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1. Studiare le maschilità attraverso l’alimentazione: Perché?

p. 33-45


Texte intégral

1I temi del genere e dell’alimentazione, studiati in maniera interconnessa, hanno fatto capolino nel vasto panorama delle scienze sociali ormai da qualche tempo. Se è stata l’antropologia ad aprire la strada in questo senso, con i lavori pionieristici di Carole Counihan1, la sociologia ha investito tale campo soprattutto durante gli anni Novanta e Duemila, periodi in cui si è registrato un incremento esponenziale di ricerche che scandagliano le costruzioni di genere attraverso le pratiche alimentari. In tale quadro, la letteratura sociologica, a differenza di quella antropologica, si è da subito caratterizzata per un interesse specifico rivolto al punto di vista degli uomini nella loro relazione con il cibo. Questa spiccata attenzione verso le maschilità appare ancora oggi per molti versi sorprendente, benché le ragioni di tale interesse si possano forse trovare direttamente nella storia degli studi sul tema di cibo e genere. Proviamo allora a ricostruirne il percorso.

2La sociologia, sin dagli albori del dibattito femminista, ha affrontato di buon grado la questione delle asimmetrie tra i sessi in ambito domestico e culinario, discutendo per esempio il tema della ripartizione iniqua dei compiti in cucina tra uomini e donne e denunciando l’attribuzione univoca alla donna dei ruoli di care familiare – tra cui la preparazione alimentare e l’organizzazione quotidiana dei pasti per i membri della famiglia. La sociologia ha denunciato da subito l’invisibilizzazione del lavoro femminile domestico2. Si trattava, tuttavia, come avremo modo di approfondire in seguito, di uno sguardo sulle pratiche alimentari intese innanzitutto come spazio di riproduzione delle disuguaglianze tra i sessi. Il cibo – inteso in senso stretto come ciò che mangiano uomini e donne, ciò che scelgono o sono obbligati e obbligate a mettere nel piatto – restava un tema secondario.

3Pur debitrici della tradizione di studi militanti femministi, le sociologie dell’alimentazione e del genere contemporanee hanno impresso un nuovo passo a tale filone di ricerche, in parte proprio emancipandosi dalla lettura femminista. Si sono quindi interessate sempre più a come le pratiche alimentari partecipino ai processi di identificazione di genere in senso più ampio, coinvolgendo anche le maschilità, per capire come il genere contribuisse a suo modo a produrre i gusti alimentari, individuali e collettivi, delle donne e degli uomini. Tali sociologie si sono quindi lentamente allontanate da una prospettiva di studio sull’alimentazione interessata ad analizzarne i significati in quanto – prima di tutto – strumento di oppressione per le donne e campo di riproduzione delle asimmetrie che caratterizzano il sistema patriarcale. Questo forse perché interessandosi anche ai maschi, attori dominanti del congegno patriarcale, è stato necessario ripensare le griglie di lettura adottate. Da qui prende le mosse un graduale ma deciso scivolamento di prospettive analitiche. A partire da fine anni Novanta, infatti, le ricerche sulle maschilità investono il tema dell’alimentazione prendendo piede velocemente3 e intersecandosi con la nuova stagione dei “Men’s Studies” – quella che viene denominata oggi la corrente dei “Critical Studies on Men and Masculinities”. In fondo, Raewyn Connell – capostipite mondiale degli studi sulle maschilità contemporanee – nel 2005, in un articolo pubblicato con il collega James Messerschmidt e volto ad aggiornare il concetto di maschilità egemonica che lei stessa aveva elaborato a partire dalla fine degli anni Ottanta, si soffermava sui nascenti studi su cibo e genere riconoscendo in maniera decisa quanto fosse necessario che la sociologia delle maschilità investisse in maniera forte il tema dell’alimentazione, anche più di quanto non stesse già iniziando a fare4. I gusti e le scelte alimentari degli uomini potevano e dovevano diventare un’arena privilegiata di ricerca sulle identificazioni di genere: uno spazio creativo delle performance sia maschili che femminili. L’appello della sociologa australiana non è caduto nel vuoto.

4In questo capitolo vorrei tracciare le interconnessioni che hanno legato i temi del genere e dell’alimentazione nella letteratura scientifica sociologica. Risalendo dapprima alle radici di questo fruttuoso dialogo sarà possibile capire come il tema delle maschilità si sia affermato nel campo della sociologia dell’alimentazione. Tale excursus permetterà altresì di mettere sul tavolo le principali questioni teoriche ed empiriche che il presente volume affronta. Cercherò quindi di rendere conto del perché studiare le maschilità attraverso il cibo si configuri in quanto sfida scientifica affascinante e originale in grado di arricchire il complesso affresco delle maschilità contemporanee.

