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Dal riconoscimento dei diritti all’aumento del controllo in nome della protezione: l’ambivalenza del quadro giuridico tedesco

p. 185-201


Texte intégral

Introduzione

1In Germania, la prostituzione è legale ed è regolata da un assetto giuridico piuttosto liberale, se paragonato alla maggior parte degli altri Paesi. Per questo motivo, occupa una posizione particolare nei discorsi pubblici e politici sulla prostituzione a livello europeo e internazionale. È stata infatti spesso stereotipicamente descritta come il “bordello d’Europa” e come il “fulcro del traffico di esseri umani”, da quando la riforma del 2002 avrebbe legalizzato il sex work, iniziando a considerare lo scambio di sesso per denaro “un lavoro come un altro”. Guardando più da vicino il lavoro sessuale e la sua gestione in Germania, tuttavia, queste concezioni si rivelano fuorvianti. Da un lato, infatti, la prostituzione è sempre stata legale in Germania, ma allo stesso tempo è sempre stata, e ancora è, regolata in modo molto più rigido rispetto ad altre attività economiche. Inoltre, le politiche sulla prostituzione sono state spesso oggetto di scontro tra diversi attori politici, e la lunga tradizione di legalizzazione e regolamentazione tedesca ha spesso cambiato di obiettivo nel tempo (Pates 2012).

2Le leggi chiave sulla prostituzione in Germania sono il Prostitutionsgesetz (“Prostitution Act” d’ora in avanti) entrato in vigore nel 2002, e il Prostituiertenschutzgesetz (“Prostitute Protection Act” d’ora in avanti) entrato in vigore nel 2017, emendando la legge del 2002. Queste leggi permettono il lavoro sessuale entro certe condizioni, ma al contempo ne criminalizzano alcuni aspetti. Oltre a queste normative, vi sono poi alcune disposizioni speciali che hanno un forte impatto su come funziona concretamente l’industria del sesso tedesca, in particolare in materia di tassazione, commercio e leggi di zonizzazione (Sperrgebietsverordnungen in tedesco). È da notare che mentre la legge sulla prostituzione del 2002 si proponeva di migliorare la situazione sociale di chi si prostituisce, garantendo loro l’accesso ai diritti legali e sociali fondamentali, la legge del 2017 si propone invece di ridurre la criminalità esercitando un maggior controllo sul mercato del sesso, in nome della protezione di chi vi lavora: un cambiamento molto significativo nel corso di poco più di 15 anni.

3Poiché in Germania l’attuazione delle leggi nazionali è di competenza dei diversi Stati federali tedeschi (Länder), la prostituzione è di fatto soggetta a una governance multilivello sul piano nazionale, federale e comunale. Così succede che tradizioni politiche locali divergenti, le posizioni di partito e le convinzioni morali dei governi locali e dei loro funzionari diano luogo a una grande varietà di pratiche di policy, spesso in contraddizione fra loro. Per esempio, gli Stati meridionali più conservatori del Baden-Württemberg e della Baviera, così come alcuni dei loro comuni, applicano le leggi sulla prostituzione in maniera molto più restrittiva rispetto agli Stati più liberali del Nord quali il Reno-Westfalia o Berlino. La Baviera in particolare dopo il 2002 ha fatto resistenza all’applicazione del Prostitution Act per motivi morali (Pates 2012) e, dal 2017, questo Stato chiede a chi si prostituisce di pagare di tasca propria la licenza e la consulenza sanitaria resa obbligatoria dal Prostitution Protection Act. Inoltre, la Baviera è «molto più riluttante nel concedere licenze ai gestori di bordelli [obbligatorie dal 2017] rispetto al Reno-Vestfalia» (Euchner 2019 p. 12), che peraltro non impone alcun costo di licenza. Infine, la Baviera fa ampio uso delle leggi di zonizzazione e reprime fortemente quella parte di sex work esercitato in zone ritenute illegali, ad esempio attraverso l’uso di “agenti provocatori” (ovvero poliziotti che si fingono clienti).

4In generale si può dire che in Germania le e i sex worker godono formalmente di una certa dose di legalità e sicurezza, ma in pratica incontrano molte difficoltà per districarsi all’interno del sistema, rispettare gli obblighi legali e rivendicare i propri diritti. Inoltre, coloro che fanno parte di gruppi vulnerabili e marginali hanno decisamente minor probabilità di beneficiare dei diritti disponibili. Le/i sex worker immigrate/i extracomunitari/e, per esempio, ne sono spesso escluse a priori a causa dell’impossibilità di ottenere un visto di lavoro per svolgere lavoro sessuale e/o a causa di uno status migratorio precario (ovvero la mancanza di un permesso di soggiorno permanente per vivere e lavorare in Germania) che impedisce loro di registrarsi legalmente come sex worker. La discriminazione legale del lavoro sessuale rispetto ad altre forme di lavoro, la minaccia di una legislazione sempre più repressiva e, più recentemente, l’impatto negativo della pandemia di Covid-19, fanno sì che le organizzazioni di sex worker continuino con forza a richiedere riconoscimento, depenalizzazione e destigmatizzazione del lavoro sessuale. La mobilitazione delle sex worker è resa più complessa dal mutare dei discorsi pubblici sulla prostituzione, sulla violenza e sulla tratta di esseri umani, dal panico morale intorno al sesso e alla migrazione, e dall’instabilità o dall’assenza di alleanze politiche. Nel panorama attuale, le femministe anti-prostituzione fanno sempre maggiore pressione in favore di una riforma in chiave proibizionista, mentre le lavoratrici e i lavoratori del sesso creano nuove forme di organizzazione comunitaria per cercare di contrastare l’illegalizzazione di una larga parte del lavoro sessuale, così come l’individualizzazione e la precarizzazione di tutto il mercato del sesso. Nel complesso, quindi, l’approccio tedesco alla prostituzione può essere definito ambivalente e in continua trasformazione: legalizzato sì, ma al tempo stesso sempre più repressivo e criminalizzante, e suscettibile di ulteriori cambiamenti nel prossimo futuro, a seguito delle mobilitazioni in corso, e della prossima valutazione del Prostitution Protection Act prevista nel 2025.

