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3. Mangiare da uomo

p. 65-85


Texte intégral

1Come afferma Claude Fischler in un illuminante saggio sulla produzione delle morali alimentari contemporanee, ciò che mettiamo nel piatto è senza dubbio una delle questioni che si prestano maggiormente a giudizi di valore che travalicano il significato più stretto dell’alimento scelto per condure a valutazioni su chi siamo e su come appariamo agli occhi degli altri1. Basti pensare all’importanza che attribuiamo oggi a ciò che è giusto mangiare e ciò che non lo è; a che cibo sia giusto scegliere in certe circostanze e quale invece sia meno appropriato per quel dato contesto; a quanto i nostri stili alimentari varino in base al nostro stato di salute, ma anche al momento della giornata in cui decidiamo di mangiare, in base ai nostri gusti e disgusti, in funzione delle sensibilità delle persone che condividono con noi un pasto, o ancora in base alle proibizioni imposte da un credo o da una dottrina. Mi fermo qui anche se gli esempi potrebbero essere molti altri. Ciò che emerge, in ogni caso, è che il cibo e le sue pratiche risultano definiti da norme e rituali vari e variabili; si espongono a giudizi e classificazioni; strutturano non solo le abitudini alimentari di individui e collettività ma anche, in senso più ampio, i tempi della vita sociale2. In ogni ordine alimentare, più o meno differente da società a società, talvolta da comunità a comunità, Nick Fiddes ha riconosciuto il ruolo prioritario giocato dalla carne3. Come afferma lo studioso scozzese, attorno alla carne si costruisce il rito del pasto nella maggior parte delle società occidentali: è soprattutto quando la carne è presente nel piatto (pesce incluso) che si ha la sensazione di aver consumato “davvero” un pasto4.

2Uno dei primi aspetti da prendere in considerazione nello studiare il caso di uomini che hanno rinunciato al consumo di carne, che si definiscono vegetariani o vegani, o che semplicemente si presentano come vegetariani pur mangiando ogni tanto la carne, è proprio la relazione che questi instaurano con la rinuncia a un alimento considerato basilare nella loro cultura gastronomica. A maggior ragione nei due Pae-si in cui ho realizzato la ricerca, la Francia e l’Italia, e in particolar modo nell’Est della Francia e in Toscana, due regioni particolarmente “carnivore” come già ricordato in introduzione. Ora, gran parte degli uomini incontrati che hanno scelto un regime alternativo hanno più volte esaltato l’assenza di carne dai loro menu in quanto chiave di lunga vita che ha permesso loro di poter far ricorso in maniera inferiore ai consigli dei medici e ai medicinali. I racconti degli uomini che rinunciano al consumo di carne sono molteplici, ispirati da ragioni e motivazioni più o meno valide, più o meno plausibili. Le loro testimonianze d’intervista si intrecciano ancora una volta con il desiderio di perseguire un progetto di vita sana e in forma. Ma si scontrano anche con l’impatto che le loro scelte alimentari hanno sulle forme d’espressione della loro maschilità. Sì perché, come vedremo, la stretta relazione tra consumo di carne e costruzione di una “buona maschilità” sembra avere forte presa sulle retoriche e le condotte degli intervistati, sia che questi si identifichino come vegetariani o vegani, sia che consumino carne solo in quantità ridotte.

Il nesso tra carne e virilità

3Soffermiamoci prima sul rapporto tra carne e maschi: una relazione che è stata oggetto – come già spiegato – di una prima embrionale riflessione già nel lavoro di Pierre Bourdieu5. Tra i primi autori a cimentarsi in una riflessione specifica sul tema vi è senza dubbio Julia Twigg che a metà anni Ottanta, analizzando i significati del vegetarismo, ha anche approfondito il nesso tra percezioni della sessualità maschile e forme di virilità associate al consumo di carne rossa6. La studiosa britannica è tra le prime a riconoscere il ruolo della carne e del “bisogno” di consumare carne in quanto tratto riconducibile all’espressione di una maschilità di dominio e ad avanzare l’ipotesi secondo cui gli uomini che rifiutano tale alimento possono trovarsi di fronte alla necessità di giustificarsi e di giustificare una maschilità indebolita e meno vigorosa. La non adesione alla red-blooded masculinity, come lei stessa la definisce, sembra complessa da gestire per i maschi in quanto una scelta vegetariana rimetterebbe in discussione il potere della carne rossa nel forgiare un corpo virile.

4Vanno nella stessa direzione anche le riflessioni di Carol Adams, che nel 19907 analizza la connessione tra consumo di carne e riproduzione del patriarcato da una prospettiva eco-femminista, fortemente militante. Per Adams l’oppressione degli animali è da considerarsi come una delle conseguenze dirette del sistema patriarcale. Adams interpreta quindi la scelta vegetariana e vegana come pratica di contropotere che permetterebbe di ribellarsi all’ordine patriarcale e anche alle asimmetrie che strutturano i rapporti tra uomini e donne. Secondo Adams, infatti, il sistema patriarcale si reggerebbe sui modelli di consumo che propone e impone: tra questi, il consumo di carne ha valore simbolico primario. La scrittrice statunitense avanza poi una tesi forte su un tema divenuto in seguito centrale negli studi su genere e cibo all’alba degli anni Duemila: la scelta di una dieta vegetariana o vegana sarebbe meno frequente (o più difficilmente rivelata) tra i maschi in quanto sarebbe percepita come una minaccia verso la loro eterosessualità – altra norma di riferimento nel sistema patriarcale. Il fatto di non mangiare carne, dunque, rimetterebbe in discussione l’orientamento (etero)sessuale del consumatore esponendolo allo scetticismo e ai giudizi degli altri maschi riguardo la sua (non) incorporazione di una “buona” maschilità. Per Adams l’uomo che rinuncia alla carne rinuncerebbe anche ai privilegi accumulati nel tempo dal dominio patriarcale e si ritroverebbe a incorporare una maschilità minoritaria e subordinata che, per questi stessi motivi, finisce per respingere. Ecco perché secondo Adams il boicottaggio del consumo di carne non si traduce solo in tentativo di estirpare l’oppressione degli animali ed eliminare dai piatti i prodotti derivati da tale sfruttamento: una simile conversione alimentare significherebbe anche minare le fondamenta più profonde del sistema patriarcale e i rapporti di potere che ha generato e genera ancora oggi.

