1 In particolare non concordo con la posizione di Krings secondo cui «la natura come soggetto […] non designa una natura in quanto emergente ed esistente di per sé, ma piuttosto una condizione di possibilità della natura» (Krings, in Heckmann, Krings e Meyer, 1985, p. 112; c.m.). Qui in effetti Krings kantianizza Schelling in quanto la funzione dell’argomento trascendentale per Kant è quella di arrivare a condizioni necessarie, mentre io presento il metodo di Schelling come una procedura costante, ma ‘paziente’ – come dice Châtelet (1993, p. 139) – e assolutamente non condizionante. Come si legge nel Primo abbozzo, in cui la ‘natura come soggetto’ appare per la prima volta, essa, proprio in quanto soggetto, «ha realtà incondizionata» (SW, I/3, p. 17).
2 Prima dell’ampia panoramica della Naturphilosophie data da Beiser nel suo German Idealism (2002), Schelling’s Idealism and the philosophy of nature (1977) di Esposito era l’unica indagine filosofica recente in lingua inglese dedicata all’argomento, anche se occorre dire che vi era stata una certa attenzione ai temi della Naturphilosophie da parte degli storici della scienza, i quali però, come osserva criticamente lo stesso Beiser (2002, p. 508), presentavano generalmente un resoconto positivistico privo di riflessione teorica. Un esempio di questo genere di trattamento riservato alla filosofia della natura sono i lavori di Cunningham e Jardine (1990), mentre un eccellente modello contrario a questa tendenza è senz’altro rappresentato dagli studi di Clark e Jacyna (1978). In francese, Judith Schlager (1966), Roger Ayrault (1976) e Gilles Châtelet (1993) hanno offerto affascinanti ragguagli circa la filosofia della natura di Schelling e di altri autori, mentre in tedesco l’edizione storico-critica (1976 e sgg.) delle opere di Schelling ha promosso recentemente proprio in questa direzione una copiosa serie di analisi e commenti. In particolare, della suddetta edizione, non va dimenticato il volume di supplemento scientifico alle opere di filosofia della natura di Schelling (1797-1800; voll. 5-9), pubblicato nel 1994, oltre ovviamente a lavori come quelli di Heuser-Kessler (1996), Bach (2001), Heckmann, Krings e Meyer (1985), Hasler (1981) e Zimmerli, Stein e Gerten (1997).
3 Si veda E. Ehrhardt, Nur ein Schelling in «Studi urbinati di storia, filosofia e letteratura», n. 51, 1997, pp. 111-122 e Die Naturphilosophie und die Philosophie der Offenbarung, in H.J. Sandkühler (a cura di), Natur und geschichtlicher Prozess. Studien zur Naturphilosophie F.W.J. Schellings, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1984, pp. 337-359; si vedano inoltre Heidegger (GA 29/30) e Jaspers (1955), i quali affermano entrambi la rilevanza della filosofia di Schelling. Heidegger presenta Schelling come il filosofo «che combatté più appassionatamente che mai proprio nel suo primissimo periodo per il proprio e unico punto di vista», rinunciando a tutto sempre e ancora per la necessaria definizione di «un nuovo fondamento», per citare l’affermazione di Schelling circa la necessità che si accompagna per lui indissolubilmente al pensiero filosofico (Sulla natura della filosofia come scienza, SW I/9, pp. 218 e segg.). Al contrario, Jaspers ritiene che la rilevanza del pensiero di Schelling non stia tanto in questo, quanto piuttosto nel fatto che, sin dall’inizio, «la filosofia di Schelling si trova in un’antinomia mai superata» (1955, p. 110), che, sempre citando Schelling (SW I/9, p. 214), è da addebitarsi all’essenziale asistasia dei sistemi filosofici. Fra la recente letteratura su Schelling, Baumgartner e Korten (1996) argomentano contro la ‘filosofia in divenire’ (1970) sostenendo sin dall’inizio una sostanziale unità del progetto schellinghiano, mentre Sandkühler (1998) sostiene la tesi di una filosofia come work in progress. Seguendo Frank (1975), Bowie (1993) raccomanda prudentemente di seguire l’unità del percorso di Schelling, mentre Snow (1996) complica la tesi dell’unità sostenendo con Jaspers che, sebbene si sia sempre prodigato nel tentativo di realizzare un unico sistema, Schelling non sia in fondo mai riuscito nel suo intento (p. 3).
