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4. Metti, una sera a cena...

Invito alla tavola degli stereotipi con Tristan Fournier1

p. 86-103


Texte intégral

1Il percorso intrapreso fino a qui ha messo in mostra alcune evoluzioni empiriche contemporanee del rapporto tra maschilità e cibo. Il presente capitolo riprende alcuni spunti d’analisi proposti sinora sulla relazione tra identificazioni di genere e pratiche alimentari per ancorarli in maniera se possibile ancora più plastica ad alcuni episodi della vita quotidiana capaci di raccontare, in un modo o nell’altro, i nostri vissuti. Tutte e tutti, infatti, ci siamo forse già trovati a discutere del nostro rapporto col cibo o del rapporto che gli altri hanno col cibo proprio a tavola, tra amici e amiche, con i familiari, con conoscenti, colleghi e colleghe, e magari anche con estranei... E chissà quante volte abbiamo in un modo o nell’altro già sfiorato – non necessariamente in maniera intenzionale – i temi trattati in questo libro. Talvolta li abbiamo discussi in maniera esplicita e volontaria; talaltra li abbiamo evitati accuratamente.

2In questo senso, redigendo le pagine che seguono, abbiamo voluto immaginarci una situazione piuttosto comune come quella di una cena tra un uomo e una donna e ci siamo chiesti cosa potrebbe emergere da un dialogo tra i due commensali sui temi che fondano il presente volume e la ricerca che lo ispira2. Abbiamo quindi voluto costruire una conversazione artificiale, una sorta di sceneggiatura, volontariamente impregnata di stereotipi di genere e non solo (la scelta di parlare dell’incontro a cena tra un uomo e una donna, legato allo scenario eterosessuale, non è casuale) in modo da elaborare un’argomentazione basata proprio sulla discussione e la decostruzione di tali stereotipi attraverso il riferimento a quello che la letteratura scientifica su cibo e genere ha messo in evidenza negli anni.

3Non si tratta di un esercizio inedito. Al contrario. Le scienze sociali hanno già proposto questo tipo di formato per sollecitare la riflessività di chi legge e facilitare l’impersonificazione con i soggetti protagonisti del dialogo oppure con una configurazione sociale di facile immaginazione3. Certo, l’obiettivo non è quello di convincere chi legge di uno o più punti di vista esposti proprio all’interno del dialogo. Anzi, lo scopo è l’esatto contrario: arrivare finanche a provocare reazioni di fastidio e disaccordo in chi legge che permettono però di riconoscere l’interesse di una riflessione attorno a un tema che “pone problema”. Ecco che il dialogo può assumere connotati non solo analitici e riflessivi ma anche, e soprattutto, pedagogici.

4Nel caso della conversazione che ci apprestiamo a presentare siamo di fronte a una coppia eterosessuale composta da individui appartenenti a una classe sociale media-superiore, di origini europee e ben posizionata in termini di categorie professionali. Insomma, una coppia i cui membri non sembrerebbero poter essere ricondotti a gruppi sociali discriminati o che occupano una posizione sociale svantaggiosa. Durante il dialogo ci muoveremo attorno a tre temi specifici. La conversazione della coppia sarà intervallata da riflessioni scientifiche che cercheranno di ripartire dalla discussione fittizia per interrogarsi su: 1) il ruolo che hanno i maschi oggi in cucina, in ambito domestico e professionale; 2) l’asimmetria dei ruoli di genere in fatto di alimentazione e scelte nutritive ricostruita attraverso una prospettiva socio-storica; 3) l’influenza che gli odierni processi di globalizzazione dell’alimentazione e delle pratiche alimentari possono avere sulla reinterpretazione del cibo e dei suoi riti dal punto di vista del genere.

5La scena si svolge nel centro di Milano, in un ristorante in cui un uomo di 47 anni, architetto, e una donna, 43, stilista, si ritrovano per la prima volta a cena dopo essersi conosciuti da qualche settimana tramite un’applicazione di incontri. Il ristorante propone una cucina di prodotti esclusivamente a chilometro zero. L’ordine è già stato preso e la coppia comincia a parlottare scambiandosi opinioni sui cibi preferiti per approfondire la conoscenza, aspettando di essere serviti.

* * *

[Il cameriere arriva con i due patti]: Immagino la lasagna vegetariana sia per la signora e il risotto alla monzese per il signore...

Lui: Ehm, no, è il contrario...

Lei [quando il cameriere si è già allontanato dal tavolo]: Sei vegetariano?

Lui: No, è solo che non mi sembra una buona idea mangiare sempre carne. Non è obbligatorio, una volta alla settimana basta e avanza. Le proprietà della carne puoi trovarle in molti legumi. Anche i media ne parlano, non fa bene alla salute mangiarne troppa.

Lei: Certo, certo, capisco. Insomma stai attento a quello che mangi...

Lui: Non è mica una colpa! Questo non vuol dire che mangio solo verdure cotte! Lo vedi anche nei programmi di cucina alla TV, gli chef stanno sempre più attenti a coniugare piacere del cibo e attenzione alla salute, alla ricerca dei prodotti di qualità, sani...non abbiamo scelto questo ristorante per caso no?

Lei: Non credo che la porzione enorme di lasagne che hai preso faccia poi così bene [sorridendo]... Scommetto che lo chef del ristorante è un uomo...

Lui: Eh va be’ ma allora siamo proprio nel cliché estremo! Come se gli uomini si abbuffassero e basta... Anzi ora chiedo al cameriere.

[Una volta chiesto, arriva la conferma: lo chef è un uomo.]

Lei: Visto?

Lui: Dai, ma non vuol dire niente. Oggi gli uomini cucinano sempre di più, e non solo gli chef in TV: anche gli uomini qualunque, in casa, ogni giorno.

Lei: Bah, insomma, se è così non è il caso degli uomini che ho conosciuto sinora. Il mio ex marito mi ha già scritto due volte da oggi pomeriggio per chiedermi cosa preparare per cena a nostro figlio...

