne fu esiguo all’inizio, e la maggior parte della società o disprezzava il movimento o, nel migliore dei casi, lo guardava con tolleranza divertita. I pochi leader del movimento furono ridicolizzati come femmine non-donne – individui aberranti impegnati in un combattimento donchisciottesco contro l’ordine sociale stabilito. Tuttavia, imperterriti, questi leader perseverarono nelle loro convinzioni, proponendo la dottrina dei diritti naturali, e sostenendo che questi diritti dovessero essere estesi a tutte le persone, donne comprese. Negli ultimi momenti di questa seconda fase, un movimento acquisisce adepti, e mentre all’opinione pubblica i sostenitori del cambiamento potrebbero continuare a sembrare come un agglomerato di individui che si oppone alla propria società, gli attivisti del movimento stesso iniziano a autorappresentarsi sempre più come un gruppo sociale, che combatte per la libertà e il diritto, contro la maggioranza della società che ancora non gli accorda pubblico riconoscimento.
21La terza fase attraverso cui passa un movimento riformatore potrebbe essere definita periodo di realizzazione. Il movimento coinvolge un gran numero di persone, acquista potere, e la possibilità di perseguire i propri obiettivi aumenta. La natura del movimento subisce un cambiamento rispetto alla seconda fase, quando una parte di esso chiede di combattere per la moralità e l’ordine, e l’altra in favore di una libertà sacra e inviolabile. A questo punto vi è una generale accettazione del fatto che le richieste del movimento sono effettivamente questione di interesse sociale, non vagheggiamenti di individui visionari. I capi del movimento, chiedendo che venga concessa ai propri membri l’opportunità di accogliere e soddisfare i loro impegni, cominciano a essere in grado di dimostrare che il fallimento della società nel garantire tali opportunità va a svantaggio di quest’ultima. La società, a sua volta, riconosce la legittimità sociale della richiesta. L’interesse che inizialmente era etichettato come antisociale inizia a essere considerato sociale, le rivendicazioni del movimento sono accolte e la riforma ottenuta – di solito non avviene tutto in una volta, ma senza dubbio il processo è inesorabile.
22Ogni movimento riformatore della storia è passato attraverso queste tre fasi. In ogni caso, durante la seconda fase, una fazione richiede di proteggere e preservare l’ordine sociale; l’altra reclama diritti; e a questo punto il conflitto pare essere tra individui da una parte e la società dall’altra. La situazione rimane tale fino a che la gente non realizza che il conflitto è di fatto fra interessi sociali differenti, e non fra gli individui e la loro società.
23Il movimento dei lavoratori è un altro esempio appropriato del fatto che ogni movimento riformatore si sviluppa attraverso questa medesima successione di tre fasi. Nella prima fase, che coincide con gli inizi della rivoluzione industriale, i lavoratori erano inclini a considerare il trattamento loro riservato dai capitalisti come un fatto naturale. Nella seconda fase svilupparono consapevolezza della propria umanità e di conseguenza la convinzione che fossero titolari di certi diritti umani. A questo punto i concetti di dignità del lavoro, di uguaglianza di trattamento, e di opportunità vennero formulati e proposti. Nella terza fase le persone divennero consapevoli del fatto che il problema del lavoro non era solo un problema relativo agli individui, ma una questione sociale; e che accettare le richieste del movimento avrebbe non solo migliorato il benessere degli individui in esso coinvolti, ma promosso il benessere della società nella sua totalità.