5Ora, è anche interessante far notare il valore simbolico rivestito dal consumo di carne nelle società occidentali e le rappresentazioni sociali che lo hanno accompagnano. Non scordiamoci che per lungo tempo, e ancora fino agli anni Settanta del secolo scorso, nelle nostre società la carne è stata interpretata in quanto cibo a cui non tutte le fasce della popolazione potevano accedere e il cui consumo ricorrente nel corso della settimana è rimasto per molti aspetti un privilegio per le frange più abbienti della società. Il suo consumo ha subito evoluzioni importanti nel corso del xx secolo, democratizzandosi via via e divenendo relativamente tardi un prodotto di consumo giornaliero a cui tutte le classi sociali potevano aver accesso. Ma come George Simmel ci insegna, è proprio nel momento in cui un gusto diventa maggioritario che i gruppi sociali più agiati sviluppano nuove abitudini e nuovi consumi per rinvigorire altrimenti le logiche di distinzione dalle altre fasce della popolazione8. Ed è forse proprio per questo che, oggi, sono gli stili vegetariani o vegani che si configurano sempre più spesso in quanto diete cui identificarsi per attuare nuove strategie di distinzione dei gusti sociali9. Sulla scorta di queste evoluzioni anche le pratiche di preparazione della carne si sono moltiplicate e aggiornate. Nella letteratura di studi su cibo e genere dal punto di vista dei maschi il rito del barbecue ha ben presto occupato la scena per raccontare i processi di democratizzazione del consumo di carne. Palcoscenico privilegiato di narrazione della virilità, occupata a gestire la vivacità delle fiamme per trattare al meglio la cottura della carne, attorno al barbecue si è costruita nel tempo una potente retorica della maschilità, intrattenuta e alimentata dalla cultura televisiva e cinematografica fino ai video tutorial contemporanei che circolano in rete in cui sia personaggi famosi che illustri sconosciuti insegnano come preparare al meglio un hamburger o una perfetta bistecca sulla griglia. Alcuni studi hanno letto il moderno barbecue in quanto luogo che permette al maschio di ricongiungersi con antichi rituali preistorici, equivalente moderno dei fuochi d’accampamento durante le battute di caccia10. L’associazione tra uomini, carne e riproduzione di ideali eteronormativi di genere rinvia ancora il vegetarismo o il veganismo al ruolo di diete subalterne per i maschi.

6Sappiamo tuttavia che negli ultimi anni sono emerse numerose ricerche sulle connessioni tra maschilità e diete carnivore. I lavori realizzati, pur adottando prospettive teoriche ed empiriche talvolta molto differenti tra loro11, si accordano nel riconoscere che la decisione di adottare diete vegetariane, vegane, oppure regimi alimentari che escludono il consumo di cibi particolari (latticini, glutine, carne...) sia tutt’altro che una prerogativa femminile. Al contrario, questi stili alimentari si diffondono in maniera generalizzata anche tra i maschi e in maniera trasversale alle classi sociali12. Ciononostante, i significati attribuiti ai cibi ritenuti maschili o femminili continuano ad avere un senso per gli uomini e le donne, così come ho potuto riscontrare nelle interviste realizzate nel corso del presente studio. Ho potuto appurare in particolar modo che l’esistenza di tale modello interpretativo dell’atto alimentare attraverso le lenti del genere ha un ruolo importante soprattutto nella costruzione delle relazioni omosociali, tra uomini. Nelle interviste realizzate ho riscontrato che quando la relazione di uomo con le sue scelte alimentari è percepita, da lui stesso o dai suoi pari, come “non tipicamente maschile” (perché è caratterizzata dall’esclusione di alcuni cibi come la carne, o anche solo da un rigore estremo nelle porzioni ingerite) allora l’intervistato sembra cercare nuove strategie per giustificare la sua “buona” maschilità in altro modo e certificare che malgrado le sue scelte in fatto di alimentazione egli resta pur sempre un maschio, un “vero” maschio.

7Le analisi sui racconti degli intervistati incontrati durante le fasi di campo permetteranno di capire come le scelte alternative degli uomini in materia alimentare confermano e sfidano, allo stesso tempo, alcuni assunti fondamentali messi in evidenza dalla letteratura su cibo e genere e producono una complessa gerarchia di modelli di maschilità. La mia attenzione si concentrerà in particolar modo sull’uso del corpo da parte dei maschi nella riproduzione o nella contestazione delle gerarchie di genere e alimentari, capaci di ordinare e classificare allo stesso tempo i cibi e i tipi di maschilità.

Sguardi omosociali e strategie di compensazione maschili

8Ciò di cui ho potuto trattare nel capitolo precedente – vale a dire la rappresentazione delle pratiche alimentari in quanto strategie di sorveglianza della salute – non esaurisce il suo portato euristico attraverso l’analisi dei progetti di “lunga vita” raccontati dagli intervistati che vogliono prevenire o trattare le malattie collegate all’età adulta e all’invecchiamento. Un’altra declinazione di queste tecniche di sorveglianza del corpo la incontriamo nelle scelte degli intervistati di adottare un regime alimentare che elimina o riduce il consumo di carne.

9Sébastien ha compiuto 40 anni da poco al momento dell’intervista e nel suo racconto precisa quanto il superamento di questa soglia fatidica l’abbia portato a riflettere ancor di più sulle sue abitudini alimentari, che in passato non curava. Solo intorno ai 35 anni ha iniziato a privilegiare frutta e verdura, riducendo sempre più il consumo di carne senza tuttavia mai escluderlo del tutto. Anche l’incontro con la sua attuale compagna e madre dei loro figli ha aiutato tale svolta in quanto Sébastien riconosce come il piacere di cucinare prodotti sani al momento dello svezzamento dei bambini è diventato un collante per la coppia che si è ritrovata a passare divertenti domeniche in cucina a preparare i pasti per l’intera settimana. Non vi è dubbio che il poco gradimento per la carne da parte della compagna abbia influenzato molto le abitudini di Sébastien, che ha un passato da militare e che ha ritenuto per anni il pollo un alimento basilare della sua dieta, grazie al quale fare il pieno di proteine per scolpire i muscoli e il fisico. Tuttavia la sua dieta è cambiata, oggi, perché sente di non poter “più mangiare come 20 anni fa”, ricordando la voracità con cui si buttava sui pasti proposti alla mensa della caserma. La sua nuova attitudine nei confronti del cibo non è passata inosservata nemmeno in famiglia: “i miei non mi riconoscono più, prima non mi fermavo mai”. Il regime che si impone da qualche mese, fatto di porzioni ridotte e preparate accuratamente dalla compagna – anche nelle dosi – e la rinuncia alla carne e ai formaggi (lasciandosi qualche libertà solo per occasioni particolari come pranzi in famiglia o ricorrenze), sembrano farlo star meglio con sé e con il suo corpo: “Mi sento meno fiacco [....] Non ho più sbalzi di peso” racconta. Tuttavia Sébastien non sembra troppo esaltato quando gli faccio notare che il suo regime assomiglia molto a una dieta vegetariana, caratterizzata in particolar modo dall’immancabile “porzione di verdure, almeno una volta al giorno, a pranzo o a cena”. L’identificazione con il regime vegetariano, infatti, sembra infastidirlo. Quando gli chiedo se i suoi amici o compagni di allenamento in palestra gli abbiano mai fatto delle osservazioni sul suo stile alimentare, Sébastien rivela l’importanza delle logiche omosociali13 nell’impostazione delle performance di maschilità attraverso il cibo:

Se sono con un gruppo di ragazzi non è che dico loro “sai, mangio zuppa di verdura tutte le sere!”, beh non ne ho neanche il motivo, ma in genere, come dire, se sono con altri ragazzi sento ancora meno il bisogno di dirglielo perché, insomma, la verdura è un po’ un piatto da donne. I miei amici, è una banda di uomini, una banda di testosterone, non racconto loro che mangio zuppe!

