L’impatto della legge francese del 2016 sulla prostituzione
Un’indagine collaborativa che da priorità alle voci delle lavoratrici del sesso1
p. 169-184
Texte intégral
Introduzione
1Nel 2016 la Francia ha adottato una nuova legge sulla prostituzione che penalizza i clienti. Un gruppo composto da attivisti/e che lottano per i diritti delle lavoratrici del sesso, organizzazioni sanitarie e Ong ha deciso di documentare l’impatto della legge. Anche noi, tra aprile 2016 e aprile 2018, siamo stati coinvolti come ricercatori in questo progetto collaborativo di valutazione della legge. L’obiettivo principale dello studio era di valutare l’impatto della legge sulle condizioni lavorative e di vita delle lavoratrici del sesso in Francia. Questo capitolo documenta l’esperienza di condurre una ricerca collaborativa con le persone direttamente interessate. Inoltre, sulla base dei dati che emergono dalle interviste, il capitolo evidenzia le critiche alla legge riguardo alla definizione di “violenza” e al contempo mette in luce come la legge stessa possa essere considerata una fonte di violenza nei confronti delle lavoratrici del sesso che vivono e lavorano in Francia.
2Il 6 aprile 2016, dopo due anni di dibattiti parlamentari tra l’Assemblea Nazionale e il Senato del Parlamento francese e due anni di advocacy e manifestazioni di piazza da parte di attori a favore o contro la legge, la nuova “legge sulla prostituzione” è stata adottata in seconda lettura dall’Assemblea Nazionale. Questa legge si compone di una sezione penale che prevede la criminalizzazione dell’acquisto di servizi sessuali (e l’abrogazione del divieto di adescamento), di una sezione sociale che prevede la creazione di un “percorso di uscita dalla prostituzione” e, infine, di una sezione educativa incentrata sulla “prevenzione delle pratiche prostituzionali e del ricorso alla prostituzione” (Gaudy, Le Bail 2021). Tra questi l’aspetto più discusso è stato quello della criminalizzazione dei clienti: tra gli attori della società civile si è creata una rete che si oppone al progetto di penalizzare l’acquisto di servizi sessuali, il cosiddetto “modello svedese” (Serughetti 2017). Il dibattito sull’opportunità o meno di criminalizzare i clienti si basa in gran parte sull’equazione tra lavoro sessuale e tratta o sfruttamento delle persone. Per i promotori di questa legge – legislatore e associazioni – la penalizzazione dei clienti è un modo per frenare il sistema della tratta di esseri umani tagliando la domanda e quindi l’offerta (Giametta, Le Bail, Mai 2018). Uno degli argomenti alla base della legge è la volontà di combattere lo sfruttamento delle persone, in primo luogo la tratta di esseri umani, in particolare delle donne migranti, che oggi costituiscono una grossa fetta delle lavoratrici del sesso in Francia. Questo obiettivo è affermato sin dall’incipit della legge, che si apre con una citazione del preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite per la soppressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui:
Considerando che la prostituzione e il male che l’accompagna, cioè la tratta di esseri umani a scopo di prostituzione, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona umana e mettono in pericolo il benessere dell’individuo, della famiglia e della comunità.
3Il preambolo del progetto di legge rileva anche tre punti, relativi alla sovra-rappresentazione delle donne in questa attività, l’impatto della prostituzione sulla salute, ma anche, e soprattutto, il punto seguente:
Nel giro di dieci anni si è verificata un’inversione storica: se nel 1990 solo il 20% delle prostitute nello spazio pubblico erano di nazionalità straniera, oggi rappresentano quasi il 90%, ed è così sin dagli anni 2000. I Paesi di origine sono ben noti (principalmente Romania, Bulgaria, Nigeria e Cina) e dimostrano la crescente influenza delle reti di tratta sulla prostituzione.
4Per chi si oppone al modello svedese, invece, la scelta di penalizzare l’acquisto di servizi sessuali non è la soluzione giusta (Östergren 2017). La loro posizione può essere riassunta in tre punti: in primo luogo, l’idea che il modo migliore per combattere la tratta è quello di lottare contro le politiche migratorie repressive e regolarizzare le persone migranti; in secondo luogo, la convinzione che la legge fin dall’inizio crea una sovrapposizione tra lavoratrici del sesso migranti e vittime di tratta, configurandosi come una cura inappropriata per un problema mal definito: il riconoscimento delle diverse realtà della prostituzione, infatti, permetterebbe risposte politiche più precise ed efficaci. Infine, la convinzione che qualsiasi forma di repressione diretta o indiretta del lavoro sessuale è dannosa per le attività di riduzione del danno, poiché la repressione inevitabilmente rafforza la stigmatizzazione di quest’attività (Levy 2014; Jahnsen, Wagenaar 2017).
