2. Il cibo come prevenzione
Maschi e controllo della salute
p. 46-64
Texte intégral
1La salute e i significati del vivere in buona salute si affermano sempre più in quanto valori strutturanti nelle società contemporanee, e questo ormai da almeno trent’anni1. In tale scenario la cultura del “mangiar bene” rinvia oggi non solo ai fattori gustativi di una esperienza culinaria di alto livello, ma anche – e forse soprattutto – a una rappresentazione dell’alimentazione intesa in quanto pratica di salute.
2Diciamolo chiaramente: nelle nostre società occidentali il cibo è anche divenuto fonte di potenziali rischi. Per tale ragione i consumatori contemporanei sembrano fare sempre più attenzione – sebbene con intensità diverse secondo gli individui presi in considerazione, la loro origine sociale, le loro competenze – alle proprietà nutrizionali degli alimenti acquistati o scelti da un menu, alla loro provenienza, alle modalità di loro produzione e distribuzione. I consumatori si ritrovano sempre più frequentemente a riflettere sulle loro scelte a tavola per orientarle verso percorsi virtuosi. Il cibo è convocato in modo costante tra i fattori che possono giocare un ruolo importante nel contribuire a causare o, al contrario, a prevenire tutta una serie di patologie. Se pensiamo agli uomini adulti della fascia dei 40-60 anni ai quali ci interessiamo qui l’attenzione è particolarmente focalizzata su disfunzioni quali l’eccesso di colesterolo, le malattie cardiovascolari, l’ipertensione, il diabete, sino ad arrivare ai tumori. Ecco allora che le prescrizioni in materia d’alimentazione proliferano; le riconosciamo nelle linee guida suggerite dalle autorità mediche, le rintracciamo nella retorica dei professionisti sanitari che consultiamo o che ci visitano (e a cui ci rivolgiamo anche per ragioni non direttamente legate alle abitudini alimentari), penetrano e conquistano sempre più spazio anche nei contesti non medicalizzati (l’attività sportiva amatoriale e di piacere, le discussioni con i pari...), nella retorica politica, nelle campagne di sensibilizzazione, sui media. Un esempio tra molti, interessante dal punto di vista della ricerca su cui poggia questo volume, è il dibattito che si è aperto nell’ottobre 2015 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per la prima volta, ha parlato apertamente dei possibili nessi tra elevati consumi di carne rossa e probabilità di sviluppare neoplasie2. Lo scenario che abbiamo sotto gli occhi è quello di una crescente medicalizzazione dell’alimentazione, che carica l’atto del consumo culinario di nuove facoltà, nuovi significati, nuovi rischi ma anche nuove promesse.
3L’alimentazione, in questo senso, diventa terreno fertile per un intervento massiccio di pareri e preconizzazioni sanitarie. La crisi pandemica ci ha duramente allenato all’esercizio del monitoraggio della nostra salute e dei comportamenti che possono lederne l’integrità (quanti di noi, per esempio, hanno oggi un saturimetro in più in qualche cassetto della propria abitazione). L’attualità più recente non può però farci dimenticare d’un sol colpo che tale lavoro di sorveglianza sugli stati di salute del proprio corpo ha nelle pratiche alimentari e negli stili di consumo un potente dispositivo di controllo e monitoraggio del sé che è all’opera ormai da tempo: da ben prima che la pandemia sconvolgesse le nostre abitudini. Per descrivere tale tendenza Jean-Pierre Poulain afferma che le società contemporanee sono attraversate ormai dagli anni Novanta da un vasto processo di “nutrizionalizzazione”3, e sottolinea quanto l’educazione alimentare sia divenuta un tema decisivo nella nostra epoca. L’alimentazione è divenuta un luogo di vera e propria ottimizzazione del sé4, uno spazio d’esperienza nel quale l’atto gustativo e il bisogno fisiologico di nutrirsi dialogano con i nuovi significati che gli individui attribuiscono al cibo, rivestendo le pratiche alimentari di interpretazioni contraddittorie5, tra timore per i rischi in cui possono farci incorrere e promesse di buona salute che sembrano poter mantenere.
4Proprio in questo senso, le interviste realizzate nel corso della ricerca presentata in questo volume hanno messo in evidenza quanto per gli uomini adulti la “buona alimentazione” rappresenti una pratica capace di costruire, quotidianamente, un “progetto di lunga vita” come lo definisce uno degli intervistati, Didier. Certo, come vedremo, la nozione di “buona alimentazione” riveste significati plurali e non è certo univoca nel racconto degli uomini incontrati. Anzi, essa si presta a differenti interpretazioni, rappresentazioni, narrazioni, tanto più che anche scientificamente appare difficile definire in maniera universale quale sia la buona alimentazione. Ma è proprio in questo spazio interpretativo, variabile e multiforme, lasciato aperto dalla definizione stessa di “mangiar bene”, che si iscrivono le retoriche degli uomini incontrati e le loro strategie di sorveglianza delle pratiche alimentari.
Maschilità, medicalizzazione del cibo e età adulta
5Prima di addentrarci nello studio delle strategie maschili di controllo e monitoraggio dei consumi mi sembra interessante soffermare lo sguardo sul perché di una analisi sulle pratiche alimentari di uomini adulti in riferimento alle questioni di salute. L’energia e l’interesse che gli intervistati mettono nel fare delle loro scelte a tavola uno strumento concreto per perseguire il benessere fisico e psichico sembrano infatti avere ragioni e cause precise. Tra queste, vi è senza dubbio un fattore epidemiologico. Lo abbiamo detto, la ricerca ha coinvolto uomini di età compresa tra i 40 e i 60 anni, e la letteratura medica concorda nel riconoscere che proprio questa fascia d’età risulta essere la più sollecitata dall’emergenza di patologie e disfunzioni legate anche ad abitudini alimentari scorrette o disordinate. Proprio in questo periodo della loro biografia i maschi si ritrovano a confrontarsi con i primi allarmi legati all’ipercolesterolemia, all’ipertensione, all’eccesso di peso o a complicazioni legate al diabete, in particolar modo quello di tipo 2. In questa fase biografica gli uomini scoprono altresì i loro fattori di rischio e proprio l’alimentazione diventa una delle sfere di vita su cui si riversano le attenzioni dei professionisti medici per il trattamento di tali disfunzioni. In qualche modo – e spesso per la prima volta nel loro corso di vita – gli uomini si confrontano direttamente con la questione dell’invecchiamento e inaugurano quella che in alcuni studi è stata definita l’età delle debolezze6. Ora, non tutti gli uomini incontrati nel corso della ricerca sono colpiti da una delle disfunzioni menzionate poco sopra, ma ciò che è apparso interessante approfondire in sede d’analisi dei dati empirici è stato proprio il continuo riferimento a tali (e altre) patologie tra gli intervistati anche quando non si trovavano a dover fare i conti con questi particolari problemi di salute. Il ventaglio di disfunzioni cui abbiamo appena accennato entra prepotentemente nei loro scenari di riferimento: le pratiche alimentari adottate sono il primo campo di intervento su cui gli intervistati agiscono. Queste si trovano ridefinite dal desiderio o dal progetto di prevenire i rischi sanitari legati all’avanzare dell’età. In tal senso la medicalizzazione delle pratiche alimentari non sarà qui esplorata in maniera rigida per capire come e se gli uomini intervistati adottino le raccomandazioni mediche e sanitarie prescritte7, quanto piuttosto in qualità di spazio personalizzato che i maschi incontrati costruiscono per elaborare differenti tecniche di sorveglianza del loro corpo e del loro stato di salute.
