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Conclusioni

p. 105-109


Texte intégral

1Giunti al termine di questo viaggio tra regimi alimentari e stili di vita, costruzioni delle maschilità e analisi delle asimmetrie che, attraversando il cibo e la cucina, ci raccontano da punti di vista più o meno inediti i rapporti di genere, in queste pagine conclusive vorrei soffermarmi brevemente sui principali risultati della ricerca condotta. Dopo aver discusso le lacune e i limiti che possono essere rintracciati nella postura d’indagine, insisterò, poi, sul contributo che il presente studio apporta alla letteratura già esistente.

2La riflessione sul legame tra identificazioni maschili e scelte alimentari ha ispirato la ricerca sin dall’inizio. La volontà di analizzare tale corrispondenza ha certamente orientato le pratiche di campo, le interviste e anche le conversazioni informali realizzate prima e dopo i colloqui registrati con gli uomini incontrati. La mia esperienza nel condurre ricerche attraverso interviste sui maschi e le maschilità in Italia e in Francia, nonché la mia conoscenza dei contesti culturali e culinari in cui ho realizzato il presente studio hanno poi, senza dubbio, facilitato il mio lavoro di creazione di un dialogo esplicito tra alimentazione e genere. Tutto ciò ha certamente favorito l’elaborazione di un nesso tra questi due temi anche per alcuni intervistati, durante le fasi di raccolta dei dati. Le mie domande di intervista hanno talvolta incoraggiato esplicitamente tale corrispondenza portando alcuni uomini incontrati a riflettere sui suoi significati per la prima volta. Ciò non vuol dire che il tema di studio sia stato “imposto” – uno studio sociologico empirico è forse tale solo nel momento in cui pone agli individui domande su temi per loro evidenti?1 Ma è pur vero che se per molti intervistati il nesso tra costruzione della maschilità e scelte alimentari era già un argomento sul quale si erano interrogati o soffermati, per altri solo le mie domande di intervista hanno reso manifesta la possibile corrispondenza di temi. In altri casi ancora, seppur l’intervistato abbia ampiamente argomentato su cibo e genere, al termine del colloquio rimaneva forte in me la sensazione che il tema su cui incentravo le mie domande e il senso che aveva per me sfuggisse in qualche modo al mio interlocutore. Allo stesso modo, il fatto che fosse un uomo a porre domande ad altri uomini ha facilitato la costruzione di logiche omosociali di confronto e competizione tra maschilità che hanno avuto un’influenza sui dati raccolti. L’esaltazione talvolta forzata di taluni tratti egemonici della maschilità tra i miei interlocutori può senz’altro essere ricondotto alla volontà di affermare una posizione dominante nei rapporti di genere attraverso il confronto tra maschi, e in quel caso anche tra intervistato e ricercatore. Tanto più che, nello specifico, il fatto di porre domande sugli stili alimentari adottati a uomini più grandi di me (talvolta più anziani anche di 30 anni) ha contribuito ad articolare i rapporti di genere con i rapporti d’età. Le interviste si sono spesso e volentieri tramutate in spazio discorsivo per “spiegarmi” in che modo ci si dovesse comportare a tavola (o con le donne, o in cucina, o con gli amici, o con i figli...), assegnandomi il ruolo di giovane allievo che impara da una maschilità più adulta e dotata di più esperienza.

3I risultati di ricerca permettono in ogni caso di confermare quello che una parte della recente letteratura sociologica su maschi e alimentazione ha messo in evidenza, e cioè che il cibo e la cura del sé sono senza dubbio aree di negoziazione e produzione dei modelli di genere maschili2. Il presente studio si innesta in questa letteratura prendendo in esame due contesti, quello francese e italiano, sinora ben poco trattati dalla ricerca internazionale; e poi offrendo uno sguardo su maschi con profili sociali fortemente differenziati. Certo, come ho già avuto modo di precisare in introduzione il limitato campione di ricerca, la metodologia qualitativa adottata, e l’interesse spiccato per le pratiche alimentari dei singoli, analizzate soprattutto dal punto di vista del solo intervistato, rappresentano un insieme di fattori che non permettono particolari generalizzazioni. Tuttavia è possibile mettere in risalto almeno tre grandi linee interpretative che possono aiutarci nell’isolare altrettanti apporti forniti dal presente lavoro.

