Introduzione
p. 17-32
Texte intégral
Un approccio dei “costi della maschilità”
1La socializzazione, lo sappiamo, è potente. Quella di genere, tra le altre, ne rivela dinamiche specifiche raccontandoci di quanto ognuna e ognuno di noi si ritrovi, sin dalla tenera età, a fare i conti con le rappresentazioni dominanti di ciò che è considerato femminile o maschile1. La letteratura sociologica – e non solo – ha spiegato quanto le rappresentazioni sociali di genere attraversino la socializzazione primaria e secondaria trasformandosi in saperi e pratiche incorporati2. Questi saperi e queste pratiche finiscono spesso per essere percepiti e vissute dagli individui come “disposizioni naturali”3, sebbene non abbiano niente di naturale. Da questo punto di vista la costruzione delle maschilità (come quella della femminilità, del resto) può configurarsi come processo caratterizzato da instabilità e incertezze. Gli individui, infatti, uomini e donne, si ritrovano a fare perennemente i conti con quelle rappresentazioni dominanti del maschile con cui sono cresciuti e a cui sono stati socializzati, impegnati in un confronto perenne volto a riconoscere fino a che punto quegli stessi modelli di riferimento sono da loro stessi riprodotti, agiti, smentiti, imitati, sovvertiti, rifiutati. In questo gioco continuo di confronto con gli ideali e le norme di genere, le maschilità si elaborano, si plasmano, si traducono in pratiche sociali e soprattutto si espongono al giudizio e alle valutazioni di chi le incorpora e dello sguardo altrui: di altri uomini così come di altre donne.
2Le maschilità cui ci interesseremo in modo particolare in questo volume si configurano quindi in quanto pratiche situate che dialogano costantemente con gli ideali egemonici che ne hanno storicamente e socialmente strutturato la percezione e il compimento in società: il patriarcato, la virilità, l’eterosessualità – solo per citarne alcuni tra quelli più eclatanti4. Adottando questa prospettiva, che si ispira evidentemente alla riflessione della sociologa australiana Raewyn Connell – su cui ritorneremo presto e che accompagnerà le analisi proposte nel corso di tutto il volume – il presente lavoro propone una lettura delle maschilità contemporanee a partire dallo studio delle pratiche alimentari intese in senso ampio, dalla scelta dei cibi, passando per la loro preparazione, sino ai significati attribuiti all’atto del mangiare. Mi è sembrato interessante approfondire questa prospettiva di studio5 in quanto proprio in alcune scelte legate al tipo di alimentazione adottata – ad esempio quando un uomo sceglie una dieta vegetariana o vegana – ho scorto un campo di ricerca interessante per indagare le incertezze che attraversano i percorsi di costruzione della maschilità e in particolar modo quelli che i maschi intervistati interpretano come veri e propri “rischi di femminilizzazione”. Nel corso dell’intero libro analizzeremo tali rischi in dettaglio, le costruzioni sociali e culturali di cui si nutrono, la loro pluralità e le loro contraddizioni, per evitare di cadere in facili essenzializzazioni quantomai controproducenti. Parlando di rischi di femminilizzazione mi riferò allora a quelle situazioni in cui gli uomini sembrano intaccare (più o meno volontariamente) i processi di riproduzione dei tratti della maschilità considerata egemonica. Questa perturbazione delle logiche ordinarie di genere agita le maschilità e sembra necessitare specifiche strategie d’accomodamento e compensazione da parte dei maschi.