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6Ne abbiamo già parlato ampiamente: seppur la distinzione binaria tra piatti “da maschi” e “da femmine” sia per molti versi semplicistica e riduzionista ci siamo accorti di quanto tale griglia di lettura resti un riferimento normativo ancora oggi. Il dialogo tra l’uomo e la donna seduti a tavola al ristorante riafferma tale logica ma sembra porre anche una questione più vasta sui rapporti di genere e le asimmetrie e disuguaglianze che caratterizzano i rapporti tra i sessi: qual è davvero la posizione dell’uomo in cucina? Siamo davvero di fronte, oggi, a uno scenario di pratiche in cui gli uomini entrano (finalmente, verrebbe da dire) in cucina permettendo un rapporto più egualitario con le mansioni domestiche legate al care alimentare? Cucinare resta un compito percepito come femminile o no?

7Il legame tra il presunto nuovo ruolo occupato dagli uomini in cucina e il loro coinvolgimento nella condivisione dei compiti domestici merita di essere discusso in maniera più approfondita4. A livello europeo, e in diverse nazioni, vengono condotte in maniera regolare ricerche che stimano la ripartizione del tempo che uomini e donne consacrano alle mansioni domestiche. In Italia, le indagini riguardo i tempi della vita quotidiana realizzati da Istat e basati su vasti campioni di popolazione evidenziano che il coinvolgimento maschile nei compiti domestici riguardanti le preparazioni alimentari evolve in maniera tutt’altro che consistente negli ultimi trent’anni. In questo senso è importante ricordare che proprio le mansioni domestiche (cucinare e pulire la casa) sono attività cui viene dedicato molto tempo in genere nel nostro Pae-se rispetto ad altri Pae-si europei (solo la Serbia e la Romania ci precedono): si tratta altresì di attività per le quali i nuclei italiani fanno poco ricorso al mercato, preferendo soluzioni familiari interne5. Per quanto riguarda la preparazione del cibo e l’acquisto dei prodotti alimentari, il servizio a tavola, la pulizia della cucina (attività che nelle ricerche Istat rientrano nella categoria “lavoro familiare” e di cui fanno parte anche altre mansioni non legate al care alimentare come il giardinaggio o l’occuparsi della biancheria), gli uomini partecipano per il 32% in Italia, contro il 78 % delle donne: solo la Grecia presenta divari ancora più ampi tra uomini e donne6. Benché tali dati non si basino esclusivamente sul lavoro alimentare in famiglia, il quadro che ne emerge è piuttosto chiaro.

8Ciò detto, come leggiamo nel dialogo al ristorante, il fatto che gli chef stellati, ormai star televisive, siano sempre più presenti sui piccoli schermi e frequentino in maniera sempre più assidua i mezzi di comunicazione in genere può lasciar credere che nelle nostre società contemporanee si sia di fronte a una riorganizzazione dei compiti in cucina grazie alla quale si aprirebbe uno scenario di maggiore bilanciamento della divisione delle mansioni domestiche legate all’alimentazione. Soffermiamoci su questo punto. La figura dello chef imperversa al giorno d’oggi. In Italia abbiamo ormai l’abitudine di imbatterci in programmi televisivi in cui si alternano cuochi stellati e non, quasi esclusivamente maschi7. I vari Bruno Barbieri, Alessandro Borghese, Antonino Cannavacciuolo, Carlo Cracco – e ci fermiamo per evitare liste troppe lunghe – rappresentano una generazione di cuochi-celebrità sovraesposti mediaticamente. La loro presenza, inoltre, non si limita a quello che la loro professione implicherebbe prima di tutto, e cioè cucinare; ma – e, sia chiaro, legittimamente – li conduce a indossare i panni di opinionisti, giudici di talent show, testimonial pubblicitari e via dicendo, in contesti mediatici molto differenti tra loro. Il fenomeno di mediatizzazione che abbiamo davanti agli occhi è stato forse inaugurato dallo chef americano Gordon Ramsey ed ha saputo imporsi nel mondo divenendo particolarmente attrattivo presso il pubblico europeo8. Gli chef, dunque, sembrano costituire uno dei fronti più attuali d’espressione della maschilità egemonica, per la quale la cucina non è solo una professione ma anche – e forse soprattutto – uno strumento di accesso alla celebrità. Le configurazioni possibili per affermare questo profilo maschile sono numerose. In base alla persona e al contenitore mediatico in cui si situa se ne può esaltare la vena da easy reader (come accade per Alessandro Borghese), il carattere anticonformista (come accade per Gabriele Rubini, meglio noto come Chef Rubio), la passione per i viaggi o il turismo (come per Alessandro Panella o Bruno Barbieri)9. Anche la presenza fisica in cucina di questi chef ha connotati specifici. Mai costretti a seguire regole ferree riguardo ad esempio la loro tenuta professionale – indossare il grembiule da cuoco è un’opzione cui gli chef accedono in maniera discontinua, in base ai contesti e agli interlocutori –, fanno avanti e indietro tra i fornelli e la sala del ristorante trasformandosi in icone di stile che un po’ assaggiano i piatti altrui e un po’ cucinano, ma soprattutto danno consigli o impartiscono direttive alle nuove leve dei fuochi o a ristoratori in affanno che chiedono il loro aiuto. Insomma, benché in parte caricaturale, questa immagine del maschio in cucina si propone come piuttosto diversa dalla rappresentazione che comunemente si ha dei compiti domestici ordinari e quotidiani legati all’attività alimentare.