6Oltre a queste evidenti implicazioni mediche, un’altra ragione mi ha spinto a concentrare l’attenzione proprio su un gruppo di uomini appartenenti alla fascia d’età dei 40-60 anni. Quello dell’età adulta, in effetti, non è certo un tema centrale nella letteratura sulle maschilità8. In maniera più generale, la sociologia si è interrogata in modo sporadico su questa specifica fase di vita senza che un vero e proprio campo di ricerche autonomo emergesse, come invece è accaduto per altre fasi biografiche quali la giovinezza o l’invecchiamento9. In effetti l’età adulta appare difficile da circoscrivere e finisce spesso per essere ridotta, nelle rappresentazioni dominanti, a una fase di stabilità nella quale l’individuo, il maschio in questo caso, attraversa una stagione che si situa tra le turbolenze appunto giovanili e l’ingresso a piccoli passi nel viale dell’invecchiamento. Una fase di stallo, per dirla in modo grossolano, che però di stallo sembra avere ben poco. La stagione della middle age, infatti, è tutt’altro che impermeabile a trasformazioni che investono il rapporto tra uomini, corpo e percezioni collettive della maschilità e delle età. I lavori di Mike Featherstone su quella che veniva allora definita (siamo ancora negli anni Ottanta) “menopausa maschile”10 e sulla condizione di quei maschi che si confrontano con le ansie e le insoddisfazioni che caratterizzano la loro vita sessuale durante la mid-life mostrano come l’età adulta non sia affatto uno spazio temporale di navigazione quieta e ordinata. Per quanto innovatori, questo tipo di studi sono stati per lungo tempo tralasciati dai Critical Studies on Men and Masculinities contemporanei, ritrovando una loro centralità solo in anni più recenti11. Uno degli obiettivi della presente ricerca è proprio quello di offrire uno sguardo specifico sui maschi adulti, sulle loro percezioni dell’età, del loro corpo, della loro biografia, tramite una lettura degli stili alimentari. Il tema dell’alimentazione mi è sembrato potesse permettere la costruzione di un dialogo fruttuoso tra le questioni legate all’attraversamento dell’età adulta e la proiezione degli uomini nell’età avanzata. In che modo, tra i maschi intervistati, la progressione negli anni può essere accompagnata dall’emergenza di preoccupazioni legate alla salute? In che modo queste stesse preoccupazioni definiscono il rapporto che gli uomini costruiscono con il loro corpo, e incoraggiano un esercizio riflessivo nei confronti delle pratiche alimentari adottate? Secondo quali modalità gli uomini utilizzano il cibo in quanto strumento per ridefinire le percezioni individuali e collettive della loro immagine e iscriversi in una classe d’età specifica? La fase adulta, infatti, può essere interpretata come una finestra di vita in cui i gusti o le scelte dei prodotti alimentari diventano più coscienziosi (“non mangio più volentieri al McDonald come quando ero più giovane” afferma Carlo), oppure per negoziare i significati del tempo che passa (per esempio sposando la causa del mangiar bene e far sport per restare in salute proprio nel momento in cui si avverte che l’orizzonte dell’invecchiamento non è più così lontano). Frequentemente analizzata dal punto di vista delle donne (basti pensare agli studi sulla menopausa, le prime mestruazioni, il parto, le tecniche di riproduzione12), l’intersezione tra genere, rapporto con il tempo e con la salute è letto qui dal punto di vista dei maschi attraverso la loro relazione con il cibo in quanto strumento per perseguire un progetto personalizzato di vita sana.
7Uno studio sull’età adulta e il cibo, inoltre, sembra anche poterci parlare in maniera chiara di tutta una serie di norme e ingiunzioni sociali che caratterizzano le società contemporanee: l’imperativo della performance13, l’ideale giovanile e di gioventù, l’estetica dell’apparenza (di cui per esempio i media e i social media soprattutto si nutrono e contribuiscono a riprodurre), il modello di un corpo-progetto14 sano e in forma capace di saper rispondere nel modo giusto alle aspettative della società dei consumi. Dietro queste logiche si nascondono le inquietudini, i disagi, le debolezze maschili, che fanno dell’età adulta una fase critica15 in cui il monitoraggio del corpo e delle sue attività trovano nell’alimentazione una cabina di comando privilegiata. E proprio di tali incertezze sono cosparsi i racconti degli uomini intervistati, tormentati dal desiderio di “tenere botta” di fronte al tempo che passa sapendo rispondere alle sollecitazioni del presente. Una fase che si articola e dialoga con altre transizioni biografiche complesse, come una separazione nella vita di coppia, un trasloco, un cambiamento nella vita professionale, la nascita di un figlio o di una figlia, di una nipote o di un nipote, la malattia o la scomparsa dei genitori. È quello che sembra raccontare Bernard16 quando, nel corso della sua intervista, riconduce un periodo carico di responsabilità vissuto all’alba dei 40 anni – la nascita dei suoi figli, la nuova casa, la carriera – a una perdita di controllo sulle sue abitudini alimentari che l’hanno condotto a ritrovarsi in forte sovrappeso e a dover ripensare completamente la sua dieta:
Durante i lavori in casa ho lavorato nel cantiere con mio fratello muratore, mangiavamo anche quattro volte al giorno, non facevo sport [...], tutto doveva essere pronto per i bambini [...] ho preso 12 chili [...] pesavo 90 chili alla fine dei lavori, ho fatto gli esami avevo il colesterolo altissimo ho detto ora basta.
8L’intervento sullo stile alimentare diventa il primo palcoscenico per invertire la rotta in un momento cruciale del suo percorso biografico, in cui l’intervistato si rende conto che il corpo non risponde più come prima, in cui senza imporsi regole precise di sorveglianza delle proprie pratiche alimentari è possibile esporsi a nuovi, inediti, rischi. La presa di coscienza di una nuova fase di vita plana lentamente nei racconti degli intervistati disegnando svolte prolungate, che si rivelano magari tramite un episodio emblematico ma che si preparano nel tempo e si manifestano in maniera flagrante proprio dopo i 40 anni. Per taluni intervistati le criticità dell’età adulta si aprono prima dei fatidici 40, per altri in seguito, alla soglia dei 50. Ma in tutti gli intervistati è forte e netta la sensazione di attraversare una fase di transizione biografica che impone un nuovo lavoro sul proprio corpo in cui l’alimentazione si traduce in strategia d’ottimizzazione del sé.
