1 Per esempio, Marenbon (1988, p. 6) scrive: «Il Timeo nell’antichità era il dialogo di Platone più popolare […]. I primi seguaci del platonismo lo consideravano come la fonte principale per la loro conoscenza del pensiero di Platone, e l’alto Medioevo fu fortemente influenzato da questa prospettiva filosofica». In riferimento alla traduzione di Calcidio e al suo ruolo nella diffusione del platonismo nell’alto Medioevo, si veda Dutton in Reydams-Schils, 2003, pp. 183-205.
2 Schelling conclude l’Introduzione all’Abbozzo di un sistema di filosofia della natura o Sul concetto di fisica speculativa (1799) con il seguente appello: «A questo punto l’autore affida questi principi di una fisica speculativa alle menti pensanti dell’epoca, invitandole a fare causa comune in questa scienza, che certo non apre prospettive di poco conto [...]» (SW, I/3, p. 326). Schelling perseguì questo modello collaborativo di fisica speculativa curando la «Zietschrift für speculative Physik» (1800-1801), la «Neue Zeitschrift für speculative Physik» (1802), e poi gli «Jahrbücher der Medicin» (1805-1806), questi ultimi in risposta alla rivista di ispirazione fichtiana, kantiana e bruniana diretta da Andreas Röschlaub «Magazin zur Vervollkommnung der theoretischen und praktischen Heilkunde» [Giornale per il miglioramento della medicina teoretica e pratica], che dedicò il primo numero della rivista all’«indomito servizio di Fichte alla vera filosofia, e perciò alla scienza tutta» (cfr. Tsouyopoulos, 1978a, p. 93). In riferimento alle critiche di Schelling a Röschlaub cfr. SW, I/7, pp. 260-288.
3 Seguendo l’impostazione di Krings 1994 e contro quella suggerita da Franz 1995, riteniamo che il commento al Timeo mantenga una connessione necessaria con la Naturphilosophie di Schelling. Per una presentazione della questione cfr. il saggio di Beierwaltes in Reydams-Schils (2003).
4 Come è citato da Diogene Laerzio, Τίμαιος, ή περί φύσεως, φυσικός [Tímaeus é perí phýseos, physikós], la ‘fisica della fisica’. È da qui, piuttosto che dall’ordine degli scritti di Aristotele, che sorge la ‘metafisica’.
5 Per una lettura etico-politica del Timeo si veda per esempio Cornford (1935) e Sallis (1999). Fra le letture che insistono sulla rilevanza del dialogo in termini di filosofia della natura, a parte Whitehead (1920) e Taylor (1929), si vedano Brisson, Meyerstein (1991) e Böhme (2000).
6 Per l’esattezza, il passo del necrologio Immanuel Kant qui richiamato recita: «All’aspetto formale della sua critica teoretica della ragione Kant aggiungerà più avanti la Fondazione metafisica della scienza naturale come suo corrispondente reale, pur non riuscendo tuttavia a sviluppare un’autentica unità tra i principi delle due parti convertendo le sue riflessioni sulle scienze naturali in una filosofia della natura, e dunque senza riuscire ad armonizzare il generale con il particolare […]. Le sue osservazioni sulla natura organica, riportate nella Critica del giudizio, rimangono del tutto separate dalla scienza naturale in generale» (SW, I/6, pp. 7-8).
7 Sebbene Aristotele faccia regolarmente riferimento ai ‘segreti insegnamenti’ di Platone (Fisica, 209b15; De Anima, 404b. Martin, 1841, p. 352, cita anche Metafisica, 985b, 987b-8a, 1028b, 1080, 1090 come prove ulteriori di queste dottrine), la sua interpretazione di questi ‘segreti insegnamenti’ si concentra esclusivamente sulla loro applicazione all’ontologia del numero, tralasciando la questione della materia contenuta ‘nel grande e nel piccolo’. Martin riassume come segue: «Ora, seguendo la testimonianza di Aristotele, Plotino (II.4.v-vi) e Proclo (Commento al Timeo, p. 182), i segreti insegnamenti di Platone affermavano che le stesse idee erano composte di materia [ὕλη (hýle)], o in altre parole di una molteplicità indefinita, δίας ἀόristoς (dúas aóristos), che ha come suoi elementi il grande e il piccolo e come forma l’unità [τό ἥν (tó hén)]» (1841, p. 354). Sebbene Platone non abbia sviluppato l’uso dell’espressione ‘grande e piccolo’ nei suoi scritti, la sua connessione con la ‘diade indefinita’ (cfr. Filebo) evidenzia tuttavia come essa stia per quel puramente dimensionale ‘non-nulla’ che nel sistema di Platone occupava il posto che in Aristotele sarebbe poi stato preso dalla materia, ovvero dalla hýle concettualmente astratta. Di conseguenza, i termini della critica di Aristotele a Platone riducono la questione della partecipazione a una questione di causalità.
8 «L’aristotelica filosofia della natura come un tutto può essere detta fenomenologica nel senso che è come se per Aristotele la natura in generale fosse un αἰσθητόν [aisthetón], qualcosa di percepibile, ovvero nel senso che, per Aristotele, le esperienze appartenenti ad essa sono sensibili e non mediate strumentalmente» (Böhme e Schiemann, 1997, p. 14).