5Quando la legge è stata approvata, tra coloro che vi si erano opposti, comprese molte associazioni comunitarie che rappresentano le lavoratrici del sesso2, c’era la sensazione di non essere stati veramente ascoltati da chi proponeva la legge. Questo capitolo presenta l’esperienza d’indagine collaborativa3 realizzata con e tra le lavoratrici del sesso in Francia, documenta la loro reazione alle scelte politiche dei legislatori, e in particolare, evidenzia le reazioni delle lavoratrici all’assegnazione dello status di “vittima della prostituzione”. Ci proponiamo qui, in primo luogo, di ripercorrere come è stata impostata la ricerca per comprenderne le intenzioni e, in secondo luogo, di presentare ciò che, nelle interviste condotte, ci permette di riflettere sulle definizioni di “vittima” (Sanders, Campbell 2007) a partire dalle reazioni delle/gli interessate/i dopo l’entrata in vigore della legge del 2016.
1. Perché e come condurre un’indagine in cui le lavoratrici del sesso sono al centro?
6La rete che è stata creata durante i due anni di dibattito parlamentare ha continuato ad esistere e a difendere i diritti delle/dei sex worker nonostante non sia riuscita ad evitare che la legge sulla criminalizzazione del cliente fosse promulgata. Questa rete comprende associazioni di lavoratrici del sesso, associazioni comunitarie con sex worker o ex sex worker nei loro consigli di amministrazione, e associazioni di promozione della salute4. La loro mobilitazione deriva dalle convinzioni esposte nell’introduzione, cioè che la criminalizzazione non è la risposta giusta alla lotta contro lo sfruttamento, ma anche da un sentimento d’ingiustizia rispetto a un evidente squilibrio nel modo in cui è stata presa in considerazione la voce dei vari attori della società civile e, in particolare, delle prime interessate, le lavoratrici del sesso. I legislatori non hanno fatto molti sforzi per ascoltare le opinioni delle e dei sex worker, e nemmeno per cercare di nascondere la sproporzione nella quantità di spazio di parola dato a loro e ai loro alleati rispetto ad altri interlocutori. Le parole di Maud Olivier, la deputata incaricata di redigere il rapporto informativo in preparazione alla stesura del progetto di legge, raccolte da Charlène Calderaro (2018), illustrano bene la scarsa attenzione prestata alle opinioni delle/ei principali interessati/e:
Abbiamo anche ascoltato quelli che erano contro la legge, naturalmente, ma beh, ecco, perché dovevano essere ascoltati, ma ovviamente non ci hanno convinto e nemmeno noi abbiamo convinto loro. Ma questa era una delle cose obbligatorie, perché dal momento in cui si vuole costruire un progetto di legge, bisogna avere tutte le parti interessate. Abbiamo dovuto ascoltarli per non apparire settari, partigiani o non obiettivi. (ivi, p. 100)
7È a fronte di questo scenario che è stata preparata una “contro-valutazione” della legge che afferma la priorità di dare voce alle lavoratrici del sesso e di dare spazio alle loro opinioni ed esperienze. Si è deciso di valutare l’impatto di questa legge sulle lavoratrici del sesso sulla base delle loro stesse parole e, in seconda battuta, di valutare l’impatto sul lavoro delle associazioni alleate raccogliendo il punto di vista di quelle che sono in contatto diretto e regolare (e preferibilmente secondo un approccio di comunità) con le lavoratrici del sesso. Perché utilizziamo il termine valutazione? Il governo era obbligato a produrre una valutazione dopo due anni dall’approvazione della legge, la rete di associazioni ha quindi proposto di preparare una “contro-valutazione” con largo anticipo, per avere nuovi strumenti di advocacy. L’obiettivo era di avere elementi per controbilanciare la valutazione ufficiale, a partire dal forte presentimento che, come durante le audizioni di consultazione per la stesura della legge, le lavoratrici del sesso sarebbero state poco ascoltate e che non sarebbero state messe al centro della valutazione.
1.1. La ricerca collaborativa
8La discussione è stata organizzata intorno a un comitato direttivo, che è andato modificandosi un po’ nel corso dei due anni di lavoro e che alla fine ha riunito 24 persone di 11 associazioni, oltre a noi come ricercatori. Questo comitato, aperto a tutte le associazioni, è stato istituito durante la prima riunione, quando è stata formulata l’idea di redigere un rapporto di contro-valutazione focalizzato non tanto su tutti gli attori e le istituzioni coinvolte nell’attuazione della legge, quanto piuttosto sulle lavoratrici del sesso e sull’impatto della legge sulle loro condizioni di lavoro e di vita.
9Il passo successivo è stato scegliere un metodo d’indagine. In un clima di dibattito politico e accademico nel quale avere strumenti di comunicazione efficace è cruciale, il desiderio di produrre cifre è stato molto forte. Tuttavia, uno studio quantitativo è sia costoso sia difficile da realizzare quando si tratta di gruppi minoritari della popolazione. In accordo con il capo dell’osservatorio sulla salute di Médecins du Monde, che ha una formazione in ricerca, abbiamo fatto pendere la bilancia verso un approccio qualitativo con interviste. Tuttavia, la questione della produzione di cifre è stata, di nuovo, oggetto di discussione alla fine dell’indagine e dunque abbiamo deciso di creare un veloce questionario che aiuti a sostenere i risultati dello studio qualitativo.