4In primo luogo lo studio mostra che gli uomini non solo sono propensi ad aderire a pratiche alimentari che loro stessi o i loro pari (uomini e donne) possono considerare come “femminili” o che rinviano all’universo femminile, ma ne ripensano altresì i tratti e le configurazioni in una specifica chiave maschile e in maniera variabile in base ai contesti di interazione e agli interlocutori e interlocutrici. I risultati della ricerca ci invitano a rimettere in discussione le dinamiche d’identificazione di genere tramite le pratiche alimentari in quanto percorso binario che conduce irrimediabilmente al confronto tra consumatore “maschile” e “femminile”. La dialettica che si innesca è tutt’altro che di cieca dicotomia. L’attenzione del presente studio si è infatti spostata col tempo, e con l’avanzare delle tappe dell’indagine, da una prospettiva d’opposizione necessaria tra cibi e stili alimentari maschili e femminili – sostenuta da gran parte della letteratura scientifica che ha esplorato il nesso tra cibo e maschilità – all’analisi delle molteplici forme tramite cui le scelte alimentari diventano sì lo spazio per costruire la maschilità attraverso il confronto con la o le femminilità, ma anche e soprattutto per poter entrare in dialogo con altre maschilità. In questo senso i casi empirici analizzati mostrano che fare del cibo uno strumento, tra gli altri, per dirsi uomini non significa solo scegliere tra cibi “più maschili” oppure “più femminili”, ma soprattutto negoziare i significati di una scelta alimentare per tradurla in pratica tramite la quale incorporare una maschilità egemonica. Si pensi ad esempio alle tecniche di sorveglianza della salute tramite l’alimentazione o la non alimentazione analizzate nel libro. I racconti degli interlocutori hanno permesso di studiare costruzioni inedite di modelli egemonici maschili che invece di seguire percorsi stereotipati (ad esempio valorizzare la virilità tramite l’esaltazione dei pasti abbondanti, l’attitudine vorace o il consumo di carne, lo sprezzo del pericolo) esaltano le abilità dell’uomo nel prendersi cura della propria salute, nel monitorarla quotidianamente, nell’essere cosciente delle proprie vulnerabilità, nell’avere il pieno controllo del proprio corpo e finanche nel sapere gestire la privazione dei bisogni fisiologici di base, e ciò con lo scopo di mostrare altrimenti gli attributi egemonici della forza e della resistenza. Anche queste possono essere riconosciute come forme d’ibridazione del maschile, che si innescano proprio nel momento in cui gli uomini si confrontano col rischio di femminilizzazione derivante dal significato attribuito (da loro stessi o da altri) alle loro condotte e pratiche alimentari intraprese. E ancora, abbiamo notato come gli uomini che percepiscono e leggono i loro comportamenti alimentari come potenzialmente devianti rispetto alle rappresentazioni sociali dominanti, accompagnino poi i loro consumi con strategie di giustificazione mirate proprio a riabilitare le scelte fatte. Uno stile vegetariano o vegano, per esempio, è suscettibile di allontanare gli intervistati dalla riproduzione di modelli di genere egemonici. Gli uomini incontrati mettono allora in atto specifiche retoriche di compensazione, discorsive e pratiche3, per riavvicinarsi – in altro modo – ai modelli di maschilità a cui ambiscono: esaltando la loro prestanza fisica malgrado l’età che avanza, vantando doti particolari di seduttori e le loro performance sessuali, valorizzando la loro attitudine aggressiva e combattiva in ambito professionale...)