3La questione dei rischi associati alla femminilizzazione e i risvolti che può avere nelle dinamiche di costruzione delle maschilità e del patriarcato è forse oggi uno dei temi di maggiore interesse nel dibattito sociologico internazionale. In gran parte ispirati dalle riflessioni che Demetrakis Demetriou ha proposto già a inizio anni Duemila sulle forme di ibridazione delle maschilità contemporanee6, gli studi spaziano oggi tra ricerche sui maschi che reinterpretano altrimenti i tratti della virilità o della maschilità predatrice, a quelli che si interrogano su come gli uomini ridefiniscano le loro identificazioni di genere quando si trovano a svolgere ruoli o lavori considerati – da loro stessi o dagli altri – “da donna”. Altre ricerche si concentrano sui maschi che percorrono carriere di studio percepite come “femminili” o che indirizzano verso mestieri considerati “più femminili”; o ancora si interessano a capire in che maniera gli scenari di ripartizione dei compiti domestici tra uomini e donne possano inaugurare processi di ridefinizione del nesso tra dominio maschile e autorità patriarcale in ambito familiare7. Le età della vita prese in considerazione da questa letteratura sono le più disparate, e si articolano con l’analisi delle socializzazioni infantili, giovanili, scolastiche, sportive, professionali, migratorie, amorose, in contesti sociali, culturali e geografici diversi. Mirando appunto a studiare le forme contemporanee di ibridazione del maschile, questi lavori sembrano mettere in evidenza un risultato principale e comune: una delle condizioni stesse di riproduzione del potere del patriarcato e delle maschilità egemoniche sta proprio nella loro capacità di trasformarsi ed evolversi, in base ai tempi e al contesto storico. In questo senso, le ricerche sottolineano come le dinamiche contemporanee di ibridazione della maschilità egemonica (per esempio il fatto di mostrarsi più “inclusiva” verso le donne o verso le maschilità marginalizzate e subalterne)8 si trasformino anche in logiche di tacita e discreta normalizzazione del potere che è proprio di quella stessa maschilità egemonica che è rimessa in discussione9. In sostanza: sotto quali (nuove) vesti si esprime il dominio maschile oggi? Il presente volume intende esplorare un versante meno conosciuto dei possibili rischi di femminilizzazione percepiti (in quanto tali) dai maschi, e che oleano a loro modo gli ingranaggi contemporanei di riproduzione del dominio maschile. Proverò così a capire come gli usi alimentari e gli stili di vita associati alle diete siano un campo sociale che mette alla prova le costruzioni culturali della maschilità e il loro confronto con l’evoluzione delle norme di genere.
4Il libro nasce da una riflessione sulle forme di produzione della maschilità iniziato dapprima durante una ricerca sulla sessualità giovanile10 e proseguita poi (nello studio di cui si occuperà il presente volume) spostando lo sguardo sui modi di “fare la maschilità” in altri ambiti della vita quotidiana in età adulta (dopo la sessualità, appunto, l’alimentazione e i significati sociali del cibo). Durante il mio percorso di ricerca ho osservato quanto i significati delle socializzazioni maschili si articolassero con gli ingranaggi della dialettica dei costi del dominio maschile. Sì, perché come affermano in maniera brillante Delphine Dulong, Christine Guionnet e Erik Neveu11 la messa in atto della maschilità dominante è tutt’altro che un esercizio banale del potere patriarcale, e non è esente dal produrre sofferenze e fallimenti per gli uomini stessi. Per esempio, i costi intrinseci all’imperativo di incorporare una maschilità egemonica, capace di riprodurre l’immagine stereotipata che di essa si ha socialmente e che da essa ci si attende (per esempio quella dell’uomo forte e vincente, virile e competitivo, capace di controllare il suo corpo e le sue emozioni) può rivelarsi una gabbia per il maschio stesso12. Senza dimenticare – naturalmente – quanto quella stessa maschilità dominante produca altre sofferenze attraverso i processi di discriminazione o marginalizzazione dei maschi che non si identificano (o non possono identificarsi) nei suoi attributi egemonici. La dialettica di un costo intrinseco all’espressione della maschilità e del patriarcato, e capace di gettare luce nuova sui maschi e la loro relazione con le norme di genere, mi è sembrata quindi particolarmente pertinente per pensare le maschilità contemporanee e le trasformazioni che stanno attraversando.