5Nel seguito di questo capitolo analizzerò innanzitutto le condizioni che hanno portato alla riforma del 2002, e le innovazioni che ha introdotto nel sistema tedesco. Parlerò poi della sua applicazione, dei suoi potenziali e dei suoi limiti, così come delle continue contestazioni che hanno caratterizzato gli anni successivi alla sua introduzione. In particolare descriverò il cambiamento dei discorsi pubblici sulla prostituzione e gli elementi di panico morale che sono intervenuti e che hanno condotto alla riforma del 2017. Nell’ultima parte illustrerò quali sono le sfide degli anni più recenti, legate alla pandemia da Covid-19, alle discussioni sulla criminalizzazione dei clienti, e alle tendenze all’individualizzazione nell’industria del sesso tedesca.

1. Dall’“immoralità” ai diritti legali e sociali: il Prostitution Act del 2002

6Al momento della riunificazione negli anni Novanta, la Germania aveva una legge sulla prostituzione piuttosto antiquata secondo la quale la prostituzione era legale, ma allo stesso tempo era definita come immorale (sittenwidrig), e in base alla quale chiunque promuovesse o facilitasse la prostituzione era perseguibile. L’esercizio della prostituzione era principalmente limitato da leggi di zonizzazione (Sperrgebietsverordnungen) che permettevano alle autorità locali di proibire il lavoro sessuale in certe aree, così come nei comuni con meno di 50.000 abitanti. Questo aveva notevoli conseguenze sulla situazione sociale delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso e sulle loro condizioni di lavoro. I contratti di impiego (fra terze parti e sex worker) o di scambio di prestazioni (fra sex worker e clienti) erano giuridicamente nulli, il che impediva alle sex worker di ottenere forme di previdenza sociale e anche di ricorrere alla giustizia, ad esempio per far valere il loro diritto al pagamento nei confronti dei clienti. Tuttavia, il reddito generato dal lavoro sessuale era regolarmente tassato. Inoltre, secondo la legge sul favoreggiamento, gli operatori che non si limitavano a fornire semplici spazi di lavoro, ma anche i/le sex worker che si autorganizzavano per lavorare in luoghi di lavoro collettivi, o gli operatori e le operatrici sociali che distribuivano preservativi, correvano tutti il rischio di essere perseguiti per favoreggiamento della prostituzione. La prostituzione era dunque regolamentata e tassata come un’attività economica, ma i/le sex worker lavoravano in pessime condizioni e non avevano accesso ai diritti fondamentali. Inoltre, a causa della loro stigmatizzazione in qualità di vettori di malattie sessualmente trasmissibili, chi lavorava nell’industria del sesso era obbligata a sottoporsi regolarmente a visite ginecologiche invasive e a esibire certificati sanitari di buona salute. Le sex worker che a partire dagli anni Ottanta iniziarono a organizzarsi collettivamente in quello che auto-definirono il “movimento delle puttane” (Hurenbewegung) chiedevano l’abrogazione di queste pratiche stigmatizzanti e discriminatorie e il riconoscimento del lavoro sessuale come professione con pari trattamento legale (Heying 2019). In questa mobilitazione furono attivamente sostenute dagli operatori e dalle operatrici sociali, collaborarono con la neonata Deutsche Aids Stiftung (la fondazione tedesca per la lotta all’Hiv), e costruirono legami con avvocati/e, associazioni di donne migranti e organizzazioni religiose. Sebbene le sex worker si considerassero parte del movimento delle donne e ne condividessero le lotte femministe per l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione sul proprio corpo e la propria sessualità, la cooperazione politica tra femministe e sex worker rimase discontinua e difficile nella pratica. Le sex worker, infatti, non ricevettero molta attenzione né solidarietà dai movimenti femministi di allora (Heying 2019), ad eccezione dei gruppi che militavano per il salario al lavoro domestico, e che vedevano il lavoro sessuale come una declinazione del lavoro riproduttivo delle donne.

7Il movimento delle prostitute alla fine riuscì a inserire le proprie richieste nell’agenda politica del Partito dei Verdi (Bündnis 90/Die Grünen), che riuscì ad avviare una riforma legale in quanto membro della coalizione di governo con il Partito Social Democratico (Spd). Il 1° gennaio 2002 è entrata così in vigore la nuova legge sulla prostituzione – chiamata Gesetz zur Regelung der Rechtsverhältnisse der Prostituierten – Act Regulating the Legal Situation of Prostitutes – con l’intento di rafforzare i diritti delle sex worker e di migliorarne le condizioni di lavoro. La legge abrogò la definizione di immoralità dello scambio di sesso per denaro, permettendo così di stipulare rapporti di lavoro legalmente validi e di accedere finalmente all’assicurazione sanitaria pubblica, alla pensione e alla disoccupazione; nonché rese legale l’apertura dei bordelli che, nell’intenzione del legislatore, avrebbe dovuto portare a un miglioramento delle condizioni di lavoro nel mercato del sesso. La riforma introdusse anche alcune disposizioni per vincolare l’esercizio della prostituzione: in particolare, per rafforzare l’indipendenza e l’autodeterminazione delle e dei sex worker, la legge prevede che le transazioni e i contratti di lavoro siano vincolanti solo unilateralmente. Questo significa che le/i sex worker possono richiedere il pagamento, ma possono anche rifiutare di fornire un servizio o interromperlo, mentre i clienti e gli operatori dei bordelli non possono in alcun modo pretendere la fornitura di servizi o decidere che tipo di servizi un/a sex worker debba fornire. Lo sfruttamento della prostituzione e la limitazione della indipendenza personale e finanziaria da parte di terzi continuano ad essere criminalizzati (Bmfsfj 2007), e restano in vigore leggi di zonizzazione che proibiscono la prostituzione in determinati spazi pubblici. A questo quadro giuridico si aggiunge l’​Infection Protection Act, approvato nel 2001, che abolisce l’esame ginecologico e i certificati sanitari obbligatorio che erano fonte di profonda stigmatizzazione (Heying 2019).

