Taxation without representation: la tassazione della prostituzione in Italia
p. 49-64
Texte intégral
1. Introduzione
1No taxation without representation: niente tassazione senza rappresentanza è uno slogan politico che risale alla rivoluzione americana del xviii secolo (Saitto 2013). Da allora è stato utilizzato per reclamare i diritti di individui e popolazioni a cui viene negato un trattamento equanime a livello politico, economico e sociale, e a cui, nonostante queste esclusioni, viene richiesto il pagamento delle tasse (Tutt 2010). Pagare le tasse è generalmente visto come un dovere verso lo Stato che, in cambio, dovrebbe garantire diritti al/la contribuente. È anche un atto con profondo valore simbolico: non solo ha il potenziale di conferire status, rispettabilità e riconoscimento civile e politico al/la contribuente (Ventry 2010; Williamson 2017), ma attribuisce valore e legittima l’attività tassata (Carruthers 2016). Le tasse, però, sono ben lontane dall’essere strumenti burocratici innocui al di sopra delle divisioni sociali; il loro valore simbolico non è universalmente applicato e applicabile, e spesso pongono in una situazione di ulteriore svantaggio proprio coloro che sono già discriminati e marginalizzati dallo Stato e dalla società (Infanti, Crawford 2009; Martin et al. 2009).
2Il pagamento delle tasse è un aspetto che le/i sex worker hanno reclamato storicamente nelle loro campagne e manifesti in virtù del riconoscimento sociale e politico che può conferire, ma anche per mettere in luce sistemi fiscali esistenti che le/li penalizzano. Un esempio lo si trova nel World Charter for Prostitutes’ Rights redatto nel 1985 dall’International Committee for Prostitutes Rights, che richiese: «Niente tasse speciali devono essere imposte a prostitute/i o a business di prostituzione. Le/i prostitute/i dovrebbero poter pagare le tasse come altri lavoratori, dipendenti o indipendenti, e ricevere gli stessi benefici»1. In contesti di ostilità verso le/i sex worker, spesso caratterizzati da minacce reali sulla loro stessa esistenza e sopravvivenza, il pagamento delle tasse a condizione di riconoscimento politico e sociale rimane tutt’oggi un obiettivo da perseguire, ma in pratica raramente rientra nelle più urgenti priorità delle campagne e rivendicazioni di collettivi e alleanze di sex worker2.
3Questa posizione secondaria è anche riflessa nel limitato interesse che la tassazione della prostituzione riceve nei sex work studies, studi di sociologia fiscale, economica e del lavoro e in altri ambiti disciplinari connessi. Le poche ricerche condotte rivelano soprattutto il disagio di enti governativi nel momento in cui ottengono entrate fiscali da un’attività vista come problematica. Come spiega Julia O’Connell Davidson (1998, p. 193), «i governi raramente riconoscono di trarre profitto dalla tassazione della prostituzione e/o dalle multe che vengono imposte a sex worker e ai loro clienti». Anche quando la prostituzione è legale (seppure quasi sempre con numerose restrizioni), non è necessariamente legittimata dallo Stato, cioè trattata alla pari di altre attività economiche. Non di rado, infatti, governi e amministrazioni locali mettono in atto strategie per evitare che la tassabilità della prostituzione sia vista come una forma di legittimazione dell’attività stessa (Remick 2003; Sauer 2004; Brents et al. 2010; Richards 2017; Crowhurst 2019).
4Il caso dell’Italia presenta una situazione di ambiguità sistemica nei confronti della tassazione della prostituzione. Questa ambiguità da adito sia a un’incertezza diffusa sulle regole in vigore e come applicarle, sia a disinformazione, ostilità e violenza contro chi vende prestazioni sessuali. Come viene spiegato in questo capitolo, fino alla metà degli anni Duemila la tassabilità della prostituzione era considerata inammissibile sulla base di sentenze giurisprudenziali che stabilivano l’impossibilità morale dello Stato di trarre profitto da un’attività vista come contraria al buon costume e alle «norme etiche che rappresentano ancora il patrimonio della civiltà in cui viviamo» (Il Foro Italiano 1987, p. 496). Questa posizione si è completamente ribaltata negli ultimi anni. Nella sezione seguente viene tracciata una breve genealogia di come si siano evolute – negli ultimi decenni fino a oggi – varie sentenze giurisprudenziali emesse su casi concernenti la tassabilità della prostituzione3. Si vedrà che la situazione osservabile oggi presenta profonde disconnessioni tra ciò che è stabilito dalla giurisprudenza tributaria – cioè che la prostituzione è una prestazione lecita di servizi retribuita e pertanto tassabile – e la sua messa in pratica in sistemi fiscali e legali che non riconoscono la prostituzione come un lavoro. È anche assente ogni considerazione sulla specificità di questa attività che, come già tenuto in considerazione in altri Stati europei, richiede misure fiscali particolari4. In questo contesto di ambiguità e incoerenza, alle/ai sex worker viene richiesto di pagare le tasse, ma non viene loro permesso di pagarle come sex worker, né in qualità di sex worker viene loro permesso di accedere ai benefici che normalmente spettano a ogni lavoratore, inclusa la pensione, l’indennità di malattia e di maternità e paternità. Inoltre, a complicare questa situazione sono le numerose limitazioni imposte dalla legge Merlin, che non solo non riconosce la prostituzione come lavoro, ma rende impossibili collaborazioni professionali, l’affitto di locali e altre pratiche comuni in altri ambiti lavorativi. Questi ostacoli e difficoltà raramente vengono discussi quando la questione delle tasse è sollevata pubblicamente. Invece, il sensazionalismo giornalistico, semplificazioni in dibattiti politici e la disinformazione diffusa fortificano una narrativa che costruisce “le prostitute” come evasori fiscali, alimentandone l’associazione con criminalità e immoralità, e così rafforzandone la stigmatizzazione.