Prevenire, ma come?
9Nei suoi lavori Tristan Fournier ha spiegato quanto possa essere difficile per gli uomini che seguono un regime dietetico per motivi di salute affrontare i pasti in comune in ragione delle giustificazioni che debbono essere addotte al fine di spiegare il motivo di un’attenzione particolare verso i cibi ingeriti e le porzioni scelte17. Fournier spiega che le restrizioni in materia culinaria possono essere interpretate dagli uomini come una minaccia all’espressione della loro maschilità, forte e dominante. Come ho già avuto modo di spiegare in introduzione, il desiderio di restare aggrappati a questo modello di genere – e i rischi che comporta, per esempio nel caso non si rispettino poi le prescrizioni mediche a tavola – può configurarsi in tutto e per tutto in quanto costo che il dominio maschile può far pagare agli uomini, intenti a non voler “cadere” in posizione subordinata nel confronto con gli altri maschi o con le donne.
10Sulla scia dei lavori di Raewyn Connell, Will Courtenay ha affermato che quello della salute può essere considerato uno degli ambiti privilegiati in cui le costruzioni di genere maschili si offrono allo sguardo scientifico18. Studiando come si sottraggano o si mostrino più insofferenti rispetto alle donne nell’adottare comportamenti di prevenzione sanitaria (nel sottoporsi ad esami medici o screening, nell’uso di contraccettivi, nel rispettare regimi dietetici...), Courtenay afferma che gli uomini farebbero di tale sprezzo del pericolo un tratto di riferimento per rinforzare e riaffermare le rappresentazioni sociali secondo cui la maschilità sarebbe meno vulnerabile e più forte della femminilità e che esisterebbero maschi “più maschi” di altri. Tale logica sarebbe confermata anche dai dati epidemiologici cui Courtenay fa riferimento, in quanto se è vero che le donne vivono in media più degli uomini la popolazione femminile si caratterizzerebbe anche per un ricorso alla medicina più frequente nel corso di vita – almeno nelle società occidentali19.
11Se si prende con le molle la rigida distinzione tra maschilità e femminilità che l’approccio comportamentista di Courtneay propone e ci orientiamo su una prospettiva più socio-costruttivista, riconosciamo che effettivamente esistono delle importanti asimmetrie tra comportamenti maschili e femminili di fronte alle cure e alle questioni di salute. Un esempio ci è offerto dai percorsi di socializzazione. Se il corso di vita femminile sembra molto più ritmato da processi di medicalizzazione che si traducono in un controllo esperto continuo sul corpo della donna – si pensi alla fase della pubertà, al primo ciclo mestruale, all’introduzione di metodi contraccettivi ormonali, fino ad arrivare al momento della menopausa –, quello maschile sembra in effetti un corpo che sfugge maggiormente alle logiche del controllo medico costante. Certo, il genere non detta da solo e in maniera meccanica i nostri comportamenti e le nostre scelte in materia di salute e dialoga con altre variabili che definiscono i profili degli individui: la loro posizione sociale, la loro origine culturale, le età, la storia medica familiare. Prendendo in considerazione tutti questi aspetti, la sociologia ha iniziato ormai da almeno due decenni a fare del rapporto tra uomini e salute una focale di studio specifica. Il cancro della prostata e altre patologie legate alle funzioni genitali come la difficoltà di erezione rappresentano oggi temi centrali nella letteratura internazionale sulle maschilità20. Tuttavia, in questa stessa letteratura la questione dell’alimentazione resta per lo più periferica, trattata in quanto tema accessorio. In questo volume si sostiene invece l’ipotesi che le asimmetrie di genere in relazione al tema della salute giocano un ruolo centrale anche nella costruzione delle rappresentazioni sociali riguardo le buone pratiche alimentari.
12Tra queste pratiche vi sono le tecniche di sorveglianza adottate dagli uomini intervistati:
Pratico il digiuno più volte l’anno, e lo faccio perché ho il progetto di vivere a lungo, voglio mostrare che se fai una vita sana puoi vivere bene anche fino a un’età avanzata. È un progetto su cui ho riflettuto molto, è un progetto quasi scientifico dal mio punto di vista […]. Mi sono reso conto che è possibile combattere le malattie, anche malattie gravi come il cancro, se si fa attenzione al proprio stile di vita, all’attività fisica. E mi sono detto: voglio vivere fino a 120 anni!
13La testimonianza di Didier, che nel caso specifico pratica il digiuno per quindici giorni almeno due volte l’anno con l’obiettivo di “ripulire” il suo corpo dalle scorie “malsane”, sembra ben rappresentare il senso che gli intervistati danno a tali tecniche di sorveglianza realizzate attraverso il cibo. Il racconto di Didier mostra che l’obiettivo delle strategie di monitoraggio del proprio corpo adottate dagli intervistati attraverso l’alimentazione (o la non-alimentazione, come nel caso di Didier) è innanzitutto quello di respingere più in là nel tempo una potenziale patologia ed evitare il rischio di ammalarsi. Tra gli intervistati la cura del corpo e l’attenzione per il proprio stato di salute non si realizzano esclusivamente nel quadro di una medicalizzazione dell’alimentazione legata, per esempio, al rispetto di un regime dietetico, rigido e prescritto da un’autorità medica. La cura del corpo e della salute si compie appunto nell’attuazione di una sorveglianza continua, quotidiana e ordinaria di cui il soggetto è allo stesso tempo gestore e attore.
14Riferendomi al concetto di sorveglianza faccio allusione a una modalità specifica d’intendere il rapporto con il proprio corpo, la propria salute, e le tecniche di cura del sé. Per gli uomini intervistati l’obiettivo principale delle tecniche di sorveglianza adottate attraverso l’alimentazione è innanzitutto il mantenimento del loro stato di salute più che la cura della malattia. L’attitudine descritta dagli intervistati è da ricondurre a una delle molteplici conseguenze della vasta evoluzione del rapporto con la medicina e con la salute vissuto progressivamente dalle società occidentali nel corso degli ultimi due secoli. David Armstrong, sociologo e medico britannico, spiega infatti che, soprattutto nel corso del xx secolo, nelle nostre società abbiamo assistito a una ridefinizione delle frontiere tra salute e malattia che hanno progressivamente spostato le pratiche di cura dallo spazio esclusivamente ospedaliero alla pluralità dei contesti della vita quotidiana21. Ciò permette di problematizzare il ruolo che svolge l’attore sociale – verrebbe da dire “il profano” – all’interno di questo vasto processo di medicalizzazione della vita quotidiana: come integri le preconizzazioni mediche alle sue abitudini, che uso ne faccia, con quali obiettivi e attraverso quali modalità. È in questo contesto che, secondo Armstrong, si afferma la cosiddetta “medicina della sorveglianza”, o “medicina anticipatoria” che permette di ripensare le relazioni tra sintomi della malattia e malattia stessa: il soggetto intende lo stato patologico come una presenza potenziale permanente, e le sue condotte si orientano verso la riduzione dei rischi che possono produrre la manifestazione di uno stato patologico. Poco a poco la riflessività del soggetto si mette in azione al fine di cogliere i segni della malattia attraverso un controllo continuo del proprio corpo alla ricerca dei sintomi precursori di uno stato disfunzionale possibile e futuro. Questo tipo di sorveglianza può diventare uno stile di vita, capace di iscriversi in un progetto di monitoraggio del quotidiano22 nel quale il soggetto è l’ago della bilancia tra ingiunzioni normative esterne (provenienti dalla sfera medica per esempio) e rapporto col sé.