10Il protocollo del questionario e le griglie delle interviste sono stati creati collettivamente durante diverse riunioni del comitato direttivo. Il protocollo è stato rivisto e adattato in base ai primi risultati dopo sei mesi dall’avvio della ricerca. La maggior parte delle interviste sono state condotte da noi e da una tirocinante, Noémie Rassouw, reclutata da Médecins du Monde. Una volta trascritte, tutte le interviste sono state analizzate dai due ricercatori e dalla tirocinante. Le prime analisi e le prime versioni del rapporto dell’indagine sono state lette e commentate collettivamente e in dettaglio durante lunghe riunioni. Il comitato direttivo comprendeva tre lavoratrici del sesso, due delle quali erano immigrate dall’Africa subsahariana e dall’America Latina. Altre lavoratrici del sesso sono state coinvolte nelle discussioni sulle prime bozze del rapporto.
1.2. Creare un gruppo di partecipanti e gestire i pregiudizi
11La collaborazione tra le persone interessate, le associazioni che lavorano sul campo e i ricercatori ha permesso di essere il più vicino possibile alle realtà del fenomeno durante la scelta del gruppo di partecipanti alla ricerca, delle domande e della terminologia da usare. Dato che i partner nel loro insieme erano in contatto con quasi tutte le tipologie di sex worker (migranti e non-migranti, indoor e outdoor, grandi città e zone rurali o periferiche, giovani e meno giovani), abbiamo deciso di costruire il nostro campione a partire dall’indirizzario delle associazioni ovvero dalle statistiche ricavate dalle persone che le associazioni incontrano. Tuttavia, la ricerca è stata limitata dal fatto che non siamo riusciti ad accedere ad alcuni gruppi, come ad esempio le persone minorenni – per i quali abbiamo intervistato un’associazione di assistenti sociali di strada – e le persone che lavorano in locali al chiuso (abbastanza rari in Francia perché illegali, qui ci riferiamo ai centri di massaggi e ai club).
12Data la posizione contraria alla criminalizzazione dei clienti della rete associativa e la forte divisione ideologica sull’argomento, la ricerca poteva difficilmente evitare di essere messa in discussione poiché svolta da una prospettiva attivista. Fin dall’inizio, abbiamo pensato a come evitare pregiudizi sul nostro lavoro e come consolidare i nostri risultati, ma abbiamo inevitabilmente privilegiato un “angolo di osservazione”, quello dell’impatto sui gruppi vulnerabili, nell’accezione di Marc Tévini (2021) quando parla della valutazione attivista delle politiche pubbliche.
13Nonostante queste considerazioni, abbiamo preso dei provvedimenti per limitare possibili pregiudizi. Abbiamo fatto riesaminare la griglia delle interviste da un ricercatore esterno al progetto e che non lavora sull’argomento. Siamo stati attenti a non chiedere di essere intervistate alle persone coinvolte in attività di attivismo, ma a dare la preferenza a persone che le associazioni non conoscevano necessariamente bene. Nel complesso abbiamo condotto 70 interviste faccia a faccia, anche se la saturazione sulla maggior parte delle domande, cioè risposte convergenti che convalidavano o invalidavano le ipotesi iniziali, era già evidenti dopo le prime 30 interviste. Abbiamo completato l’indagine con 24 tra interviste e focus group con le associazioni – contattando anche le associazioni che si erano espresse a favore della legge o che non avevano preso una posizione netta.
14Le griglie delle interviste sono disponibili online5 e mostrano che abbiamo concentrato la nostra indagine sull’impatto di questa legge sulle condizioni di vita e di lavoro delle persone interessate. Alle persone intervistate è stato chiesto di descrivere i cambiamenti osservati nella loro vita quotidiana: reddito, metodi di lavoro, orari di lavoro, relazioni con i clienti, con la polizia, i servizi sociali e le associazioni del settore. Le interviste qualitative hanno anche permesso di raccogliere dati sull’impatto di questa legge in termini di rappresentazioni e cambiamenti negli atteggiamenti sociali, come sentiti e vissuti dalle stesse lavoratrici del sesso, ed è proprio quest’aspetto che vogliamo sviluppare nella sezione seguente.
2. Mettere in discussione la categoria di vittima
2.1. Vittime della tratta? Dei papponi? Della prostituzione?
15Durante le interviste abbiamo scelto di non affrontare apertamente il tema della tratta e dello sfruttamento. Questa scelta è stata fatta sulla base dell’esperienza delle associazioni che spesso constatavano che la natura intrusiva della domanda diretta rischiava di interrompere il dialogo con persone in situazioni di sfruttamento. Inoltre, seguendo altre solide metodologie di ricerca sul soggetto (Bernstein 2018; Ham 2017), volevamo lasciare le persone libere di scegliere le proprie parole per parlare di sfruttamento o coercizione e libere di esprimere ciò che loro stesse percepivano come tali.
16Abbiamo quindi affrontato la questione dello sfruttamento attraverso domande sull’impatto della legge. Il comitato direttivo aveva formulato l’ipotesi che, in generale, la legge sarebbe servita da trampolino per gli intermediari e avrebbe ridotto le forme più libere di attività. Questo non è stato confermato dalle interviste, e le ragioni di questo fenomeno sembrano essere molteplici come ad esempio: il ringiovanimento della popolazione delle sex worker che lavora di più su Internet; i controlli della polizia, presenti anche prima dell’approvazione della legge; e la diminuzione del numero di clienti in strada. Le osservazioni delle associazioni sul campo, tuttavia, hanno evidenziato l’aumento del ricorso agli intermediari tra le donne cinesi. Altri attori sul campo sembrano aver notato, invece, un indurimento delle relazioni con gli sfruttatori per le donne nigeriane.