Cucina e consumi alimentari: focolai delle disuguaglianze tra i sessi

5La sociologia dell’alimentazione ha ampiamente mostrato che nelle società industriali sono le donne a occuparsi in maniera nettamente prevalente dei compiti alimentari tra le mura domestiche. Questo tipo di tendenza ha caratterizzato le società occidentali del xx secolo e permane ancora oggi, sebbene dagli anni Duemila numerose ricerche abbiano osservato l’emergenza di timide evoluzioni che potrebbero far pensare a un futuro meno asimmetrico5. Ora, il quarto capitolo di questo libro tornerà direttamente sulla questione delle evoluzioni contemporanee delle asimmetrie di genere in cucina: è tuttavia importante sgombrare da subito il campo da ogni dubbio. I dati di cui disponiamo in merito alla ripartizione tra uomini e donne circa i compiti domestici legati alla cucina sono tutt’altro che incoraggianti e parlano di disuguaglianze tra i sessi ancora molto evidenti e radicate. Quello che si riscontra nelle società contemporanee6 è semmai una riduzione complessiva del tempo impiegato dalle famiglie in cucina, accompagnata da una decrescita dei compiti femminili legati al care alimentare che non sembra tuttavia essere affiancata da una impennata delle responsabilità di cui si fanno carico i maschi. Inoltre, il tempo occupato dagli uomini nelle faccende alimentari sembra essere un tempo “diverso” anche qualitativamente. Gli uomini in cucina si occupano soprattutto di compiti come il lavaggio delle stoviglie, specie attraverso l’utilizzo di elettrodomestici, oppure del fare la spesa, e soprattutto svolgono un ruolo di accompagnamento al fianco della partner. I loro compiti sembrano dunque limitarsi soprattutto a mansioni di supporto, e il loro coinvolgimento appare maggiore in particolar modo quando i compiti domestici sono da condividere con altri membri del nucleo familiare7. Le macro-tendenze appena descritte non impediscono tuttavia di fare alcuni distinguo. Ad esempio, nelle società europee – e con differenze importanti in base ai Pae-si e le aree culturali nordiche o mediterranee –, le famiglie più in alto nella scala sociale e nelle quali entrambi i coniugi lavorano sono anche quelle in cui la ripartizione dei compiti sembra dare segni di minor squilibrio8. Tale attrazione verso la norma egualitaria si rivela altresì più consistente in quelle coppie in cui il livello di istruzione dei membri della famiglia è più alto e in cui la donna occupa una posizione professionale elevata9.

6Come già accennato, lo studio delle disuguaglianze in cucina e delle loro forme d’espressione è stato introdotto nel dibattitto sociologico innanzitutto dalla letteratura femminista. In tale contesto, a partire dagli anni Settanta, il lavoro femminile tra le mura domestiche, non riconosciuto e naturalizzato, si articola con una critica più ampia e di stampo marxista alla società capitalista. Gli studi sulla divisione sessuale del lavoro domestico e sull’assegnazione alle donne dei compiti di care si traducono in riflessioni sulla violenza normalizzata delle logiche patriarcali, che trovano nella cucina uno spazio privilegiato di riproduzione10. È la prospettiva femminista a dare un respiro più ampio a tali questioni e a iniziare un dialogo proficuo con le scienze sociali. A inizio anni Novanta viene pubblicato negli Stati Uniti uno dei lavori-manifesto sullo studio delle disuguaglianze di genere in cucina. Si tratta della ricerca di Marjorie DeVault11. Nel volume l’autrice denuncia l’oppressione del lavoro in cucina per le donne e arricchisce la sua analisi di una componente sino ad allora taciuta: il carattere emotivo e affettivo di tale logica oppressiva. La carica di lavoro culinario è per la donna non solo faticosa, ma è resa se possibile ancora più gravosa dal fattore emozionale che la ispira e la sottende. Essere in grado di saper rispondere alle necessità nutritive dei membri della famiglia, moltiplicare le preparazioni in base ai momenti della giornata e all’organizzazione dei tempi e degli stili di vita dei diversi componenti del nucleo, adempiere affettivamente – tramite il cibo – al proprio ruolo di partner, coniuge, madre, nonna, o zia, rappresentano un insieme di fattori che, mescolati, caricano la donna non soltanto di compiti organizzativi e pratici (essenzializzati attraverso il ruolo sessuale) ma la espongono altresì a logiche di sanzione/gratificazione di cui percepisce in modo sempre più opprimente i segni ogni qualvolta esercita il lavoro di care culinario e ogni volta in cui gli altri membri della famiglia ne riconoscono o meno il buon (o meno buono) operato. DeVault, inoltre, spinge ancora più lontano la sua analisi confrontandosi con casi di studio delicati in cui le oppressioni ordinarie appena descritte assumono connotati drammatici presso le famiglie monoparentali, nelle quali ad esempio una madre sola vede ricadere su di sé non soltanto i compiti di care culinario ma anche la necessità di coniugarli con i doveri di una professione remunerata “vera e propria” che garantisca il sostentamento della famiglia. Grazie a DeVault per la prima volta le donne in cucina prendono corpo e si caratterizzano in ritratti vividi che denunciano una condizione di subordinazione fino ad allora non completamente manifesta.