5L’approccio connelliano13 che sottende la mia riflessione è già chiaro. Per maschilità intendo qui una configurazione di pratiche di genere plurali e mutevoli tramite le quali l’attore sociale si iscrive all’interno della gerarchia dei rapporti tra i sessi e tra persone dello stesso sesso. Secondo Connell questa dialettica di identificazioni produce forme di maschilità mai statiche e talvolta intercambiabili, in cui chi occupa un ruolo dominante all’interno di un dato contesto sociale o interazionale non necessariamente ne riproduce i tratti nel momento in cui la configurazione sociale e relazionale muta. L’approccio di Connell permette di pensare i rapporti di genere, e in special modo tra maschilità, in quanto sistema complesso di relazioni di potere che gerarchizzano incessantemente le posizioni degli attori (e attrici) implicati, interessandosi a capire quanto i soggetti siano dipendenti da tali relazioni di potere, ma anche fino a che punto possano elaborare margini d’azione specifici all’interno della loro dipendenza, in modo variabile in base alle loro origini sociali, i loro capitali economici e simbolici, la loro età o le loro origini culturali. Da questo punto di vista i processi di identificazione maschile possono essere letti più come una modalità di relazione del soggetto che come un suo attributo. Il patriarcato è pensato a partire dal dominio dell’uomo sulla donna ma si lascia studiare in quanto struttura complessa dei rapporti di genere all’interno della quale le interazioni tra maschilità e femminilità, e tra maschilità, hanno un ruolo centrale.
6Inoltre, nella prospettiva di Connell i modelli egemonici della maschilità sono da intendersi in quanto ideali normativi che si prestano a un’azione performativa. La maschilità che si vuole egemonica aspira alla realizzazione concreta di uno o più tratti normativi del maschile: come detto la virilità, l’eterosessualità, l’attitudine predatrice, il coraggio, la forza, la capacità di controllo delle proprie emozioni, il successo... Coloro che non riescono a incorporare tali caratteristiche finiscono per subire la forza gerarchizzante di quelle stesse norme egemoniche. Come spiegano Raewyn Connell e James Messerschmidt14, rispolverando Gramsci, è proprio nella tensione che si crea verso il compimento dei suoi tratti normativi che si situa il potere seduttivo dell’egemonia. E questa capacità di persuadere senza necessariamente ricorrere all’espressione concreta della forza influisce non solo su coloro che si affannano a imitare, non riuscendoci, i tratti egemonici del maschile, o tra coloro che non hanno gli strumenti per identificarsi con essi: il suo potere egemonico agisce anche, se non forse prima di tutto, proprio su coloro che la incarnano. Le maschilità, infatti, sono continuamente chiamate a confermare la loro posizione dominante perché gli altri uomini e le donne continuino a riconoscere loro quello stesso ruolo di dominio. Ancora una volta la logica dei costi, per i dominati ma anche per i dominanti, appare evidente e contribuisce a strutturare le dinamiche interne al sistema dei rapporti di genere. Per riprendere uno stralcio della lettura critica che Demetriou15 ha fatto del concetto di maschilità egemonica di Connell, potremmo dire che la prospettiva dei costi da pagare all’esercizio del dominio maschile sembra permettere di decostruire il concetto stesso di dominio per comprenderne le logiche interne (e non solo esterne, più visibili). In che modo gli uomini riescono (oppure falliscono) nell’affermare la loro posizione dominante? Come la confermano? Attraverso quali strategie l’alimentano e la sostengono? E ancora: in che modo coloro che ne subiscono l’azione vengono a patti con la loro posizione subordinata? Come e secondo quali logiche le asimmetrie tra maschilità possono essere rimesse in discussione e finanche sovvertite?
7Ho cercato di porre queste domande su un campo di ricerca inedito: quello dei consumi alimentari. In che modo adottare un regime alimentare che esclude il consumo di carne (cibo con forti connotazioni maschili, come vedremo) può influenzare i processi di costruzione della maschilità? In che modo gli uomini che adottano una dieta vegetariana o vegana percepiscono la loro maschilità nei confronti di coloro che invece mangiano carne? Come sono percepiti dagli altri uomini e dalle donne? Cosa vuol dire per un uomo fare attenzione alla propria salute e al tipo di stile alimentare adottato? In che maniera queste attenzioni ridefiniscono i termini d’espressione della maschilità? Che nessi esistono tra rapporto con il cibo, cucina, cura del corpo e ridefinizione delle maschilità contemporanee?