2. La tassabilità dei redditi di prostituzione: l’evoluzione dell’orientamento giurisprudenziale italiano
5Questo breve excursus storico inizia nel 1980, con il caso di un’attrice che, in seguito a lesioni riportate in un incidente stradale, chiese al tribunale di Firenze il risarcimento dei danni materiali e morali dovuti alla sua impedita e poi ridotta attività di prostituzione. Dopo vari ricorsi, nel 1986 il caso arrivò alla corte di Cassazione, la quale stabilì che:
poiché la prostituzione, pur se penalmente lecita, è contraria al buon costume e il guadagno che ne deriva è conseguenza di rapporti che non hanno tutela legale per la illeceità della causa, non costituisce danno risarcibile l’impedimento, totale o parziale, all’esercizio della prostituzione. (Il Foro Italiano 1987, p. 494)
6Alla donna venne offerto invece un risarcimento «sulla base del medio reddito di una casalinga» (ibid.). La decisione della Corte incluse anche la seguente chiarificazione: il guadagno conseguito da una prostituta a seguito della sua attività contraria al buon costume «è assolutamente inconciliabile con il concetto di reddito “comunque qualificabile”, dipendente da lavoro autonomo o dipendente» (Il Foro Italiano 1987, p. 495, enfasi aggiunta).
7Queste motivazioni, anche se non strettamente concernenti aspetti fiscali, furono utilizzate come riferimento in varie sentenze riguardanti la tassabilità della prostituzione a partire dagli anni Duemila. Fu in questo periodo, in parte in seguito al ridimensionamento del sistema penale tributario nazionale con l’introduzione di metodi di accertamenti fiscali più aggressivi5, che diverse/i sex worker vennero notificate/i dall’Agenzia delle Entrate per omessa presentazione di pertinenti dichiarazioni fiscali. Alcune/i tra loro contestarono per vie legali le imposizioni ricevute, raggiungendo quando possibile delle mediazioni. Come spiega l’avvocato di una sex worker che ricorse con successo a un avviso di accertamento che aveva erroneamente identificato la prostituzione come fatto illecito:
la Commissione Tributaria ha ritenuto di sospendere il nostro procedimento invitandoci a una mediazione con l’ufficio, mediazione che noi abbiamo raggiunto. E abbiamo detto: anziché darvi [xxx] Euro ve ne diamo [xxx…], e così è stato. (intervista, settembre 2018)
8Altri casi invece procedettero nel lungo percorso di appelli e ricorsi. Nella prima metà degli anni Duemila, le sentenze delle Commissioni tributarie riguardanti questi casi fecero spesso riferimento alla sentenza del 1986 già menzionata. Per esempio, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano6 la citò ad litteram: «[…] il guadagno conseguito dalla prostituta a seguito della sua attività non può considerarsi reddito di lavoro autonomo o dipendente», aggiungendo, «né [può considerarsi] fatto illecito perché non sanzionato, con la conseguenza che i proventi di tale attività non possono essere ripresi a tassazione» (D’Agata 2006, p. 95). Sulla base di queste motivazioni, la sentenza stabilì che:
alla luce dell’attuale ordinamento, i proventi della prostituzione non possono essere considerarti tecnicamente redditi, per cui la loro non assoggettabilità a imposta è da considerare consequenziale. […] La prostituzione, che si differenzia dalla vendita in senso stretto solo per le modalità d’esercizio, in quanto non circoscritta a possibilità d’azione limitate ma continuative, non può essere direttamente produttiva di reddito tassabile, finché il legislatore non interviene per disciplinare specificatamente le fattispecie che comportino la vendita o la locazione di parti di sé.