17Aprendo il dialogo sulla questione degli intermediari, la nostra ricerca ha permesso di raccogliere molte posizioni sulla difesa del lavoro svolto in autonomia, sia tra le persone native che tra quelle migranti. Mentre alcune donne nigeriane raccontano a malincuore le ben note situazioni di sfruttamento, altre – e quello che ci interessava nella ricerca era dimostrare ancora una volta l’eccessiva semplicità dell’equazione prostituzione-sfruttamento – rivendicano la loro indipendenza. Riportiamo di seguito alcuni esempi: quello di una donna cinese di 50 anni, che lavora a Parigi per telefono da 10 anni; quello di una donna trans argentina di 40 anni, che lavora nel Bois de Boulogne a Parigi (un noto parco pubblico dove la prostituzione è praticata) da più di 20 anni; e quello di un uomo francese di 20 anni, che lavora su Internet:
Ho sempre lavorato da sola. Non vorrei avere un capo. Non voglio che siano coinvolte troppe persone. Non ho avuto bisogno di protezione e non voglio fare troppo. Se hai un capo che organizza, ti dice quanto lavorare. Preferisco essere libera. Accetto quando voglio, se non voglio non lo faccio. Perché la mia priorità è la sicurezza, non è quanto denaro guadagno. (Meimei, donna cinese)
Lavoro nel Bois de Boulogne dal 2004, se vedo che la situazione peggiora, allora l’alternativa è iniziare a viaggiare altrove. Quello che mi preoccupa è il controllo medico dei miei problemi di salute, non mi piace perdere troppo gli appuntamenti […] Così continuo a lavorare nello stesso posto. Odio lavorare chiusa in una casa o trovare clienti su internet […] Oggi lavoro più ore per meno soldi. È questo che mi preoccupa. Ho debiti che non ho mai avuto prima. Sto cominciando a preoccuparmi di perdere il mio appartamento, il mio affitto è molto caro […] ma per il momento non ho per niente intenzione di iniziare a lavorare per altri, la mia indipendenza viene prima di tutto. Ma se un giorno succederà, allora succederà. E non dirò nulla alla polizia. Perché se mi fa guadagnare e funziona bene, allora sarebbe da pazzi dirlo alla polizia. (Aurora, donna trans argentina)
Mi dispiace, il mio corpo è mio, nessuno se ne approfitterà, né lo stato né i proprietari di bordelli che mi offrono 3,000 €/mese per 4 giorni di lavoro intenso. Ogni giorno su Gayromeo ricevo messaggi di proprietari di bordelli in Spagna che mi chiedono di passare e vedere se starei meglio nel calore e nella sicurezza del posto! Si potrebbe pensare che la legge del 2016 sia stata fatta per loro […] Ma se un giorno non avrò più clienti, allora non avrò scelta! (Paul, uomo francese)
18Alcune delle persone intervistate si lanciano in lunghi discorsi contro la sovrapposizione tra prostituzione e sfruttamento, contro la sovrapposizione tra rapporto a pagamento e stupro. Prendiamo un esempio, quello di una donna trans franco-algerina, di 30 anni, che lavora da 10 anni in una città di medie dimensioni in Francia:
E soprattutto chiediamo che si faccia una distinzione tra le prostitute che hanno deciso di stare sul marciapiede, quelle che chiamiamo le prostitute tradizionali, e le prostitute che sono costrette ad andare in strada che, per me, non sono prostitute. Sono vittime di reti mafiose. Non hanno il titolo di prostituta, se è un titolo. Sono vittime. Vittime di papponi. Sono donne povere che sono costrette a vendere il loro corpo. Per queste donne, sarebbe effettivamente bene mettere in atto dei mezzi supplementari per cercare di far cadere i papponi. Ma per quanto ci riguarda, la prostituzione non è vietata e ci viene detto che il reato di adescamento è stato ritirato, quindi le prostitute non sono più considerate come criminali. In altre parole, il paradigma è cambiato. Siamo passate da una legge del 2003 che ci designava come delinquenti, sia che si trattasse di adescamento attivo o passivo, non c’era più alcuna distinzione tra i due. Ora si passa a un altro paradigma dicendo: bene, alla fine le prostitute sono vittime. Così vedete che in realtà non sappiamo dove collocarci. Per anni ci hanno fatto credere che eravamo delle delinquenti. Non siamo delinquenti. Ora ci viene detto che siamo vittime dei clienti, che i clienti devono essere penalizzati. Quindi, ancora una volta, il governo si sbaglia. È un’ammissione di fallimento per la prima volta. E ora dice che è giusto, ma è di nuovo sbagliato perché in realtà non siamo né colpevoli né vittime. Ci sono vittime delle reti mafiose tra la gente sul marciapiede, assolutamente. Ma non sono prostitute, sono donne che sono state costrette a essere lì. E ci sono prostitute che hanno deciso di stare qui, per ragioni economiche e di altro tipo, e che vogliono solo essere rispettate, lavorare in pace. […] Se volete fare una legge che proibisca la prostituzione, fate una legge che proibisca la prostituzione. Invece di dire che siamo vittime di stupro. E se siamo vittime di stupro, ripeto, sono indignata che nel mio Paese lo stupro sia punibile con una multa di 1.500 euro.