Digiuno e sorveglianza
15Il digiuno è presentato dagli intervistati come una pratica centrale per ricostruire un equilibrio col proprio corpo che il superamento dei 40 anni sembra rimettere in discussione. Didier non segue un regime dietetico particolare ma cerca comunque di privilegiare le proteine per accompagnare le sue sessioni di allenamento in palestra, generalmente una o due a settimana. Nel corso della sua intervista racconta le ragioni che l’hanno portato a testare il digiuno in quanto tecnica che si abbina a uno stile alimentare “il più equilibrato possibile” tra carne e verdura. La prima ragione è il sovrappeso accumulato negli ultimi anni. Didier, appassionato di camminate in montagna, intorno ai 50 anni ha cominciato a sentire il corpo fiaccato dai chili in eccesso: “mi sembrava di avere addosso due bottiglie piene d’acqua ogni volta che provavo a fare lunghe camminate”. Il fattore estetico si è poi aggiunto alle difficoltà fisiche quando Didier, guardandosi allo specchio, si è accorto “che qualcosa non andava più nel girovita”. Affermando con decisione una scelta che è rivendicata in quanto “tutta [sua]”, i periodi di digiuno di due settimane sono descritti dall’intervistato come fasi di purificazione del corpo che l’aiuterebbero nel controllare anche la sua prostata e prevenire malattie tumorali:
Ho finito per interessarmi al digiuno, ho studiato le tecniche di digiuno [...] ho un amico cui è stato diagnosticato un cancro alla prostata e doveva operarsi, ha deciso di aspettare, ha fatto il digiuno di Breuss23, 42 giorni di digiuno, non ha mangiato, è roba forte, solo liquidi filtrati, niente fibre, il corpo va alla ricerca delle cellule maligne per debellarle [...]. Dopo il digiuno non aveva più il cancro.
16Non è certo l’obiettivo del mio studio e di questo volume discutere la scientificità delle testimonianze degli intervistati. Quello che interessa è semmai capire il senso che Didier attribuisce alla rinuncia all’alimentazione per giustificare un progetto e uno stile di vita sani. Ed ecco che cominciando a praticare il digiuno Didier ne ha fatto uno strumento di controllo del proprio corpo e una via d’accesso a un piacere che lui stesso definisce “spirituale”:
Quando faccio il digiuno bevo solo acqua e un brodo magro al giorno, la sera. Dopo quattro giorni è dura, sono steso sul letto, prendo giorni di ferie al lavoro perché non riesco ad alzarmi, ho la nausea, ma forzo un po’ e dopo il quarto giorno mi sento davvero bene. Dopo il quarto giorno la mente è lucida, mi sento bene, ed è proprio questa condizione di leggerezza e di lucidità che ricerco.
17Malgrado la facilità con cui riesce a gestire i suoi impegni lavorativi che gli permettono di avere una certa libertà e autonomia, Didier non nasconde le difficoltà che incontra nel rispettare le regole della condivisione dei pasti durante i giorni in cui è in pieno digiuno. Prima delle fasi più intense di astinenza, in cui è costretto a letto, la rinuncia al pranzo con i colleghi diventa un momento in cui Didier percepisce il senso di una “desocializzazione” che lo emargina in qualche modo dalla cerchia delle sue conoscenze e dalle sue abitudini: “devo rinunciare anche agli inviti di mia sorella”. Ma prima di tutto questa desocializzazione sembra di difficile gestione nella sua relazione di coppia. Didier è solito cenare a casa della compagna – con la quale non convive – e nei periodi di digiuno non sembra facile per lei adeguarsi alle necessità del nostro intervistato: “sento che lei non è a suo agio quando non mangio”. Malgrado gli sforzi della donna di rendere meno duro il digiuno di Didier (“il suo brodo magro è tutta un’altra cosa rispetto al mio!”), l’astinenza dal cibo resta una pratica che la infastidisce e di cui non sembra comprendere il senso fino in fondo. Tuttavia per Didier tale pratica è anche uno strumento di costruzione della maschilità. Una pratica che in fondo, secondo Didier, avrebbe anche il merito di confortare la sua immagine di uomo forte e virile agli occhi della compagna:
18Abbiamo parlato spesso di cosa la seduce in me, e mi ha detto che questo lato un po’ selvaggio, dell’uomo che la lascia sola di tanto in tanto, che cammina da solo, insomma è qualcosa che la affascina. Penso che in me questo fatto che mi isolo, che pratico il digiuno, che rimango da solo perché spesso scrivo, leggo da solo, partecipa alla mia virilizzazione.
19La virilizzazione a cui Didier fa riferimento – un concetto che utilizza con cognizione di causa facendo valere i suoi studi umanistici – permette all’intervistato di creare uno stretto legame tra la sua maschilità e un modello di genere dominante che sembra aver presa sulla compagna. Secondo una retorica simile Tommaso, un altro intervistato, parla del digiuno come fonte suprema di energia e forza fisica: “conosci la storia dell’esercito che andava in guerra con i guerrieri a digiuno per renderli più forti?”. La scelta del digiuno, quindi, si configura anche come pratica di identificazione con una maschilità guerriera tramite la quale trovare posto nella gerarchia delle maschilità assumendo una posizione di vertice.
20Didier, infatti, fa allusione a un ideale di uomo che valorizza il controllo sul sé e sul proprio corpo, che è capace di rinunciare ai suoi bisogni primari e che rende autonoma la sua affermazione nei confronti del sapere medico. Durante il prosieguo dell’intervista racconta come il suo persistere nel praticare il digiuno lo abbia condotto anche ad andare contro le indicazioni del medico curante che l’ha più volte richiamato all’ordine spiegandogli i rischi in cui incorre attraverso queste fasi di digiuno prolungato. Ma, proprio facendo riferimento alla sua noncuranza per i consigli del medico, Didier esalta le sue competenze in materia di controllo del proprio corpo e si sostituisce finanche al ruolo del professionista affermando di conoscersi “meglio di chiunque altro”. Alla maschilità virile e dominante che alimenta il desiderio della partner femminile si affianca anche quella che rifugge il sapere sanitario e si rivendica come autosufficiente nel monitorare il proprio stato di salute.