9Pur utilizzando un linguaggio normativo moraleggiante (equiparando la prostituzione a vendita o locazione di parti dell’individuo), in questa decisione la Commissione Tributaria Milanese riconobbe che misure legali e fiscali specifiche sulla tassabilità della prostituzione sono necessarie per poter attuarla in pratica. La stessa Commissione fece anche riferimento e si oppose a una sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea del 2001. Questa aveva stabilito che «la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita la quale […] rientra nella nozione di «attività economiche»»7. Secondo la Commissione Tributaria Milanese «la carenza di disposizioni normative in tema di dignità della persona» aveva impedito «alla Corte di giungere a una diversa conclusione», sottintendendo che normative in tema di dignità della persona sono invece tutelate in Italia e pertanto necessitano una decisione contrastante che non può riconoscere la prostituzione come servizio, ma solo come una problematica vendita di sé.
10A partire dalla seconda metà degli anni Duemila, l’orientamento delle sentenze iniziò a cambiare. Sempre più Commissioni tributarie stabilirono che i redditi derivanti da prostituzione devono essere ritenuti tassabili in quanto rientranti nella categoria dei redditi di lavoro autonomo8. Per esempio, nel 2009, la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia9 si pronunciò dicendo:
Le entrate finanziarie originate dall’esercizio del meretricio, svolto quale professione abituale ancorché non esclusiva, in presenza dei caratteri della prevalenza del lavoro personale del prestatore d’opera, dell’assenza del vincolo di subordinazione, della libera pattuizione del compenso e dell’assunzione a carico del lavoratore degli oneri relativi all’esecuzione della prestazione e del rischio inerente all’esecuzione medesima, rientrano nella categoria dei redditi di lavoro autonomo.
11Il complicato panorama di sentenze spesso contradditorie fra loro mobilitarono il Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute (“il Comitato”) che già forniva assistenza e supporto a sex worker sempre più preoccupate dal numero crescente di segnalazioni di accertamenti tributari e dall’incertezza sulla loro condizione fiscale. Nel 2007 il Comitato pubblicò sul suo sito un breve messaggio su tasse e lavoro sessuale che mette in luce il disorientamento generale causato dalla scarsa chiarezza istituzionale:
sempre più frequentemente le Agenzie delle Entrate presentano alle lavoratrici del sesso un conto arretrato da pagare. […] Molte ci chiedono cosa fare […] naturalmente è opportuno fare ricorso, in quanto è dubbio se la lavoratrice del sesso (che di fatto non è riconosciuta legalmente come lavoratrice) debba pagare o no.10
12Nel tentativo di risolvere e delucidare la situazione ambigua, nel 2008 due parlamentari del Partito Radicale sottoposero un’interrogazione parlamentare al governo, mettendo in evidenza che:
perché sussista l’individuazione di un regime fiscale per i proventi della libera prostituzione, deve esistere un rapporto tra contribuente e Stato in cui quest’ultimo garantisca al contribuente le opportune forme di tutela […]; la legislazione italiana non regolamenta in alcun modo l’aspetto fiscale relativo all’esercizio di un’attività di tipo meretricio.
13Sulla base di questa premessa, i parlamentari chiesero «di sapere se si ritenga di assicurare un’interpretazione uniforme, alla quale l’Agenzia delle entrate dovrà attenersi, in merito al trattamento fiscale dei redditi derivanti dalla prostituzione»11. L’interrogazione non fu mai presa in considerazione dal governo.
14Due anni dopo, nel 2010, una sentenza della Corte di Cassazione portò più chiarezza sul tema, stabilendo – contrariamente alla sentenza del 1986 citata prima – che la prostituzione deve essere tassata12: «non vi è dubbio alcuno che anche tali proventi [da attività di prostituzione] debbano essere sottoposti a tassazione, dal momento che, pur essendo un’attività discutibile sul piano morale, non può essere certamente ritenuta illecita»13.
15Non passarono che pochi mesi e un’altra sentenza della Corte di Cassazione14 ribadì che l’attività di prostituzione, seppur contraria al buon costume, non costituisce reato e inoltre deve essere assoggettabile a Iva quando autonomamente svolta dal prestatore con carattere di abitualità. Nel supportare questa decisione venne fatto riferimento alla stessa sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee precedentemente citata (si veda nota 7). Questa volta però, invece di opporsi a essa, la Corte di Cassazione la avvallò, trattandola come precedente valido per la qualifica della prostituzione quale «prestazione di servizi retribuita».