7Alimentazione e genere hanno quindi per lungo tempo fatto rima con divisione sessuale dei compiti domestici. Ma la letteratura sociologica non ha tardato a confrontarsi anche con quello che poi è divenuto il punto focale d’interesse della letteratura su alimentazione e maschilità: i consumi, le scelte e le preferenze riguardo il cibo. Anche in questo caso le ricerche hanno evidenziato l’esistenza di forti asimmetrie tra i sessi. I lavori di Priscille Touraille, per esempio, mostrano come, storicamente, l’accesso ineguale alle risorse alimentari abbia caratterizzato la produzione delle differenze tra corpi femminili e maschili12. La posizione di subordinazione femminile avrebbe contribuito a elaborare bisogni nutritivi diversi e un rapporto differente con il corpo e con gli ideali estetici di riferimento, tra uomini e donne. Gli studi che comparano i consumi maschili e femminili nelle società contemporanee mostrano a che punto tali asimmetrie persistano, per esempio evidenziando la predilezione per le donne verso cibi considerati sani e un’inclinazione più pronunciata tra gli uomini per il cibo che produce piacere. Julie Parson13, ad esempio, rintraccia il nesso tra alimentazione sana e consumi femminili nella relazione che le donne elaborano sin da piccole con i canoni estetici di bellezza di riferimento, oppure nel rapporto che instaurano sin dalla prima socializzazione con le attese attorno al loro ruolo di care familiare che ne fa altresì le custodi della salute alimentare (e non solo) di un’intera famiglia, come gli ultimi lavori di Sebastiano Benasso e Luisa Stagi sottolineano14. Tuttavia, le ricerche dimostrano anche come le donne non si limitino ad adattarsi ai gusti alimentari familiari, in particolar modo dei partner nel quadro delle relazioni matrimoniali, ma sarebbero anche capaci di controllare in maniera profonda le modalità di consumo del nucleo famiglia15 puntando proprio sul loro ruolo di organizzatrici del care culinario domestico. A tal proposito alcuni studi hanno mostrato le difficoltà che gli uomini separati incontrano nel far fronte ai loro problemi di salute quando sono costretti a seguire un regime dietetico rigido: una volta rimasti soli si ritrovano sprovvisti di quelle competenze che nella vita di coppia demandavano alla partner perché organizzasse lei la loro dieta quotidiana16.

8Lo studio degli stili alimentari fa rima con lo studio delle rappresentazioni sociali del corpo, e anche in questo caso le interconnessioni tra cibo e costruzioni di genere sono ampiamente investite dalla sociologia contemporanea. Come detto, oltre ad attestare, tramite ricerche qualitative e quantitative, che le donne sarebbero più inclini a curare il loro corpo tramite l’alimentazione17, numerosi studi mettono anche in evidenza quanto le norme estetiche e corporee socialmente dominanti abbiano un impatto maggiore sugli stili di vita femminili18. La corpulenza dal punto di vista delle donne è ancora oggetto di maggiori stigmatizzazioni rispetto a quella maschile; l’ideale della magrezza ha certamente più presa sulla popolazione femminile rispetto a quella dei maschi – benché le cose stiano in parte cambiando19; la questione del sovrappeso20 e la sua percezione sociale si declina in maniera diversa quando è legata a un corpo femminile o maschile, con il primo che sembra sottostare a un controllo sociale più rigido e a giudizi più invadenti21. Questi fattori hanno un’influenza sulle narrazioni attorno al cibo da parte sia delle donne che degli uomini e forgiano le rappresentazioni individuali e collettive intervenendo sin dalla socializzazione primaria degli individui. Il loro impatto sui consumi è ampiamente documentato dalla letteratura sociologica internazionale che ha evidenziato per esempio come le donne adottino in maggior misura e con più frequenza durante il ciclo di vita diete dimagranti, e come tali regimi si configurino soprattutto in quanto scelte personali auto-imposte per le donne mentre per gli uomini è semmai la prescrizione medica a primeggiare nel caso si decida di sottoporsi a regole alimentari ferree22. Insomma, donne e uomini non mangiano e non si rapportano con il cibo necessariamente allo stesso modo: a queste attitudini differenti corrisponde una relazione specifica con il corpo e con le sue rappresentazioni sociali.