19Molti fanno notare che questa legge non solo è basata su sovrapposizioni concettuali sbagliate, ma che non è al passo con la realtà, per esempio per quanto riguarda le relazioni con i clienti.
2.2. Vittime dei clienti? Quale rapporto di potere? Quanto si può ridurre la stigmatizzazione?
20Durante le interviste abbiamo fatto domande sulla criminalizzazione dei clienti e questo molto spesso apriva un dialogo sui clienti stessi e sulle relazioni con i clienti. Naturalmente, molte persone si sentivano sollevate per la depenalizzazione dell’adescamento. Gli arresti per adescamento, per non parlare della paura e dell’umiliazione che un arresto causa, comportano spese legali per uscire dalla custodia della polizia e il rischio di deportazione per le persone migranti senza documenti. Tuttavia, siamo stati sorpresi dalla risposta di molte delle persone intervistate: se dovessero scegliere, preferirebbero essere loro il bersaglio della criminalizzazione piuttosto che i loro clienti. Infatti, nella pratica, almeno nei luoghi in cui il reato di adescamento non è stato più applicato in misura rilevante, la penalizzazione dei clienti ha portato a un forte peggioramento delle condizioni di lavoro e un impoverimento di tutte le sex worker, come descriviamo in dettaglio nel rapporto dell’inchiesta. Inoltre, le persone intervistate hanno spesso dichiarato di sentirsi responsabili, persino colpevoli, quando un cliente era arrestato. Questo è il caso di una donna cinese sulla quarantina che lavora per strada a Parigi da 4 anni:
Venerdì scorso stavo lavorando sul marciapiede e lui è stato preso. Quando è stato preso, me ne sono andata. Questo cliente è un francese piuttosto bravo, e all’inizio il cliente ha detto che non era un cliente. Ero un po’ lontana da lui, e ho confermato, ho detto che non stavo lavorando sul marciapiede. Ma i poliziotti mi hanno detto che se non avessi detto che era il mio cliente, mi avrebbero portato in commissariato! Ero molto spaventata, così ho detto che ero davvero [una prostituta] al lavoro! Non ho più visto il cliente dopo, ma so che è un insegnante, una brava persona, un francese. Non so se ha dovuto pagare i suoi 1.500 euro. So che non vive con la sua famiglia, ma quando vedo questo, mi dispiace per lui, non ho dormito tutta la notte. Quando ho visto il cliente andarsene, mi sono detta che sua moglie avrebbe saputo, che la sua famiglia avrebbe saputo, i suoi colleghi anche, mi sono sentita così colpevole, non ho dormito per due giorni! ma non so come dirglielo, non capisco il francese, non lo parlo, non saprò mai come dirgli “scusa, quel giorno, l’ho fatto per proteggermi, non ti ho protetto”. La polizia mi ha chiesto quanto gli facevo pagare, ho detto loro 50 euro, il che era vero, ma mi sento come se avessi venduto il mio cliente, mi ha reso molto triste. Per questo insisto che lo dica nel suo rapporto, non è grave far pagare al cliente 200 o 300 euro, per dargli una piccola lezione, ma la sua famiglia o il suo lavoro non devono saperlo: tutti abbiamo bisogno di mantenere un po’ di faccia, quindi diamo al cliente la possibilità di mantenere un po’ di rispetto per se stesso. (Jili, donna cinese)
21Questo estratto dell’intervista è interessante per la visione sfumata e complessa che l’intervistata ha del cliente. Chiaramente i rapporti con i clienti sono di varia natura: quando il sex work non è frutto di una scelta, questo rapporto è generalmente difficile; quando, invece, lo è, le persone intervistate ci hanno descritto un quadro molto diverso. Purtroppo, la sensazione generale che emerge dalle interviste è che il rispetto reciproco, e persino la possibilità per le lavoratrici di avere il controllo sulla relazione con i clienti, sia stata minata dalla criminalizzazione. Ci si può chiedere se questa legge, che avrebbe dovuto contribuire all’uguaglianza tra uomini e donne denunciando le azioni dei clienti (uomini), non abbia avuto l’effetto opposto di ridurre il potere di contrattazione delle persone coinvolte in questa attività. Questo è stato descritto da molte intervistate:
Ora dicono che siccome non ci sono clienti e la polizia è ovunque, invece di 80 euro, vogliono pagare 50 euro. È diverso perché sanno che non ci sono molti clienti. Corrono dei rischi venendo da me, quindi vogliono che abbassi il prezzo. (Grace, donna nigeriana)
Ti senti forte davanti al cliente? No, non credo. Al contrario. Lo prego di venire a trovarmi. Non mi sento forte, al contrario. [La legge] mi ha messo fuori gioco completamente, perché corro dietro al cliente per farlo accettare. Prima, avevo davvero una scelta. Il cliente veniva, era normale, gli offrivo il mio prezzo. Ora, è il cliente che stabilisce il prezzo ed è il cliente che sceglie i posti. Questo mi ha davvero buttato giù, completamente. Mi ha fatto cadere, ora sto correndo dietro al cliente. Come ti aspetti che mi senta forte? (Yacine, travesti algerino)