24Potremmo moltiplicare gli esempi, ma non c’è reale necessità di farlo. Abbiamo speso abbastanza parole per spiegare che la tradizionale definizione di conflitto sociale come competizione fra individui e società è fallace. (Una singola persona potrebbe, a volte, essere in disaccordo con le norme della propria società e incapace di adattarsi a esse, ma quando una tale situazione si verifica noi la classifichiamo come un esempio di psicopatologia, non di conflitto sociale.) Come abbiamo visto, il conflitto sociale è un tiro alla fune fra gli interessi di un gruppo di persone e quelli di un altro gruppo. Il gruppo che sostiene di voler difendere gli interessi della società è sempre quello che ha ottenuto riconoscimento pubblico, e spesso quello che identifica i propri interessi con quelli di tutta la società. Dal punto di vista del gruppo dominante, il gruppo ribelle assume una posizione antitetica rispetto agli interessi della società, e solo quando il gruppo subordinato acquista membri, forza, e riconoscimento pubblico diviene chiaro che le cose che questi reclamano possono essere definite genuini bisogni sociali. Il fatto che le rivendicazioni del gruppo subordinato, all’inizio, siano espresse da un ristretto numero di individui, genera terreno fertile per la superficiale descrizione del conflitto come se si verificasse fra questi individui e la società contro cui sono dirette le loro proteste. Una stima più realistica della situazione (valutazione che è più facile da fare quando il movimento riformatore passa alla sua terza fase) porta alla giusta definizione che abbiamo appena esposto, ossia che il conflitto è in realtà fra gruppi, ognuno dei quali concepisce i propri obiettivi come coerenti, se non addirittura identici, con il benessere della società.
25Volgiamoci ora alla seconda questione, quella che riguarda la differenza, se ne sussiste alcuna, fra le teorie tradizionali del conflitto sociale e quella che abbiamo qui elaborato. La differenza è solamente terminologica e teoretica, o è di carattere pratico e essenziale? Ora dovrebbe essere chiaro, io credo, che la differenza non è di tipo superficiale, ma piuttosto pratico. La tradizionale definizione di conflitto sociale come competizione fra individui e società depriva non solo la sfera pubblica, ma i riformatori stessi, di un adeguato contesto entro cui considerare i fatti in questione. Se i teorici sociali continuano a considerare i capi dei movimenti riformatori come individui aberranti, come piantagrane, e come nemici della società, non è solo possibile, ma verosimile, che i leader possano assumere la stessa prospettiva rispetto alla situazione. Se sono nemici della società, cosa c’è per loro di più naturale di concludere che la società è loro nemica? In tal caso lo sviluppo di profonde ostilità è inevitabile, e l’esercizio del dialogo fra le parti in competizione è pressoché impossibile. Ogni fazione si attaccherebbe alle proprie convinzioni sempre più aggressivamente, l’una giurando di difendere fino alla morte lo status quo, l’altra invocando violenza e rivoluzione. Una vittoria della prima condurrebbe a una ulteriore ossificazione dei costumi e delle tradizioni; un trionfo della seconda a una «riforma» di ciò che non ha bisogno di essere riformato, a scartare ciò che dovrebbe essere mantenuto, e al rifiuto di buona parte di ciò che è essenziale. Entrambi questi risultati, come la storia ci ha più volte mostrato, sono tragicamente inefficienti.
26La teoria alternativa che abbiamo proposto, tuttavia, fornisce un quadro teorico entro cui i capi dei movimenti di riforma potrebbero adottare un atteggiamento interlocutorio attraverso cui poter determinare imparzialmente quali necessità della loro società non vengono ragionevolmente accolte; a quali elementi nella società non è consentita l’occasione di svilupparsi abbastanza al fine di contribuire all’arricchimento della società intera; e quali sono le capacità che vengono sprecate o utilizzate in maniera inadeguata. Quando i leader dei movimenti riformatori possono diagnosticare in maniera ragionata le disfunzioni e le mancanze della loro società, una riforma diviene una questione che riguarda i metodi per correggere le disfunzioni e rispondere alle mancanze, e non una rivoluzione che si ripromette di rottamare l’intera struttura delle organizzazioni istituzionali esistenti. Invece di guardare alla società come a un nemico – cosa che avviene quando è la società stessa a insistere nel considerarli nemici –, i capi dei movimenti di riforma che operano in questo contesto teorico possono considerarsi come utili partecipanti all’ininterrotto processo di ricostruzione sociale.