8Nel complesso il Prostitution Act fu un compromesso pragmatico per governare gli aspetti negativi di un fenomeno considerato inevitabile: da un lato eliminando le discriminazioni legali che impedivano alle/ai sex worker di accedere ai diritti sociali e legali, ma dall’altro mantenendo specifiche restrizioni e forme di criminalizzazione. Questa riforma si concentrò sul miglioramento dell’autodeterminazione e delle condizioni di lavoro delle sex worker, astenendosi però dal dare un giudizio morale sulla loro attività, quindi senza l’intenzione «né di abolire la prostituzione né di migliorarne lo status» (Bmfsfj 2007, p. 9)

2. Contestazioni continue, discorsi mutevoli e panico morale

9In seguito alla riforma del 2002, i/le sex worker sperimentarono un miglioramento delle condizioni di lavoro, legato al fatto che i luoghi di lavoro divennero più sicuri, e diminui” sensibilmente la paura delle retate da parte della polizia (Hofstetter 2022). Inoltre, divenne pienamente legale fornire servizi sessuali, lavorare come sex worker indipendente, e lavorare insieme ad altre/i sex worker – e questo riconoscimento legale contribuì a creare fiducia nei rapporti tra sex worker, clienti e operatori dei bordelli (Bmfsfj 2007). Il pieno riconoscimento come lavoratrici e lavoratori reso possibile dalla legge permise anche l’avvio di un processo di sindacalizzazione: il sindacato confederale ver.di (German United Services Trade Union), per esempio, tentò di organizzare le/i sex worker offrendosi di negoziare contratti di lavoro standardizzati con gli operatori dei bordelli.

10Le attiviste del movimento di sex worker e altri/e esperti/e, tuttavia, avevano previsto che la legge non avrebbe avuto degli effetti profondi sulla situazione sociale complessiva di chi lavora nel mercato del sesso, poiché di fanno non riconosceva pienamente il sex work come lavoro. In particolare, le leggi sulla zonizzazione rimanevano invariate, limitando di fatto l’esercizio della prostituzione, criminalizzandola e, al contempo, concentrandola in determinate aree urbane. E questo manteneva intatto sia lo stigma che le difficili condizioni di lavoro (Heying 2019). La legge, inoltre, non prendeva in considerazione le esperienze e i bisogni delle persone più vulnerabili nella prostituzione – quali le persone migranti senza documenti, le persone tossicodipendenti e quelle minorenni – ed era vaga nelle indicazioni di implementazione a livello locale (Bmfsfj 2007).

11La valutazione ufficiale della legge ha confermato le preoccupazioni espresse da attiviste e esperte (Bmfsfj 2007). Una delle ragioni principali dei mancati effetti della legge è riconducibile alla sua scarsa attuazione a livello locale: le leggi locali sul commercio e sull’edilizia, per esempio, mantenevano ancora intatti i riferimenti all’immoralità e questo – seppur in contraddizione con quanto affermato nella legge nazionale – faceva sì che in molti Stati federali i luoghi di prostituzione non fossero riconosciuti come luoghi di lavoro o, peggio, fossero classificati come luoghi di disturbo pubblico e vietati in aree residenziali o miste (Kavemann, Steffan 2013). La mancanza di direttive attuative a livello nazionale, infatti, ha lasciato un notevole margine di interpretazione ai singoli Stati e comuni. Alcuni governi federali conservatori, per esempio, si sono rifiutati di sviluppare le linee guida per l’attuazione amministrativa della legge, a cui si opponevano per ragioni di ordine morale, mentre altri, pur non adducendo ragioni di tipo politico o morale, semplicemente non l’hanno fatto (Pates 2012). Questo ha portato al persistere di vecchie logiche istituzionali e di politiche arbitrarie e differenziate a seconda dei diversi contesti locali, generando una profonda incertezza giuridica per le sex worker. La valutazione ha anche confermato che i contratti standard di transazione e di lavoro come previsti dalla legge male si adattavano a un settore in cui la maggior parte delle lavoratrici sono autonome, richiedono il pagamento anticipato, e soprattutto – a causa dello stigma – temono di perdere l’anonimato se si registrano alla previdenza sociale o intraprendono una causa civile con un cliente. Questo spiega in buona parte perché solo pochissime lavoratrici si sono effettivamente registrate alla previdenza sociale dopo l’implementazione della legge, hanno fatto ricorso al tribunale per un mancato pagamento di un cliente o si sono sindacalizzate con ver.di.