9La sociologia internazionale si è interessata ad analizzare tali asimmetrie nelle rappresentazioni, mediatiche e non, spiegando appunto come per creare una sua reputazione in un mondo ritenuto “più femminile”, la maschilità abbia forse dovuto calcare un po’ su alcuni stereotipi e performare modelli alternativi10. Piano piano gli uomini hanno preso posto dietro i fornelli facendo i conti con un imperativo diffuso: d’accordo, i maschi possono fare il loro ingresso sul palcoscenico della cucina ma possono farlo a condizione di non rinunciare mai alla loro maschilità dominante11. Il racconto mediatico degli chef, così come l’asimmetria di genere che produce, ha poi bisogno del suo contrappeso. In numerose trasmissioni televisive, ad esempio, i modelli tradizionali della “donna in cucina” restano ben rappresentati e spesso enfatizzati. Basti pensare ai programmi in palinsesto attorno a mezzogiorno sulle reti nazionali italiane, in cui signore di diversa età si avvicendano ai fornelli in grembiule, in abiti da casalinga. In altre situazioni, il cliché è aggiornato e riprodotto sotto nuove vesti: donne in carriera sui tacchi a spillo si ingegnano dietro i fuochi proponendo ricette veloci che permettono loro di restare custodi della cucina benché tra un impegno di lavoro e l’altro. Come spiega Luisa Stagi, la figura della donna in cucina è collegata al suo ruolo di care, di compagna, moglie, madre, nonna, che si occupa di cucinare soprattutto per gli altri membri della famiglia e per la quale la cucina non è luogo di divertimento, passatempo, hobby, fonte di reddito e celebrità, attività imprenditoriale: bensì compito routinario, quotidiano, necessario12. Per le donne si assiste a una essenzializzazione delle mansioni di cuoca attraverso la loro identificazione col ruolo che il contesto familiare patriarcale impone. Per gli uomini, al contrario, cucinare resta soprattutto un’attività cui si prestano in maniera libera ed eccezionale, nel senso letterale del termine. Quando per gli uomini l’impegno in cucina è quotidiano, questo non si traduce in lavoro di care invisibilizzato, e non si aggiunge neanche a un’attività professionale principale che continuano a svolgere oltre al lavoro culinario: la cucina diventa essa stessa una professione, un lavoro che non solo implica un guadagno ma si traduce in attività imprenditoriale attorno alla quale costruire, per giunta, un ruolo di celebrità socialmente riconosciuto. Il clivage tra lavoro alimentare domestico (food work come lo definisce Krishnendu Ray13) e piacere nello svolgere mansioni di preparazione culinaria (food leisure) si esprime in tutta la sua potenza.

10Questa presenza mediatica degli uomini in cucina ci dice molto sulle trasformazioni contemporanee dei modelli egemonici delle maschilità così come sulle nuove forme delle disuguaglianze sociali e di genere14. Come dicevamo, la cucina è abitata senza obblighi e oppressioni dall’uomo, che è libero di accedervi e abbandonarla come più gli aggrada. Non solo, la sua attitudine è spesso quella del direttore d’orchestra, che guida una brigata o impone una disciplina di ferro, che spesso delega mettendo solo saltuariamente le mani in pasta per spiegare le tecniche adeguate. Chiaramente non tutti i profili maschili riproducono pedissequamente questo modello. Stiamo parlando della sua manifestazione più visibile ed eloquente. Alcune eccezioni esistono e non è escluso che la parte meno in vista degli uomini in cucina contraddica questa rappresentazione dominante. Tuttavia, visto che di rappresentazione si parla, e in particolar modo del suo potere persuasivo sui modelli e gli stili di maschilità, non possiamo non osservare quanto la narrazione dei cuochi più esposti mediaticamente possa contribuire a rinsaldare la bipartizione e le asimmetrie tra i sessi.

11Tale lettura è del resto confermata da ricerche che hanno voluto investigare proprio in che maniera e secondo quali modalità gli uomini stiano reinvestendo oggi gli spazi domestici della preparazione alimentare lontano dalla ribalta dei riflettori. Alcuni studi, realizzati soprattutto nell’Europa del Nord15 mettono in evidenza che il fenomeno di progressiva comparsa degli uomini in cucina sia limitato alle famiglie e alle coppie appartenenti alle classi sociali superiori, mentre sia ancora una chimera presso le classi popolari16. Tra coloro che si situano in una posizione sociale privilegiata la cucina può effettivamente diventare uno spazio simbolico in cui l’attività alimentare si configura in quanto strumento per ripensare il ruolo dei maschi all’interno delle dinamiche familiari, per esempio in relazione alla costruzione della parentalità17. In tali contesti gli uomini possono ripensare anche gli ideali di maschilità cui fare riferimento, allontanandosi dai modelli dominanti per abbracciare semmai le qualità relative alla cura e all’attitudine relazionale familiare18. Quello che però gli studi nordici fanno notare è che all’interno di tali processi le disuguaglianze di genere finiscono spesso per essere – ancora una volta – riaffermate più che ribaltate. A tal proposito è interessante prendere l’esempio di uno studio realizzato ormai qualche anno fa da Helene Aarseth e Bente Marianne Olsen19 che, attraverso un campo qualitativo su coppie danesi e norvegesi, sono state tra le prime a descrivere come i padri possano costruire parte del loro rapporto con i figli tramite l’alimentazione e in particolar modo attraverso i riti costruiti attorno alla preparazione delle pietanze e l’organizzazione dei pasti in assenza delle madri. Lo studio, che si è concentrato su coppie di professionisti in carriera, analizza (tra le altre cose) situazioni familiari in cui la madre è lontana da casa per trasferte di lavoro. Le ricercatrici mostrano come i padri, nel creare nuove routines domestiche, elaborino i significati del care alimentare a loro modo: per esempio ricorrendo più frequentemente a cibi già pronti, congelati o take away; convertendo la serata in cui la madre è assente in occasione per andare a mangiare in un fast-food; oppure decidendo di tentare ricette nuove o lanciarsi nella preparazione di piatti esotici. Nel far ciò, pur rendendosi operosi nel lavoro di care alimentare, finiscono anche per rimarcare il carattere eccezionale e straordinario della configurazione familiare in cui la madre è assente e non può provvedere alle mansioni culinarie domestiche. Pur essendo esplicative di realtà e contesti specifici, tali circostanze debbono farci andare con i piedi di piombo quando si analizza un potenziale scenario di rinegoziazione dei ruoli sessuali nelle pratiche di care alimentare ordinario e quotidiano. Tali mansioni sembrano restare – nelle rappresentazioni e nei fatti – tipiche del mestiere femminile20, anche in quelle fasce di popolazione che penseremmo più sensibili alle evoluzioni dei costumi e usi familiari e più abituate a configurazioni flessibili nella ripartizione dei ruoli parentali.

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Lui: Guarda, davvero non vorrei passare per il macho di turno ma non credi che sia in un certo senso logico, normale insomma, che le donne si occupino della casa un po’ più degli uomini?

Lei: Cosa?!