27La nostra teoria fornisce inoltre all’intera sfera pubblica, così come ai gruppi dominanti al suo interno, una teoria-quadro per un approccio che può essere incommensurabilmente più vantaggioso di qualsiasi altro che sia stato possibile in base alla tradizionale definizione di conflitto sociale. Se le persone che la pensano in una certa maniera su una questione adottano un calmo atteggiamento indagatore, diventa meno difficile per coloro che sostengono idee contrarie adottare pure un approccio razionale al problema. La valutazione delle alternative proposte diviene possibile, e l’apertura alle opinioni sostituisce l’intransigenza. Senza dubbio, il conflitto non potrà essere eliminato, ma può essere migliorato; e i suoi effetti possono essere enormemente meno salati di quanto non lo siano stati spesso in passato. Quando l’intelligenza critica viene messa in gioco, e quando i metodi scientifici di investigazione delle situazioni reali sostituiscono le ampie generalizzazioni, i riformatori sociali non hanno più bisogno di considerarsi profeti o martiri, e la società non ha la necessità di etichettarli come agitatori. La funzione dei riformatori diviene dunque quella di avanzare diagnosi circa i mali sociali, proponendo suggerimenti per cambiamenti atti a migliorare la situazione; e, considerata la teoria che abbiamo proposto, essi possono quindi unire le forze con altri elementi della società nel valutare l’accuratezza delle loro diagnosi, e l’eventuale efficacia dei rimedi da loro proposti.
28Alla luce di quanto abbiamo detto, sembra abbondantemente chiaro che la differenza fra le definizioni e le teorie tradizionali e quelle qui esposte è molto più che terminologica. A giudicare dai risultati della sua applicazione alle situazioni attuali, essa è una differenza alquanto pratica.
Lezione iv – Appunti
29Secondo il punto di vista presentato nel corso dell’ultima ora, le difficoltà pratiche che stanno dietro i problemi teoretico-sociali sono causate dall’eccessivo sviluppo di un certo interesse in un dato tipo di società, sia esso famigliare, religioso, economico, politico, legato alla conoscenza personale o quant’altro. Questa crescita esagerata di un dato interesse porta gruppi o classi di persone a darsi battaglia l’un l’altro; conduce a frizioni, contese, lotte e divisioni, a confusione, disordine e incertezza. A un certo punto il lato oppresso degli interessi umani, gli istinti che non hanno trovato espressione e soddisfacimento si palesano alla coscienza, e reclamano il diritto all’azione. E questi non sono astratti ma incarnati in gruppi definiti di persone. Non si tratta di lotta fra scienza e religione, fra chiesa e stato, ma di un conflitto fra quegli esseri umani concreti che, per dire, esercitano il potere dispotico attraverso la chiesa, e gli altri uomini e donne la cui predisposizione a studiare e scoprire o a promuovere il benessere secolare, o a raggiungere il potere politico, sono repressi e bloccati.
30Ciò nonostante, questo non è il modo usuale di illustrare l’origine, la fonte e la natura dei problemi sociali che costituiscono una teoria sociale. Di solito si dice che il conflitto fra società e individuo è tale da condurre all’esigenza di armonizzare e adattare le rispettive pretese le une con le altre, e che la filosofia sociale è la teoria che dovrebbe dire quali devono essere le più importanti, o in che modo le richieste dell’uno debbano essere riconciliate con quelle dell’altro – l’autonomia individuale con il controllo sociale, la libertà con l’autorità, il diritto e la legge… Oggi ci occuperemo di due questioni. (1) Com’è potuto accadere che la filosofia sociale sia diventata così ossessionata da un’idea errata? E (2) quale differenza pratica c’è fra le due maniere di presentare e affrontare le questioni sociali? Tale differenza è qualcosa di più di una divergenza accademica, speculativa?
31Un insieme di persone rappresenta e incarna
[fine pagina 1]
i dominanti, il gruppo che interpreta la legge, e le altre persone il gruppo sottomesso, depresso, relativamente muto. I primi hanno l’autorità, hanno il prestigio del costume a loro favore. Solo perché rappresentano ciò che è fondato, l’ordine consueto e istituito, sembrano incarnare le pretese, l’autorità e la maestosità della società. Le persone che rappresentano il gruppo relativamente oppresso paiono comportarsi socievolmente, sembrano esser mosse da ragioni sociali, fintantoché accettano lo stato di cose esistente e si conformano alle sue tradizioni e prescrizioni. Quando si rivoltano, e desiderano cambiare le cose affinché un altro interesse sociale possa trovare piena espressione, non paiono assolutamente agire in conformità ad alcun fine o bene sociale. Si trovano nella posizione di avanzare rivendicazioni individualmente, per conto proprio, poiché non godono del benestare di un qualche obiettivo sociale che è stato autorevolmente accettato. Così avviene che l’egoismo, l’amor di sé, instauratosi per consuetudine, una volta conseguiti riconoscimento e prestigio, si fregia del consenso socia-
[fine pagina 1bis]
le e si ammanta della funzione di standard morale, di legge e ordine; al contrario, le attività che di fatto esprimono una più ampia e equa organizzazione sociale vengono etichettate come illecite, in quanto paleserebbero i desideri egoistici di un certo numero di individui che disturbano la società in vista delle proprie egoistiche soddisfazioni e ambizioni. Questa lotta per la correzione delle iniquità sociali che affliggono ampi gruppi, interessi e funzioni nelle loro reciproche relazioni costituisce la ragione primaria alla base della credenza secondo cui il problema principale è il conflitto della società con l’individualismo e che il problema cardinale della teoria sociale è determinare quale dei due abbia diritto e autorità superiori.