4 La stessa posizione è espressa quasi letteralmente nel secondo libro della Introduzione filosofica alla filosofia della mitologia (SW, II/1, p. 372): mentre «non c’è una teoria o scienza specifica che possa essere una scienza universale […], alcuni chiamano quella scienza Naturphilosophie, anche se si è sovente ripetuto che essa è soltanto una parte di essa». Questa stessa opinione si trova nell’Aggiunta del 1803 alla Introduzione alle Idee per una filosofia della natura: «La totalità da cui sorge la filosofia della natura è l’idealismo assoluto. La filosofia della natura non precede l’idealismo assoluto, e non gli è in alcun modo opposta ove esso sia un idealismo assoluto, ma soltanto nel caso in cui sia un idealismo relativo, anche seguendo il quale essa comprende dell’atto assoluto di conoscenza soltanto una parte che senza l’altra è impensabile» (SW, I/2, p. 69). Da queste citazioni risulta evidente l’importanza della filosofia della natura per l’intera filosofia di Schelling.
5 Il Nachlass di Berlino contiene versioni e frammenti delle Età del mondo risalenti al periodo che va dal 1810 al 1821, curate da Klaus Grotsch nel volume uscito presso l’editore Frommann-Holzboog nel 2002. L’edizione pubblicata in SW è la versione del 1815. L’edizione curata da Manfred Frank per le Ausgewahlte Schriften riporta la versione del 1811 il cui manoscritto è stato curato da Manfred Schröter nel 1946 (München, Biederstein).
6 Schelling si riferisce coerentemente e ripetutamente alla filosofia critica di Kant come costituente la «critica della conoscenza naturale» (SW, II/1, p. 526). Questo naturalismo non è estraneo alla filosofia della natura dell’idealismo tedesco. Nel 1828, per esempio, l’opera Naturlehre des menschlichen Erkenntnis, oder Metaphysik, del professore di medicina e filosofia Ignaz Paul Vital Troxler, equipara la metafisica e la storia naturale.
7 «Vi deve perciò essere un fondamento dell’unità del sovrasensibile, che sta alla base della natura, e del sovrasensibile, che il concetto di libertà contiene sul piano pratico, anche se il concetto di questo fondamento non è capace di raggiungerne la conoscenza né sul piano teoretico né sul piano pratico […]». Si veda anche Ak., V, p. 195, n. 6; Ak., V, p. 225; Ak., V, pp. 345-346; Ak., V, p. 409; Ak., V, p. 414; Ak., V, p. 422; Ak., V, p. 429; Ak., V, p. 449n.
8 Discutendo il divenire della natura, Schelling osserva in modo particolarmente chiaro nella Einleitung in die Philosophie del 1830: «io assumo che la mia terminologia è già nota, così che con il termine ‘materializzazione’ si intenderà non il ‘divenire corporeo’, ma piuttosto il ‘divenire soggetto = hypokeímenon’» (Schelling, 1989, p. 128). La distinzione fra la materia che diviene corpo e la materia che diviene soggetto è centrale in generale per la comprensione della sua filosofia della natura e, in particolare, per la comprensione della natura come soggetto.
9 La designazione di «scienze naturali», scrive Kant, «appartiene in senso stretto alla sola dottrina del corpo» (KU, § 91).