12Oltre a queste critiche, la legge sulla prostituzione ha anche suscitato il dissenso delle cosiddette “femministe anti-prostituzione”. Per questa parte di movimento femminista, infatti, la legge portava i «segni distintivi dei trafficanti di donne e dei loro lobbisti» e rappresentava l’approvazione dello Stato tedesco a una «moderna forma di schiavitù» (Emma 2013). Secondo questa posizione, la prostituzione non è un lavoro, ma l’espressione fondamentale della violenza patriarcale e un ostacolo all’uguaglianza di genere, tanto da ritenere che nessuna donna possa intraprenderla volontariamente. Da questo punto di vista, i fallimenti della legge sulla prostituzione erano diretta conseguenza della legalizzazione: avviarono, quindi, una mobilitazione per chiedere misure penali più severe e, in ultima istanza, l’eliminazione della prostituzione attraverso la sua proibizione.

13In seguito a questa legge, dunque, le politiche prostituzionali tedesche invece che consolidarsi divennero luogo di intensa contestazione tra diversi attori sociali che chiedevano o la piena uguaglianza legale e il riconoscimento del lavoro sessuale (specialmente le attiviste delle associazioni e gruppi di sex worker) o una generale repressione e messa fuori legge della prostituzione (specialmente le attiviste anti-prostituzione).

14È interessante notare anche come i discorsi che definiscono che cosa sia o non sia il “problema della prostituzione” siano cambiati significativamente in Germania negli anni successivi all’introduzione della legge del 2002. Questi cambiamenti riflettono sviluppi più ampi a livello internazionale, con una crescente attenzione politica verso la violenza maschile contro le donne e verso la tratta di esseri umani, che vengono sempre più visti come collegati al fenomeno della prostituzione. In Germania, questo cambiamento discorsivo e l’insoddisfazione per la legge sulla prostituzione del 2002 si sono aggiunti al panico morale diffuso intorno alle questioni del sesso e dell’immigrazione, creando un sentimento di urgente necessità di intervento politico. Il panico morale ha investito in particolare la proliferazione e la diversificazione dell’industria del sesso ora più liberalizzata. I timori su una presunta dilagante industria del sesso tedesca sono stati scatenati da nuovi modelli di business come i bordelli “flat-rate” (bordelli in cui i clienti pagano una quota d’ingresso fissa per un numero illimitato di prestazioni sessuali) o dalla pubblicità di pratiche sessuali percepite come rischiose come le feste “gang bang” (non ben definite, ma comunemente intese come feste in cui un gruppo di clienti fa sesso con una sex worker; Mgepa Nrw 2014).

15Questi timori si sono intensificati in occasione della Coppa del Mondo di calcio maschile che la Germania ha ospitato nel 2006, quando i media hanno riferito che migliaia di donne erano state trafficate in Germania per lavorare come prostitute. Sebbene non comprovate, queste notizie hanno reso la tratta di esseri umani e la “prostituzione forzata” oggetto di un intenso dibattito pubblico e hanno portato a campagne politiche, irruzioni della polizia nei bordelli, arresti di persone migranti senza documenti e allo spostamento forzato di sex worker in zone diverse della città (Künkel 2007). Questo dibattito ha reso visibile come al centro del nuovo discorso pubblico sulla prostituzione ci fossero precisi immaginari di genere e razziali: da un lato, la figura delle donne migranti dell’Europa dell’Est, vittime, e dall’altro l’immagine di “trafficanti e protettori spietati” e di clienti senza scrupoli, entrambi accusati di governare l’industria del sesso in virtù del loro desiderio maschile incontenibile e con comportamenti di sfruttamento.

16Un’ulteriore pressione politica fu esercitata sulla Germania quando Paesi (neo-)proibizionisti come la Francia, la Svezia e gli Stati Uniti criticarono duramente le politiche tedesche accusandole di incoraggiare la tratta di esseri umani e la “prostituzione forzata”, grazie alla “legalizzazione” dello scambio di sesso per denaro. A livello europeo e internazionale, la Germania è venuta così a simboleggiare il presunto fallimento di un approccio neo-regolamentarista e, per converso, la necessità di un approccio criminalizzante per affrontare in maniera efficace il fenomeno.

17Questi dibattiti hanno guadagnato ulteriore slancio quando l’espansione dell’Ue ha concesso – sia nel 2011 che nel 2014 – la libera circolazione per ragioni di lavoro ai cittadini e alle cittadine dei nuovi Stati membri. In Germania, questo allargamento del mercato del lavoro ha stimolato un panico morale xenofobo su “l’immigrazione della povertà” dall’Europa orientale che avrebbe messo in crisi il sistema di sicurezza sociale tedesco. Questo valeva in particolare per le lavoratrici migranti dalla Bulgaria e dalla Romania, e soprattutto per le giovani donne che entravano legalmente nell’industria del sesso tedesca da questi Paesi e lavoravano visibilmente nella prostituzione di strada. Queste lavoratrici del sesso migranti sono state collettivamente etichettate come trafficate e costrette, o da circostanze economiche disastrose o da uomini approfittatori. Indipendentemente dalle loro reali motivazioni individuali e dal loro livello di agency nel percorso migratorio, lo Stato tedesco è stato chiamato a cambiare il proprio approccio alla prostituzione per garantire protezione a queste donne. Col modificarsi del dibattito pubblico sulla prostituzione, dunque, l’immagine della lavoratrice del sesso è passata da quella di una lavoratrice con diritti, soggetto sociale e politico, a quella di una vittima migrante che ha bisogno della protezione dello Stato. Mentre nel discorso pubblico la prostituzione veniva discussa in modo sempre più moralizzante e scandalizzante, l’idea di fondo del Prostitution Act – ovvero che la qualità della vità delle sex worker dovesse essere migliorata attraverso il riconoscimento di diritti e l’inclusione sociale – veniva sostituita dall’idea di usare misure punitive e leggi criminalizzanti per controllare la prostituzione.