La settimana scorsa un cliente mi ha colpito perché voleva 20 euro indietro perché non era riuscito a eiaculare dopo 30 minuti, quando gli ho detto che l’avrei denunciato, mi ha quasi strangolato. Fa schifo quello che sta succedendo […] Non dirò mai più a un cliente che lo denuncerò, quello che è successo è troppo orribile. […] Inoltre, dirò a tutti i miei amici di stare attenti. Alcuni di loro pensano che ora possano denunciare i clienti pesanti, irrispettosi e violenti. Sento che potrebbero uccidere una di noi. Spero di no, ma conosco questo ambiente e quello che valiamo nella mente di alcuni clienti. (Aurora, donna trans argentina)
22La scelta della criminalizzazione può davvero portare a un cambiamento delle rappresentazioni e promuovere il rispetto delle lavoratrici del sesso, un passo avanti che ci sembra cruciale per ridurre la violenza sessista e sessuale? Su questo punto, le intervistate erano abbastanza unanimi. Non solo quasi tutte hanno notato un rafforzamento della stigmatizzazione nella loro vita quotidiana, ma dubitano fortemente che questa legge possa cambiare gli atteggiamenti nei loro confronti. Molte, infatti, hanno descritto un aumento degli insulti e dei pestaggi gratuiti in strada, nonché la sensazione che l’atteggiamento della polizia non sarebbe cambiato (e che i loro rapporti con la polizia sarebbero rimasti tesi). Ecco le citazioni di una donna nigeriana e di una francese che lavorano per strada in due diverse grandi città in Francia:
La maggior parte delle ragazze ha paura, forse il 97% delle ragazze ha paura di andare alla polizia. Molto, molto spaventate, perché pensano che la polizia possa deportarle o causare loro altri problemi, quindi non vanno da loro. E per questo, c’è molta violenza. Perché gli uomini sanno anche che le ragazze hanno paura di andare alla polizia. Sono poche le ragazze che possono andare alla polizia e fare una denuncia. [Abrogare il reato di adescamento non ha cambiato nulla], hanno paura comunque, a causa dei controlli. (Blessing, donna nigeriana).
Sono sempre persone che passano in macchina, spesso in macchina perché non osano dircelo in faccia, quindi passano in macchina, aprono il finestrino e gridano “sporca puttana, che fai, non ti vergogni?” […] Succede sempre più spesso adesso. Prima era sempre meno e spesso erano giovani. Anche i loro figli aprono i finestrini posteriori e ci insultano. (Lise, donna francese).
23Al di là delle impressioni espresse dalle intervistate, le associazioni hanno notato un aumento delle violenze (rapine, stupri, ecc.), il che sembra confermare che la legge non ha impattato su una certa impunità di cui gli aggressori beneficiano quando attaccano una lavoratrice del sesso. Che la legge penalizzi le sex worker (per l’adescamento) o i clienti, non sembra cambiare il fatto che esse rimangono un obiettivo primario per i criminali: il fatto che l’attività sia illegale, in un modo o nell’altro, alimenta la sensazione che le lavoratrici del sesso siano meno propense a sporgere denuncia e che non siano in una posizione sufficientemente forte per difendere i loro diritti. Piuttosto, le testimonianze e le osservazioni sul campo indicano che la stigmatizzazione dell’attività nel suo complesso è stata esacerbata da quando la legge è stata approvata.
24L’ultima parte del capitolo, che riguarda il “percorso d’uscita dalla prostituzione”, illustra ulteriormente lo scetticismo delle lavoratrici sull’evoluzione delle rappresentazioni sociali del sex work e la potenziale riduzione della stigmatizzazione dopo l’approvazione di questa legge. Evidenzia anche la rabbia e il disprezzo provati dalle sex worker nei confronti della messa in atto di questo strumento.
2.3. Il percorso d’uscita dalla prostituzione
25Una delle misure chiave della legge del 2016 è il programma di uscita dalla prostituzione. Con questa misura il legislatore ha voluto sviluppare un elemento di politica sociale come parte integrante della legge per non investire esclusivamente sull’aspetto repressivo della penalizzazione dei clienti. La nostra ricerca ha confermato che il percorso d’uscita dalla prostituzione “sulla carta” mette a disposizione degli strumenti efficaci per chi vorrebbe smettere di prostituirsi: permesso di soggiorno, accesso all’alloggio, aiuto nella ricerca di un lavoro, sostegno finanziario. Inizialmente, le associazioni che hanno accompagnato le candidate in questo percorso hanno rilevato che si trattava di un ulteriore strumento di potenziale supporto (molte già facevano questo lavoro di accompagnamento) e che poteva essere utile per le migranti, e in particolare per le lavoratrici in situazioni più precarie.