Lui: Nel senso che se è vero che gli uomini possono partecipare è pure vero che spesso siamo noi a lavorare di più e più lontano da casa. E poi non ti sembra che ci sia anche qualcosa di più materno, di più femminile, nell’occuparsi dei bambini, della casa? Insomma è sempre stato così sin dalla preistoria! Te li ricordi i nostri libri di scuola cosa raccontavano?

Lei: Aspetta, ma la preistoria è tutto un altro contesto. Di cosa stai parlando? I nostri antenati dovevano cacciare mammut, utilizzare armi, spostare cadaveri di animali enormi. Era logico fossero gli uomini a farlo perché sono fisicamente più prestanti. Quindi le donne, in un certo senso, facevano il resto. Ma oggi credi che ci sia bisogno di essere Big Jim per liberare la lavastoviglie dai piatti appena lavati o per pelare patate?

Lui: Ma no, certo che no, lo so! Non volevo dire questo. Volevo dire che sin dalla preistoria è evidente che uomini e donne si siano organizzati in funzione di compiti diversi e complementari. È la natura! Non che debbano avere tutti la stessa mole di lavoro o svolgere lo stesso tipo di mansioni domestiche, ma che ci sia appunto questa complementarietà. Non ti sembra? Poi è bello essere complementari, no?

Lei: Mah… E cosa sarebbe per te la complementarietà oggi, scusa? Perché sinceramente non sono sicura di aver capito di cosa parli. Nella preistoria ti ho detto posso capire, l’uomo caccia, la donna raccoglie le bacche: ma oggi? Questa distinzione non ha più senso.

Lui: E invece sì. Stesso discorso oggi. Guarda quante attività necessitano ancora oggi di maggiore forza fisica e che sono svolte naturalmente dagli uomini: la caccia, o lavorare nei campi, o anche solo il giardinaggio. Io ho molti amici che vanno a caccia e che portano la selvaggina alle moglie o alle madri che la cucinano per la famiglia. Io lo trovo qualcosa di molto armonioso, come è sempre stato...

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12L’argomento della tradizione, del “si è sempre fatto così”, è frequentemente all’origine di retoriche discriminatorie. Affermare che, storicamente, le società si siano sempre organizzate in un certo modo permette di far passare come naturali e universali tutta una serie di costruzioni e pratiche sociali che si sono sedimentate col tempo: di queste fa parte anche la ripartizione dei compiti domestici secondo i sessi. Cerchiamo allora di decostruire questo punto di vista essenzialista ritornando innanzitutto sul contesto storico evocato dai protagonisti del dialogo: la preistoria.

13Abbiamo tutte e tutti in testa le immagini ricordate dalla coppia, di cui i nostri libri scolastici sono pieni e che molti film e ricostruzioni storiche sostengono. Lì vediamo i nostri antenati e le nostre antenate con indosso pelli di animali, che abitano caverne e che si confrontano con i pericoli della vita quotidiana combattendo con la natura e le specie animali più feroci per sopravvivere. Come non ricordare poi i temi descritti nelle pitture rupestri in cui le vicende di caccia avevano ruolo primario. In questo insieme di narrazioni i ruoli maschili e femminili appaiono chiaramente distinti e fondati su una “natura” umana reputata incontestabile. Gli uomini, grandi e forti, si occupano della caccia dei grossi animali preistorici con cui ingaggiano battaglie quotidiane ingegnandosi per costruire armi e utensili sempre più precisi e funzionali (e partecipando così all’evoluzione della specie). Dall’altra parte le donne, intente a svolgere attività di prossimità, nei campi coltivati vicini alle abitazioni (quando le comunità diventano stanziali), che si occupano dei figli, alimentano il fuoco – da qui la metafora secondo la quale spetta alla donna, in senso più ampio, nutrire il focolare domestico – oppure cuciono pelli. Ebbene oggi sappiamo con buona cognizione di causa che questi grandi racconti che hanno fondato la storia dell’umanità e che hanno costruito la percezione collettiva di questa stessa storia sono in parte frutto di quelle stesse rappresentazioni che l’essere umano ha costruito nel corso della storia a proposito degli stili di vita delle civiltà che lo hanno preceduto. Molte delle recenti scoperte archeologiche e paleoantropologiche insistono infatti sul denunciare i possibili errori che hanno ispirato le interpretazioni della scienza riguardo l’analisi delle abitudini di vita preistoriche.

14Come spiega un recente lavoro realizzato della ricercatrice francese Marylène Patou-Mathis21, se “la storia dell’uomo” è già di per sé un’espressione ambigua in quanto la presenza femminile sembra assente – o almeno invisibilizzata in quanto sottoinsieme di quella maschile – è necessario altresì rendersi conto che le donne possono aver contribuito in maniera più ampia rispetto a quello che ci è stato raccontato all’approvvigionamento di cibo nelle società preistoriche e in particolar modo alla caccia della selvaggina. Nel suo studio Patou-Mathis afferma innanzitutto che, nonostante fossero considerate attività meno in vista, la raccolta di provviste – specie nel Neolitico – o la caccia agli animali più piccoli erano attività svolte anche dalle donne e che contribuivano in maniera decisiva ai bisogni alimentari dei popoli preistorici: insomma il lavoro di caccia ai grandi animali selvatici, pensato come maschile, non era affatto l’unica via di sostentamento. Inoltre, perfino la caccia ai grossi animali selvatici – proprio quella storicamente dipinta come esclusivamente maschile – sembra fosse praticata anche dalle donne. Nuove tecnologie archeologiche, infatti, permettono oggi di associare con maggior precisione i ritrovamenti umani sui siti di scavo a uno o all’altro sesso. Alcuni scheletri, considerati di primo acchito maschili in quanto circondati da armi di caccia, si sono rivelati poi, in seguito ad analisi specifiche sulle ossa rinvenute, appartenenti a donne. Marylène Patou-Mathis denuncia proprio queste interpretazioni frettolose che l’archeologia ha in parte sostenuto, spiegando quanto certi errori possano aver contribuito a costruire un immaginario ben lontano dalla realtà. Proprio la presenza di armi e utensili di caccia nei pressi dei ritrovamenti umani ha talvolta condotto gli archeologi (tutt’altro che impermeabili, come ogni altro essere umano, alla forza delle rappresentazioni stereotipate di genere) ad associare di primo acchito quegli scheletri al genere maschile riproducendo il nesso tra caccia e virilità. E nello stesso modo, quei ritrovamenti di corpi sepolti circondati da piccoli oggetti ornamentali – i gioielli del tempo – sono talvolta stati associati irriflessivamente agli scheletri femminili. Patou-Mathis ci ricorda che l’archeologia è una scienza giovane, apparsa solo a metà Ottocento; una scienza, inoltre, che è nata come esclusivamente maschile. La nostra scelta di parlare di archeologi al maschile non è quindi casuale: le donne che hanno intrapreso la carriera di paleoantropologhe o archeologhe hanno cominciato ad avere un peso nella disciplina solo nella seconda metà del secolo scorso22. Il rischio che le prime interpretazioni fornite dall’archeologia fossero permeate da stereotipi di genere già strutturati e diffusi può aver condotto a letture sbagliate (o in parte falsate) dei ritrovamenti. Solo negli anni Sessanta e Settanta del Novecento si è assistito all’emergenza di una archeologia di genere, e proprio a partire da quegli anni sono sorti i primi dubbi su possibili errori interpretativi riguardo le analisi dei ritrovamenti umani23. D’altronde Simone de Beauvoir scriveva nel 194924 che la storia delle donne è fatta dagli uomini.