9 Kósmos noetós: ‘universo intelligibile’
10 Così come Aristotele definisce ‘essenza’ o ‘ciò che l’essere era’ (to ti en enai) come ciò in virtù del quale una specie appartiene a un genere: «Dunque non ci sarà l’essenza di nessuna delle forme specifiche che non siano immanenti a un genere» (Metafisica, 1030a12-13).
11 Riporto il passo di Platone così come è citato da Schelling.
12 Sallis descrive l’εἰκὸς λόγος (eikòs lógos) del Timeo come ‘discorso basato sulle immagini’ (1999, p. 107) come diretta conseguenza del tentativo del dialogo di ‘mostrare in parole’ ciò che in sé è ‘oscuro’ (Timeo, 49a3-4), dato il legame del ‘discorso umano con le immagini’ (Sallis, 1999, p. 55). Sallis afferma perciò che il ‘cosmo’ è un’immagine, e, echeggiando inconsciamente il Bergson di Materia e Memoria, che il ‘terzo genere’, o materia, è anch’esso un’immagine, così che l’eikòta lógos presenta nel Timeo un tipo di ‘immagine di immagini’ (Sallis, 1999, p. 107) per bilanciare l’εἰκὸς μύθος (eikòs mýthos) o ‘discorso sul discorso’ (56). A sostegno di questa tesi si veda Cratilo, 423a1 e segg., in cui il linguaggio è interpretato come invischiato nel flusso eracliteo, come imitazione plastica, corporea di ciò che deve essere espresso, e la VII Lettera (342e4-343a3; 343c1-7), dove si dice espressamente che il linguaggio è una somiglianza che offre all’anima ciò che si cerca in parole o forma concreta, e perciò non è un mezzo adeguato per raggiungere la verità. Il fatto comunque che ciò non tocchi in alcun modo le idee rimane un problema che non può essere eliminato attraverso il linguaggio per immagini proprio dei dialoghi.
13 Prendendo spunto dalla nozione di ‘pilota dell’universo’ (Politico, 272e3-4), Mohr (1985, p. 172) dà conto della spiegazione cibernetica dell’anima del mondo così come è espressa nel Politico (272d7-3e4): «Per Platone le condizioni omeostatiche del mondo non possono essere spiegate con teorie fisiche; piuttosto devono essere spiegate nonostante le teorie fisiche». Mohr riproduce così la distinzione forma/materia inserendo un problema della materia al di là della questione dell’emergenza dell’ordine, e perciò non riesce ad apprezzare l’ampiezza ontologica della dinamica di Platone.
14 Come scrive Böhme a proposito della teoria platonica del ‘disegno’ quando espone gli elementi geometrici della cosmologia di Platone: «potremmo difatti definirlo un processo organizzantesi da sé. Questa concezione potrebbe aiutare molto nella comprensione di Platone, ma di fatto la relazione è inversa: è Platone che ci aiuta a comprendere la teoria dell’auto-organizzazione» (2000, p. 306). Mentre l’inversione di Böhme è senz’altro benvenuta e condivisa, tuttavia se la filosofia della natura non si riduce a una ridondante ridescrizione della filosofia in termini scientifici, o della scienza in termini filosofici (cfr. SW, I/2, p. 6), allora anche la piena comprensione dei concetti scientifici deve essere considerata come una distrazione strumentale dall’ambito strettamente filosofico di una ‘grande fisica’ (o fisica universale).
15 Il geocentrismo permane per tutta l’opera di Schelling e torneremo a considerarlo (infra, capitolo 5). Come osserva anche Sandkühler: «la base reale della teoria delle Età del mondo è la moderna geologia» (Sandkühler, 1984, p. 21).
16 La platonizzazione di Buffon è esplicita: «In natura – scrive Buffon – c’è un prototipo generale entro ogni specie a partire dal quale ogni singolo individuo è modellato». Come scienziati della natura, tuttavia, non conosciamo detto prototipo ma solo le sue copie, che sono generate da una ‘impronta originaria’ del prototipo e ‘degenerano’ da individuo a individuo attraverso l’autoriproduzione della specie. Mediante la riproduzione, lo stampo interiore distribuisce il ‘modello del bello e del buono nell’intero universo’, anche se la proporzione del bello e del buono ‘degenera’ sempre fino a che non avviene la ricombinazione con membri provenienti da altri climi (Buffon [1753]; 1985, pp. 188-189).
17 Kant non chiede semplicemente come siano possibili gli esseri organizzati, ma piuttosto, data la loro esistenza effettiva, cosa ciò implichi per la storia naturale concepita secondo principi meccanici. È per questo che Kant insiste sul fatto che la materia può offrire più forme di quelle che può realizzare attraverso il meccanismo (KU, § 78). Per un’esposizione più dettagliata dell’impatto del problema della formazione sulla filosofia di Kant rimando al mio Kant after geophilosophy in Jones, Rehberg, 2000, pp. 37-60.
18 Poiché non posso concepire «un mondo ordinato moralmente in quanto assolutamente oggettivo», ma ho bisogno di qualcosa di oggettivo su cui fondare la possibilità della libertà, afferma Schelling, rinvengo ciò «nell’elemento oggettivo del volere [ossia nell’]elemento inconscio. Qui stiamo certamente parlando non dell’azione dell’individuo, ma dell’agire dell’intera specie» (SW, I/3, p. 597). È per questo quindi che Schelling realizza le sue ricerche filosofiche ‘sull’essenza della libertà umana’ (infra, capitolo 5).