18Dopo le elezioni parlamentari del 2013, la grande coalizione di governo dell’Unione Cristiano-democratica (Cdu) e della Spd ha deciso di fare degli aggiustamenti legislativi, creando così una nuova finestra di opportunità per diversi soggetti politici di intervenire sulle politiche della prostituzione. In questo scenario sono state soprattutto le femministe anti-prostituzione e le attiviste delle organizzazioni di sex worker a contendersi l’influenza sui discorsi pubblici e sul processo legislativo, collocandosi fin dall’inizio in forte antagonismo tra loro. Sebbene entrambi i gruppi condividessero la richiesta di protezione per le vittime di tratta e di violenza, avevano posizioni inconciliabili sulla natura dello scambio di sesso per denaro, sull’autodeterminazione sessuale e sui diritti umani.

19Da un lato, le femministe anti-prostituzione chiedevano un radicale cambio di rotta politica, poiché sostenevano che la Germania era diventata il «fulcro dei trafficanti d’Europa e il paradiso per i turisti sessuali dei Paesi vicini» (Emma 2013). Hanno così spinto per l’adozione di un approccio di criminalizzazione dei clienti dei servizi sessuali in linea con l’approccio legale svedese al fine di «frenare il sistema della prostituzione nel breve termine e abolirlo nel lungo termine» (Emma 2013). Tuttavia, le loro rivendicazioni si basano sostanzialmente su affermazioni statistiche sulla grandezza dell’industria del sesso tedesca sproporzionate e infondate. Per esempio, stando alle loro dichiarazioni, nel mercato del sesso tedesco lavorano 700.000 donne, generando tassi di profitto di oltre il 1000 per cento per i protettori e i trafficanti di esseri umani, mentre le sex worker non guadagnano quasi nulla. Sempre stando ai loro dati, «il 90 per cento delle prostitute di origine tedesca – spesso vittime di violenza sessuale anche da bambine – [finirebbe] in povertà in età avanzata» (Emma 2013)1. Il tipo di descrizioni molto dettagliate della violenza e dello sfruttamento diffuse da queste femministe hanno contribuito a creare un diffuso senso di allarme e repulsione pubblica verso la prostituzione (Sauer 2019).

20D’altra parte, le attiviste delle organizzazioni di sex worker2 hanno respinto le narrazioni di questi gruppi femministi ritenendole false e discriminanti: le associazioni di sex worker hanno sottolineanto come il lavoro sessuale sia in gran parte esercitato per scelta e che «non solo le donne tedesche, ma anche le migranti lavorano nell’industria del sesso in modo prevalentemente volontario e autodeterminato» (BesD 2013). Queste attiviste, infatti, distinguono in maniera molto netta la prostituzione – che definiscono come «un’attività professionale durante la quale vengono offerti servizi sessuali in cambio di un pagamento» (BesD 2013) – dai reati penali di violenza sessuale e tratta di esseri umani. Hanno chiesto che il lavoro sessuale sia depenalizzato e riconosciuto come lavoro, e che chi vi lavora sia incluso in tutti i processi di policy che la riguardano. Attraverso campagne educative e di comunicazione pubblica hanno cercato di combattere gli stereotipi negativi, di fornire un’immagine più realistica dell’industria del sesso, e di destigmatizzare e “normalizzare” la loro professione.

21Tuttavia, poiché il discorso sulla prostituzione si era spostato dai diritti delle sex worker al controllo dell’industria del sesso e la lotta contro la tratta di esseri umani, le attiviste sex worker si sono trovate in una posizione politica di svantaggio. Non solo dovevano respingere la disinformazione e la minaccia di una modifica alla legge in ottica di criminalizzazione, ma dovevano anche difendersi dalle diffamazione dei gruppi femministi anti-prostituzione che le screditavano chiamandole “lobbiste della prostituzione”. L’enfasi posta dalle attiviste sex worker sul fatto di avere scelto di fare lavoro sessuale è stata usata per delegittimarle come una “minoranza non rappresentativa” di persone privilegiate che scelgono di fare lavoro sessuale a spese di una presunta maggioranza di migranti vittime e vulnerabili. In questo tipo di processo, il diritto di “poche privilegiate” all’autodeterminazione corporea e a scegliere liberamente il lavoro sessuale come occupazione è stato contrapposto ai diritti e ai bisogni della “maggioranza di vittime”. Eppure, in Germania come altrove, le realtà di vita e di lavoro nella prostituzione, così come i margini di scelta e azione delle lavoratrici, non possono essere visti come divisi in due gruppi fissi e contrapposti, ma piuttosto sono da vedere come un continuum, uno spettro ampio di varietà di condizioni comprese fra questi due estremi di “scelta” e “costrizione”. Inoltre, i diritti legali e sociali non sono un bene finito che alcune persone consumano a scapito di altre: è piuttosto l’esclusione dai diritti ad essere creata marginalizzando determinate categorie di persone. Il fatto che alcune lavoratrici del sesso abbiano beneficiato di diritti legali e sociali grazie al Prostitution Act mentre altre non hanno potuto farlo era di fatto già radicato nella legge stessa, che aveva rimosso gli ostacoli legali che fino ad allora avevano impedito l’accesso ai diritti fondamentali, ma non aveva previsto misure di sostegno specifiche per le sex worker rese particolarmente vulnerabili dai regimi migratori repressivi o da sistema di welfare escludenti. Mettere diversi gruppi di sex worker le une contro contro le altre, tuttavia, ha funzionato come efficace strategia politica per la riforma implementata negli anni a seguire.