15Questo non significa certo che tutto ciò che abbiamo accumulato come conoscenze e interpretazioni storiche e antropologiche sulle civiltà più o meno antiche e più o meno vicine nel tempo siano da cancellare e dimenticare. E non è neanche il nostro obiettivo difendere qui la tesi secondo la quale i rapporti tra i sessi fossero certamente più egualitari nelle civiltà preistoriche, tanto più che ci addentreremmo in un campo scientifico che non è di nostra competenza. Guai a lasciarsi andare a facili entusiasmi revisionisti o a generalizzazioni improvvisate. Il rischio è quello di incorrere negli stessi possibili errori compiuti dall’archeologia dell’Ottocento. Ciò che appare importante invece, dal nostro punto di vista sociologico, è semmai instillare il dubbio e riflettere sulla potenza persuasiva che gli stereotipi di genere e i loro processi di consolidamento storico e sociale possano avere avuto e abbiano ancora oggi sulle rappresentazioni asimmetriche riguardo i sessi e i ruoli sociali assegnatigli.

16Tuttavia, un altro aspetto ci sembra interessante da analizzare ripartendo dal dialogo della coppia al ristorante: la forza con cui il principio di complementarietà si afferma in quanto riferimento per pensare l’organizzazione della divisione dei ruoli sessuali in società. Ciò che emerge dal dialogo è l’idea dell’armonia che ispirerebbe il principio di complementarietà per il quale uomini e donne “sarebbero fatti” per completarsi, riaffermando peraltro in maniera incontestabile il primato dell’ordine eteronormativo25. Secondo la prospettiva femminista materialista le disuguaglianze di genere sono sempre esistite in società, benché la nascita degli apparati statali e le forme di contrattualizzazione della vita sociale le abbiano rinforzate26. E proprio l’idea della complementarietà tra uomo e donna sarebbe uno dei punti di forza su cui poggiano le disuguaglianze che caratterizzano le relazioni tra i sessi nelle società moderne, in quanto tale idea rinvierebbe la divisione dei ruoli a una matrice naturale basata innanzitutto sulle differenze fisiche dei corpi maschili e femminili. Da tali differenze discenderebbe poi la ripartizione dei compiti: alcuni ritenuti “più femminili” perché, ad esempio, meno pesanti, altri “più maschili” – la stessa logica che abbiamo ritrovato nei capitoli precedenti riguardo i cibi più o meno maschili e maschilizzanti.

17L’antropologa Paola Tabet, in un articolo divenuto una pietra miliare in questo campo di studi27, si era occupata già negli anni Settanta di ricostruire i risultati di numerose indagini etnologiche realizzate sulle società di cacciatori-raccoglitori mostrando come, nella letteratura scientifica moderna, la nozione di complementarietà si fosse imposta via via come egemonica28. Tabet osserva quanto gli studi realizzati insistano sul carattere “naturale” e biologico della divisione dei compiti tra i sessi, oggettivandolo appunto attraverso il riferimento alle differenti conformazioni fisiche, maschili e femminili. Tabet ci invita però a uno scivolamento di prospettive per problematizzare non tanto la divisione sessuale dei compiti nelle società di cacciatori-raccoglitori quanto la divisione sessuale nell’accesso agli utensili per la caccia e il raccolto. Tabet osserva allora che non è la caccia in quanto tale che sarebbe stata vietata alle donne quanto semmai l’utilizzo delle armi per la caccia. Tale interdizione che implica altresì una differenziazione (sessuale) dei saperi e delle tecniche ne nasconderebbe un’altra che, nell’evoluzione delle società, potrebbe aver avuto altrettanta influenza: il divieto per le donne di procurarsi da sole la carne, mettendole di fronte, di fatto, alla prima forma di discriminazione nell’accesso alle risorse alimentari. Il fatto di non apprendere tecniche di caccia avrebbe permesso agli uomini di garantirsi il controllo sia sulla distribuzione che sul consumo della selvaggina e dunque su una risorsa alimentare caratterizzata da specifici valori nutritivi, configuratasi quindi come privilegio maschile29. Il rifugio nel comodo ideale della complementarietà “naturale” può quindi nascondere un più vasto processo storico di gerarchizzazione nell’accesso ai consumi alimentari che può avere avuto conseguenze di lungo corso sull’evoluzione della specie umana e con un impatto specifico sull’evoluzione dei corpi femminili, sia dal punto di vista biologico che sanitario. Insomma, come sostiene Priscille Touraille30, le differenze tra corpi maschili e femminili e il fatto che gli uomini siano fisicamente più grandi e forti delle donne, non sarebbero fattori dettati soltanto da due “nature” sessuali diverse: semmai da due “nature” socialmente costruite.