10 Il titolo per esteso recita: 10000 a.C.. Geologia della morale (Per chi si prende la Terra?). La domanda tra parentesi indica chiaramente una riproposizione dell’indagine sulla natura come soggetto, ovvero sulla Vita della Terra, per usare l’espressione del titolo del testo del 1828 del filosofo della natura Wagener, affermando la fonte geologica dell’attività, che altro non è che la soluzione schellinghiana all’antinomia kantiana di natura e libertà. Data la propensione di Deleuze a citare von Uexküll, è probabile che la fonte per questa idea di Subjektnatur sia appunto il testo Streifzüge durch die Umwelten von Tieren und Menschen – Ein Bilderbuch unsichtbarer Welten (Berlin, Springer, 1934) di von Uexküll, che, come osserva Merleau-Ponty, prende tale concetto direttamente da Schelling. Di conseguenza, ciò costituisce una componente costante delle ricerche di Deleuze intorno all’etologia.
11 Nel suo Deleuze: La clameur dell’Être, Badiou scrive: «non è il platonismo a dover essere rovesciato, bensì l’anti-platonismo presente per tutto il [xx] secolo», prima di prendersi la rivincita su Kant: «ogni filosofia che non si sottomette alle restrizioni critiche di Kant può essere qualificata come classica. Tale filosofia considera […] le accuse rivolte da Kant alla metafisica come nulle e prive di significato». La ‘prospettiva deleuziana’ non è una generica critica alla filosofia in generale; in ogni caso, limitatamente alla sua Filosofia critica di Kant, Deleuze individua Kant come il suo ‘grande nemico’. Né, tale prospettiva può essere limitata al solo Deleuze. Nel presente contesto l’aggettivo ‘deleuziano’ implica una base nietzschiana sulla quale si fonda la gran parte del ‘rovesciamento del platonismo’ del Novecento.
12 Né di fatto questa lettura frammentaria del Timeo risulta decisiva nella formulazione ‘anti-fisica’ offerta da Badiou. Come ha dimostrato il filosofo della natura Lorenz Oken, «il mondo è la realtà delle idee matematiche».
13 Per tutta la discussione intorno al giudizio riflettente, Kant osserva chiaramente che anche se tale giudizio è valido solo soggettivamente, il fondamento di questa soggettività è esso stesso naturale: «Se dobbiamo giudicare (secondo le condizioni e i limiti della nostra ragione), noi non possiamo porre a fondamento della possibilità di quei fini naturali nient’altro che un essere intelligente; solo questo è conforme alla massima del nostro giudizio riflettente, quindi a un principio soggettivo, ma indissolubilmente legato alla specie umana» (KU, § 75). Schelling è uno dei pochi ad aver notato coerentemente questo naturalismo presente in Kant, e ripetutamente descrive il proposito della filosofia critica in generale come ‘la critica di Kant al sapere naturale’ (SW, II/1, p. 526), o le forme dell’intuizione come fondate ‘nella natura della nostra facoltà cognitiva’ (SW, I/10, p. 81). In Grant (2000b) si osserva come l’affermazione schellinghiana, secondo la quale la filosofia della natura discende ‘naturalmente e concettualmente’ dai risultati della Critica di Kant (Schelling, 1989, p. 37), induce a ripercorrere il filo del naturalismo kantiano che va dalla Storia naturale dell’universo sino all’Opus postumum.
14 L’altro saggio incompiuto di Steffens è la Rezension der neuren naturphilosophischen Schriften des Herausgebers. Qui l’autore descrive questi scritti come indirizzati alla ricerca della ‘legge naturale originaria’ (Schelling, 2001, p. 9), che egli persegue in varie forme: nel tempo, come nient’altro che il ‘tipo originario di ogni sviluppo continuo’ (Schelling 2001, p. 11); nella vita, come nient’altro che la ‘ricapitolazione della costruzione della natura in quanto tale’ (Schelling, 2001, p. 27); e nella coscienza, che altro non è che l’autocognizione e nel sapere, l’autoriproduzione della natura’ (Schelling, 2001, p. 173).
15 Georges Cuvier studiò sotto la guida di Kielmeyer alla Karlshochschule di Stoccarda. Il suo dibattito con Saint-Hilare è riportato in Appel (1987), ed è cruciale per Millepiani di Deleuze e Guattari e per La piega di Deleuze. A proposito di Owen, Cuvier e Saint-Hilare, si veda Rehbock, 1983, pp. 75-77, e Sloan 1992, pp. 39-43. Su Oken, Meckel, von Baer e riguardo alla legge di Meckel-Serres sulla ricapitolazione si veda Gould, 1977, pp. 35-63.