16Per molte/i sex worker queste sentenze, invece di risolvere dubbi ed eliminare ambiguità circa la loro posizione fiscale e legale, hanno contribuito a rinforzare sentimenti di alienazione ed esclusione da parte dello Stato, oltre a non avere eliminato l’indeterminatezza circa la modalità del pagamento delle tasse. Questo emerge per esempio dai commenti riportati sul sito del Comitato in un post intitolato I/le sex worker ci scrivono sul FISCO15, in cui molte/i sex worker misero in evidenza la dissonanza tra il principio dichiarato nelle sentenze della Cassazione circa l’equiparabilità della prostituzione a lavoro autonomo e le loro esperienze di ogni giorno: impossibilitate/i a pubblicizzare il proprio lavoro, a condurlo nello stesso luogo con altre/i colleghe/i, a dichiarare le tasse e ad aprire una partita Iva per attività di prostituzione. Come scrive un sex worker:
Sono un prostituto e questo è il mio lavoro permettimi di pubblicizzare il mio lavoro come un lavoro «normale» senza dovermi nascondere come «massaggiatore» lasciami mettere il mio annuncio su un cartellone pubblicitario […] vuoi tassarmi perché sono un cittadino come gli altri e devo contribuire? trattami come tale. Se vado in banca e dico che faccio il prostituto e chiedo un mutuo per la casa mi ridono in faccia, se vado da un commercialista e chiedo di aprire una partita iva come prostituto mi ridono in faccia.
3. Gli introiti della prostituzione sono tassabili e devono essere dichiarati: ma come?
17Anche le prostitute devono pagare le tasse16; Rimini, il Fisco inchioda anche la prostituta. «Paghi le tasse»17; Anche a Ferrara le prostitute paghino le tasse come tutti noi18; Giustizia Tributaria di Savona: fai la prostituta? Devi pagare le tasse19; Escort e prostitute devono pagare le tasse: la sentenza20; Il «contante della prostituta»: le tasse si pagano21; Prostituta? Anche lei paghi le tasse22; Prostitute, con macchinoni, ville e ristorante. Lavorano con annunci sui giornali, ma non pagano un euro di tasse. Anche loro nel mirino dei controlli di Polizia Locale e agenzia delle entrate23.
18Come indicano i titoli riportati sopra, le sentenze di Commissioni tributarie e della Corte di Cassazione24 sono spesso state accolte dai media come decisioni che hanno portato chiarezza sulla tassabilità della prostituzione «costringendo le prostitute» a pagare le tasse come tutti gli altri cittadini. Gli autori di molti di questi articoli hanno puntato su semplificazioni stigmatizzanti, come succede spesso nel riportare notizie sulla prostituzione, in Italia e altrove (Gibbs Van Brunschot 2000; Capretti 2005; Hallgrimsdóttir et al. 2006). Un giornalismo meno sensazionalistico avrebbe potuto investigare invece l’applicabilità di ciò che le sentenze giurisprudenziali stabilirono. In altre parole, se gli introiti della prostituzione sono tassabili e devono essere dichiarati, come lo si può fare in pratica? Trovare una risposta a questa domanda non è facile, con ripercussioni reali sulla vita privata e professionale delle/i sex worker.
19In Italia, come stabilito dalla legge Merlin, la prostituzione non è illegale se svolta da una persona maggiorenne senza alcun vincolo di subordinazione, cioè, come dice la sentenza precedentemente citata della Corte di Cassazione del 2011, «se sussistono le condizioni che consentono di ritenere che la prostituzione sia svolta come lavoro autonomo». Che la prostituzione possa essere svolta come lavoro autonomo però non vuol dire che sia riconosciuta come lavoro a tutti gli effetti, e questo causa una serie di problemi sia pratici che di principio quando si tratta di dichiarare le tasse. Bisogna anche considerare che il contesto di vendita e di acquisto di servizi sessuali è molto diverso dalla vendita e acquisto di altre tipologie di servizi non stigmatizzati come invece è la prostituzione. Questo è importante perché la documentazione necessaria per mantenere la contabilità da includere nelle dichiarazioni fiscali da lavoratore autonomo, sia occasionale che abituale, non è sempre plausibile in questo contesto. Per esempio, richiedere a un committente (in questo caso un/a cliente) di includere i dati personali su una ricevuta, o di versare i contributi previdenziali alla Gestione Separata Inps, sono pratiche necessarie a livello di amministrazione fiscale e dei contributi, ma non realistiche in un ambito lavorativo in cui l’anonimato e la privacy sono fondamentali25. Esistono poi ostacoli che possono essere sormontati purché il/la contribuente non dichiari la propria attività di prostituzione. In questi casi, l’aspetto problematico pertiene a una questione di principio, più che di difficoltà pratiche, ma non per questo non altrettanto fondamentali. Per coloro che svolgono un’attività di lavoro autonomo continuativa con necessità di aprire una partita Iva, è necessario scegliere un codice, il codice Ateco, che fa riferimento all’attività svolta. Come chiarisce l’Agenzia delle Entrate:
La classificazione delle attività economiche rappresenta uno strumento indispensabile per comprendere e, quindi, poter governare il mondo delle imprese. Solo definendo in modo preciso le tipologie di attività svolte dagli operatori, infatti, se ne possono definire i comportamenti economici e, conseguentemente, gli adempimenti fiscali. Classificarsi correttamente rappresenta, pertanto, un vantaggio reciproco sia per i contribuenti, che vedranno riconosciute le loro specificità, sia per l’amministrazione, che potrà calibrare meglio la richiesta fiscale tenendo conto di tali specificità26.