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Lei: Ma scusami, non viviamo più nel Medioevo! Quand’ è che sei andato a caccia l’ultima volta per procurarti cibo?! Dai! Viviamo in città che danno accesso a tutto, la selvaggina puoi andare a comprartela in una macelleria e pure in alcuni supermercati! Invece ancora oggi c’è da andare a fare la spesa, cucinare, mettere tutta la famiglia a tavola, pulire, lavare le stoviglie. D’accordo esistono gli elettrodomestici ma spesso questi compiti sono un dovere delle donne. Cosa resta da fare agli uomini in cucina?

Lui: Va bene. Su questo posso anche essere d’accordo ma devi ammettere che tutti questi “doveri” di cui parli oggi si sono dimezzati in termini di tempo richiesto. Come dici giustamente, viviamo in città e abbiamo tutta una serie di servizi a disposizione per guadagnare tempo in cucina. Chi, oggi, non ha elettrodomestici in casa? Chi non ha una lavastoviglie? Per tutta una serie di attività che prima richiedevano uno sforzo femminile oggi c’è la tecnologia, e si risparmia tempo!

Lei: Oh grazie, grazie davvero [con tono ironico]! Ma questi elettrodomestici non è che funzionano da soli, i piatti e le forchette non vanno da soli a lavarsi come noi andiamo in doccia!

Lui: Sì è vero, ma ci sono anche moltissimi uomini che aiutano a pulire la cucina o la tavola dopo i pasti, che rimettono a posto piatti e stoviglie appena lavate. E poi anche per cucinare le donne sono più libere oggi. Non è più necessario che la donna si prenda la briga di fare tutto e tutti i giorni. Esistono le consegne a casa, il take-away, i cibi surgelati: guarda che ci sono anche cose buone che puoi trovare tra i surgelati! Proprio qualche giorno fa ho provato una vellutata alla zucca gialla, buonissima...

Lei: E allora ammettiamo anche che si possa passare meno tempo di prima in cucina, che i piatti già pronti siano un’alternativa – anche se sulla loro qualità ho grossi dubbi – ma almeno la spesa, dico la spesa qualcuno dovrà andare a fare la spesa, no? Non mi pare che gli uomini se ne occupino molto...

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18Soffermiamoci un attimo sul tema della spesa appena evocato, che ci riporta ad alcune evidenze messo in risalto dai dati Istat citati qualche pagina prima. Le indagini realizzate nel nostro Pae-se e in altri Pae-si europei sulle modalità di ripartizione dei compiti domestici e sull’organizzazione dei tempi quotidiani consacrati alle mansioni di preparazione alimentare si accordano nel riconoscere che gli uomini partecipano attivamente soprattutto alle operazioni della cosiddetta “spesa settimanale” o “grande spesa” (quella che coinvolge le famiglie soprattutto a fine settimana, il sabato in particolar modo, che richiede l’acquisto di numerosi prodotti, spesso a lunga conservazione, uno sforzo fisico maggiore e l’utilizzo di un mezzo di trasporto proprio)31. L’incombenza della spesa giornaliera (quella che riguarda l’acquisto di prodotti il cui consumo si realizza a stretto giro di posta, o che richiedono preparazioni da svolgere in tempi ravvicinati in seguito all’acquisto per divenire il pasto del giorno o dell’indomani) resta un compito svolto prevalentemente dalle donne. Durante i recenti periodi di quarantena domiciliare vissuti in Italia così come in altri Pae-si europei per combattere la diffusione della pandemia da Covid-19 (ci riferiamo qui soprattutto al primo lockdown che ha bloccato il mondo nella primavera 2020), ci siamo resi conto di come alcune di queste abitudini siano cambiate (magari solo temporaneamente) finendo talvolta per svelare quanto le precedenti abitudini “di genere” fossero consolidate. Se ci pensiamo un istante, infatti, ci riconosceremo forse nell’aver osservato una presenza più massiccia e regolare di uomini, mariti, partner o padri, durante le fasi di lockdown, nei supermercati per occuparsi della spesa cosidetta “quotidiana”, di prima necessità. Come se gli uomini avessero avuto improvvisamente bisogno di confermare la loro aderenza al modello del maschio breadwinner che di fronte al pericolo (e la pandemia ha rappresentato senza dubbio una prova dura da superare) si identifica o accetta di essere identificato con il dovere, l’imperativo, di prendersi i rischi dell’uscita dallo spazio domestico per andare a fare la spesa e rifornire la famiglia bloccata tra quattro mura. Se questa riconfigurazione provvisoria della divisione dei compiti in famiglia sia stata davvero un fenomeno diffuso e abbia magari contribuito a una riorganizzazione, seppur parziale, dei compiti domestici non possiamo ancora saperlo. Innanzitutto serviranno ricerche specifiche sul tema per approfondirne la validità scientifica, e bisognerà poi attendere che le nuove ricerche statistiche sulla ripartizione dei compiti domestici nelle famiglie possano guardare retrospettivamente gli eventuali nuovi scenari che la fase pandemica ha disegnato su un lasso di tempo più ampio. Certo è che se ci siamo sorpresi e sorprese nell’osservare una maggiore presenza maschile tra i reparti di un supermercato durante la primavera del 2020 è anche perché le abitudini consolidate volevano appunto che la presenza femminile in quei luoghi fosse più frequente, quotidiana e ripetuta.

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Sul finire della discussione in merito alle nuove abitudini alimentari ridefinite dalle nuove tecnologie e dai servizi offerti in città ecco che fuori dal ristorante la coppia scorge alcuni giovani che ricevono delle porzioni di cibo ben imballate e si preparano a consegnarle con le loro biciclette in giro per le vie durante tutta la serata.