32Per esempio, nel conflitto fra gli interessi secolari, quelli della scienza, dell’industria e del commercio, e quelli religiosi incorporati nell’istituzione ecclesiastica, si riteneva che questi ultimi procurassero beneficio sociale. I benefici e le strutture sociali rappresentate dalla libertà di pensiero e opinione, di culto e coscienza, appartenevano al futuro. Detto altrimenti, erano una questione di
[fine pagina 2]
fiducia.
33La chiesa era un’organizzazione sociale che esercitava funzioni sociali positive di educazione e controllo; la sua qualità sociale era una questione di apparenza. Il ruolo basilare dell’interesse scientifico per l’amicizia e l’associazione umana non poteva essere dimostrato solo perché a esso non era stato concesso di esercitare liberamente il proprio potere come fonte di organizzazione e guida. Quindi i suoi rappresentati sostenevano molto semplicemente di rappresentare le ragioni dell’individualità, noncuranti o addirittura in contrasto con le organizzazioni sociali, le pretese dell’individualità [contro] una forza che incatenava e tiranneggiava. D’altra parte, i rappresentanti della chiesa concepivano naturalmente se stessi come i paladini della legge e dell’ordine, come i custodi di tutti quei valori sociali che soli rendevano la vita degna di essere vissuta, impedendo alla natura umana di lasciarsi andare a un eccesso sfrenato. Sostenevano che gli innovatori, coloro che volevano libertà di pensiero, culto e insegnamento, erano mossi da scopi antisociali, che le loro richieste a favore della libertà spirituale e morale mascheravano solamente
[fine pagina 3]
un oscuro amor di sé che mirava a sovvertire la società di modo che non vi fosse più alcun controllo su egoismo vizioso e individualismo. In breve, una certa forma di amor proprio, di accrescimento egoistico era stata [illeggibile] talmente istituzionalizzata, talmente intrecciata a tutte le forme di vita, in modo così dispotico, che non pareva assolutamente esprimere ambizione e espansione egocentrica, amore assoluto per il potere. Era essenzialmente un’espressione (per quanto viziata da inevitabili difetti umani) del principio di autorità e rivelazione sociale.
34Probabilmente un esempio ancora migliore è dato dallo stato di cose che si verifica quando la società è fondamentalmente organizzata sul modello famigliare, ossia quando l’associazione famigliare, il clan o il casato sono predominanti. In tale situazione, l’egotismo degli adulti e dei maschi, dei maschi adulti, è incoraggiato, ma al tempo stesso gode di una forte approvazione sociale – assume le sembianze di un qualcosa che è mosso da nobili ragioni morali riguardanti la salvaguardia di pace e ordine sociale, la conservazione e la perpetuazione di quelle tradizioni e di quegli ideali che rendono viva e possibile la società. Questi stessi interessi acquisiscono giustificazione sociale, gloria, prestigio solo nella misura in cui gli interessi peculiari e unilaterali dei maschi adulti diventano istituzionaliz-
[fine pagina 4]
zati, standardizzati, legittimi, rendendosi così influenti, cioè si legano a tutte le forme di rapporto e relazione sociale, toccando tutti i riti e le tendenze di pensiero e azione. Un innato egotismo viene rivestito e bardato di fini e sostegni socialmente rilevanti. Di conseguenza ogni movimento a sostegno di una maggiore libertà da parte dei giovani, per la libertà di scegliere la propria vocazione, di scegliere i propri amici, di determinare la propria affiliazione politica, e le proprie opinioni morali e religiose, è presentato non soltanto come un conflitto fra volontà personali, fra un insieme di persone con un altro, ma come l’attacco di un licenzioso individualismo ai danni delle fondamenta della società, come qualcosa che conduce a un individualismo sregolato, rovesciando la coerenza assoluta dell’autorità sociale, perché ne mina la struttura. D’altro canto, i giovani, pur avendo forte fiducia nel fatto che, soddisfacendo i loro desideri di maggiore libertà, la società ne otterrebbe giovamento e le relazioni umane verrebbero a fondarsi su basi sicure, non possono comprovare ciò portando a esempio un ordine costituito in cui una tale condizione si sia realizzata.