20Per le/i sex worker però è impossibile definire in modo preciso l’attività svolta, perché non contemplata nella tabella dei codici. Come chiarisce un commercialista, «l’utilizzo dei codici Ateco dovrebbe essere il più puntuale possibile. Quando non lo è, si ricorre ai codici generici. Quindi alla fine un codice lo si trova. L’aggiornamento dei codici avviene raramente, non è operazione ordinaria per l’Agenzia delle Entrate»27. E infatti alle/i sex worker viene generalmente consigliato di utilizzare il codice 96.09.09 («altre attività di servizi per la persona non classificato altrove»), che include attività assai diverse dal lavoro sessuale:
astrologi e spiritisti; servizi di ricerca genealogica; servizi di lustrascarpe, addetti al parcheggio di automobili ecc.; gestione di macchine a moneta per servizi alla persona (cabine per fototessera, bilance pesapersone, macchine per misurare la pressione del sangue, armadietti a chiave funzionanti a moneta); assistenza bagnanti (bagnini); servizi domestici svolti da lavoratori autonomi. (Istat 2007, p. 417)
21Come detto, non è impossibile per un/a sex worker aprire una partita Iva, purché lo si faccia sotto una classificazione generica come quella indicata sopra, oppure con un’altra affine che sia inclusa nella tabella delle attività economiche. Questo compromesso mette in ulteriore evidenza l’incoerenza di un sistema che impone di pagare le tasse sugli introiti della prostituzione, ma non come introiti sulla prostituzione. Inoltre, quest’ultima non solo non è riconosciuta come lavoro, ma il suo svolgimento è anche reso molto più difficoltoso dalla criminalizzazione di pratiche lavorative associate a essa e che generalmente sono considerate completamente legittime e normali in altri ambiti lavorativi, come per esempio fare pubblicità, lavorare con altre/i colleghi e affittare un posto di lavoro. Questa incoerenza è spiegata chiaramente da un uomo che identifica il suo lavoro come gigolò/accompagnatore:
Ho creato una partita Iva come organizzatore di eventi e, quindi, pago regolarmente le tasse, anche se il mio lavoro è legale, legalissimo, ma non è riconosciuto dallo Stato, quindi che succede? Non esiste l’accompagnatore come figura professionale, accompagnatore o gigolò […]. Non esiste come figura professionale, quindi in realtà io non posso fatturare, perché quello che faccio non esiste, capito? Proprio non esiste, è legale ma non esiste. Però, ovviamente, io per tutelarmi ho creato partita Iva come organizzatore di eventi […] però è ingiusto, perché io non organizzo eventi, cioè il mio lavoro è accompagnatore (intervista, settembre 2019).
22Ad aggiungersi a questa situazione già complicata sono anche problemi che le/i sex worker incontrano con amministratori e professionisti fiscali. Per esempio, non è facile trovare commercialisti che siano a conoscenza di questa complessa situazione, che sappiano come affrontarla e di cui le/i sex worker possano fidarsi senza sentirsi giudicate/i per la loro attività. Come spiega un avvocato in un programma di Radio Radicale su «Prostituzione e Fisco», c’è anche una mancanza di chiarezza su quali spese possano essere deducibili e detraibili in questo settore, e non tutti i commercialisti hanno la competenza per consigliare i loro clienti senza correre il rischio di commettere errori che possano generare sanzioni (Radio Radicale 2008). Inoltre, Pia Covre, fondatrice del Comitato, mette in luce come l’ignoranza in questo ambito è spesso riscontrata anche con gli stessi impiegati dell’Agenzia delle Entrate:
Se vado [all’Agenzia delle Entrate] e dico che svolgo un lavoro sessuale mi dicono che questo lavoro non esiste. Però ci sono degli stratagemmi. Un piccolo numero ricorre a un codice Ateco, il codice che riconosce le professioni per il fisco, che è quello che riguarda anche le massaggiatrici, e si iscrive. […] Siamo comunque in un settore totalmente fuori da ogni riconoscimento legislativo di tipo lavoristico. Ed è questo il problema.28
23Esperienze di sex worker respinte/i da uffici dell’Agenzia delle Entrate o consigliate/i erroneamente circa l’apertura di partita Iva o il pagamento delle tasse in generale sono riportate frequentemente su social media e sono anche state oggetto di alcuni programmi televisivi italiani (si veda per esempio La7 2016; Le Iene 2013) e della stampa estera (per esempio, Kington 2014), mettendo in luce la diffusa difficoltà di mettere in pratica ciò che la giurisprudenza tributaria ha stabilito.