10Fare dell’alimentazione uno strumento per rimanere in forma sembra quindi non evitare il rischio di femminilizzazione quando mangiar bene fa rima col non mangiare carne. La maschilità si offre ancora una volta al nostro sguardo come pratica incerta, instabile, continuamente sotto giudizio, in particolar modo quello che arriva dagli altri maschi. Ed è per questo che quando il cibo non permette di identificarsi con una maschilità dominante emerge il bisogno di confortarla e compensarla su altri terreni.

11È quello che accade anche ad Antonio che si dice vegetariano “al 90%” e che mangia carne solo quando è in famiglia e i suoi genitori lo “obbligano”. I giorni delle ricorrenze (specie i compleanni e le celebrazioni di feste religiose) sono divenuti una specie di ossessione. Antonio cerca di evitare i pranzi in famiglia per quanto possibile, ma i piatti a base di carne che la madre ormai anziana continua a preparargli adombrandosi come lui racconta quando il figlio non li assaggia lo costringono a venir meno ai suoi principi. Antonio non solo è convinto che mangiando carne rossa vada incontro a rischi per la sua salute ma è anche molto sensibile alle questioni etiche legate al consumo carnivoro: “io non amo i metodi di allevamento e di abbattimento degli animali che si usano oggi: gli animali sono trattati in modo disumano [...] Il problema è che in famiglia sono tutti carnivori, mia mamma [...] mi mette una fetta di carne nel piatto e poi mi guarda dicendomi: ‘l’ho fatta per te, almeno assaggiala’ ”. Antonio convive con problemi di ipertensione che cerca di combattere facendo attività fisica in maniera regolare e mangiando in maniera moderata e sana. Ma il suo sforzo di controllo e cura del sé sembra mal sopportato in famiglia nella quale anche la sorella insiste spesso assieme alla madre nell’incoraggiarlo a riempire il piatto. Il fatto che Antonio non sia sposato e non abbia una vita di coppia stabile e autonoma partecipa probabilmente a sostenere le ingerenze dei familiari. Così, Antonio ha messo a punto strategie specifiche per adattarsi ai pranzi in famiglia e schivare le intromissioni della madre o della sorella: “odio il formaggio e non ne sopporto l’odore quando è mischiato nella carne macinata [...] quando preparano le polpette devo mangiare l’uno e l’altra, quindi le cospargo di acciugata14 e ne butto giù una così sono tutti contenti e io sento solo il sapore della salsa”.

12Se in famiglia Antonio pare non aver bisogno di riabilitare la sua maschilità in altri modi, sul posto di lavoro, a mensa, dove i suoi piatti vegetariani dalle porzioni ridotte sono da tempo oggetto dei commenti dei colleghi, la situazione è diversa. La sua maschilità sembra doversi costruire diversamente, come se avesse la necessità di riscattarsi in qualche modo da uno stile alimentare poco consono al profilo del maschio. Nel suo racconto non sono tanto le scelte alimentari ad essere giustificate quando semmai la differenza tra il suo regime vegetariano e quello di un altro collega vegano. Proprio riferendosi a un altro uomo del suo gruppo di lavoro – che secondo Antonio non riesce a tenere testa alle prese in giro di cui è bersaglio nel corso delle pause pranzo a mensa – il nostro intervistato spiega:

Ti parlo [...] di un ragazzo timido [...]. Lo prendono sempre in giro per quello che mangia. A me no [...]. Le persone mi conoscono, sanno che sono uno che ne fa di tutti i colori, che si incazza facilmente, nessuno osa mettere in discussione la mia mascolinità [...] Io trasgredisco spesso, bevo volentieri, e al lavoro sono quello che si batte prima di tutti se c’è qualcosa che non mi piace. Io sono un tipo aggressivo, lui invece è docile.

13Antonio sembra voler compensare la sua maschilità che percepisce come potenzialmente a rischio del giudizio altrui esaltando alcune sue attitudini che egli stesso reputa virili: l’irascibilità o il consumo di alcool tramite cui controbilanciare la presunta debolezza che un regime vegetariano implicherebbe. Così, interpretando la sua maschilità come suscettibile di divenire subordinata in ambito lavorativo, tramite il confronto tra colleghi maschi Antonio individua una figura subalterna che si posiziona ancora più in basso nella sua gerarchia maschile: quella del collega vegano. Antonio viene a patti con le logiche delle identificazioni di genere descrivendo la sua come una maschilità egemonica attraverso la ricerca di un contromodello da subordinare: “tutti gli dicono: ‘ma che mangi i semi? Ma che credi di campare di più se mangi in quel modo?’ E lui zitto...”.

14L’ambiente lavorativo è un luogo privilegiato per la competizione tra maschilità. Talvolta più diventare un contesto difficile in cui condividere con i colleghi le proprie scelte alimentari ed esprimere liberamente i propri gusti, come il caso di Alberto sembra attestare in maniera emblematica. Elettricista che ha scelto la via vegana per ragioni innanzitutto etiche e in secondo luogo di salute, nel corso della sua intervista racconta dell’ostilità riscontrata in alcuni colleghi nei confronti della sua dieta e di come le canzonature per il suo regime alimentare abbiano talvolta superato i limiti travalicando i significati del cibo per divenire “ingiurie dirette alla persona: con alcuni colleghi sono arrivato a rompere ogni rapporto”. Ma è la sua esperienza da utente di un forum on line per lo scambio di consigli tra specialisti del settore elettrotecnico che sembra aver colpito di più Alberto:

La gente è cattiva. Ti racconto questa. Mi sono iscritto in un forum di riparatori e... Ti avrei fatto sentire [...]. Perché mi serve a volte scambiare consigli con colleghi che magari ne sanno di più di me su certe cose, come io faccio con loro in altre occasioni [...]. E insomma in questo gruppo decidono di organizzare una cena tra membri di questo gruppo, tutti maschi eh, e insomma nel giro di quindici giorni c’era una cena, quindi cominciarono a postare foto, “la bistecca non vedo l’ora, si mangia questo si mangia quest’altro” dicevano. Io non scrivevo molto sul forum, però a un certo punto gli scrivo “io non verrò, poi sono anche vegano!”. Non glielo avessi mai detto! Hanno cominciato a postare foto di bistecche, foto di salsicce, bistecche spuntavano ovunque, il “club della bistecca”, insomma, roba da scancellarsi subito dal gruppo. [...] Cominciarono a mandare le scritte “vegano stammi lontano”!

15Il contesto del web facilità probabilmente la presa di parola libera e svincolata dal confronto faccia a faccia, facendo cadere alcune barriere che si interpongono comunemente nelle interazioni interpersonali in presenza. Tuttavia questo tipo di situazioni richiamano da vicino tutta una dialettica che nel mondo della manosphere contemporanea15 prende sempre più piede. In tale contesto, l’utilizzo della categoria di soyboy (uomo di soia)16 per descrivere un modello di maschilità reputato poco virile e femminilizzato sottolinea come il nesso tra produzione di una maschilità forte, autoritaria, virile, e consumo di carne sia un riferimento simbolico valido e diffuso più di quanto si possa pensare: chi non aderisce a tale ideale è collegato a un modello di maschilità debole, che alla carne preferisce il legume, la soia appunto.