[fine pagina 5]
35L’unica cosa che si può asserire è che alcune naturali, innate e inalienabili rivendicazioni dell’individualità vengono represse dalle esazioni della convenzione e delle istituzioni sociali. Il lato sociale delle loro aspirazioni può presentarsi solo nelle vesti di un vago idealismo utopista, nell’appassionata affermazione di una società nuova e redenta. Di fatto avanzano il diritto di affermare l’individualismo senza premura di cosa possa accadere socialmente; divengono ribelli contro la società mentre in verità [stanno] solo chiedendo una riorganizzazione sociale, atta a rendere la relazione del gruppo famigliare nei confronti dei gruppi scientifici, letterari, religiosi, industriali e politici più flessibile, meno ingessata e rigida.
36Uno dei movimenti più significativi del tardo xix secolo e dei nostri giorni è quello femminista – il movimento per i diritti delle donne, per l’emancipazione della donna. Per il loro diritto a ricevere un’educazione, una posizione professionale o l’indipendenza economica, il diritto a intraprendere mestieri in precedenza riservati agli uomini, a prendere parte al processo di creazione delle leggi e al loro esercizio. Ora è chiaro che, generalmente, il femminismo non è stato concepito come una lotta fra gruppi sociali, o fra insiemi di individui. Si è presenta-
[fine pagina 6]
to come [una] rivendicazione di maggiore autonomia da parte di alcuni individui, nella migliore delle ipotesi come una protesta contro abusi, tirannie e oppressioni sociali. Al contrario coloro cui non piaceva, coloro la cui agiatezza, privilegi, godimenti e potere erano disturbati e minacciati, guardavano a esso come a un deliberato attacco antisociale contro il vero fondamento delle relazioni sociali da parte di pochi soggetti aggressivi, perlopiù donne d’indole cattiva e insoddisfatte. In realtà si tratta di un episodio che appartiene alle generali trasformazioni sociali, di un’azione inedita di forze sociali che portano a una ricostituzione dei gruppi sociali e dei loro reciproci adattamenti – per la precisione non una decostruzione della famiglia ma, fra le altre cose, il tentativo di garantire che gli interessi, gli obiettivi umani e simpatetici della famiglia, che erano stati a carico specialmente delle donne, non venissero confinati dentro le mura domestiche, ma venissero portati nelle scuole, nei negozi, nelle fabbriche, nei mestieri, nella politica… e che il più impersonale, astratto e possessivo interesse del maschio
[fine pagina 7]
non dominasse più la scena in misura tale da innalzare barriere contro il libero scambio fra gruppi sociali e gli interessi che rappresentano.
37È interessante notare che il cosiddetto carattere individualista è più evidente nei primissimi stadi di un movimento, quando ha la forma di una protesta e il suo obiettivo è meno chiaro. Invero possiamo distinguere tre stadi. Nel primo c’è un tale equilibrio che il gruppo o la classe oppressa non è consapevole della propria oppressione, o la considera come parte dell’ordine necessario e stabilito delle cose. Non ci sono opportunità che suggeriscano l’idea di uno stato di cose differente, e quindi l’idea di un tentativo di apportare un cambiamento. Quando la schiavitù è pressoché totale, quando il governo riesce a essere dispotico con successo, non si riesce a concepire schiavitù e dispotismo come mali contro cui protestare. Una rivolta definita e un tentativo di cambiare avvengono solo quando le condizioni sono tali da stimolare una consapevolezza delle facoltà che non sono espresse e soddisfatte. Quando le trasformazioni dell’industria sottrassero
[fine pagina 8]
le donne alle attività casalinghe che precedentemente erano state di loro competenza, ciò comportò non solo un relativo calo del lavoro, ma anche del tempo libero per fare altre cose. Ci fu una migliore educazione. Questo creò un senso di potenza che non aveva sbocco, generò un’irrequietezza e un turbamento che non esisteva quando le donne erano completamente assorbite nella loro vita domestica.