4. Conclusione: tasse, ambiguità, incoerenza e violenza
24Gli sviluppi delineati in questo capitolo rivelano il cambiamento avvenuto nelle decisioni delle Commissioni tributarie nella metà degli anni Duemila, esemplificato dal diverso approccio adottato nei confronti della decisione della Corte di Giustizia Europea – prima respinta citando gli standard più alti di dignità umana in Italia, e poi abbracciata per sostenere la qualifica della prostituzione come attività economica. Quando all’inizio degli anni Duemila le/i sex worker iniziarono a presentare ricorso contro gli accertamenti e le sanzioni dell’Agenzia delle Entrate, le sentenze delle Commissioni tributarie trattarono quasi sempre la prostituzione come un’attività contraria al buon costume e i suoi proventi come risarcimento del danno. Queste decisioni riflettevano la tendenza decennale (a partire dalla legge Merlin del 1958) a considerare la prostituzione come contraria alla presunta morale comune del Paese e quindi non concepibile come un’attività economica simile ad altre prestazioni di servizi retribuite. Le sentenze che le Commissioni tributarie emisero a partire dal 2007 rivelano invece una posizione quasi pragmatica, per cui la prostituzione rimane ancora identificata come moralmente dubbia, ma al contempo è riconosciuta come attività economica. La pressione finanziaria sul Paese nel contesto della crisi economica della seconda metà degli anni Duemila potrebbe aver avuto un ruolo nelle decisioni di dare meno peso alla posizione moralistica e giungere alla conclusione, economicamente utile per il Paese, che, come una sentenza problematicamente precisò, pecunia non olet, la fonte reddituale è irrilevante nello stabilire la sua tassabilità29.
25Secondo Federico Formica (2015) in un articolo sull’«Espresso»,
dove hanno fallito decenni di battaglie politiche e gruppi di pressione, potrebbe riuscire la fame atavica del Fisco italiano: superare la legge Merlin. Rendere la prostituzione un lavoro lecito, riconosciuto e regolamentato. La strada verso lo «sdoganamento» del mestiere più antico del mondo è lunga e lastricata di sentenze della corte di Cassazione.
26Questa previsione, tuttavia, non si è realizzata. Il legislatore non è ancora intervenuto, come aveva auspicato la Commissione Tributaria di Milano nel 2005, per «disciplinare specificatamente le fattispecie che comportino la vendita di servizi sessuali», generando una disconnessione tra le sentenze delle varie corti e commissioni e la loro effettiva applicazione. Ciò ha comportato un’ulteriore incertezza su come gli introiti della prostituzione debbano essere dichiarati e tassati in pratica. In un tale panorama di ambiguità e incoerenza, le/i sex worker in Italia si vedono confrontate/i con la costante minaccia di perdere i loro guadagni, un futuro incerto, e l’ulteriore stigma sociale che le/li identifica come evasori fiscali. Come spiega Pia Covre, «queste non sono sentenze che garantiscono diritti, garantiscono solo l’obbligo di pagare le tasse […]. Serve una legge che riconosca il nostro come un lavoro con annesse tutte le questioni previdenziali, allora sì che è giusto pagare le tasse» (Crisafi 2018). In altre parole, attualmente, le/i sex worker si trovano in una situazione in cui vengono riconosciute/i dallo Stato solo come inadempienti fiscali, e per questo sono punite/i con multe salate. Allo stesso tempo, vengono ignorate/i dallo Stato in quanto cittadine/i che vogliono pagare le tasse come sex worker, ed escluse/i dall’accesso ai benefici che normalmente spettano a ogni lavoratore, come la pensione, l’indennità di malattia e di maternità e paternità.