3. Aumentare il controllo in nome della protezione: il Prostitute Protection Act del 2017

22Il Prostitute Protection Act (per esteso Gesetz zur Regulierung des Prostitutionsgewerbes sowie zum Schutz von in der Prostitution tätigen Personen – Act Regulating the Prostitution Industry and Protecting the People Working in Prostitution) è entrato in vigore il 1° luglio 2017, modificando la legge precedente. La nuova legge aggiungeva agli obiettivi di migliorare l’autodeterminazione e le condizioni di lavoro delle lavoratrici del sesso, quelli di «proteggere meglio le donne dalla tratta di esseri umani e dalla prostituzione forzata», nonché di «eliminare le manifestazioni pericolose della prostituzione e combattere la criminalità» attribuita all’industria (Bmfsfj 2017). A tal fine, il Prostitute Protection Act ha identificato una serie di doveri sia per chi lavora che per gli operatori dei bordelli. Le/i sex worker in Germania sono ora obbligate a registrarsi presso le autorità amministrative locali (quali gli uffici distrettuali della provincia o della città in cui lavorano) e a portare sempre con sé il loro certificato di registrazione quando lavorano. La registrazione, così come i controlli sanitari obbligatori da farsi presso i dipartimenti locali di salute pubblica, devono essere rinnovati regolarmente. Inoltre, la legge impone l’uso del preservativo per tutti i contatti sessuali, proibisce alle lavoratrici del sesso di usare i loro spazi di lavoro come spazi di vita, e prevede multe salate in caso di violazioni. Le imprese devono ottenere una specifica licenza commerciale che dipende dal loro rispetto di una serie di norme edilizie, che ad esempio impongono pulsanti di allarme e bagni separati per clienti e sex worker. Le licenze sono negate a modelli di business, come i bordelli flat-rate o le feste gang-bang, e gli operatori devono presentare i certificati di autorizzazione della polizia, oltre a garantire che chiunque lavori per loro siano ufficialmente registrato. Inoltre, la legge permette alla polizia di entrare liberamente nei luoghi di prostituzione e negli appartamenti per ispezionare documenti e persone. Attraverso queste disposizioni, i legislatori speravano di intervenire meglio per contrastare le situazioni di sfruttamento e tratta nell’industria del sesso. Tuttavia, nonostante la sua dichiarata intenzione di proteggere le sex worker vulnerabili e vittime di tratta, la legge non offre diritti specifici a questi gruppi.

23La legge è stata inoltre duramente criticata da esperti legali e sanitari, così come dalle organizzazioni di sex worker e per la difesa dei diritti umani, poiché viola i diritti fondamentali riconosciuti in Germania a tutti i cittadini: il diritto all’autodeterminazione sessuale, lavorativa e di informazione, e il diritto all’inviolabilità del domicilio (Döring 2018). Gli operatori e le operatrici sociali che lavorano nei servizi di supporto alle sex worker hanno criticato soprattutto il fatto che i controlli sanitari obbligatori erodono i rapporti di fiducia tra sex worker e personale medico e quindi minano l’accesso all’assistenza sanitaria per i gruppi emarginati. Per le stesse ragioni le attiviste sex worker hanno protestato contro la legge dichiarando che avrebbe aumentato la loro vulnerabilità (Herter, Fem 2017). A causa dello stigma sociale e della paura di essere pubblicamente identificate come sex worker, molte lavoratrici evitano la registrazione ed entrano così nell’illegalità. Non avendo la registrazione, infatti, queste sex worker non possono più lavorare nei locali, poiché gli operatori sono ora obbligati a controllare la registrazione delle lavoratrici per ottenere e mantenere la licenza. Le sex worker non registrate devono quindi ripiegare verso luoghi di lavoro clandestini. Inoltre, il certificato di registrazione per sex worker (chiamato colloquialmente dalle sex worker “whore ID” – la carta di identità della puttana) ricorda gli stigmatizzanti certificati sanitari che erano stati aboliti nel 2001. Nonostante le organizzazioni di sex worker avessero presentato le loro obiezioni alla legge in un’audizione di esperti durante il processo legislativo, i loro input sono stati purtroppo ampiamente disattesi nella legislazione finale (Östergren 2017).

4. Sfide attuali: isolamento, illegalizzazione, criminalizzazione dei clienti e Covid-19

24A causa della natura stigmatizzata e parzialmente illegalizzata del lavoro sessuale, le statistiche amministrative e penali disponibili non consentono di fare dichiarazioni esaurienti sullo stato attuale dell’industria del sesso tedesca. Come affermano Kavemann e Steffan (2013), il numero assoluto chi lavora nell’industria del sesso in Germania è spesso sovrastimato. Una stima non comprovata di 400.000 persone fatta negli anni Ottanta continua ad essere citata con insistenza, mentre estrapolazioni più serie identificano un range tra 64.000 e 200.000 persone a quel tempo. Da allora non sono state prodotte statistiche aggiornate e affidabili, e il Prostitute Protection Act sarà valutato ufficialmente solo nel 2025. Nonostante questa mancanza di dati, è evidente già oggi che il Prostitute Protection Act ha portato a un basso numero di registrazioni, a una riduzione dei luoghi di lavoro sessuale e a un maggiore isolamento e illegalizzazione del sex work.