16In altri casi, però, l’ambito professionale in quanto palcoscenico di confronto e competizione tra profili maschili può essere usato in modo diverso. Laurent, magazziniere in un deposito di prodotti edili, sottolinea che pur essendo vegano, resta “uno dei più dinamici sul posto di lavoro”. Durante l’intervista Laurent racconta che i colleghi non avevano preso bene, all’inizio, la sua scelta di sposare questo tipo di regime17: “avevano paura che diventassi uno che non sta in piedi”. Come Sébastien, incontrato poco sopra, Laurent esalta i benefici del non mangiar carne, spiegando di non sentire più quella pesantezza che accompagnava i suoi pomeriggi di lavoro dopo la pausa pranzo in una rosticceria vicino al luogo di lavoro. Il regime senza carne diventa allora lo strumento per rivendicare una scelta che finisce per esaltare le qualità di una maschilità diversa: “tornano in magazzino non ce la fanno neanche a montare su un muletto, hanno sonno, mentre io sono lucido. Mi chiedono: ma come fai? Eh ci credo, con tutta la carne che mangiate!” afferma Laurent. Una logica piuttosto simile guida anche il racconto di Giulio il quale si dichiara vegetariano da oltre trent’anni e che non esita a far riferimento al suo passato da kickboxer per raccontare come questa attività sportiva – che continua a svolgere partecipando a gare regionali e nazionali non professionistiche – gli permetta di non essere percepito come un “debole” dai colleghi di lavoro, per giunta in un ambito professionale che lui stesso definisce prettamente maschile com’è quello delle guardie giurate:

Sono il solo vegetariano del mio gruppo di lavoro. Ma sono anche il più in forma! [...] Le battute e gli scherzi con me non reggono perché gli altri si dicono “se è così senza mangiare carne, figurarsi se ne mangiasse”. Loro sono tutti dei molli, e io sempre al top.

17Il bisogno di riaffermare in maniera diversa una maschilità comunque dominante, forte, ma che è messa in discussione, apertamente o implicitamente, mostra l’importanza che rivestono gli sguardi e le attese altrui sulle performance di genere degli intervistati. Le costruzioni maschili si strutturano allora su atti compensatori18 – espressi tramite la descrizione di condotte intraprese in altri ambiti di vita: lo sport per esempio, o semplicemente tramite una retorica discorsiva che si fa più aggressiva – che permettono di “recuperare” quella maschilità considerata (in parte) perduta e che gli stili alimentari alternativi sembrano minacciare. L’obiettivo è chiaro: riabilitare un’immagine di maschio che meglio convenga alle aspettative e al giudizio degli altri, specie degli altri maschi.

Le diete come arene di confronto tra maschilità

18Il racconto di Giulio, appena discusso, ha già permesso di anticipare i significati attribuiti alla pratica sportiva combinata con l’adozione di un regime alimentare alternativo in quanto strategia per l’espressione di una maschilità specifica. Questa dinamica la riscontriamo in modo forte nell’intervista con Umberto, che ha un passato da calciatore professionista e che continua a praticare sport a tamburo battente svolgendo allenamenti quotidiani in palestra nella pausa di lavoro a metà giornata. Diventato vegano negli ultimi anni della sua carriera agonistica, il cibo è presto divenuto centrale nella vita. Proprio il cibo è tra le ragioni che l’hanno portato a separarsi dalla moglie, la quale – come Umberto racconta – non ha mai accettato il rigore delle sue abitudini alimentari, le sue continue rinunce a tavola e la maniacalità con cui si dedica alle sedute d’allenamento in palestra, soprattutto in seguito alla conclusione della carriera sportiva professionistica. La nuova compagna di Umberto è anche lei appassionata di palestra e condivide con lui l’attenzione al regime alimentare pur non essendo vegana. Per Umberto non esistono motivazioni etiche dietro la volontà di non consumare prodotti di derivazione animale, ma si tratta semplicemente del miglior metodo alimentare che l’intervistato racconta di aver “trovato per coltivare il piacere di un corpo sano”. Sì, perché come afferma più volte nel corso della sua intervista il rapporto con il cibo si è da tempo spostato per lui “dal gusto per i sapori al piacere della cura del corpo”. Non sono più i gusti o la ghiottoneria a ispirarlo quanto piuttosto la volontà di utilizzare il cibo per perseguire il suo progetto di mantenimento di un corpo atletico con il quale combattere il tempo che passa: “non cerco verdure o frutta fresca. Compro di tutto, molte cose in barattolo, a lunga conservazione. L’importante è che sia roba vegana [...] me ne frego della qualità”. Ossessionato dalla possibilità di scoprirsi un giorno “incapace di dominare il [suo] corpo”, con la dieta vegana Umberto sostiene di aver iniziato a “ritardare l’invecchiamento”:

La mia carriera di calciatore mi ha insegnato a prevenire ogni possibile problema, da sempre, e ho capito che il primo modo per prevenire è togliere la carne dalla tua dieta. Poi sono passato al veganismo. Ho migliorato la mia disciplina, mi ha insegnato a conoscere ancora di più il mio corpo.

19In Umberto, il vero piacere dell’alimentazione sembra essersi trasformato in riconoscimento – suo ma anche da parte degli altri – della bontà delle scelte fatte in materia di dieta e regimi alternativi, di cui il corpo tirato a lucido da intense sessioni di allenamento è testimone visibile: “da più di dieci anni non prendo neanche un raffreddore” sottolinea orgoglioso risvegliando la retorica della maschilità guerriera che non ricorre alle cure perché non ne ha bisogno. Ancora una volta l’obiettivo è valorizzare una maschilità forte che si esprime tramite il completo controllo del corpo e delle sue necessità. L’incorporazione di questo modello maschile, che non mangia carne, che mangia poco in generale – “i miei pasti sono piuttosto degli spuntini: ne faccio almeno otto al giorno [...] un finocchio e uno yogurt di soia è quello che amo di più” – e che è totalmente dedito all’esercizio fisico, si presta comunque al giudizio degli sguardi omosociali. Originario di una regione italiana che si affaccia sul mare e in cui la carne non è un cibo così centrale nella gerarchia alimentare come invece lo è in Toscana, Umberto non nasconde le difficoltà incontrate nell’abituarsi a un’altra cultura culinaria (ossia della regione in cui abita ormai da molti anni) e ai giudizi cui si è più volte esposto quando il suo regime alternativo ha dovuto confrontarsi con le logiche della condivisione dei pasti al maschile.

Mi è capitato spesso di andare a cena con la squadra, con i tifosi, per le feste di fine anno, oppure per celebrare una vittoria o la fine della stagione. Qui in Toscana questo tipo di cene sono sempre carne carne carne. Pasta col ragù di carne, grigliate di carne, salsicce, maiale… Spesso non ho mangiato. Ma ciò che mi aiuta in queste situazioni è che posso giocare la carta del giocatore di calcio, nel senso che le persone sapevano che ero uno sportivo professionista e quindi si dicevano “non mangia, deve essere perché vuole restare in forma, avrà la sua dieta”. Ecco, e funzionava!