38Il secondo stadio è quello dell’irrequietudine, del malcontento, in quanto le condizioni sociali sono cambiate abbastanza da risvegliare la sensazione che ci siano facoltà che non funzionano, che non hanno un preciso canale sociale assegnato per il loro impiego. Questo è il periodo contrassegnato dall’individualismo della rivolta contro l’autorità e le istituzioni stabilite, si ha la sensazione che siano [entrambe] meramente convenzionali, o anche attivamente oppressive, e che debbano essere distrutte nell’interesse della libertà individuale, che è vista negativamente, come assenza di freni nel fare ciò che più aggrada. Tuttavia quando si sviluppa organizzazione sociale, e le capacità del gruppo sommerso non sono semplicemente stimolate e portate alla coscienza in maniera emotiva, ma ottengono un qualche canale definito d’impiego, la richiesta cessa di essere espressa individualisticamente,
[fine pagina 9]
e diventa una richiesta per la possibilità di soddisfare una funzione sociale di cui si sente grandemente bisogno. La rivendicazione non è più quella di un diritto, ma concerne un dovere sociale trascurato.
39Nel progresso dell’interesse scientifico ci sono stadi simili. (1) All’inizio è semplicemente sommerso; c’è conformismo, acquiescenza verso qualsiasi idea vigente. L’autorità del costume è così generale che non è percepita come un’autorità esterna; è solo parte di un ordine regolare e indiscusso. Qualsiasi indipendenza e originalità esista, trova sfogo nell’elaborazione di avventure fantastiche, o di miti e leggende che non confliggono con il sistema di credenze riconosciuto. A quel punto un qualche evento, generalmente un contatto con persone che hanno idee e opinioni differenti, o un contatto con inusuali fenomeni naturali durante un viaggio, fanno sorgere dubbi e interrogativi. (2) Nonostante ciò dubbi e domande sono di solito mal sopportati dal regime sociale, ecclesiastico e politico esistente quando implicano attacchi contro la sua autorità, in quanto antisociali, sovversivi. Persecuzioni, di grande e moderata entità [prendono]
[fine pagina 10]
piede. Quindi le nuove richieste, che rappresentano la reazione alla sua subalternità, paiono identificare l’ordine sociale esistente con la società stessa e reclamano il diritto alla libertà di ricerca e di opinione non in quanto diritto di esercitare un potere socialmente indispensabile, ma come diritto puramente privato, da loro posseduto in quanto individui, indipendentemente da tutte le posizioni sociali.
[fine pagina 11]
40Si afferma che il diritto naturale di informarsi e quello d’opinione debbano essere considerati i più grandi anche se comportano una sovversione sociale. (3) Nel terzo stadio, il movimento scientifico ha ricevuto abbastanza struttura, ha radunato attorno a sé un numero sufficiente di persone, cosicché possiede una posizione e una reputazione sociale; il suo avanzamento è stato tale che la sua rilevanza sociale è chiara, e la rivendicazione del diritto di esercitare l’interesse scientifico è avanzata nel nome del bisogno e del benessere sociale, non per conto di fattori non-sociali puramente individualistici.
41Gli stessi tre stadi possono essere individuati nella storia del movimento dei lavoratori. Dapprima la schiavitù e la servitù sono accettate come conseguenze naturali da entrambe le parti. Poi, si verifica un cambiamento sociale che risveglia la consapevolezza delle mancanze e dei desideri, e la messa in atto della soppressione di certe attività – un movimento di rivolta, di emancipazione, di pretese riguardanti diritti e godimenti personali. Il diritto naturale, inalienabile alla vita, l’autonomia e il perseguimento della felicità individuale indipendentemente dalla stima sociale. Terzo, si realizza che queste sono solo maschere che celano una necessità e una preoccupazione sociale: la richiesta degli operai
[fine pagina 11a]
di ricevere educazione, risorse, cultura e potere in maniera tale che la società possa godere del lavoro svolto in maniera più efficace e felice.