25L’attuazione della legge in tutto il sistema federale tedesco è proceduta con ritardo e lentezza, e alla fine del 2019 erano state registrate circa 40.000 sex worker e 2.000 imprese. Tra le sex worker registrate, circa un quinto aveva la cittadinanza tedesca. Tra le lavoratrici del sesso migranti, invece, le cittadine Ue provenienti da Romania, Bulgaria e Ungheria formano il gruppo più numeroso (Statistisches Bundesamt 2021), mentre le sex worker provenienti da Africa, Asia e America costituiscono circa il 7% di tutte le registrazioni.

26Un rapporto preliminare identifica nei problemi dell’implementazione amministrativa della legge la ragione principale del numero relativamente basso di registrazioni (Bmfsfj 2020). Secondo Hydra – la più antica organizzazione tedesca di sex worker e oggi un centro di servizi di sostegno per sex worker a Berlino – invece, molte sex worker si astengono dal registrarsi perché temono di perdere l’anonimato. Ciononostante, continuano a lavorare. Queste lavoratrici del sesso si trovano di conseguenza in una condizione di illegalità e non possono lavorare nei bordelli autorizzati. Lavorano quindi in contesti meno regolamentati e spesso meno sicuri, come appartamenti privati, internet o le periferie delle città. Qui le lavoratrici del sesso lavorano in modo più individualizzato, sono più vulnerabili alla violenza e allo sfruttamento, e sempre più difficilmente raggiungibili dalle unità di strada e dai progetti di supporto. Il numero di luoghi di lavoro sessuale, infatti, è diminuito, poiché soprattutto i piccoli bordelli non sono in grado di rispettare le rigide norme edilizie previste dalla legge. Altri hanno chiuso per evitare le tasse di licenza e la burocrazia, o in previsione di un rifiuto della licenza. Altri ancora si presume continuino a lavorare illegalmente. Per esempio, a Berlino solo 171 dei 600 bordelli stimati avevano richiesto una licenza alla fine del 2018. Questa riduzione dei posti di lavoro significa anche una perdita di opzioni per le sex worker e un deterioramento delle condizioni di lavoro nel settore (Berliner Zeitung 2019). L’obbligo di separare luogo di lavoro e spazio abitativo significa a per molte dover pagare due affitti, e dunque vivere maggiori tensioni finanziarie e trovarsi in una posizione di minor potere contrattuale con i clienti e con gli operatori che si occupano della loro registrazione. Allo stesso tempo, la legge non ha avuto alcun impatto osservabile sulla tratta di esseri umani nell’industria del sesso tedesca. Il numero delle vittime e degli autori di sfruttamento sessuale denunciati è stato basso e in continua diminuzione stando ai dati disponibili dal 2005, quando hanno iniziato ad essere redatti rapporti statistici ad hoc sul fenomeno. Infine, nonostante i poteri estesi della polizia, sono le stesse forze dell’ordine ad affermare che è sempre più difficile accedere ai luoghi di prostituzione, poiché si sono spostati da bar e bordelli alla luce del sole ad appartamenti clandestini (Bka 2020).

27Questa tendenza all’individualizzazione e alla illegalizzazione del lavoro sessuale è stata ulteriormente stimolata dallo scoppio della pandemia di Covid-19. Come parte della strategia per ridurre i tassi di infezione, il lavoro sessuale nella maggior parte delle sue forme è stato proibito in tutto il Paese nel marzo 2020. La chiusura dei luoghi di prostituzione e i divieti di lavoro hanno causato la perdita di posti di lavoro e di reddito per molte sex worker. Da un lato, chi lavora nel sex work ha condiviso un destino simile a quello di chi lavora in altri settori del mondo dei servizi che richiedono uno stretto contatto fisico, come parrucchiere o massaggiatori, e in alcuni casi hanno potuto beneficiare degli aiuti governativi per la pandemia disponibili per tutti i lavoratori autonomi. Dall’altro, la situazione pandemica ha resto evidente come – seppur in una cornice di legalità e regolamentazione – vi siano profonde diseguaglianze tra il sex work e le altre professioni. Le lavoratrici del sesso non registrate in genere non hanno avuto la possibilità di richiedere gli aiuti, mentre altre – seppur registrate – erano impossibilitate a farlo a causa del regime fiscale speciale applicato solo al lavoro sessuale che lascia molte lavoratrici del sesso senza i requisiti fiscali necessari per accedere la procedura3. In altri casi, le autorità locali hanno specificamente escluso le lavoratrici del sesso e i luoghi di prostituzione dalla rosa dei beneficiari delle misure di sostegno. Nonostante la crescente precarietà, molte lavoratrici del sesso non hanno quindi ricevuto il sostegno statale legato alla pandemia. Molte sex worker migranti sono tornate nei loro Paesi d’origine, mentre altre hanno cercato di generare temporaneamente dei guadagni attraverso il webcamming o piattaforme basate sul pay-per-view e sull’abbonamento per contenuti erotici come OnlyFans.

28Questo ha accellerato il processo – già in corso – di spostamento verso il lavoro sessuale mediato o intrapreso su internet. Tuttavia, anche nei contesti digitali, le opportunità di generare reddito o di pubblicizzare i propri servizi online sono diminuite, poiché l’impatto delle leggi statunitensi anti-tratta Sesta (Stop Enabling Sex Traffickers Act) e Fosta (Allow States and Victims to Fight Online Sex Trafficking Act) hanno avuto un impatto anche in Germania. Queste leggi, entrate in vigore nel 2018, rendono i fornitori di siti web responsabili di qualsiasi facilitazione della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale attraverso le loro piattaforme. Molti provider (tra cui piattaforme di social media di uso internazionale come Facebook e Instagram, o servizi di pagamento come PayPal) hanno così messo al bando le sex worker e i loro contenuti per tutelarsi. Per chi possiede le competenze e le risorse necessarie per svolgere lavoro sessuale online, questo ha significato una notevole perdita di reddito. E, più in generale, ha ridotto le opzioni per il sostegno reciproco online e l’organizzazione politica.