9Concediamoci una piccola – ma utile – digressione. Nell’esaminare le tendenze fin qui descritte chi legge potrebbe (a ragione) avanzare una critica: quella secondo cui i risultati delle ricerche condotte sul rapporto tra alimentazione, cibo e corpo tra gli uomini e le donne siano troppo influenzati dalle logiche di desiderabilità sociale che accompagnano e orientano le risposte delle intervistate e degli intervistati che hanno preso parte alle ricerche. Per una donna, ad esempio, è forse più “sconveniente” che per un uomo rivelare di abbandonarsi a una dieta irregolare e ricca di eccessi nel corso di una intervista? Oppure, risulterebbe più difficile per una donna affermare un completo disinteresse per la propria apparenza estetica? Siamo già di fronte alla riproduzione di tutta una serie di stereotipi di genere che non possono lasciare indifferenti e di cui forse riconosciamo rapidamente l’impatto anche sui nostri stessi vissuti e le nostre esperienze. Jean-Pierre Poulain sottolinea quanto sia difficile accedere allo studio delle scelte alimentari “reali” degli individui e quanto sia complesso analizzare i risultati delle ricerche riuscendo a pesare l’impatto delle logiche di desiderabilità sociale sulle risposte raccolte, sia nel quadro di studi qualitativi che quantitativi23. Se a una persona domandiamo di descrivere il suo stile alimentare quotidiano difficilmente, ci dice Poulain, chi risponde farà riferimento a quello che è davvero il suo stile alimentare abituale. Talvolta, ripercorrendo con la memoria quello che ha mangiato nei giorni precedenti il momento dell’intervista, la persona che risponde potrà ritenere che gli impegni lavorativi serrati dell’ultimo periodo offrirebbero un’immagine sbagliata del suo rapporto con il cibo (quegli impegni l’hanno infatti condotta più frequentemente del solito a mangiare panini in fretta e furia lontano da casa, tra un impegno professionale e l’altro); oppure chi risponde ripenserà al fatto che una festività o una ricorrenza recenti e gli eccessi culinari connessi non offrirebbero un quadro “reale” delle abitudini alimentari adottate; o che gli spostamenti e i viaggi effettuati nell’ultimo periodo hanno condotto chi risponde a modificare profondamente il proprio stile alimentare impedendo l’accesso a un’alimentazione che sia specchio della sua “vera” quotidianità. Chi risponde potrà allora facilmente ritrovarsi a cercare nel repertorio delle proprie pratiche una giornata considerata ideale a partire dalla quale raccontare le sue abitudini alimentari che, in realtà, di abitudinario hanno ben poco. Poulain ci invita dunque a concentrare l’attenzione proprio sul carattere ordinario della straordinarietà, e ad essere vigili sul forte impatto che le logiche di desiderabilità e autocensura hanno sulle risposte delle intervistate e degli intervistati. Quello che appare necessario mettere in risalto non è tanto capire se le risposte raccolte siano interamente fedeli alle pratiche realmente messe in atto; preme soprattutto analizzare il perché donne e uomini facciano ricorso al potere normativo di alcune ingiunzioni sociali legate all’alimentazione (l’attenzione al corpo, al cibo sano, ai ritmi regolari di consumo, al variare alimenti secondo le stagioni...), come tali ingiunzioni orientino le retoriche d’intervista adottate per giustificare le condotte intraprese, in che modo le risposte ci permettano di ricostruire le rappresentazioni sociali dominanti che definiscono e inquadrano i comportamenti – come quelli alimentari – che si prestano a logiche di giudizio e/o di censura individuali e collettive24.