42Quale differenza pratica sussiste se adottiamo questo punto di vista o quello tradizionale del conflitto e dell’adattamento fra sociale e individuale? La risposta è che quest’ultimo conduce alla formazione di gruppi opposti sulla base di emozioni, pregiudizi, diritti personali ed errori, e incoraggia il ricorso al metodo della disputa, alla recriminazione, e pure alla forza fisica. Gli uomini si schierano dalla parte della società in generale, dalla parte dell’autorità e del controllo in generale, o da quella della libertà e dell’individualismo in generale. Abbiamo asserzioni e controasserzioni, litigi rancorosi, ma nessun modo di arrivare a una conclusione comune tramite l’uso dell’intelligenza, l’esame di condizioni specifiche, lo studio di problemi definiti riguardanti causa e effetti. Cieca adesione al conservatorismo o al cambiamento, in condizioni che rendono il primo dispotico e reazionario, il secondo distruttivo. Se il punto di vista qui sostenuto fosse generalmente adot-
[fine pagina 11b]
tato, si riconoscerebbe che istituzioni, convenzioni, modi di controllo sociale che orientano i pensieri e le azioni dei membri della società sono destinati a crescere; sono inevitabili; è impossibile disfarsi di essi – distruggerne un certo tipo significa edificarne un altro – come si può evincere dal dominio dei bolscevichi dopo la distruzione di quello dello zar. Non sono solo inevitabili, ma in qualche modo sono indispensabili, utili. Il punto più importante è discriminare fra di essi, perché ci sono costumi, convenzioni e istituzioni che sono migliori e altri peggiori, e l’importante è mantenere ciò che è buono e migliorare o abbandonare ciò che è peggiore. Questo significa appellarsi all’intelligenza, non al preconcetto, al pregiudizio e agli interessi personali, vuol dire cercare di tracciare cause e conseguenze, osservare cosa ha prodotto questa o quella istituzione o ordinamento, il metodo storico, e anche rintracciare le conseguenze, vedere come funziona il compromesso, quali effetti produce – e lo stesso vale per ogni misura di riforma, di miglioramento, avanzata. La differenza pratica consiste perciò nel mettere il metodo scientifico al posto di quello dell’opinione,
[fine pagina 12]
dell’asserzione dogmatica, delle recriminazioni rabbiose e della calunnia personale, degli epiteti dell’abuso. Un metodo analitico, che esamina le cose nel dettaglio e le discrimina, invece di adottare -ismi totalizzanti.
43Esso spiana pertanto il cammino a un progresso ordinato e continuo. L’innovatore ha una tesi da provare. Egli è il fautore di un’ipotesi secondo cui il benessere della società verrebbe promosso dall’adozione di un certo cambiamento, secondo cui, se il mutamento danneggia una classe particolare per un certo periodo, la perdita di questa classe va a favore della comunità nel suo insieme, ed è la misura della giustizia per qualche altra classe che ora soffre a causa di un inadeguato riconoscimento sociale. Non si presenta come un semplice ribelle, ostile all’autorità in quanto tale, bramoso di distruggere sconsideratamente nella cieca speranza che qualcosa di migliore possa comparire. La sua affermazione che certi difetti esistono, e che a essi si può porre rimedio tramite l’adozione di certe misure di trasformazione proposte sono proposizioni che vanno esaminate alla luce dei fatti – in primo luogo i fatti della storia, i fatti e le condizioni esistenti, in seconda battuta i fatti nuovi, che devono essere presi in considerazione.
[fine pagina 13]

Le texte seul est utilisable sous licence Creative Commons - Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International - CC BY-NC-ND 4.0. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
La legittimità democratica
Imparzialità, riflessività, prossimità
Pierre Rosanvallon Filippo Domenicali (trad.)
2015
Filosofia sociale e politica
Lezioni in Cina (1919-1920)
John Dewey Federica Gregoratto (dir.) Corrado Piroddi (trad.)
2017