20Umberto non viola le “logiche della grigliata”19 come invece fanno altri intervistati quali Giulio – che in occasioni simili racconta divertito di aggiungere una pannocchia alle salsicce già sul fuoco attizzando l’ilarità dei commensali. Umberto riorganizza semmai la produzione della sua maschilità in funzione dei possibili giudizi che il suo stile alimentare può suscitare. In un contesto tipicamente maschile, quello dei tifosi e degli sportivi che organizzano un ritrovo conviviale per festeggiare la squadra, Umberto riconosce la mancanza di aderenza completa tra il modello di maschilità da lui offerto attraverso il suo stile alimentare e quello atteso dagli altri maschi presenti. Questa discrepanza non rimette in discussione la maschilità dominante di Umberto (tra l’altro sostenuta dal fatto che nelle squadre calcistiche in cui ha militato egli è stato spesso l’unico ad aver calcato anche i campi di serie A ed era quindi visto come l’idolo e il leader del gruppo). Tuttavia il suo ruolo egemonico sembra comunque doversi confrontare con la mancata identificazione con una caratteristica principale richiesta alla maschilità in quella precisa situazione omosociale: mangiare la carne. La sua perfomance di genere attraverso il cibo è dunque costretta ad adattarsi e, tramite l’utilizzo del profilo del calciatore vincente, cerca altre vie di fuga: “Arrivavo sempre un po’ in ritardo così la carne era già tutta finita e rimanevano sempre e solo insalata e pomodori nelle zuppiere. Io mi ci buttavo a capo fitto”.

21Altri intervistati incontrati nel corso della ricerca hanno fatto riferimento ad amici che praticano sport per lavoro con l’intento di sottolineare quanto la maschilità sportiva possa servirsi del proprio corpo per confermare e rinnovare l’ideale dell’uomo per cui la cura della fisicità è un mestiere e un obiettivo in sé20 che lo “scagiona” dal giudizio sulla dieta adottata. Emanuele, per esempio, racconta come nel suo gruppo di amici l’unico che non viene preso in giro se ordina un’insalata al ristorante durante i ritrovi tra maschi è colui che gioca a basket in una società professionistica e che accetta di partecipare ai pranzi solo a condizione di poter mangiare diversamente dagli altri per non alterare i suoi ritmi di vita d’atleta. Christophe, così come Gianluca, riferendosi ad amici che lavorano nel corpo militare, che curano il loro fisico con ore e ore di palestra e che fanno molta attenzione a ciò che mangiano, spiegano come nessuno si sogni di chiedere loro perché non abbinino “una birra a una pizza” o “un dessert al piatto principale” al ristorante. Tornando a Umberto, sembra evidente che questo intervistato trovi nella messa in scena della sua maschilità sportiva una strada per sottrarsi a eventuali commenti da parte dei tifosi che partecipano alle cene festive. Senza dubbio la sua posizione egemonica nella relazione con gli sportivi che accorrono alle cene facilita l’attitudine complice da parte dei tifosi nei confronti della maschilità di Umberto. Questa complicità omosociale appare ancora più evidente quando l’intervistato evidenzia il divario tra il suo vissuto pubblico e le difficoltà incontrate invece in famiglia nel far accettare il suo regime alimentare e il suo stile di vita. Nella sfera privata, infatti, il modello di maschilità vincente incorporato nello spazio pubblico sembra non funzionare e mostra – tra le altre cose – quanto la variabilità delle pratiche di genere si manifesti in base agli attori che investono le comunità di relazioni21 attraversate dagli intervistati. Il richiamo alla figura del suocero nel racconto di Umberto non è casuale, e rivela il senso di uno scenario diverso di competizione tra maschilità in ambito privato e familiare: “quando facevamo i pranzi in famiglia con i suoceri ero considerato come un alieno. Mio suocero in particolare non lo sopportavo: ‘non ti contiamo a tavola vero?’ mi diceva sempre, ‘Tanto tu non mangi niente di quello che mangiamo noi’”.

22L’adozione di un regime alternativo che mette in competizione le maschilità può però tradursi anche in strategia di vera e propria distinzione di gusti sociali, intesa in senso bourdesiano. È quello che possiamo riscontrare nel caso di Giorgio, medico, che si definisce vegetariano pur affermando di fare alcune sporadiche eccezioni solo per il tonno, specie per il sashimi. Il giorno dell’intervista Giorgio si presenta al nostro appuntamento nel suo studio con un bicchierone di centrifugato alla frutta preparato con l’estrattore che lui stesso ha installato sul luogo di lavoro. Mi spiega che quello è il suo pranzo e mi annuncia che per trovare il tempo per l’intervista ha dovuto rinunciare alla sua ora di palestra giornaliera che potrà recuperare solo spostando una riunione del giorno dopo. Tutto è rigorosamente definito e organizzato nella sua agenda in funzione delle sue priorità: alimentazione e attività fisica.

23Originario di una famiglia benestante del capoluogo toscano e cresciuto in città, Giorgio risiede in una cittadina della campagna fiorentina in cui è arrivato ormai da molti anni per desiderio della moglie che voleva avvicinarsi ai genitori dopo la nascita del loro primo figlio. Nonostante la separazione, Giorgio ha deciso di rimanere in provincia per restare vicino ai suoi bambini negli anni delle scuole e si è ritrovato a costruire la sua attività professionale in questo piccolo centro lontano dalla dimensione cittadina a cui era abituato. Tale parabola è vissuta da Giorgio come un progressivo avvicinamento a un mondo rurale dal quale prende più volte le distanze nel corso dell’intervista, riaffermando con ardore le sue origini cittadine e altolocate. La dieta vegetariana e lo stile di vita che adotta si traducono allora in fattori distintivi non solo in termini d’abitudini alimentari rispetto al forte consumo di carne che caratterizza la cultura di campagna in cui è immerso, ma anche in termini di origini e gusti sociali:

Io non sono un cinghialotto come gli uomini di qui [inteso come “del posto”], gente che mangia di tutto come un animale e che fa rumore mentre mangia [...] la mia dieta è anche una scelta di vita, uno stile di vita. È legata all’attenzione e all’importanza che attribuisco all’estetica, al fatto di essere piacevole agli occhi degli altri, sia fisicamente che attraverso i modi di fare [...] per me l’estetica e l’eleganza sono fondamentali.

24La differenza tra uomo e animale permette a Giorgio di esaltare la grazia del modello di maschilità che intende veicolare facendo il confronto con la presunta sguaiatezza che caratterizzerebbe le persone e soprattutto i maschi appartenenti al contesto sociale nel quale vive adesso. Malgrado il fisico scolpito da ore e ore di palestra, e la sua ossessione per gli esercizi fisici che lo ha portato in alcuni frangenti della sua vita a voler diventare “come Bruce Lee” o a pesarsi anche “dieci volte al giorno” per controllare la sua massa muscolare, Giorgio sembra trovare identificazione in un canone estetico quasi sorprendente rispetto al modello di maschilità che incorpora: il canone della leggerezza22, dell’eleganza, della signorilità. La scelta vegetariana combinata con l’esercizio fisico si trasforma di nuovo in strumento per sfidare il tempo che passa, per esaltare i vantaggi della disciplina del corpo che lui stesso si è imposto. Questo insieme di caratteristiche sembrano sintetizzarsi nell’espressione suprema di un tipo particolare di maschilità, quella predatrice e necessariamente eterosessuale che fa della virilità il suo tratto distintivo23. Sono le relazioni con l’altro sesso e l’esaltazione delle sue capacità di seduttore che si configurano infatti come unità di misura adottate da Giorgio per stimare la riuscita del suo progetto di ottimizzazione del corpo e del suo stile di vita attraverso l’esercizio fisico e l’alimentazione:

Ero sposato con una ragazza di quindici anni più giovane di me e ora ho una compagna di 25 anni. Voglio dire, pensi ce ne siano tanti che hanno 50 anni e che si possono permettere di avere una così giovane? Non ho niente da dimostrare, che funziono sessualmente, eccetera. Quando ci ritroviamo con gli amici del liceo, i miei compagni mi chiedono sempre come faccio, perché stanno tutti con delle vecchie di 48 anni, perché per me quelle di 48 anni sono vecchie! [...] Non ho bisogno di dimostrare che sono un uomo, che sono un lupo, un maschio alfa, mangiando la carne [...]. Io dimostro che sono un uomo presentando la mia fidanzata agli altri [...]. Vedessi che facce che fanno quando arrivo alle cene, tutti mi chiedono “ma come fai oh?”.