Le maschilità sotto la lente del cibo

10Le questioni di genere e alimentazione hanno numerosi punti in comune. Entrambe si prestano a un approccio costruttivista che punta a denaturalizzare due categorie per lungo tempo pensate soprattutto in termini biologici. Se le categorie di donna e uomo sono tutt’altro che “naturali” ma sono costruite e si negoziano socialmente e in maniera diversa in base ai contesti sociali e culturali, il ruolo dell’alimentazione ha ormai da tempo superato – nelle nostre società – il significato di necessità vitale per gli esseri umani. Pur non dimenticando l’importanza e l’urgenza del tema della sicurezza alimentare e delle politiche che favoriscono il diritto d’accesso all’alimentazione (purtroppo tema affatto scontato nel contesto globale), nel presente volume ci interessiamo alle pratiche alimentari dei maschi intervistati per capire proprio come queste si intersechino con i modelli culturali, con gli stili di vita, con i rapporti di potere che strutturano le nostre società25 e che rivelano in modo chiaro il carattere socialmente costruito dei gusti, individuali e collettivi.

11Partendo da questi stessi presupposti, dagli anni Novanta una vasta letteratura (specialmente) anglofona ha iniziato a interrogarsi esplicitamente sulle forme d’espressione della maschilità attraverso le scelte alimentari. Questa letteratura ha fatto emergere due assi di riflessione principali.

12In primo luogo le ricerche realizzate hanno confermato che, nelle rappresentazioni sociali, esistono dei cibi ritenuti comunemente “più maschili” e altri ritenuti “più femminili”. Questa bi-categorizzazione, per quanto rigida e destinata ad essere ridiscussa, contribuirebbe all’identificazione binaria di genere26. Se il consumo di carne, specie rossa, e di alcool gioca un ruolo importante nel processo di costruzione delle maschilità attraverso l’esaltazione di un’attitudine aggressiva e ostentata nei confronti del cibo27, la predilezione per verdura, legumi o frutti è maggiormente associata a una scelta femminile e a una relazione più contenuta e modesta con gli alimenti. Questa stessa letteratura, peraltro, precisa come non siano soltanto le pratiche alimentari realmente adottate a poter confermare o contraddire l’impatto normativo degli ideali di genere sulle scelte culinarie e viceversa. Il racconto del proprio rapporto con il cibo e le strategie retoriche adottate per giustificare la propria dieta e i propri gusti alimentari avrebbero un ruolo altrettanto importante nel riprodurre le relazioni tra cibo e genere e sarebbero capaci di tradurre modalità e scenari specifici di “fare genere”28. Proprio sulle retoriche adottate dagli intervistati si concentrerà una parte importante del lavoro d’analisi presentato in questo volume.

13In seconda battuta, e in continuità con quanto detto poco sopra, la letteratura su maschi e cibo conferma che la distinzione tra alimenti considerati maschili o femminili permette di interrogarsi sulle norme sociali d’apparenza e sull’impatto che queste possono avere sulle manifestazioni della maschilità. Le donne sarebbero più inclini a sviluppare un rapporto più controllato con il cibo mentre gli uomini svilupperebbero con l’alimentazione un rapporto più istintivo dimostrandosi meno sensibili anche nei confronti delle preconizzazioni mediche29. Così, i prodotti bio o light, o ancora i legumi verdi e la carne bianca si sarebbero tradotti (anche in termini di marketing) in prodotti indirizzati innanzitutto a un pubblico femminile mentre tra i maschi la priorità andrebbe per le carni rosse e i prodotti a base di carboidrati. Secondo la stessa logica, le donne mostrerebbero anche una maggiore riflessività e una maggiore permeabilità alle indicazioni dietetiche, rivelandosi più competenti in materia alimentare e sapendo distinguere più facilmente rispetto agli uomini tra glucidi, lipidi, proteine. Le donne farebbero anche più ricorso dei maschi a forme di misurazione delle porzioni quotidiane di cibo assunto, districandosi meglio degli uomini tra valori nutrizionali, calorie, grammi, taglie, indici di massa corporea30. Gli uomini sembrerebbero quindi eludere più frequentemente i messaggi di prevenzione sanitaria in riferimento ai cibi consumati o da consumare e lascerebbero con più facilità alle partner – nel quadro di relazioni eterosessuali, quelle su cui la letteratura di fine anni Novanta e inizio Duemila si è concentrata in special modo – la scelta sul cosa e come cucinare a casa. I maschi, inoltre, preferirebbero adottare altre strategie, considerate appunto “più maschili”, per combattere i rischi di salute legati a una cattiva alimentazione: ad esempio intensificando l’attività fisica31.