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19È vero quello che dice la nostra coppia al tavolo. Le tecnologie alimentari hanno senza dubbio sconvolto i tempi della cucina e partecipato a ridefinire in parte la divisione dei compiti in famiglia. Pensiamo alla crescita dei consumi di prodotti surgelati, di piatti già pronti, all’utilizzo dei robot da cucina, ma anche al processo di diffusione e ramificazione della ristorazione (da quella privata a quella per aziende sino a quella dei servizi scolastici, solo per citarne alcune) in quanto impresa che genera profitti di vasta portata, così come la proliferazione di quei servizi che permettono di recuperare il proprio pasto passando per un drive e restando comodamente in automobile, o ancora facendosi consegnare il pranzo o la cena a casa. Le imprese hanno avviato e si sono servite di queste evoluzioni del comparto agro-alimentare insistendo anche in termini di strategie pubblicitarie sul valore e l’impatto concreto di queste trasformazioni. Basti citare il celebre slogan coniato da Moulinex negli anni Sessanta e Settanta per promuovere sul mercato gli elettrodomestici da cucina e il tempo che questi avrebbero fatto risparmiare alle donne alle prese con i compiti del care alimentare quotidiano: “Moulinex libère la femme”32. La domanda che sorge spontanea ci conduce alla solita riflessione: tutte le evoluzioni contemporanee legate alla cucina e alle pratiche alimentari sono davvero fonte di una riduzione delle disuguaglianze di genere?

20Se prendiamo ad esempio i risultati delle indagini “Emploi du temps” dell’Insee francese – che corrispondono grosso modo alle indagini sui tempi della vita quotidiana dell’Istat – il quadro che ne emerge è eloquente. Tra il 1985 e il 2020, in Francia gli uomini hanno impiegato 24 minuti in media al giorno per le attività legate alla cucina: il loro impegno nelle pratiche alimentari si attesta su uno standard temporale che non subisce stravolgimenti da almeno trent’anni. Le donne invece, nella stessa fase storica, hanno visto ridursi il loro tempo impiegato in cucina da 1 ora e 41 minuti in media nel 1985 a 1 ora e 6 minuti in media nel 201033. Come possiamo vedere il processo di riequilibrio è ancora molto parziale ma soprattutto non è tanto da considerarsi come l’effetto di una maggiore implicazione maschile nelle faccende domestiche. Si tratta semmai di osservare come le evoluzioni vissute nelle nostre società riguardo le modalità di cucinare e di mangiare (verificatesi anche grazie – ma non esclusivamente34 – alla proliferazione delle tecnologie e dei servizi alimentari descritti poco sopra) possano aver contribuito ad alleggerire in parte il carico delle mansioni femminili. In relazione anche a quanto detto sopra sul ruolo degli uomini in cucina e sull’immagine che ne offrono gli chef che imperversano sui media sembrerebbe proprio che gli uomini siano tutt’altro che avvezzi oggi a cucinare, o comunque non più di quanto non lo fossero già, e a condividere in maniera equa con le donne i compiti domestici legati all’alimentazione familiare.

21Il contesto urbano delle grandi città, in cui si assiste alla proliferazione sfrenata di offerta tecnologica e di servizi legati al mondo della cucina costituisce dunque un palcoscenico particolare in cui le timide dinamiche di riduzione delle disuguaglianze di genere che si registrano rappresentano un’eccezione più che una regola. Non solo, se vogliamo spingere più lontano la nostra riflessione potremmo anche domandarci se il contesto urbano non sia semmai un catalizzatore di disuguaglianze sociali e se contribuisca addirittura a inasprirne alcune. La città d’oggigiorno è un luogo propizio per la scoperta di modi diversi di intendere e vivere l’alimentazione, gli stili alimentari, i gusti, i valori del cibo. Lo spazio urbano incoraggia l’incontro, anche furtivo, tra gruppi sociali che dialogano in maniera differente e allo stesso tempo interconnessa col rito alimentare35: mercati, supermercati, ristoranti etnici, punti e servizi di distribuzione di panieri biologici e della filiera corta, rider che attraversano in lungo in largo le città... All’interno dei tentacolari incroci che costruiscono la pluralità dei punti di vista sull’alimentazione nelle grandi città prendono forma altre disuguaglianze, di genere ma anche etniche e di classe. Proprio queste ultime sembrano balzare agli occhi in maniera evidente affiancandosi alle disuguaglianze tra i sessi. Prendiamo ad esempio gli ultimi due anni vissuti. Durante la pandemia e durante i lunghi periodi in cui il rito dell’uscita al ristorante è rimasto solo un piacevole ricordo e un desiderio insaziabile, il ricorso al cibo da asporto e in particolar modo alle consegne a domicilio ha preso piede in maniera esponenziale in un contesto caratterizzato già da anni da una impennata di tali pratiche. I media non hanno esitato a raccontare numerose storie professionali e private di operatori e operatrici di questi settori. Mestieri per lungo tempo invisibilizzati nel dibattito pubblico (come quello del rider in bicicletta o in moto, oppure del cassiere o meglio della cassiera dei supermercati – categoria declinata quasi esclusivamente al femminile che rivela un altro versante dell’enorme influenza degli stereotipi di genere), molto spesso svolti da persone appartenenti a classi sociali svantaggiate, oppure da stranieri e straniere, o ancora da persone provenienti da famiglie di origini straniere, hanno assunto un’importanza capitale nel funzionamento della grande macchina urbana. Queste stesse categorie professionali hanno permesso ad altre fasce della popolazione il mantenimento delle loro abitudini culinarie durante una fase sanitaria delicatissima. Una serie di processi, quelli appena descritti, che ci invitano a sottolineare quanto l’accumulazione delle disuguaglianze sia un tema complesso e spinoso, di cui le città contemporanee sono uno dei palcoscenici principali. Questa prospettiva ci invita altresì a riconoscere quanto sia necessario adottare uno sguardo intersezionale qualora ci si addentri tra i meandri delle pratiche alimentari quotidiane contemporanee per non limitarsi a pensare il genere come unica fonte di disuguaglianza ma semmai per analizzarlo in maniera contestuale a tutte le altre, molteplici, forme di dominio con cui si articola.

Notes de bas de page

1 Ricercatore in sociologia presso il Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) in Francia, è membro dell’Institut de Recherche Interdisciplinaire sur les Enjeux Sociaux a Parigi.