21La retorica della critica alla medicina convenzionale è dietro l’angolo, come nel racconto di Pierre. Questo intervistato ha fatto la scelta di non consumare carne e di praticare il digiuno intermittente ormai da dieci anni – nel suo caso si tratta di interrompere l’assunzione di qualsiasi cibo, solido e liquido, attorno alle quattro del pomeriggio sino alla colazione del giorno successivo. Come per Didier, anche Pierre riconosce in questo suo stile alimentare uno strumento per combattere l’invecchiamento “perché dopo i 40 anni ho iniziato a ingrassare troppo facilmente”. La scelta di questo regime si abbina a un certo scetticismo verso la medicina convenzionale che Pierre ritiene utile solo nelle situazioni gravi, d’urgenza, quando le moderne tecniche di cura (rianimazione e chirurgia sono quelle che lui cita) si rivelano indispensabili e insostituibili. Proprio come Luca, il quale sostiene che la medicina non sia più oggi “un metodo, una filosofia, ma solo applicazione di tecniche”, anche secondo Pierre ciò che importa è curarsi “ogni giorno da soli” e ricorrere alla medicina “soltanto in caso di emergenze”: “so ascoltare il mio corpo, sono 30 anni che non vado dal medico” sottolinea orgoglioso Pierre, secondo una retorica comune a molti intervistati. Il digiuno si traduce così in vera e propria pratica di controcultura medica e impegno militante di critica alle “lobbies alimentari e farmaceutiche”. Accanto all’obiettivo dichiarato di sorvegliare quotidianamente i differenti stati del proprio corpo, quello del digiuno è un terreno per resistere e combattere anche contro i modelli di consumo contemporanei:
Le persone pensano che durante il digiuno non mangiando il corpo non si nutra. Ma in realtà a partire dal quarto giorno il corpo entra in autofagia, cioè si nutre delle cose che ha già dentro di sé, degli scarti, dei rifiuti, di tutto quello che non è buono e che rimane depositato da anni. Durante il digiuno bevo solo acqua e il mio corpo si ripulisce [...] non è difficile, basta prepararsi, studiare, non perdere il controllo e superare il muro dei primi giorni. Tutto quello che ho mangiato di cattivo nella mia vita, quello che è veleno, lo sto annientando […]. Se hai fatto una vita poco sana, hai mangiato tanta carne, hai preso tanti medicinali, tutto questo si rimette in circolo nel tuo corpo durante il digiuno: ecco io sto togliendo i residui del veleno, ed è grazie a questo che non ho problemi di salute da anni.
22Le strategie di sorveglianza si esprimono dunque tramite la costruzione di vere e proprie tecnologie del sé24. Non è nella condizione di malattia che tali strategie si realizzano, ma proprio nella sua prevenzione e nell’obiettivo di evitare rischi che possano condurre a una patologia. La dimensione temporale del rapporto col corpo sano sembra mutare. Non necessariamente legata al momento d’urgenza o di manifestazione acuta di una patologia, essa abbraccia un lasso di tempo più ampio di monitoraggio e conferma di una condizione non patologica. Questa logica rivela implicazioni particolari nella costruzione delle maschilità. Il rifiuto del mondo medico – dal disinteresse per i consigli e le prescrizioni dei professionisti sino alla mancanza di fiducia nei medicinali – non si traduce in maniera univoca nell’affermazione di una maschilità che vuole evitare le cure e che punta unicamente a riaffermare la sua forza e il suo sprezzo del pericolo come gli studi di Will Courtneay hanno messo in evidenza25. Al contrario al rifiuto della medicina si accompagna un interesse marcato per la propria salute che si esalta tramite l’affermazione di un altro tipo di maschilità: quella autosufficiente e autoregolata. Un’altra faccia dei molteplici profili assunti dalla maschilità egemonica.
Cambiare dieta: fare i conti col passato, pensare il futuro
23È vero che tra gli intervistati le pratiche di sorveglianza del corpo tramite l’alimentazione si esprimono soprattutto in una prospettiva di prevenzione. Tuttavia la scelta di fare del regime alimentare uno strumento di controllo del proprio corpo e del suo stato di salute può anche far seguito a un’esperienza traumatica con la malattia o con i primi sintomi di una patologia che si manifesta. La scoperta della vulnerabilità si traduce allora in fattore che conduce gli uomini a ripensare il senso della sorveglianza26. Come avviene nel caso di Giovanni, che dopo una carriera da sportivo semi-professionista ha visto il suo corpo cambiare profondamente all’alba dei 50 anni. Per Giovanni, che si definisce “un tipo goloso”, la dieta non è stata mai una preoccupazione fino a che una visita medica lavorativa l’ha messo di fronte all’evidenza di uno stato di salute tutt’altro che roseo. Oltre all’ipercolesterolemia, gli esami medici di Giovanni hanno riscontrato la presenza di placche d’aterosclerosi. Su suggerimento del cardiologo Giovanni ha rapidamente modificato l’organizzazione delle sue giornate, ripreso a far sport e cominciato a controllare in maniera maniacale la sua alimentazione. Pur continuando a mangiare carne e pesce, Giovanni racconta minuziosamente le nuove abitudini alimentari che prevedono adesso porzioni fortemente ridotte durante i pasti, abbinate all’introduzione di due piccoli spuntini a metà mattinata e a metà pomeriggio. L’attività fisica è ritornata una costante delle sue giornate:
Mi sono detto: devo rimettermi in forma. I medici mi avevano consigliato di andare a camminare. Ma io ho voluto costruire il mio programma da solo, in fondo ho fatto l’atleta fino a dieci anni fa! [...] In una settimana ho costruito la mia palestra in garage, e ogni giorno faccio palestra o corro. Mangio cinque volte al giorno, e mai pasta e carne nel corso dello stesso pasto: o una o l’altra. Ho perso 20 chili nel giro di qualche mese: pesavo più di 100! Quando sono tornato dal dottore per farmi visitare la prima volta non voleva credere ai suoi occhi, non mi riconosceva.
24Facendo in parte trasparire una volontà di superamento dei consigli del medico – che si configura tuttavia in ben altro modo rispetto al rifiuto della medicina convenzionale da parte degli intervistati incontrati appena sopra – anche Giovanni afferma il suo desiderio di rendersi autonomo dal sapere esperto nella gestione della sua terapia. Nel descrivere la sua traiettoria di cura Giovanni arricchisce il racconto attraverso il riferimento a un’altra esperienza vissuta, grazie alla quale spiega di aver costruito il suo progetto di recupero della forma fisica e il perseguimento di un nuovo programma di vita lunga e sana. Qualche anno fa, infatti, aveva partecipato ad alcuni corsi motivazionali durante i quali Giovanni afferma di aver imparato a conoscere nel profondo il suo corpo, a sfidarlo, a testarne i limiti, acquisendo quello che definisce un “controllo completo” su sé stesso:
Sono dei corsi in cui ti iscrivi, ti chiamano e per esempio ti dicono che nel giro di 36 ore devi farti trovare in un posto che può essere anche a 800 km da casa tua perché è lì che si terrà l’incontro. Se non riesci ad essere sul posto in tempo perdi tutti i soldi dell’iscrizione e sei fuori. In pratica ti testano, vedono se sei capace di organizzarti, di prendere ferie, di avvertire la famiglia, capiscono se sei capace di sbrogliartela da solo o meno. Poi passi dei giorni in cui sei perennemente immerso in una sfida, con te stesso e con gli altri partecipanti […] Ti fanno fare prove di coraggio, camminare sul fuoco, lanciarti nel vuoto imbracato, e c’è sempre un vincitore, e io ho vinto più di una volta […]. Non sai quanto mi abbia aiutato per imparare a darmi degli obiettivi, come organizzare il mio piano per regolare la mia alimentazione e fare attività fisica. Mi sono dato degli obiettivi e avevo il metodo per poterli raggiungere.