29Infine, le lavoratrici del sesso che non hanno potuto contare sull’assistenza sociale di base tedesca a causa del loro status di migranti, sono state costrette a continuare a lavorare illegalmente e in condizioni notevolmente peggiorate. Al rischio sanitario di contrarre il Covid-19 si è aggiunta la minaccia dei controlli della polizia e le multe elevate per le violazioni del divieto di lavoro. Inoltre, la pressione finanziaria ha ridotto il potere negoziale con i clienti, sia rispetto al compenso che alle pratiche. A questo si aggiunge la difficoltà dei progetti di supporto sociale a fornire servizi adeguati alle persone in grave difficoltà, poiché devono fare i conti con le chiusure e la carenza di personale dovute alla pandemia (Gilges, Hofstetter 2020).

30A causa della pandemia di Covid-19, la proibizione del lavoro sessuale e i suoi effetti dannosi su chi vi lavora sono diventati progressivamente realtà in tutta la Germania. Le femministe anti-prostituzione, così come un certo numero di membri del Parlamento, hanno accolto con favore queste proibizioni e in una lettera aperta hanno chiesto al governo di mantenerle permanentemente. Le femministe anti-prostituzione, mentre stigmatizzavano le lavoratrici del sesso come “super spreader” (diffusore) del Covid-19, hanno inquadrato la pandemia come un’opportunità per dare una svolta fondamentale alla politica tedesca sulla prostituzione e hanno fortemente aumentato i loro sforzi di lobbying per la criminalizzazione dei clienti (Gilges, Hofstetter 2020). Nonostante gli insistenti avvertimenti contro la criminalizzazione emessi dalle organizzazioni tedesche per la salute e i diritti umani (Deutsche Aids-Hilfe 2019), questo fronte presenta la criminalizzazione dei clienti come l’unica lezione da trarre dai fallimenti delle legge del 2002, del 2017 e dalle attuali difficoltà che sta attraversando chi lavora nell’industria del sesso.

31Le organizzazioni di sex worker al contrario, sin dall’inizio della pandemia hanno rapidamente istituito dei fondi di soccorso, riuscendo così a fornire un aiuto finanziario minimo alle sex worker più vulnerabili. Di fronte a un bisogno così diffuso, inoltre, hanno anche chiesto con forza ai politici di garantire «luoghi di lavoro sicuri e protetti, […] assistenza sanitaria, un accesso più rapido e più facile ai benefici di base della previdenza sociale, [e] un sostegno non burocratico a tutte le sex worker che non riescono a districarsi nel sistema» (Besd 2020). L’insoddisfazione tra le sex worker di tutti i settori dell’industria e di tutte le estrazioni sociali ha portato nell’estate del 2020 a un nuovo ciclo di proteste pubbliche in tutta la Germania, e ha fatto registrare un’impennata di iscrizioni alle organizzazioni delle sex worker. A giugno 2020 i singoli Stati hanno permesso di nuovo l’apertura di locali di prostituzione se in conformità con le misure igieniche e di tracciamento dei contatti, in alcuni casi solo come risultato di cause vinte dagli operatori dei locali. Tuttavia, dopo più di un anno di divieto, molti locali di prostituzione hanno chiuso per bancarotta, il che contribuisce alla tendenza in corso di peggioramento delle condizioni di lavoro. Alcune lavoratrici del sesso nel frattempo hanno cambiato lavoro e sono restie all’idea di tornare al lavoro sessuale, dato che il numero di clienti e i livelli di reddito sono inferiori a quelli precedenti la pandemia. Inoltre, la possibilità di sostenersi economicante delle lavoratrici del sesso rimane in balia di regolamentazioni sulla pandemia altamente localizzate, volatili e imprevedibili che continuano a sovrapporsi alla regolamentazione della prostituzione. Mentre la prostituzione non ha avuto un posto di rilievo nell’agenda degli ultimi governi, le continue contestazioni dei diversi attori politici e la valutazione della legge nel 2025 fanno prevedere che la Germania vedrà ancora cambiamenti politici sul lavoro sessuale nel prossimo futuro.

Bibliographie

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Notes de bas de page

1 In altre dichiarazioni delle femministe anti-prostituzione, le cifre oscillano tra 200.000 e 1.000.000 di persone che si prostituiscono (vedi https://www.emma.de/artikel/die-wuerde-des-menschen-ist-antastbar-336695) e 90% è usato per quantificare la quota schiacciante di sex worker migranti, forzate, abusate sessualmente o vittime di tratta (vedi https://taz.de/Alice-Schwarzers-Buch-ueber-Prostitution/!5054986/).

2 Dopo il progressivo scioglimento del cosiddetto “movimento delle puttane” nel 2002, le lavoratrici del sesso hanno ricominciato a organizzarsi collettivamente, in particolare con la fondazione nel 2013 della Berufsverband erotische und sexuelle Dienstleistungen o BesD (Associazione delle professioniste e professionisti dei Servizi erotici e sessuali).

3 Alcuni Stati tassano le lavoratrici del sesso secondo la “procedura di Düsseldorf”, un metodo di tassazione semplificato specificamente progettato per tassare il loro reddito, spesso irregolare e fluttuante, indipendentemente dal suo status legale o morale. La procedura si basa sul pagamento anticipato di una somma forfettaria che le lavoratrici del sesso pagano attraverso gli operatori dei locali. È in uso dagli anni Sessanta in poi, ma non è mai stata iscritta nella legge.

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