26Tuttavia, le persone che abbiamo intervistato, sia sex worker che associazioni del settore, hanno espresso numerose critiche rispetto a questo strumento. Queste critiche riguardano in particolare la macchinosità del sistema, il fatto che possano effettivamente beneficiarne solo un numero esiguo di persone e che questa selezione sia imposta alle associazioni. Ma soprattutto, e questo è l’aspetto che più ci interessa in questa sede, il percorso d’uscita è criticato per le rappresentazioni che esso trasmette. Molte delle persone intervistate pensavano che l’attuazione di un programma sociale specifico d’uscita dalla prostituzione fosse un fattore che rafforza la stigmatizzazione, sia per chi vi partecipa sia per chi non vuole parteciparvi. Questo percorso rischia di generare divisioni tra chi è considerata degna di protezione (perché vuole smettere) e chi invece preferisce continuare il lavoro sessuale e, così facendo, essere considerata un danno collaterale dell’obiettivo politico della legge (quello della soppressione della prostituzione) senza che la sua scelta e i suoi diritti vengano presi in considerazione. In altre parole, le lavoratrici del sesso criticano la dimensione morale alla base della nuova legge che presuppone che le donne siano o in assoluta sofferenza e debbano essere salvate, o che non siano degne di nessun sostegno da parte dello Stato.
27Nel rapporto di ricerca completo che potete trovare online abbiamo riportato stralci da interviste fatte sia a donne migranti – nigeriane, peruviane, algerine, ecc. – sia a donne native. Abbiamo scelto di citare qui un’intervista alla fondatrice del Collettivo delle donne di Strasbourg Saint Denis che riassume il sentimento che molte altre esprimono:
300 euro al mese per vivere e queste sono le condizioni: aver smesso l’attività prima, parlare francese, essere messa sotto osservazione per 2 mesi prima che ti venga assegnato un alloggio di emergenza! Quale associazione benevola, quale Stato benevolo avrebbe potuto raccomandare tali condizioni e standard minimi di vita? Appena al di sopra del budget dei francesi dedicato al loro animale domestico, appena al di sopra del budget dei francesi dedicato alla loro automobile? Questi metodi dimostrano chiaramente il totale disprezzo e l’arroganza dei promotori di questa legge nei confronti delle prostitute. Metodi che ricordano crudelmente alle persone che sono socialmente illegittime e che la loro esistenza ha poco valore per coloro che hanno contribuito alla stesura di questa “truffa umanitaria”.
28Molte delle intervistate hanno espresso la sensazione di essere guardate dall’alto in basso nel momento in cui hanno capito cosa fosse offerto in questo programma. In modo più misurato, il difensore dei diritti francese (Défenseur des Droits)6 ha espresso diverse riserve sul percorso di uscita, in particolare il fatto che non tiene conto della diversità delle situazioni in cui le persone lavorano e che non favorisce un accesso uguale per tutte/i ai servizi sociali. La nostra indagine ha evidenziato la prevalenza della sensazione tra le persone intervistate che il percorso d’uscita implicitamente dica loro che hanno sbagliato e prescriva loro come comportarsi. Questo discorso è sentito come una fonte di dominazione e stigmatizzazione per coloro che non vogliono smettere di prostituirsi. Come ha detto un’assistente sociale in un’intervista: «quello che viene detto a queste donne è che non c’è posto per loro nella società di oggi, che appartengono a un passato iniquo e immorale». Ma le intervistate si chiedono anche se il mondo prefigurato dal legislatore con questa legge sia davvero più libero e equo di quello di alcune sex worker, come espresso da questa donna che lavora in strada in una grande città francese:
Non siamo mai vittime. No, siamo troie. Prima di tutto, siamo donne. Allora perché non siamo legate al lavandino della cucina, sfornando bambini? Ma, oltre a non essere legate al lavandino della cucina a sfornare bambini, come osiamo fare soldi per cose che dovrebbero essere riservate solo ai nostri cari mariti? Ecco di cosa si tratta. (Magali, donna francese)
Conclusioni
29La legge approvata nel 2016 si proponeva di cambiare il modo di vedere la prostituzione e di lottare contro la violenza intrinseca allo scambio di sesso per denaro. Le testimonianze che abbiamo raccolto nella nostra ricerca ci dicono, però, non solo che questa legge non ha promosso un cambiamento di atteggiamento o una riduzione della violenza, ma che al contrario rafforza la stigmatizzazione e l’esposizione al rischio delle sex worker. La parola delle lavoratrici del sesso, estratta dalla nostra inchiesta collaborativa condotta all’indomani del voto sulla legge, esprime pienamente le critiche rispetto al modo in cui esse sono categorizzate dal legislatore, compresa la loro classificazione in “vittime”. Nella realizzazione di questa ricerca, le associazioni partner che lavorano per il supporto e il benessere di chi lavora nel mercato del sesso hanno deciso di provare a ridefinire i concetti di violenza e di sfruttamento nella prostituzione e di proporre una definizione più complessa e più ancorata alle realtà del campo. Da un punto di vista di advocacy, la ricerca è stata uno strumento – tra gli altri – per dare peso agli argomenti contro l’equazione “prostituzione = violenza e sfruttamento”.