25La capacità di saper testare il proprio corpo e la propria maschilità nelle sue attività quotidiane è riconosciuta da Giovanni come una delle chiavi che gli hanno permesso di combattere i problemi di salute e stabilire nuove abitudini di vita, alimentazione compresa: “guarda che io mangiavo tanto eh, chi mi conosce non ci credeva [...] sono diventato una macchina, non sgarro mai [in riferimento alla capacità di autocontrollarsi col cibo]”. Per riprodurre il controllo sul suo corpo che aveva da giovane, quando era ancora sportivo semi-professionista, Giovanni non ha esitato a ricorrere all’aiuto di dispositivi di nuova generazione per la quantificazione dell’attività fisica e dei consumi alimentari: “guarda questa app [mostrando il suo smartphone durante l’intervista] mi dice anche se mi sono riposato bene la notte, se ho recuperato dall’allenamento, i passi. Faccio la foto del codice a barre del prodotto che voglio comprare e mi dice se è adatto alla mia dieta e quanto posso mangiarne”. Le tecniche di sorveglianza trovano nuovi alleati nell’utilizzo delle tecnologie di tracciamento delle attività fisiche e degli stili di consumo27, alla ricerca di una ottimizzazione completa delle funzioni vitali. In questa retorica che ancora una volta esalta il profilo dell’uomo forte, che è in pieno controllo di sé e del proprio corpo, Giovanni cerca di posizionarsi al vertice della gerarchia delle maschilità. Un vero e proprio gioco di competizione tra profili maschili si mette allora in moto, specie in ambito lavorativo28. Lo sfoggio di tali abilità nel controllo del proprio fisico permette a Giovanni di compensare la perdita – che lui stesso sembra ritenere importante per costruire la sua maschilità – di un’attitudine aggressiva e irriflessiva nei confronti del cibo, abbandonata in ragione dei problemi di salute:
Guarda come sono asciutto! I miei colleghi hanno tutti la pancetta [...] Gli dico sempre: volete fare come me? Lasciate perdere, non ce la farete mai, non sapete cosa vuol dire il sacrificio. Non hanno la mia forza, perché non si sono mai allenati a resistere, a darsi obiettivi, a sfidarsi. Passano le domeniche sul divano.
26Il ricorso alla sorveglianza delle proprie abitudini alimentari per definire una nuova traiettoria biografica durante l’età adulta e fronteggiare i rischi della salute può anche divenire il pretesto per chiudere i conti con il passato e in particolare con le sregolatezze di una fase giovanile meno disciplinata. Questo tipo di retorica che Clément chiama “di pulizia” del corpo dalle scorie giovanili lo ritroviamo sotto varie tinte nei racconti di intervista degli uomini incontrati. Per taluni si tratta di compensare in qualche modo i rischi legati a pratiche professionali pericolose, come per Antonio e Patrick entrambi operai sin da giovani in due fabbriche di trattamento di prodotti chimici di cui criticano apertamente la politica e i metodi di produzione. Il tipo di lavoro svolto – che entrambi gli intervistati affermano di non poter abbandonare per ragioni economiche – potrebbe secondo loro avere effetti negativi sulla salute: l’attenzione maniacale per il cibo permetterebbe dunque di riequilibrare almeno in parte uno stile di vita lavorativo ritenuto nocivo e svolto ormai da numerosi anni. In altri casi l’attenzione per il cibo è strumento per correggere condotte assunte precedentemente nel corso della vita e ormai abbandonate, ma ancora ritenute sbagliate e da cui si prendono le distanze solo in età più avanzata. Come nel caso di Franck che durante l’intervista non lesina particolari riguardo la sua vita prima del matrimonio e prima della nascita del figlio. All’uso e abuso di droghe – soprattutto cocaina – e di alcool (“ho lavorato nel bar di una discoteca per tanto tempo e bevevo sempre”) si aggiungeva la sensazione di vivere in un tempo opposto rispetto a quello ordinario, che prendeva corpo nel buio delle notti della movida: “Non ho avuto orari per anni, non mangiavo mai a casa, non sapevo neanche cosa volesse dire sedermi a tavola con la luce del giorno” afferma Franck per spiegare l’importanza che attribuisce oggi al suo stile di vita in cui cibo sano, pasti regolari e esclusione di droghe e alcool sono abbinati all’attività sportiva. Franck racconta che la nascita del figlio è stata la molla che lo ha convinto a ripensare completamente le sue abitudini. Come vediamo non si tratta solo di conversioni personali e individualizzate: gli episodi biografici con cui si articolano le svolte salutiste (o reputate tali) degli intervistati dialogano da vicino con altre sfere di vita.