27Nel discutere la rilevanza sociale e politica della tassazione, Martin et al. (2009, p. 3) affermano che «pagare le tasse è una cosa che tutti devono fare, siano essi consumatori, proprietari di case, salariati o investitori. Questa generalità fa della tassazione un elemento cruciale nello sviluppo della “comunità immaginata” (Anderson 1983) del moderno Stato-nazione». Negando alle/ai sex worker di pagare le tasse come sex worker, il sistema in vigore rafforza la loro esclusione storica dalla “comunità immaginata” dello Stato-nazione. Questa esclusione sistemica è aggravata dalla conoscenza limitata dell’ambiguità che circonda la tassazione della prostituzione nel Paese e della posizione di vulnerabilità in cui operano le/i sex worker. Quando la questione è stata sollevata e dibattuta pubblicamente, la narrativa dominante è stata quella che vede “le prostitute” come evasori fiscali senza scrupoli30. In un Paese dove il dibattito sulla tassazione suscita accese discussioni e forti risentimenti contro gli evasori fiscali (Guano 2010), “le prostitute” sono diventate un facile bersaglio per cittadini frustrati che danno loro la colpa per le travagliate finanze pubbliche del Paese, alimentando avversione nei loro confronti. Recentemente, la violenta ostilità contro le/i sex worker si è manifestata sui social media in risposta ad alcuni articoli che riportarono che le/i sex worker senza lavoro durante la pandemia chiesero il bonus di 600 euro previsto dal governo. Molti commenti risentiti e spesso aggressivi fecero riferimento al non pagamento delle tasse da parte di “prostitute” e quindi alla necessità di escluderle da qualsiasi richiesta di supporto statale31. Le notizie riportate in questo ambito rappresentano un altro esempio di giornalismo sensazionalizzante e stigmatizzante che con titoli come Coronavirus, le escort in crisi. «Vogliamo il bonus di 600 euro»32 ignorarono il fatto che le/i sex worker per i motivi presentati sopra non vengono riconosciute/i come categoria professionale e non poterono accedere al bonus in quanto sex worker.
28Come sostiene Teela Sanders (2016), lo status che viene dato alle/i sex worker nella società è modellato da fattori strutturali e culturali che spesso contribuiscono a sentimenti e pratiche di violenza contro di loro. I discorsi e le pratiche pubbliche e ufficiali che «posizionano le prostitute come non cittadini, come spazzatura, di cui non preoccuparsi», come “altri”, separati dagli individui “normali”, rafforzano l’associazione tra il sex work e la criminalità, l’immoralità, la sessualità pericolosa, la malattia, l’inciviltà e il disgusto (Sanders 2016). Questi processi si possono osservare in Italia, dove il mantenimento della tassazione ambigua della prostituzione contribuisce a riprodurre stereotipi dannosi nei confronti di sex worker, rafforzandone l’emarginazione.
29Una maggiore attenzione alla tassazione della prostituzione in Italia e altrove anche da parte dei sex work studies, della sociologia fiscale e altre discipline può contribuire a fare luce sull’interconnessione poco esplorata tra politica economica e lavoro sessuale, e in particolare su come la tassazione può essere implicata nella riproduzione della violenza ed esclusione delle/dei sex worker, ma, se cambiata e meglio strutturata consultandole/i e valorizzandone la competenza, potrebbe contribuire al riconoscimento dei loro diritti.
Bibliographie
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10.1515/9781400885015 :Notes de bas de page
1 https://www.walnet.org/csis/groups/icrse/brussels-2005/SWRights-History.pdf (traduzione dell’autrice). Il testo originale in inglese riflette la terminologia del tempo, quando sex work non era ancora utilizzato comunemente come lo è oggi, e include il termine prostitutes che in inglese è di genere neutro, tradotto qui con i/le prostitute/i.
2 Tuttavia, molte di queste organizzazioni, incluso il Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute in Italia, forniscono assistenza nella compilazione di dichiarazioni fiscali e supporto legale in caso di sanzioni tributarie.
3 I dati presentati in questo capitolo emergono da un progetto di ricerca supportato dalla Independent Social Research Foundation, intitolato Comparing the taxation of prostitution in Europe: experiences and negotiations (2018-2019), condotto dall’autrice in Italia, da Alexandra Oliveira (Università di Porto) in Portogallo e da Milena Chimienti (Università delle Scienze ed Arti Applicate della Svizzera Occidentale) in Svizzera. La ricerca condotta in Italia ha comportato l’analisi documentaria di sentenze emesse da Commissioni tributarie e dalla Corte di Cassazione, di commenti presenti online su siti di professionisti fiscali, documenti e commenti pubblicati sul sito del Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute, e interviste qualitative a nove sex worker e a due avvocati che hanno rappresentato sex worker in ricorsi contro sanzioni tributarie.
4 Nel Canton Ginevra in Svizzera, per esempio, le/i sex worker hanno un sistema di pagamento delle tasse speciale e basato esclusivamente sulle spese lavorative. In alcune città e regioni della Germania, invece, le/i sex worker pagano una cifra forfettaria giornaliera.
5 È importante puntualizzare che l’evoluzione dell’approccio istituzionale verso la tassabilità della prostituzione deve essere compreso nel contesto di cambiamenti culturali verso il fenomeno della prostituzione stessa, ma anche di cambiamenti strutturali dell’apparato fiscale italiano nel corso delle ultime decadi. Su quest’ultimo aspetto si veda Manestra 2010.