25La maschilità messa in scena da Giorgio riunisce numerose caratteristiche tipiche del profilo egemonico: la potenza eterosessuale, la moltiplicazione delle conquiste femminili, la riaffermazione del divario d’età tra lui e le partner più giovani. Ma la costruzione di tale racconto della maschilità sembra permettergli soprattutto di imporre il dominio del suo profilo di maschio sulle maschilità concorrenti, quelle degli ex compagni di scuola, quelle dei colleghi, e finanche la mia di maschio più giovane di lui che lo sta intervistando. È così che Giorgio situa la sua maschilità in vetta alla gerarchia dei maschi, guardando dall’alto in basso i maschi complici e subalterni con cui si confronta. La donna, il cui “consumo” sembra drammaticamente sostituire la mancanza di consumo di carne, diventa la figura testimone della “buona” maschilità di Giorgio. Come una vasta letteratura internazionale ha mostrato, le gerarchie inter-genere (tra uomini e donne) si costruiscono e si alimentano attraverso le relazioni asimmetriche intra-genere (tra maschi): la partner sessuale (potenziale o reale) diventa mezzo per mettere in scena, agli occhi di altri maschi, la propria virilità e assumere una posizione egemonica nella relazione tra maschilità24. Alla scelta vegetariana sono così attribuiti nuovi significati: spogliata di ogni riferimento a una presunta attitudine femminilizzante essa diventa al contrario fattore di sostegno e conferma di una maschilità egemonica25, del maschio “più maschio” degli altri.

26L’analogia tra adozione di un regime vegetariano e conferma di una maschilità sessualmente attiva e dirompente permette dunque di destituire di fondamento il sospetto per il quale il mancato consumo di carne indebolirebbe la virilità. Questo tipo di retorica è diffusa tra gli intervistati. Come nel caso di Sebastiano, diventato vegetariano durante la sua giovinezza – “sono uno dei primi vegetariani in Italia”. Avvicinandosi ai 60 anni, questo intervistato guarda con un certo stupore al suo passato e alle sue scelte in materia d’alimentazione ripensando alle origini contadine della famiglia: “i miei lavoravano la terra e allevavano bestiame [...] mangiavamo carne quasi sempre [...] tutto avrei detto tranne passare quarant’anni senza mettere in bocca carne”. Ispirato da ragioni prima di tutto etiche – “non mangio esseri viventi che hanno un cuore come me” – ma anche di salute (la sua ipercolesterolemia), Sebastiano è vegetariano ma sposato con una donna che continua a mangiare carne a casa e che reputa importante farne mangiare anche ai due figli della coppia. Per Sebastiano questo non è un problema perché, forte dei suoi principi, sostiene che i figli possano vedere con i loro occhi la bontà del suo stile di vita fatto di attività sportiva e alimentazione vegetariana: “va bene che sono un omone [riferendosi alla sua stazza e alla sue fattezze fisiche massicce] ma ti sembro uno sofferente? [...] la gente pensa che i vegetariani siano tutti debolucci [...] nessuno penserebbe a me come a qualcuno che non mangia carne”. Se nelle cene con gli amici ama sostituire la carne con un piatto di fagioli, il rapporto con il suo corpo è veicolo per una identificazione con una maschilità capace di resistere agli sforzi fisici, di competere con altri maschi anche più giovani, e in grado di mettere in mostra virtù (etero)sessuali specifiche: un insieme di aspetti utilizzati da Sebastiano per smentire il luogo comune del vegetariano debole.

Mi piace camminare, non è che siccome sono vegetariano non ho le forze per fare attività fisica. Anzi, ho fatto tante volte il cammino di Compostela, e i giovani che erano con me non ce la facevano a starmi dietro [...]. Te lo dico chiaramente, anche se sono vecchiotto ho più possibilità di rimorchiare io dei giovani. Cinque volte ho fatto il cammino di Compostela, cinque volte potevo scopare con cinque donne diverse.

27Come vediamo, la maschilità che si costruisce attraverso il rapporto con il regime alimentare adottato nel tentativo di allontanare da sé i rischi di un possibile indebolimento dei suoi tratti egemonici segue percorsi di espressione molteplici. Si tratta di pratiche di genere contestualizzate, che si mettono in atto secondo il contesto di interazione e gli interlocutori in gioco. L’ideale egemonico può quindi essere anche re-investito di nuovi significati come avviene per Jean-Claude. Preoccupato dal sovrappeso e da alcuni problemi all’apparato cardio-circolatorio, da tre anni Jean-Claude ha iniziato a fare sport in maniera frequente, alternando due sessioni di corsa settimanali a lunghe passeggiate con la moglie. Racconta di aver perso otto chili nel corso del primo anno da vegetariano e non nasconde il suo orgoglio nell’aver riacquistato, “dopo anni di buio”, una nuova vitalità. Jean-Claude è appassionato di Harley Davidson e la sua nuova forma fisica non è passata inosservata agli occhi dei compagni del club di moto con cui condivide raduni e gite sulle due ruote. Gli incontri con gli altri appassionati sono anche l’occasione per condividere pasti, spesso all’aperto, sui prati della campagna alsaziana al confine con la Svizzera, e in cui la carne grigliata regna sovrana. I vasetti di vetro colmi di verdure preparate a casa che sfila dal suo borsone in quelle occasioni “mentre gli altri addentano salsicce” ricorda un po’ il gusto che Giulio prova aggiungendo una pannocchia alla carne che cuoce sulla griglia. Ma l’azione di Jean-Claude è ormai una consuetudine che non sembra più sorprendere i compagni di raduno, in gran parte maschi, che orientano su altri obiettivi i loro commenti circa la maschilità e la prestanza fisica dell’intervistato:

Il mondo delle moto è molto maschile. Pesare anche 120 chili è normale visto che deve tenere in piedi una moto da 400. Mi hanno visto dimagrire e i commenti si sono sprecati: ti cadono i pantaloni, non riesci più a tenere la moto, non hai più le forze per guidarla…

28Jean-Claude taccia le canzonature di cui è vittima alla stregua di forme di gelosia e ne riutilizza i significati per negoziare un nuovo margine di manovra a partire dalla posizione subordinata che i compagni di raduno sembrano volergli assegnare all’interno delle relazioni omosociali. Corpo svelto, capelli e barba ben curati alla maniera hipster, Jean-Claude rivendica orgogliosamente la volontà di incorporare una maschilità che ridefinisce l’immagine del motociclista, sostituendo le qualità della forza, della virilità, della prestanza fisica, con quelle della leggerezza e della vitalità ritrovate in età adulta. Ancora una volta, alcune presunte caratteristiche considerate “più femminili” sono reinterpretate per agire diversamente le norme maschili e ridefinire i rapporti tra uomini. Come nel caso di Sebastiano, anche Jean-Claude è testimone di una maschilità che attraversa una nuova gioventù, che è in grado di competere non solo con i coetanei ma anche di far presa sui più giovani: “i ragazzi che entrano nel gruppo Harley si dirigono tutti verso di me, subito, non vanno verso gli altri […] gli altri danno una immagine veramente sorpassata del motociclista, i tempi sono cambiati, le persone sono cambiate”.