14Ora, è importante sottolineare che, a fine anni Settanta, Pierre Bourdieu ne La distinzione32 aveva già affrontato la questione dell’esistenza di un habitus (che potremmo qui definire di genere o piuttosto di sesso) capace di contribuire a orientare le scelte in materia di alimentazione. In tale circostanza il sociologo francese si era spinto ad analizzare differenti profili di consumatori che, in base all’origine di classe, alle abitudini, stili di vita, professioni e percorsi scolastici, disegnavano categorie diverse di mangeurs. In tale contesto Bourdieu aveva in qualche modo accennato un primo studio delle maschilità dei consumatori. Il sociologo francese aveva infatti messo in evidenza che gli uomini che si adoperano in mestieri caratterizzati da un elevato e continuo sforzo fisico non solo svilupperebbero un’attitudine specifica in relazione al cibo – prediligendo pasti pesanti e copiosi – ma elaborerebbero anche un rapporto specifico con la loro immagine esteriore, allenando la corpulenza in quanto tratto distintivo tipico di una maschilità forte e virile. Il lavoro di Bourdieu è stato in questo senso riscoperto via via nel corso degli anni dalla sociologia dell’alimentazione e del genere contemporanea divenendo punto di riferimento per le riflessioni sulle percezioni sociali dei corpi maschili in base agli stili alimentari e alle scelte culinarie.

15La presunta appetenza per certi cibi piuttosto che per altri da parte di un dato sesso rispetto all’altro sembra soprattutto sostenere e riprodurre asimmetrie e disuguaglianze già esistenti33. Come sostiene Nick Fiddes34, quando un gusto o una preferenza alimentare è assegnata a un sesso o a un altro stiamo anche situando gli attori e le attrici in gioco su posizioni diverse e alternative all’interno di una vera e propria gerarchia dei consumi. Sorretta dalla dialettica del rapporto tra dominati e dominanti, questa gerarchia può tuttavia prevedere non solo l’opposizione binaria tra consumi maschili e femminili ma anche dialettiche intra-genere, ad esempio di confronto e competizione tra maschilità, differenziando tra consumi (più o meno) maschili, più o meno egemonici o subordinati. E infatti, nel secondo decennio degli anni Duemila – periodo in cui le ricerche sociologiche su cibo e maschilità hanno vissuto una repentina accelerata – l’attenzione degli studi condotti si è spostata proprio sulla critica e la revisione della netta e fin troppo rigida bi-categorizzazione che oppone alimenti maschili e femminili35. Così, dal 2010 in poi lo sguardo delle ricerche realizzate si è focalizzato sugli uomini e le loro scelte in materia di alimentazione per rileggere il contributo degli studi già condotti su genere e cibo e ripensarne alcuni assiomi già radicatisi nel dibattito scientifico malgrado la giovane età del campo di ricerca in questione36.

16Il presente volume si iscrive pienamente in questa nuova stagione di studi su maschilità e cibo. In effetti, gli uomini oggi non sono certo attori passivi di fronte al consumo alimentare, né soggetti completamente indifferenti alle raccomandazioni mediche o all’influenza dei codici estetici. Non è quindi inusuale imbattersi in uomini che abbiano adottato diete che escludono il consumo di carne o che monitorano quotidianamente, per motivi di salute, prevenzione o semplice gusto della cura del sé, le loro abitudini alimentari. Gli uomini non sono neanche immuni da tutti quei disturbi alimentari che per lungo tempo, e ancora oggi, vengono frettolosamente ricondotti al solo universo femminile come l’anoressia o la bulimia, e sono inoltre esposti sempre di più ai rischi dell’ortoressia o della bigoressia: insomma, anche per i maschi la ricerca di uno stile di vita e alimentare sano o di un corpo perfettamente scolpito possono diventare ossessioni patologiche37. Non solo, la recente letteratura sul tema tenta anche di ridiscutere la rigidità del modello di un uomo breadwinner che gli studi di ispirazione femminista hanno più volte riprodotto. Il fatto di rinviare la donna al lavoro invisibilizzato del care familiare potrebbe aver contribuito a rinsaldare la visione del maschio in quanto attore che interviene soprattutto nello spazio esterno rispetto alla sfera domestica. La letteratura più recente su maschilità e alimentazione non nega certo le asimmetrie che continuano ad esistere nella ripartizione dei compiti tra donne e uomini all’interno delle mura casalinghe (e oltre), ma cerca anche di interessarsi a come il rapporto dei maschi con la cucina possa evolvere38. In che modo la configurazione tradizione dei ruoli sessuali in famiglia può variare, e che altre forme può assumere? Cosa accade, per esempio, ai padri che si ritrovano da soli in seguito alla perdita del coniuge o agli uomini che devono occuparsi di una o un -partner malato o non autosufficiente? Esiste un care alimentare maschile? La crisi sanitaria mondiale e il modo in cui ha partecipato a ridefinire i nostri stili e abitudini di vita tra il 2020 e il 2021 ha certamente acuito talune asimmetrie (le disuguaglianze di genere si sono addensate per esempio in ambito lavorativo, così come le violenze domestiche hanno vissuto una forte impennata). Ma questa fase storica ha anche portato con sé l’esperienza di nuove configurazioni possibili dei rapporti tra i sessi in ambito familiare, rivisitando talvolta (almeno in parte) la routine delle faccende casalinghe, l’impegno verso il care alimentare familiare, la cura dei figli.