5In secondo luogo, la presente ricerca invita a leggere l’alimentazione in quanto oggetto di studio che permette di far dialogare i processi di identificazione maschile con un’analisi dei profili sociali degli uomini incontrati. Scelte con gradi di consapevolezza diversi in base agli intervistati, e sostenute da giustificazioni più o meno fondate, più o meno argomentate, le diete e le pratiche di sorveglianza passate in rassegna possono essere definite piuttosto “democratiche”: in ogni caso non si configurano come privilegio esclusivo degli intervistati più in alto nella gerarchia sociale, e che godono di risorse economiche particolari. Tuttavia, l’uso che viene fatto delle strategie di sorveglianza del corpo e della sua salute, o dei regimi adottati, così come il modo in cui tali scelte e strategie vengono raccontate e messe in atto, assumono connotazioni molto diverse in funzione dell’estrazione sociale degli intervistati. In questo senso si è osservato che l’alimentazione o la cura del corpo sono veri e propri campi utilizzati per distinguersi socialmente – da altri uomini o da altri gruppi sociali – specie tra le persone appartenenti a categorie socio-professionali privilegiate e dotate di maggiori capitali culturali. Come Giorgio, dentista, che fa rientrare la sua scelta vegetariana e la cura del suo corpo in uno stile di vita più ampio che gli permette di rimarcare il divario tra la sua estrazione di classe, il suo percorso e le sue origini, e il mondo rurale e provinciale in cui le sue vicende private l’hanno condotto ad abitare. Oppure Daniele, dirigente scolastico, che lascia trasparire la sua capacità di accedere al “vero” senso dell’alimentazione attraverso la scelta oculata dei prodotti consumati, che gli altri possono solo imitare senza tuttavia accedere, come lui, ai significati spirituali che tali consumi implicano4. La velleità di ricondurre le scelte alimentari adottate a una strategia volontaria di distinzione sociale non si riscontra invece tra gli intervistati appartenenti a categorie socio-professionali più modeste. Inoltre, sono proprio gli intervistati che si situano più in alto nella gerarchia sociale e che rivendicano un consumo “più consapevole” del cibo ad affermare più frequentemente di cucinare in maniera abituale a casa e che si dicono propensi a ripensare in modo più equo la ripartizione dei compiti domestici con le loro partner.

6Infine, ma non ultimo, i racconti d’intervista evidenziano che le pratiche alimentari e gli stili di vita adottati sviluppano un rapporto specifico con l’età e in particolar modo con le percezioni dell’età. Talvolta l’attenzione per il cibo emerge prima dei 40 anni, talaltra si verifica solo al tramonto dei 60: gli intervistati offrono un panorama diversificato di motivi che ispirano la cura del sé tramite l’alimentazione. Ma è proprio in questa fase di età di mezzo, tra i 40 e i 60 anni, che il rapporto degli uomini con il loro corpo diventa tema centrale per gli interlocutori. Il cibo si fa arena privilegiata per rielaborare i significati del tempo che passa, intersecandosi con gli episodi biografici vissuti da ciascuno: l’emergenza di una preoccupazione accresciuta di fronte al rischio di malattie, la diagnosi di una patologia; o ancora l’inizio di una nuova vita di coppia o la nascita di figli; oppure una separazione o una svolta professionale. Nel solco di queste esperienze gli intervistati riconoscono l’opportunità di ridisegnare la loro traiettoria attraverso l’intervento (tra le altre sfere di vita) sulle pratiche alimentari e sviluppando una riflessività accresciuta sul sé e sulle scelte fatte, non solo in materia di alimentazione. Tra le maglie dei racconti analizzati le costruzioni maschili si rivelano per la loro precarietà, per il loro continuo costruirsi e ricostruirsi. Lo stile alimentare finisce per diventare un terreno sul quale gli uomini problematizzano le loro maschilità in una prospettiva di invecchiamento che sembra riconoscere nel superamento dei 40 anni una transizione d’età decisiva, capace di aprire le porte verso le sfide di un “tempo della debolezza” caratterizzato dalla possibile perdita della vitalità. È qui, in questo nuovo tempo di vita, che emerge la necessità di dotarsi di altri strumenti per la cura del sé e del proprio corpo, e far fronte così alle sfide che il futuro prossimo annuncia all’orizzonte.

Notes de bas de page

1 Cfr. P. Bourdieu, L’opinione pubblica non esiste [1972], «Problemi dell’informazione», 1, 1976, pp. 71-88.

2 J. Greenebaum, B. Dexter, Vegan Men and Hybrid Masculinity cit.

3 J. Sobal, Men’s foodwork in food systems: social representations of masculinities and cooking at home, in M. Szabo, S. L. Koch (a cura di), Food, Masculinities and Home cit., pp. 125-143.

4 Entrambi i casi sono discussi nel terzo capitolo.

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