27Il rapporto con la salute e le strategie di sorveglianza del corpo definiscono le maschilità degli intervistati intessendo un rapporto privilegiato col tempo che passa e con le età della vita, passate e future. In questo rapporto con le transizioni biografiche troviamo una delle focali più interessanti e ricorrenti nei racconti degli intervistati: la relazione con le generazioni precedenti e future di cui la testimonianza di Franck ha dato un primo assaggio. Soffermiamoci dapprima sul rapporto che gli uomini intervistati intrattengono con le generazioni precedenti e in particolar modo con i loro famigliari più anziani. Se alcuni intervistati che hanno adottato un regime vegetariano o vegano tentano in un modo o nell’altro di educare i genitori anziani alla loro dieta (“a 94 anni mia madre è quasi diventata vegetariana da quando le porto i miei piatti” racconta Jean-Claude) realizzando una sorta di socializzazione inversa, è certamente il rapporto col padre che ricorre in maniera costante nelle testimonianze raccolte. Il padre si configura sorprendentemente – ma forse neanche troppo – in quanto contromodello di maschilità e stile di consumo da cui prendere le distanze: “se mi vedesse il mio babbo oggi, lui che in cantina teneva prosciutti e salami a stagionare...” riflette per esempio Sebastiano, con vena ironica, facendo il confronto tra il suo regime vegetariano e le abitudini del padre. “Mangia il doppio di quello che dovrebbe, non fa nessuna attività fisica, ha una pancia...” afferma invece Christophe, che si lamenta di come il padre non riesca a ridurre le quantità di cibo ingerite a ogni pasto e si ostini a una vita sedentaria nonostante i problemi al cuore. Separato da tempo dalla madre, il padre di Christophe è oggi in coppia con una donna più giovane che, come afferma il figlio intervistato, non avrebbe a cuore la sua salute, e continuerebbe imperterrita a preparargli cibi inadeguati alla sua condizione fisica e alla sua età: “non ha capito che deve mangiare meno, lo nutre come fosse un bambino che deve crescere”. Christophe sembra non accettare questa situazione, specie da quando lui stesso ha cominciato a confrontarsi con gli effetti del tempo che passa. Uomo sportivo e dal fisico curato, Christophe rivela che da almeno cinque anni la facilità con cui ha iniziato a prendere peso si è alleata con l’intensificarsi dei problemi alla schiena: “vedi questa pancetta, non ce l’avevo anni fa, e non dipende solo da quello che mangio, è come se il mio metabolismo fosse cambiato” racconta. “Se è un problema per me non può non essere un problema per lui [suo padre] che ha 80 anni e che sta sul divano tutto il giorno a gonfiare” sottolinea Christophe, spiegando dei suoi tentativi di motivare anche la sorella a parlare col padre e incoraggiarlo a riprendere almeno i suoi lavoretti di bricolage in giardino che lo terrebbero in movimento. L’esempio del padre partecipa a incoraggiare Christophe all’adozione di un’attitudine piuttosto rigida in materia di alimentazione, per restare in forma e non accumulare sovrappeso (“carboidrati solo a pranzo perché per lavoro mangio sempre fuori, ma non esagero mai con le quantità”) abbinando a ciò anche un’attività fisica ricorrente (“la mia compagna è una sportiva, andiamo a correre assieme quasi tutti i giorni e per il cibo lei è più salutista di me quindi a casa non ho tentazioni!”). Piccole strategie di autodisciplina contribuiscono poi ad alleggerire il peso di alcune rinunce e mantenere attivo il controllo sul proprio corpo: “sono goloso di cioccolata, la sera quando sono sul divano ne mangerei a chili, quindi mi obbligo a lavarmi velocemente i denti, così la smetto!”.
28La trasmissione delle buone regole a tavola si concentra tuttavia soprattutto sulle relazioni che gli intervistati hanno con le generazioni più giovani, in particolare con i figli29. Tommaso, che oltre a praticare il digiuno è anche vegetariano, cerca spesso di spiegare alle figlie come la sua attività fisica intensa (è un adepto degli esercizi a corpo libero ai quali consacra un’ora ogni giorno) e la sua alimentazione vegetariana siano parte di in un chiaro progetto di ottimizzazione del corpo. Tommaso avrebbe voluto iniziare ben prima dei 40 anni tale lavoro di ottimizzazione ma non ha potuto farlo perché, a suo dire, i suoi genitori non gli avevano trasmesso la sensibilità per “lo stare bene”. Prendendo le distanze dall’educazione alimentare vissuta in famiglia sin da piccolo, Tommaso giustifica le ingerenze sullo stile alimentare delle figlie raccontando del suo desiderio di non ripetere gli errori fatti con lui dai suoi genitori. Le merendine, le bibite zuccherate e gasate, le patatine non sono ammesse in casa, neanche durante le feste di compleanno. Malgrado la moglie lo definisca un “fanatico” dell’alimentazione, Tommaso è orgoglioso del fatto che le amiche delle figlie accettino con piacere di mangiare una “frittata ai porri” quando sono invitate a cena, oppure che i genitori delle compagne di scuola siano contenti quando le loro figlie si fermano a mangiare a casa di Tommaso. I piccoli attriti con la partner – Tommaso afferma che la moglie non condivide il rigore della sua dieta e la rigidità con cui la imporrebbe anche alle loro figlie – si risolvono pacificamente. Tuttavia, per altri intervistati possono diventare causa di aspri conflitti, in particolar modo quando i genitori sono separati. Come nel caso di Davide, istruttore in una palestra, che durante l’intervista racconta delle dure e ricorrenti discussioni con la madre di suo figlio accusata di portarlo a mangiare nei fast-food o di riempirlo di merendine: “io me ne accorgo in un secondo se ingrassa [il figlio]; non puoi dargli solo schifezze e poi ti preoccupi di mangiare bene [riferendosi all’alimentazione della ex moglie, descritta da lui come una sportiva attentissima alla linea]”.
29Come si evince, nell’attraversare le vicissitudini che definiscono le loro vite (in cui l’alimentazione è talvolta solo un pretesto per esplorare altre questioni) gli intervistati sembrano aprirsi piano piano verso un’attitudine al care in cui il cibo e le abitudini culinarie giocano un ruolo privilegiato. Le pratiche alimentari, infatti, permettono di negoziare una posizione specifica nelle logiche di socializzazione familiare e in particolar modo per costruire la paternità. I padri (talvolta ancora figli) prendono allora posto nella dialettica della trasmissione delle (da loro presunte) buone abitudini in cucina, attivando una logica di competizione con l’universo femminile in relazione al quale misurano i limiti e gli orizzonti possibili del loro margine di intervento.
30Quanto detto sembra condurci infine a problematizzare anche le modalità tramite cui la società d’oggigiorno definisce e ordina le età della vita: quando e come si smette di essere giovani o di essere percepiti come tali; in che modo si avverte l’arrivo dell’età adulta; in che maniera questa proietta altresì verso la stagione dell’invecchiamento. Il monitoraggio del corpo e del suo stato di salute per mezzo dell’alimentazione si fa oggetto di strategie personalizzate. Nel vortice delle tecniche di cura del sé adottate e predisposte dagli intervistati notiamo come le certezze delle maschilità tendano soprattutto a fragilizzarsi di fronte alla prova del tempo30. In questo senso, parlando di “età che avanza”, necessità di “ritardare l’invecchiamento”, “vivere più a lungo”, “rimanere sani”, “educare le nuove generazioni” ai “giusti” stili di vita, gli intervistati sperimentano una sorta di pre-terza età. Gli uomini incontrati sembrano partecipare a costruire un tempo maschile in cui è necessario sfidare il proprio ruolo di maschi e il proprio corpo, verificarne la capacità di tener testa all’età, spingere oltre i limiti, rigenerarne il senso di fronte a nuove sfide – il digiuno, un regime alternativo, una pratica sportiva più intensa. Perdere peso, voler restare in forma, non ammalarsi, si configurano non tanto come campi d’applicazione di interventi sanitari in senso stretto quanto semmai in qualità di ambiti di verifica della propria maschilità, per capire sino a che punto si è ancora padroni di talune caratteristiche che ne definiscono il senso tra gli intervistati (come il controllo del proprio corpo e la sua capacità a saper rispondere a nuove sollecitazioni). Lo sguardo degli intervistati sembra poi virare da una prospettiva individualistica verso la necessità di trasmettere agli altri l’esperienza accumulata riguardo le tecniche di cura del sé. Il rinnovato interesse per la salute, la ricerca continua della forma fisica, del benessere, delle abitudini di vita sane da perseguire tramite le scelte alimentari gettano nuova luce sulle maschilità e permettono di guardare in modo meno statico all’influenza che le ingiunzioni alla performance e a un corpo reattivo e senza tempo hanno sulla produzione dei modelli di genere contemporanei.