Stili alimentari e nuove dinamiche di distinzione sociale

29Le testimonianze analizzate sinora ci mostrano in che modo l’accesso alle diete alternative, ai regimi vegetariani o vegani – che siano adottati in maniera integrale o in maniera flessibile e personalizzata – sono uno spazio allo stesso tempo di riconoscimento e distinzione di maschilità e gusti sociali. Gli stili di vita intrapresi dagli intervistati per completare e arricchire i significati attribuiti alle loro diete alimentari rivelano quanto l’origine sociale degli uomini incontrati non sia l’unica discriminante che detta le condizioni delle pratiche alimentari. Non sembra di poter dire che i regimi culinari alternativi siano una caratteristica esclusiva di soggetti appartenenti alle classi sociali più abbienti e alle categorie professionali privilegiate. Tuttavia è possibile riconoscere altre strategie di giustificazione del regime alimentare intrapreso che variano in base ai profili sociali degli intervistati e che operano tramite una logica per certi versi più fine e complessa. Nella prospettiva che propongo, capitali scolastici, culturali e simbolici del soggetto si mescolano, aggiungendosi alle caratteristiche della categoria socio-professionale e dell’origine familiare: ciò conduce gli intervistati appartenenti alle classi sociali più agiate a costruire una retorica specifica di giustificazione dello stile alimentare adottato attraverso la quale tracciare confini tra “i miei consumi” e quelli “degli altri”. Tale meccanismo sembra funzionare anche quando si sta parlando di una dieta adottata da altri uomini delle stesse origini sociali o di origini sociali differenti. È qui che il significato attribuito al gusto in quanto fattore sociale diventa “affermazione pratica di una differenza necessaria” come scrive Bourdieu26, e permette di non limitarsi a una lettura essenzializzante27 della distinzione tra classi sociali o tra capitali scolastici degli intervistati. Gli uomini che si situano più in alto nella scala sociale e che adottano un regime alimentare specifico sembrano quindi riconoscere che quel regime non è loro esclusivo ma riaffermano in maniera evidente come, di fronte a quel particolare regime alimentare, loro – e non gli altri – sono più in grado di scegliere prodotti di maggiore qualità, riconoscerne il valore e il significato più profondo, coglierne sfumature e usi che sarebbero loro esclusivi e inaccessibili ad altri uomini.

30Un esempio di questa retorica la troviamo nel racconto di Jean-Baptiste che ha un passato di dirigente di una multinazionale e che intorno ai 40 anni ha deciso di lasciare il suo lavoro per convertirsi in agricoltore. Nel corso dell’intervista spiega cosa abbia significato per lui abbandonare un mestiere di cui i genitori erano fieri e che si era configurato come prosecuzione naturale degli studi universitari completati con brillanti risultati. Iscrivendo la sua testimonianza in una cornice di rifiuto di un modello maschile egemonico neoliberista, Jean-Baptiste spiega di aver trasformato il suo percorso professionale in una vera e propria sfida etica e anche economica: aprire nelle campagne alsaziane una piccola azienda agricola, autosufficiente, in grado di produrre interamente sul posto tutti i prodotti utili al fabbisogno dei suoi dipendenti e ai membri della comunità di agricoltori e allevatori che gravitano attorno. In questa azienda Jean-Baptiste non voleva essere dirigente ma agricoltore. Certo, la disponibilità economica della famiglia e le risorse accumulate durante la sua vita professionale precedente sono fattori che l’hanno aiutato in tale impresa: ma è nella passione e nella percezione del cibo come fonte per accedere alla “naturalità delle cose” che Jean-Baptiste situa il vero significato di questa nuova fase di vita: “e in questo i soldi non c’entrano”. Da ciò deriva anche la decisione di adottare una dieta che lui definisce vegetariana ma in cui fa rientrare anche il consumo saltuario di carne prodotta nella sua azienda agricola: la sola che accetta di mangiare perché ne conosce interamente il processo di produzione. Tale condizione gli permette di definire il confine e le differenze tra il suo modo di intendere la dieta vegetariana e gli stili vegetariani di altre persone:

Sai quante persone conosco che non mangiano carne e poi mangiano altre schifezze. Non toccano la carne ma poi mangiano spazzatura [...]. Non è perché mangi verde che mandi giù cose buone [...]. Quando ti parlo di mangiare sano, mangiare bene, ti parlo di scegliere prodotti pensati dalla A alla Z a contatto con la natura. Il sale, per esempio: non esiste che io compri il sale al supermercato, quello che trovi negli scaffali. Il sale alle erbe che facciamo noi è l’unico che consumo. Non pensare che chi è ricco badi necessariamente al sale che mette in tavola. In questo devo ringraziare i miei perché a casa sin da piccolo mi hanno sempre insegnato il valore dei prodotti.

31Socializzazione familiare, disponibilità economica e capitale culturale interagiscono permettendo a Jean-Baptiste di distinguersi tra i consumatori alternativi, proprio come accade per Daniele, dirigente di una scuola privata che ha imparato a gestire in modo personalizzato il rapporto con il suo corpo e con l’alimentazione. Dapprima afferma di essere un vegetariano “particolare” perché “la selvaggina la mangio volentieri” in quanto non violata dalle pratiche d’allevamento. In seguito rivendica la bontà del suo stile alimentare attuale basato soprattutto su porzioni di cibo molto ridotte: “sto cercando di fare del pasto un momento di piacere, mangiare anche poco, pochissimo, togliendo invece di aggiungere, per capire in che momento preciso il mio corpo si sazia davvero”. Attraverso l’esaltazione di una specifica tecnica di confronto col suo corpo, appresa e ottimizzata col tempo e l’esperienza28, è una maschilità modesta e contenuta di fronte al cibo che viene esaltata. Si tratta di un modello di genere alternativo che si identifica nella celebrazione di un gusto quasi estetico e certamente meno materiale e istintivo per il cibo, attraverso cui è possibile riaffermare la differenza rispetto ad altri maschi, i suoi amici nella fattispecie, che “mangiano senza capire” sottolinea Daniele. Senza nascondere le sue origini facoltose, Daniele racconta il suo percorso di esplorazione di differenti regimi alimentari, dalla cucina macrobiotica alle incursioni per brevi periodi nel veganismo fino all’equilibrio trovato, oggi, nelle scelta di una dieta prevalentemente vegetariana e imperativamente basata sull’assenza di zuccheri raffinati e consumo di latticini (oltre che sul consumo di piccole dose di cibo in generale, come detto). Sorprendente, in questo senso, è il parallelismo con un altro intervistato incontrato stavolta in Francia, Maurice, anche lui dirigente scolastico che dopo essere passato per l’alimentazione macrobiotica e altri periodi di veganismo e vegetarismo si identifica al momento dell’intervista con lo stesso stile alimentare di Daniele, prevalentemente vegetariano, ma che l’intervistato desidera definire in questo caso “regime flessitariano”. Come per Daniele anche per Maurice il rapporto con l’alimentazione è una “ricerca continua”, finanche “spirituale”, che si intreccia infine con una volontà di veicolare una immagine diversa della maschilità rispetto a quella patriarcale: “odio l’uomo che si mette a tavola e aspetta che la moglie gli serva la cena [...] mi sento a mio agio anche con il grembiule da cucina”. Il rapporto con la carne diventa uno spazio per rimarcare la distanza dagli altri uomini, come spiega ancora Daniele:

Quando andiamo a cena gli amici mi provocano un po’ per sapere se ho già mangiato quel pezzo di carne che ci ha portato il cacciatore, se l’ho cucinata io o se l’ho fatta preparare a mia moglie. Oppure mangiano veloce per vedere con quanto ritardo finisco rispetto a loro, perché mangio piano. È un po’ un gioco, è ironico eh [...] Non mi vergogno, non ho problemi a confrontarmi sul cibo. Diciamo che ho meno problemi di loro a parlare di questo mio rapporto col cibo, perché poi credo che anche loro quando sono soli hanno una certa gentilezza nei confronti di quello che mangiano.

32Una relazione più “pensata” e caratterizzata da una riflessione continua con la propria dieta e il proprio stile alimentare sarebbe dunque qualcosa di cui gli altri uomini si vergognerebbero, specie all’interno dei rapporti omosociali secondo Maurice e Daniele. Ciò non accadrebbe invece per questi due intervistati, che esaltano il significato e il valore delle loro scelte alimentari in quanto territorio di differenziazione del loro gusto e della loro maschilità. In tal senso non è più l’esaltazione della virilità – ampiamente discusse nelle pagine precedenti – che permette di respingere le canzonature degli altri uomini. È semmai il carattere dissidente e alternativo della maschilità di Daniele e Maurice – sostenuto e confortato dallo status sociale della loro professione, dalle loro risorse economiche, dal loro capitale culturale – che vengono utilizzati per iscriversi, in maniera originale, in una posizione di forza nei rapporti tra maschi.

Notes de bas de page

1 C. Fischler, Alimentation, morale et société, in I. Giachetti (a cura di), Identité des mangeurs, images des aliments, Paris, Polytechnica, 1996, pp. 33-55.

2 M. Douglas, Deciphering a meal, «Daedalus» 101, 1, 1972, pp. 61-81.

3 N. Fiddes, Meat: a Natural Symbol cit.

4 L’Italia, con la pasta, potrebbe rappresentare effettivamente un’eccezione a questa regola, ma non possiamo dimenticare che l’Italia è ancora oggi uno dei Pae-si che si posiziona più in alto nella classifica dei consumi di carne in Europa, assieme a Francia e Germania. In altri Pae-si del mondo, invece, la pasta (o il riso) è utilizzata come accompagnamento da abbinare a un piatto principale, solitamente a base di carne.

5 P. Bourdieu, La distinzione cit.

6 J. Twigg, Vegetarianism and the Meanings of Meat cit.

7 C. J. Adams, The Sexual Politics of Meat. A Feminist-Vegetarian Critical Theory, New York, Continuum, 1990.

8 G. Simmel, La moda, Milano, Mimesis, 2015 (1910).

9 Nel corso del capitolo vedremo che, nel presente studio, anche l’accesso alle diete vegane e vegetariane non è una prerogativa esclusiva degli intervistati di origini sociali privilegiate: è semmai il significato attribuito a queste diete – o alla qualità dei prodotti acquistati – che viene utilizzato dagli intervistati maggiormente dotati in termini di capitali sociali, culturali ed economici per distinguere i loro consumi dal gusto “degli altri”.

10 J. Nath, Gendered Fare? cit.

11 M. K. Mycek, Meatless Meals and Masculinity cit.; Greenebaum J., Dexter B., Vegan Men and Hybrid Masculinity, «Journal of Gender Studies», 27, 6, 2018, pp. 637-648.

12 J. Brady, M. Ventresca, Officially a Vegan Now cit.; J. B. Lax, A. Mertig, The Perceived Masculinity of Meat: Development and Testing of a Measure across Social Class and Gender, «Food, Culture & Society», 23, 3, 2020, pp. 416-426.

13 M. Flood, Men, Sex and Homosociality: How Bonds between Men Shape Their Sexual Relations with Women, «Men and Masculinities», 10, 3, 2008, pp. 339-59.

14 Salsa piuttosto diffusa in Toscana, a base di acciughe sotto sale, utilizzata soprattutto per il condimento di carne rossa.

15 Con questo termine si fa riferimento a una piuttosto vasta comunità on line che, specie attraverso i social network, si batte contro una presunta crisi della maschilità contemporanea attraverso rivendicazioni misogene, sessiste e discriminatore sia verso il femminismo e la retorica femminista che verso quei maschi reputati “non sufficientemente maschi” per rappresentare la categoria. Per un’analisi del fenomeno in Italia (e all’estero) si veda il numero tematico “Fare maschilità online: definire e indagare la manosphere” della rivista «AG AboutGender. International Journal of Gender Studies» (a cura di M. Cannito, I. Crowhurst, R. Ferrero Camoletto, E. Mercuri, V. Quaglia, 10, 19, 2021).

16 C. Jones, V. Trott, S. Wright, Sluts and soyboys: MGTOW and the production of misogynistic online harassment, «New Media & Society», 22, 10, 2020, pp. 1903-1921.

17 Che Laurent adotta da tre anni al momento dell’intervista.

18 D. Schrock, M. Schwalbe, Men, Masculinity, and Manhood Acts cit.

19 J. Nath, Gendered Fare? cit.

20 R. W. Connell, Maschilità cit.

21 C. Paetcher, Masculinities and femininities as communities of practice, «Women’s Studies International Forum», 26, 1, 2003, pp. 69-77.

22 F. Parasecoli, Feeding Hard Bodies cit.

23 V. Fidolini, Heteromasculinities. Sexual Experiences and Transition to Adulthood among Young Moroccan Men in Europe, «Men and Masculinities», 23, 2, 2020, pp. 242-265.

24 Si vedano tra gli altri: M. Gourarier, Alpha mâle. Séduire les femmes pour s’apprécier entre hommes, Paris, Seuil, 2017; M. Flood, Men, Sex and Homosociality…cit.

25 M. K. Mycek, Meatless Meals and Masculinity cit.

26 P. Bourdieu, La distinzione cit., p. 53

27 D. Serre, Le capital culturel dans tous ses états, «Actes de la recherche en sciences sociales», 1, 191-192, 2012, pp. 4-13.

28 M. Mauss, Le tecniche del corpo, in Teoria generale della magia e altri saggi [1936], Torino, Einaudi, 1991, pp. 385-409.

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