16 Si veda anche la risposta di Kielmeyer in una lettera a Windischmann del 25 novembre 1804, a proposito delle ricerche di quest’ultimo concernenti l’universalità della ricapitolazione (Kielmeyer, 1938, pp. 203-210), e le stesse posizioni di Windischmann a proposito dell’universalità della fisica («Neue Zeitschrift für speculative Physik», 1.I, pp. 78-160), che precede questo scambio. L’orientamento di Windishmann in quest’ultimo lavoro è schellinghiano nello stile, ma fichtiano nel contenuto.
17 Si vedano le riflessioni di Bowler (1984, pp. 322-326) e Depew e Weber (1996, pp. 377-384) sul neodarwinismo e sui teorici dell’‘equilibrio punteggiato’.
18 L’ipotesi popperiana dei tre mondi (espressa in Objective Erkenntnis) presenta il ‘terzo mondo’ come contenente ‘sistemi, situazioni problematiche o problemi filosofici’, il cui valore è dimostrato quando questi sono inseriti in una teoria scientifica.
19 Beiser (2002) fornisce l’esempio più recente di questo orientamento, mentre von Engelhardt e Bonsepien (in Hasler, 1981, pp. 77, 169) presentano la filosofia della natura come ‘estensione del progetto fichtiano’.
20 L’ultima lettera di Fichte a Schelling fu scritta il 15 gennaio 1802, mentre la Differenzschrift di Hegel uscì nel settembre del 1801.
21 «Ogni esteriorità è non-organica. […] La terra è una totalità, come un sistema della vita, ma, in quanto cristallo, è come uno scheletro che può esser considerato morto perché le sue membra sembrano ancora sussistere formalmente da sé, mentre il suo processo cade al di fuori di esso» (Enciclopedia, § 338, aggiunta). Spiega Hegel, citando il principio vitalista di cui sopra: «l’organismo si fa suo proprio presupposto. L’idea della natura, ricordandosi di se stessa in sé, e facendosi vitalità soggettiva e più ancora spirituale, è il giudizio (la partizione) in sé, e in quella immediatezza priva di processo» (Enciclopedia, § 338). Il giudizio, come in Kant, continua a dividere la natura (o la sua idea) per la ‘vitalità soggettiva’: «La vitalità, come vitalità naturale, si dirompe, è vero, nella molteplicità dei viventi […]; che però sono in sé stessi organismi soggettivi, e solamente nell’idea sono una sola vita, un unico sistema organico di vita» (Enciclopedia, § 337).
22 «La nostra facoltà di conoscere risiede così in profondità nella natura del nostro spirito che noi la trasferiamo, involontariamente, per un accordo quasi universale, alla natura stessa (quell’essere ideale nel quale pensiamo come identici l’idea e la produzione, il concetto e l’atto)» (SW, I/2, p. 269).