30Per quanto riguarda la definizione di violenza, le testimonianze raccolte criticano l’idea che la prostituzione sia una forma di violenza di per sé e che sarebbe sufficiente impegnarsi per la scomparsa della prostituzione per risolvere tutte le violenze associate a quest’attività. Questa logica nega, da un lato, la possibilità di prestazioni sessuali a pagamento non violente e, dall’altro, porta a relegare un certo numero di atti violenti a meri effetti collaterali che non hanno bisogno di essere affrontati perché un giorno scomparirebbero con la prostituzione. Nel frattempo, gli stupri, le rapine violente e i pestaggi non sono trattati come problemi sociali per i quali si dovrebbe fare un lavoro di prevenzione e sensibilizzazione. Possiamo evidenziare due punti nelle interviste presentate sopra. In primo luogo, le violenze denunciate non sono tutte legate all’attività in quanto tale (rapporti con il cliente ed eventuali intermediari): le violenze istituzionali, in particolare i controlli (ma anche le molestie) della polizia, sono considerate gravi e parte di un circolo vizioso che espone le sex worker a numerose aggressioni fisiche e a maggiori rischi. In secondo luogo, la stigmatizzazione stessa è una fonte di violenza: in primo luogo, alimenta insulti e umiliazioni per strada o sui social network. Ma al di là di questa violenza quotidiana, le intervistate hanno anche menzionato quanto le rappresentazioni del legislatore concorrano a consolidare la violenza istituzionale: le categorie omogeneizzanti di “vittima” e di persone da “strappare” alla prostituzione sono vissute come violenza perché negano una parte delle loro scelte, delle loro pratiche e del loro modo di vivere. Questa violenza, generata dalle rappresentazioni ufficiali, dalle scelte legislative e dalle misure repressive locali, non è presa in considerazione quando la definizione di violenza viene ricondotta alla prostituzione in sé e l’obiettivo politico è l’eliminazione di ogni forma di lavoro sessuale.
31Per quanto riguarda l’equazione tra prostituzione e sfruttamento nel caso delle persone migranti, la ricerca ha permesso di decostruire una certa rappresentazione della vittima. Le testimonianze confermano quanto già è stato osservato e documentato da altre ricerche, cioè che una gran parte delle lavoratrici del sesso non si trova in situazioni di tratta o di sfruttamento, che siano migranti o meno (Guillemaut 2006, 2008; Lévy, Lieber 2009). Più precisamente, se agli occhi della legge molte possono essere considerate “vittime” di un protettore (perché affittano un appartamento a un prezzo superiore a quello di mercato, perché usano i servizi di intermediari per ricevere le chiamate dei clienti, perché vanno a lavorare in un locale all’estero, ecc.), molte non la vivono come una forma di sfruttamento, ma come un contratto che – seppur iniquo – è stipulato con cognizione di causa. Inoltre, le intervistate si considerano raramente vittime dei clienti e decostruiscono l’argomento secondo cui la prostituzione è un’eredità della dominazione maschile e dello sfruttamento del corpo delle donne da parte degli uomini. Come già detto, le relazioni con i clienti sono diverse e complesse. In ogni caso, questa ricerca rileva che le interessate ritengono che la penalizzazione e la stigmatizzazione dell’attività non possano promuovere un maggiore rispetto per le donne. Questa ricerca è una forte indicazione della necessità di ascoltare di più le voci degli e delle interessate, sia nella ricerca accademica che nell’attuazione di nuovi quadri legislativi e politici.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Una versione di questo articolo con contenuti simili è stata pubblicata in Darley 2022.
2 Le associazioni comunitarie sono associazioni create e gestite da persone della comunità (in questo caso le lavoratrici e i lavoratori del sesso) o che hanno persone della comunità all’interno dei loro consigli di amministrazione. All’epoca, una di noi (Hélène Le Bail) era la responsabile di un progetto dell’associazione Médecins du Monde chiamato Lotus Bus; gli attori della rete sapevano che era una ricercatrice e le chiesero di partecipare alle prime riunioni. Dopo alcune riflessioni, Hélène Le Bail ha assunto pienamente il ruolo di ricercatrice per aiutare a impostare un solido protocollo di ricerca con l’aiuto di Calogero Giametta collega sociologo, già impegnato nella ricerca sul lavoro sessuale e migrazione.
3 Versione italiana del rapporto disponibile online: https://www.medecinsdumonde.org/sites/default/files/IT_rapport-SW_web.pdf [link non disponibile: 18/11/2022].
4 Le undici associazioni che hanno partecipato attivamente allo studio sono: Médecins du monde, Grisélidis, Collectif des Femmes de Strasbourg Saint Denis, Cabiria, Friends of the Women’s Bus, Acceptess-T, Arcat, Syndicat du travail sexuel-Strass, Aides, Mouvement français pour le planning familial e Paloma.
5 Le griglie di interviste sono liberamente disponibili nel deposito di dati dell’Istituto di studi politici Sciences Po: https://data.sciencespo.fr/dataverse/elp2016.
6 Il Défenseur des Droits è un’istituzione indipendente dello Stato francese. Creata nel 2011 e sancita dalla costituzione, le sono state affidate due missioni: difendere le persone i cui diritti non sono rispettati; permettere un accesso uguale per tutti ai diritti, https://juridique.defenseurdesdroits.fr/index.php?lvl=notice_display&id=16965.
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Prostituzione e lavoro sessuale in Italia
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