17In questo libro si intende proseguire il lavoro di decostruzione dello schema binario che differenzia in maniera dicotomica e cieca tra alimenti e comportamenti alimentari “maschili” o “femminili”. Ridiscutendo la staticità di tale modello si tratterà di interpretare ciò che gli uomini mangiano e il modo in cui si rapportano con l’alimentazione in quanto terreno sul quale il potere dei modelli dominanti di genere si afferma, si riproduce, ma può anche essere eroso e ridefinito. Ciò che preme qui non è tanto la volontà di passare in rassegna gli stereotipi di genere legati alle scelte alimentari dei maschi come è già stato fatto39. L’obiettivo è semmai di capire come questi stereotipi si producano socialmente, come mutino o siano messi in discussione, e in che modo partecipino a definire le forme multiple d’espressione della maschilità. Si tratterà allora di comprendere secondo quali dinamiche i maschi che non consumano carne possano essere percepiti come maschi subordinati e, viceversa, come coloro che ne mangiano contribuiscano a rinsaldare un modello egemonico; in che maniera tale dialettica può essere sovvertita; come i significati attribuiti alle pratiche alimentari si articolino con altre sfere di vita: la salute, il lavoro, la vita di coppia, il rapporto con i pari... Insomma, senza ridurre i maschi che hanno adottato scelte alimentari percepite come “alternative” (da loro stessi o dagli interlocutori che gravitano nelle loro sfera sociale) in posizione subalterna e minoritaria, cercherò di capire secondo quali logiche gli uomini rendano le loro diete un terreno di giustificazione – per dirla con Boltanski e Thévenot – delle loro maschilità40.

Notes de bas de page

1 I suoi primi lavori sulle gerarchie alimentari e di genere, iniziati già a fine anni Sessanta, sono stati riuniti in due volumi in particolare, pubblicati a fine anni Novanta: C. M. Counihan, S. Kaplan, Food and Gender. Identity and Power, Amsterdam, Harwood Academic Publishers, 1998; C. M. Counihan, The Anthropology of Food and Body. Gender, Meaning and Power, New York, Routledge, 1999.

2 C. Delphy, La fonction de consommation et la famille, «Cahiers internationaux de sociologie», 58, 1975, pp. 23-41.

3 A. Juliera, L. Lindenfeldb, Mapping men onto the menu: masculinities and food, «Food and Foodways», 13, 1-2, 2005, pp. 1-16.

4 R. W. Connell, J. W. Messerschmidt, Hegemonic Masculinity cit.

5 L. Holm, M. P. Ekström, S. Hach, T. B. Lund, Who is Cooking Dinner?, «Food, Culture & Society», 18, 4, 2015, pp. 589-610.

6 Stiamo parlando in special modo delle società occidentali.

7 P. Cardon, T. Depecker, M. Plessz, Sociologie de l’alimentation cit.

8 Ibidem.

9 M. Y. Kan, Does Gender Trump Money ? Housework Hours of Husbands and Wives in Britain, «Work, Employment & Society», 22, 1, 2008, pp. 45-66.

10 C. Delphy, L’ennemi principal, «Partisans», 54, 5, 1970, pp. 157-172.

11 M. L. DeVault, Feeding the Family: the Social Organization of Caring as Gendered Work, Chicago, University of Chicago Press, 1991.

12 P. Touraille, Hommes grands, femmes petites: une évolution coûteuse. Les régimes de genre comme force sélective de l’adaptation biologique, Paris, MSH, 2008.

13 J. M. Parsons, Gender, Class and Food. Families, Bodies and Health, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2015.

14 S. Benasso, L. Stagi, Ma una madre lo sa? cit.

15 C. F. Bove, J. Sobal, B. S. Rauschenbach, Food Choices Among Newly Married Couples: Convergence, Conflict, Individualism, and Projects, «Appetite», 40, 1, 2003, pp. 25-41.