6 Sez. XLVII, sentenza 22 dicembre 2005, n. 272.
7 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:61999CJ0268&from=EN.
8 Per un commento sulla prima sentenza che mantenne questo approccio nel 2007 si veda https://web.archive.org/web/20110318095306/http://www.lucalodi.it/2007/11/26/prostituzione-commissione-tributaria-lombardia-anche-le-lucciole-debbono-pagare-le-tasse/.
9 Sentenza 11 giugno 2009, n. 131
10 https://web.archive.org/web/20100819103150/http://www.lucciole.org/content/view/294/3/.
11 http://aic.camera.it/aic/scheda.html?core=aic&numero=3/00145&ramo=SENATO&leg=16&eurovoc_descrizione=prostituzione&testo=3%20tasse%20prostituzione%201%2053.
12 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza 1ottobre 2010, no. 20528.
13 La qualificazione del meretricio come civilisticamente illecito, in forza dell’articolo 5 del Codice Civile, e i relativi introiti tassabili quali “redditi diversi da proventi illeciti”, erano stati gli argomenti portati dall’Agenzia delle Entrate nel caso considerato nella sentenza della Cassazione e in altri casi ricorsi con successo da sex worker e in seguito vinti proprio sulla base della premessa incorretta, cioè che la prostituzione non è un’attività illecita.
14 Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, 13 maggio 2011, n. 10578.
15 https://web.archive.org/web/20120101214023/http://www.lucciole.org/content/view/694/14/.
16 https://www.valseriananews.it/2016/11/24/anche-le-prostitute-devono-pagare-le-tasse/
17 https://www.ilrestodelcarlino.it/rimini/cronaca/prostitute-fisco-1.3098656
18 https://lanuovaferrara.gelocal.it/ferrara/cronaca/2016/07/08/news/anche-a-ferrara-le-prostitute-paghino-le-tasse-come-tutti-noi-1.13787848
19 https://www.savonanews.it/2016/07/07/leggi-notizia/argomenti/attualit/articolo/giustizia-tributaria-di-savona-fai-la-prostituta-devi-pagare-le-tasse.html
20 https://www.today.it/economia/escort-prostituzione-tasse-iva-irpef.html
21 https://www.wallstreetitalia.com/il-contante-della-prostituta-le-tasse-si-pagano/
22 https://www.corriere.it/cronache/07_novembre_22/prostituta_tasse_cc6ad118-98c2-11dc-831b-0003ba99c53b.shtml
23 https://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/12_settembre_25/tassa-prostituta-con-case-suv-ristorante-2111962361106.shtml
24 I titoli riportati fanno riferimento a varie sentenze emesse tra il 2007 e il 2016.
25 Per questi e altri motivi relativi, alcuni Paesi hanno messo in atto strumenti fiscali ad hoc per chi vende servizi sessuali, si veda la nota 4.
26 https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/448999/Presentazione+classificazione+ATECO+2007_classificazione_attivita_economiche.pdf/1ef25fe1-bf3d-e67c-6273-e454a96f3841.
27 Comunicazione personale via email, 18 aprile 2018.
28 https://www.mentinfuga.com/diritti-civili-delle-prostitute-intervista-a-pia-covre/.
29 Commissione Tributaria Provinciale di Savona, 10 maggio 2016, n. 389. La sentenza fece riferimento al caso dell’imperatore Vespasiano e alla tassa che egli impose sulle latrine, comparando a tutti gli effetti la prostituzione a “un genere immondo di commerci”. Questo riferimento venne poi utilizzato ampiamente dalla stampa e media online in notizie e titoli criminalizzanti.
30 La tassazione della prostituzione è anche stata manipolata politicamente come oggetto di manifesti elettorali e campagne politiche, come nel caso della Lega nella seconda metà degli anni 2010 sotto la leadership di Matteo Salvini (si veda Crowhurst 2019).
31 Per esempio: https://twitter.com/mediasettgcom24/status/1247451425107574784?lang=en.
32 https://www.quotidiano.net/economia/coronavirus-bonus-escort-1.5098024.
Auteur
È sociologa all’Università di Essex, UK. I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle modalità con cui norme socio-culturali, economiche e politiche regolano intimità e sessualità. Ha collaborato a progetti internazionali su femminismo e cittadinanza e sui contesti di politiche che regolano il lavoro sessuale. I suoi libri più recenti includono The Tenacity of the Couple Norm (2020, pubblicato da UCL con Roseneil, Hellesund, Santos e Stoilova) e Third Sector Organizations in Sex Work and Prostitution (2021, pubblicato da Routledge con Dewey e Izugbara)

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