2 Una prima versione di questo testo è apparsa sulla rivista «Anthropology of Food» (2022) ed è stata sensibilmente rielaborata per divenire un capitolo di questo libro. Le pagine a venire sono il risultato di un lungo lavoro di confronto tra gli autori iniziato nel 2017 e culminate in una prima sintesi che ha trovato spazio nel quadro del convegno internazionale “Manger en ville. Genre et alimentation à l’épreuve de la vie urbaine” tenutosi a Parigi nel settembre 2020. Teniamo a ringraziare i curatori del numero tematico e la direzione della rivista «Anthropology of Food» che hanno permesso di ripartire dal formato iniziale del testo già pubblicato per aggiornarlo e proporne una nuova versione che dialogasse più da vicino con gli obiettivi del presente volume.

3 B. Latour, Comment finir une thèse de sociologie. Petit dialogue entre un étudiant et un professeur (quelque peu socratique), «Revue du MAUSS», 24, 2004, pp. 154-172; J. Coveney, L. Thompson, Health Care Professionals ‘Coming out’: A Critical Dialogue, «Ethnologie française», 176, 4, 2019, pp. 803-812.

4 Il nostro sguardo si concentra sulle famiglie composte da un uomo e una donna, sulle quali i dati di cui disponiamo si focalizzano.

5 I tempi della vita quotidiana - Lavoro, conciliazione, parità di genere e benessere soggettivo, Roma, Istat, 2019, p. 17.

6 La vita delle donne e degli uomini in Europa. Un ritratto statistico, edizione 2020 https://www.istat.it/donne-uomini/index.html?lang=it

7 Tra le rare eccezioni la presenza di Antonia Klugmann tra i giudici del progamma Masterchef Italia nella stagione 2017-18.

8 J. Leer, What’s Cooking, Man? Masculinity in European Cooking Shows After The Naked Chef, «Feminist Review», 114, 1, 2016, pp. 72-90; V. Fidolini, Food and lifestyle show, in K. Ross (a cura di), The Wiley Blackwell Encyclopedia of Gender, Media And Communication, Oxford, Wiley Blackwell, 2020, pp. 410-414.

9 Ogni protagonista italiano, peraltro, ha il suo omologo in Francia (e viceversa). Pensiamo, tra gli altri, a Cyril Lignac, Philippe Etchebest, Norbert Tarayre.

10 C. Ketchum, The Essence of Cooking Shows: How the Food Network Constructs Consumer Fantasies, «Journal of Communication Inquiry», 29, 3, 2005, pp. 217-234.

11 J. Leer, Gender and Food Television. A transnational perspective on the gendered identities of televised celebrity chefs, in K. LeBesco, P. Naccarato (a cura di), The Bloomsbury Handbook of Food and Popular Culture, New York, Bloomsbury Academic, 2018, pp. 13-26.

12 L. Stagi, Mise en scène du genre dans les émissions culinaires italiennes, «Journal des anthropologues», 140-141, 2015, pp. 73-92.

13 K. Ray, Domesticating Cuisine: Food and Aesthetics on American Television, «Gastronomica», 7,1, 2007, pp. 50-63.

14 V. Fidolini, L. Stagi, Le pratiche alimentari sotto la lente del genere. La comparsa della maschilità, «AG AboutGender. International Journal of Gender Studies», 9, 17, 2020, pp. 1-26.

15 E non è un caso se è proprio in queste realtà che hanno avuto luogo le prime ricerche sul tema. Sappiamo, infatti, quanto tali aree geografiche corrispondano anche a contesti storicamente sensibili e all’avanguardia nella promozione di pratiche e politiche di uguaglianza tra i sessi.

16 M. Klasson, S. Ulver, Masculinising domesticity: An investigation of men’s domestic foodwork, «Journal of Marketing Management», 31, 15-16, 2015, pp. 1652-1675; N. Neuman, L. Gottzén, C. Fjellström, Narratives of progress: Cooking and gender equality among Swedish men, «Journal of Gender Studies», 26, 2, 2017, pp. 151-163.

17 M. Szabo, S. L. Koch (a cura di), Food, Masculinities and Home cit.

18 K. Elliott, Caring Masculinities: Theorizing an Emerging Concept, «Men and Masculinities», 19, 3, 2016, pp. 240-259.

19 H. Aarseth, B. Olsenm, Food and masculinity in dualcareer couples, «Journal of Gender Studies», 17-4, 2008, pp. 277-87.

20 S. Gojard, Le métier de mère, Paris, La Dispute, 2010; S. Benasso, L. Stagi, Ma una madre lo sa? cit.

21 M. Patou-Mathis, L’homme préhistorique est aussi une femme. Une histoire de l’invisibilité des femmes, Paris, Allary, 2020.

22 M. Patou-Mathis, L’homme préhistorique est aussi une femme cit., p. 10.

23 M. L. S. Sørensen, Gender Archaeology, Cambridge, Polity Press, 2000.

24 S. de Beauvoir, Il secondo sesso [1949], Milano, il Saggiatore, 2016.

25 V. Fidolini, La production de l’hétéronormativité cit.

26 C. Pateman, Le contrat sexuel, Paris, La Découverte, 2010.

27 P. Tabet, Les mains, les outils, les armes, «L’Homme», 19, 3-4, 1979, pp. 5-61.

28 Ibidem, p. 7.

29 T. Fournier, J. Jarty, N. Lapeyre, P. Touraille, Alimentation, arme du genre, «Journal des anthropologues», 140-141, 2015, pp. 19-49.

30 P. Touraille, Hommes grands, femmes petites cit.

31 I. Barth, B. Antéblian, Les petites histoires extraordinaires des courses ordinaires. Ethnographie des courses, Éditions EMS, Cormeilles-le-Royal, 2011.

32 Moulinex libera la donna.

33 C. Champagne, A. Pailhé, A. Solaz, Le temps domestique et parental des hommes et des femmes: quels facteurs d’évolution en 25 ans?, «Économie et statistique», 2015, 478-479-480, pp. 209-242.

34 La presenza femminile sul mercato del lavoro, per esempio, è di molto aumentata oggi rispetto agli anni Sessanta e Settanta, conducendo le donne a passare molto più tempo fuori casa.

35 A. Warde, L. Martens, Eating Out: Social Differentiation, Consumption and Pleasure, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; J.-P. Hassoun, Restaurants dans la ville monde. Douceurs et amertumes, «Ethnologie française», 44, 1, 2014, pp. 5-10.

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