16 T. Fournier, Suivre ou s’écarter de la prescription diététique. Les effets du ‘manger ensemble’ et du ‘vivre ensemble’ chez des personnes hypercholestérolémiques en France, «Sciences Sociales et Santé», 30, 2, 2012, pp. 35-60.

17 A. Beardsworth, A. Bryman, T. Keil, J. Goode, C. Haslam, E. Lancashire, Women, Men and Food. The Significance of Gender for Nutritional Attitudes and Choices, «British Food Journal», 104, 7, 2002, pp. 470-491.

18 D. Lupton, L’anima nel piatto cit.

19 L. Dalla Ragione, M. Scopetta, Giganti d’argilla. I disturbi alimentari maschili, Roma, Il pensiero scientifico, 2009.

20 E, si badi bene, non dell’obseità, tema a parte che investe in maniera specifica il campo sanitario.

21 S. Carof, Le régime amaigrissant: une pratique inégalitaire?, «Journal des anthropologues», 140-141, 2015, pp. 213-233.

22 J.-P. Poulain, Alimentazione, cultura e società cit.

23 Ibidem.

24 C. Bossard, H. Escalon, C. Julia, J.-P. Poulain, F. Beck, Mode de recueil et catégorisation des aliments cit.

25 R. Sassatelli, Consumo, cultura e società, Bologna, il Mulino, 2004.

26 J. Sobal, Men, Meat, and Marriage: Models of Masculinity, «Food and Foodways», 13, 1-2, 2005, pp. 134-158; J. Nath, Gendered Fare? A Qualitative Investigation of Alternative Food and Masculinities, «Journal of Sociology», 43, 3, 2011, pp. 261-278.

27 G. Roos, M. Wandel, “I Eat Because I’m Hungry, Because It’s Good, and to Become Full”: Everyday Eating Voiced By Male Carpenters, Drivers, And Engineers In Contemporary Oslo, «Food and Foodways», 13, 1-2, 2005, pp. 169-180.

28 C. West, D. H. Zimmerman, Doing Gender cit.

29 G. Roos, M. Wandel, “I Eat Because I’m Hungry cit.

30 A. Beardsworth, A. Bryman, T. Keil, J. Goode, C. Haslam, E. Lancashire, Women, Men and Food cit.

31 B. Gough, Real Men Don’t Diet: an Analysis of Contemporary Newspaper Representations of Men, Food and Health, «Social Science and Medicine», 64, 2, 2007, pp. 326-337.

32 P. Bourdieu, La distinzione cit.

33 B. C. Bock, R. B. Kanarek, Women and Men Are What They Eat: The Effects of Gender and Reported Meal Size on Perceived Characteristics, «Sex Roles», 33, 1995, pp. 109-119.

34 N. Fiddes, Meat: a Natural Symbol, New York, Routledge, 1991.

35 J. Brady, M. Ventresca, Officially a Vegan Now: On Meat and Renaissance Masculinity in Pro Football, «Food and Foodways», 22, 4, 2014, pp. 300-321; A. DeLessio-Parson, Doing Vegetarianism to Destabilize the Meat-masculinity Nexus, «Gender, Place & Culture», 24, 12, 2017, pp. 1729-1748.

36 K. Sumpter, Masculinity and Meat Consumption: An Analysis through the Theoretical Lens of Hegemonic Masculinity and Alternative Masculinity Theories, «Sociology Compass», 9, 2, 2015, pp. 104-114; M. K. Mycek, Meatless Meals and Masculinity: How Veg* Men Explain Their Plant-Based Diets, «Food and Foodways», 26, 2018, pp. 223-245.

37 L. Dalla Ragione, M. Scopetta, Giganti d’argilla cit.

38 Un esempio, particolarmente rappresentativo, di questo approccio: M. Szabo, S. L. Koch (a cura di), Food, Masculinities and Home. Interdisciplinary Perspectives, London, Blooms-bury Academic, 2017.

39 Per offrire forse l’esempio più rappresentativo di questo approccio si veda J. Nath, Gendered Fare? cit.

40 L. Boltanski, L. Thévenot, De la justification. Les économies de la grandeur, Paris, Gallimard, 1991. In questo senso si intende la giustificazione non tanto come azione richiesta al soggetto per giustificarsi nei suoi atti di fronte agli altri quanto semmai in qualità di spazio sociale in cui l’azione, le intenzioni, le motivazioni del soggetto si prestano a una valutazione personale e collettiva. Tale giustificazione richiede dunque uno sforzo riflessivo del soggetto nel contesto dei vincoli e dei margini di manovra che ogni campo sociale produce.

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