Notes de bas de page
1 D. Lupton, Medicine as Culture. Illness, Disease and the Body in Western Societies, London, Sage, 1995.
2 Questione rilanciata mediaticamente – almeno negli Stati Uniti – nel 2021 da uno studio condotto presso il Dana-Farber Cancer Institute di Boston. https://www.dana-farber.org/newsroom/news-releases/2021/red-meat-consumption-may-promote-dna-damage-associated-mutations-in-patients-with-colorectal-cancer/.
3 J.-P. Poulain, Alimentazione, cultura e società cit.
4 S. Dalgalarrondo, T. Fournier, Les morales de l’optimisation ou les routes du soi, «Ethnologie française», 176, 4, 2019, pp. 639-651.
5 C. Fischler, L’onnivoro. Il piacere di mangiare nella storia e nella scienza, Milano, Mondadori, 1992.
6 J. Hearn, L. Sandberg, Older men, ageing and power: masculinities theory and alternative spatialised theoretical perspectives, «Sextant», 27, 2009, pp. 147-163.
7 Tanto più che, come vedremo, gli intervistati si posizionano talvolta su una prospettiva di controcultura medica adottando saperi e pratiche alternativi alla medicina tradizionale.
8 Alcune pubblicazioni recenti hanno infatti iniziato a incoraggiare la sociologia e le scienze sociali in generale ad adottare in maniera più sistematica lo studio delle dinamiche di identificazione di genere in articolazione con le questioni d’età, e in particolar modo dell’età adulta. Si veda ed esempio N. King, T. Calasanti, I. Pietilä, The hegemony in masculinity, «Men and Masculinities», 24, 3, 2021, pp. 432-450.
9 H. Blatterer, Contemporary Adulthood: Reconceptualising and Uncontested Category, «Current Sociology», 55, 6, 2007, pp. 771-792.
10 M, Featherstone, M. Hepworth, The male menopause: lifestyle and sexuality, «Maturitas», 7, 1985, pp. 235-246.
11 In tal senso, contributi importanti sono arrivati anche dalla letteratura sociologica italiana, ancora con particolare riferimento alla sfera della sessualità. Mi riferisco in particolar modo ai lavori di Chiara Bertone e Raffaella Ferrero Camoletto. Si veda tra gli altri il loro volume collettaneo Le fragilità del sesso forte. Come medicalizzare la maschilità, Milano, Mimesis, 2016.
12 N. Diasio, V. Vinel (a cura di), Il tempo incerto. Antropologia della menopausa, Milano, Franco Angeli, 2007; M. Giuffré (a cura di), Essere madri oggi tra biologia e cultura. Etnografie della maternità nell’Italia contemporanea, Pisa, Pacini Editore, 2018.
13 F. Parasecoli, Feeding Hard Bodies: Food and Masculinities in Men’s Fitness Magazines, «Food and Foodways», 13, 2005, pp. 17-37.
14 C. Schilling, The Body and the Social Theory cit.
15 N. Diasio, V. Fidolini, Garder le cap. Corps, masculinité et pratiques alimentaires à ‘l’âge critique’, «Ethnologie française», 176, 4, 2019, pp. 751-767.
16 Come detto in introduzione, al fine di facilitare la lettura ed evitare continui riferimenti alle età e ai profili sociali degli intervistati, in appendice è possibile trovare tutte le informazioni sociografiche dettagliate e riunite riguardo ogni singolo intervistato.
17 T. Fournier, Suivre ou s’écarter de la prescription diététique cit.
18 W. H. Courtenay, Theorising Masculinity and Men’s Health, in A. Broom, P. Tovey (a cura di), Men’s Health and Illness. Body, Identity and Social Context, West Sussex, Wiley-Blackwell, 2009, pp. 9-32.
19 H. Bretin, M. Hagège, A. Vuattoux, Présentation. Les masculinités dans le domaine de la santé. Vers de nouveaux horizons empiriques et théoriques pour les sciences sociales francophones, «Recherches sociologiques et anthropologiques», 48, 2017, pp. 13-21.
20 B. Gough, S. Robertson (a cura di), Men, Masculinities and Health. Critical Perspectives, Basingstoke, Palgrave MacMillan, 2010; C. Bertone, R. Ferrero Camoletto (a cura di), Le fragilità del sesso forte cit.
21 D. Armstrong, The rise of surveillance medicine, «Sociology of Health & Illness», 17, 3, 1995, pp. 393-404.
22 S. Dalgalarrondo, T. Fournier, Les morales de l’optimisation ou les routes du soi cit.
23 Rudolf Breuss, scrittore austriaco, è conosciuto per avere sviluppato verso la fine degli anni Settanta dello scorso secolo una tecnica di digiuno se non altro controversa, denominata appunto Breuss Cure, che secondo i suoi sostenitori sarebbe capace di favorire la guarigione dei tumori.
24 M. Foucault, Tecnologie del sé cit.
25 W. H. Courtenay, Constructions of masculinity and their influence on men’s well-being. A theory of gender and health, «Social Science & Medicine», 50, 10, 2000, pp. 385-401.
26 V. Quaglia, Men, masculinities and diabetes: ‘doing gender’ in Italian men’s narratives of chronic illness, «Sociology of Health & Illness», 42, 8, 2020, pp. 1902-1917.
27 D. Lupton, The Quantified Self, Cambridge, Polity Press, 2016. Debbo sottolineare tuttavia che (forse perché la guida d’intervista non prevedeva domande sistematiche sul tema) solo altri quattro intervistati hanno fatto esplicito riferimento all’uso di tali tecnologie durante i loro racconti. Giovanni è l’unico che approfondisce a tal punto le modalità attraverso le quali se ne serve: gli altri uomini si sono limitati a spiegare che le applicazioni su dispositivi mobili servivano loro soprattutto per monitorare l’attività fisica giornaliera (durata degli allenamenti o contapassi).
28 D. Schrock, M. Schwalbe, Men, Masculinity, and Manhood Acts, «Annual Review of Sociology», 35, 2009, pp. 277-295.
29 Solo due tra tutti gli intervistati incontrati sono già nonni. La dimensione del rapporto con i nipoti non emerge tuttavia in maniera chiara nelle testimonianze raccolte.
30 K. Charmaz, Identity Dilemmas of Chronically Ill Men, «The Sociological Quarterly», 35, 2, 1994, pp. 269-288.
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Uomini e diete
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