23 «Certamente ci sono filosofi che hanno un’unica universale risposta […], che essi ripetono ogni volta che ne hanno l’opportunità […]. Ciò che è forma nelle cose, essi dicono, siamo noi ad applicarlo a esse» (SW, I/2, p. 43). Il passaggio che ho parafrasato sopra deriva dalla caratterizzazione schellinghiana di ciò che secondo Krings costituisce il ‘Platone kantianizzato’ del commento al Timeo. Scrive Schelling: «la chiave per spiegare l’intera filosofia di Platone è l’osservazione secondo cui egli applica sempre il soggettivo all’oggettivo» (Schelling, 1994, p. 31). Nel saggio pubblicato nell’edizione del Timeo, Genesis und Materie – zur Bedeutung der Timaeus-Handschrift für Schellings Naturphilosophie, Krings sostiene perciò che Schelling rimanga qui sostanzialmente aderente al criticismo kantiano dal momento che considera la natura un prodotto dell’autonomia della ragione, così che la natura deve anzi divenire legislatrice di se stessa, come avviene poi nel Primo Abbozzo (SW, I/3, p. 17). Inoltre, nel saggio Sul vero concetto di filosofia della natura (1801), Schelling argomenta in generale contro l’opinione comune e, in particolare, contro il saggio di Eschenmayer Spontaneität = Weltseele, che vede in quest’ultima la legislatrice dello spirito umano e della natura, mentre «nella filosofia della natura è la natura a essere legislatrice di se stessa» (SW, I/4, p. 96). La gravità, pertanto, connessa al rifiuto schellinghiano della tesi dell’applicazione del soggettivo all’oggettivo, espresso nelle Idee del 1797, equivale a poco più che un volontarismo epistemologico o antifisico di derivazione kantiano-fichtiana (si veda il capitolo 3). Manfred Baum (in Sedgwick, 2000, pp. 199-215) e Werner Beierwaltes (in Reydams-Schils, 2003, pp. 267-289) offrono interessanti argomenti contro la visione suggerita da Krings rispetto alla rilevanza del commento al Timeo per la successiva Naturphilosophie di Schelling.
24 L’espressione è suggestiva in quanto apre la questione su come una mente possa essere ‘transfinita’: in altre parole, se si assume che la mente in questione è indifferente al mondo organico particolare, o almeno è universalizzabile per una specifica classe di esso, allora abbiamo semplicemente a che fare con un trascendentalismo; ma perché allora Vater considera necessario coniare un altro termine? Se invece si assume che tale concetto implica che la finitezza rispetto a cui la mente è transfinita è precisamente quella della natura organica, allora ‘pensare la natura’ cessa di essere un compito trascendentale e diviene un’attività autonoma da parte della natura stessa in tutte le sue forme.
25 «Fichte aveva compreso l’Io solo come sostanza dell’essere umano, così che tutto il resto, cioè il mondo sensibile o esterno, poteva essere soltanto attraverso la rappresentazione di quell’Io. Ma qui sarebbe apparso chiaro a chiunque che la soggetto-oggettività non può trovarsi solamente nella coscienza umana. Infatti, anche ammesso che l’uomo soltanto, tra le cose dell’intera natura, possa dire a se stesso ‘Io sono’, non ne segue affatto che io soltanto sia, cioè che io, l’uomo, sia l’unico essente» (Schelling, 1989, p. 41)
26 Sulla questione esiste un notevole dibattito. Förster (2000) sostiene uno sviluppo continuo piuttosto che un’interruzione tra I primi principi metafisici della scienza della natura, la Critica del giudizio e l’Opus postumum, a questa posizione fa eco quella di Edwards (2000). Si vedano anche i saggi raccolti in Blasche (1991), tra i quali quello di Tuschling che sostiene un sostanziale rifiuto da parte di Kant del suo stesso criticismo per un progressivo avvicinamento a posizioni affini a quelle di Schelling. Si veda anche Grant (2000b), in cui sostengo che le considerazioni di Kant intorno al ritrovamento del fossile umano inducono a pensare a un ‘tempo sublime’, laddove l’idea che il sublime precede la mente è un riconoscimento della contingenza delle specie, e del bisogno, perciò, che la filosofia pratica si assuma la responsabilità di conservare la mente malgrado la cancellazione degli enti razionali finiti umani. Sebbene nel testo di Kant ciò rimanga non sviluppato, questa forma di sublime, in congiunzione con il sublime dello spazio nella Critica del Giudizio, renderebbe simmetriche le due parti della terza Critica.
27 C. Girtanner, Über das Kantische Prinzip für die Naturgeschichte, Göttingen, Vandenhoek & Ruprecht, 1796.
28 Osservo che questa è una traiettoria possibile e non necessaria. Mentre, per esempio, l’esistenzialismo e l’ermeneutica fenomenologica dell’essere seguono tale percorso, così non avviene per Bergson e Deleuze.