Alimentazione e stili di vita
8La sorpresa di chi legge in merito alle domande appena sollevate è giustificata. In che modo ciò che mangiamo, come lo mangiamo o lo cuciniamo può partecipare a costruire le logiche del dominio maschile e allo stesso tempo a produrre dinamiche interne al maschile tramite molteplici, e talvolta contraddittori, processi di identificazione? Vorrei però aspettare ad affrontare di petto questo punto, anche perché attorno a questo tema si articolerà tutto il libro: sulle connessioni tra costruzione di genere e pratiche alimentari mi soffermerò in maniera esaustiva nel corso del prossimo capitolo. Mi sembra invece importante, prima di fare un ulteriore passo avanti, soffermarmi innanzitutto su cosa significhi studiare l’alimentazione da un punto di vista sociologico.
9Il tema dell’alimentazione ha avuto difficoltà a imporsi in sociologia, e per molti versi resta ancora oggi di difficile collocazione nel vasto ambito delle ricerche realizzate all’interno della disciplina. Oggetto ritenuto per lungo tempo futile o di scarso interesse, come spiega Roberta Sassatelli sono state prima di tutto la storia e l’antropologia a liberarsi di tali pregiudizi facendone argomento di ricerca legittimo e autonomo16. Ancora oggi possiamo domandarci se una vera e propria sociologia dell’alimentazione esista in quanto campo di ricerca a sé stante. Lacerata internamente da più o meno sterili dibattiti sulle frontiere disciplinari, la sociologia attinge ancora a piene mani dall’eredità antropologica e storica per ritagliarsi un suo ambito di ricerca sul tema dell’alimentazione. Inoltre, la sociologia continua in parte a pensare l’alimentazione in quanto oggetto empirico da convocare solo per interrogarsi su altro: dalle disuguaglianze sociali alle politiche pubbliche, dai consumi alle pratiche culturali, perdendo talvolta di vista il fatto che l’alimentazione è già tutto questo.
10Tema di ricerca e riflessione che i padri della disciplina hanno talvolta solo sfiorato, come nel caso di Durkheim17, sul quale si sono concessi solo fugaci incursioni, come Georg Simmel18, oppure su cui hanno costruito parte del loro lavoro, come per Norbert Elias19, l’alimentazione si è affrancata nel corso del tempo dai contesti domestici per essere studiata sempre più in sociologia in quanto questione pubblica profondamente articolata e connessa all’evoluzione delle regole di mercato, alle trasformazioni delle strutture familiari e dei consumi dei cittadini20. Oggetto di studio a cui si è fatto ricorso dapprima per studiare l’organizzazione delle spese familiari secondo le origini sociali e i profili professionali dei consumatori21, l’alimentazione è stata soprattutto strumento d’analisi dei gusti di classe22. Solo a partire dagli anni Novanta del Novecento la sociologia dell’alimentazione – a livello internazionale – ha intrapreso un cammino orientato a riannodare, pian piano, i legami con la tradizione antropologica che già ne aveva fatto strumento di indagine delle culture23. È proprio qui che, negli anni Novanta appunto, compaiono gli specialisti e le specialiste della sociologia dell’alimentazione24, allorquando il tema del cibo si coniuga con lo studio delle transizioni demografiche e si diffonde il dibattito attorno alle buone pratiche alimentari, alla sicurezza e alla povertà alimentare, alle questioni di salute, dei consumi alternativi e delle problematiche ambientali25.
11In questo volume, oltre al cospicuo riferimento a lavori realizzati in Francia26, sarà costruito un dialogo, auspicabilmente fruttuoso per chi legge, in particolare con la letteratura anglofona e italiana sul tema. L’alimentazione sarà qui intesa in quanto argomento che permette una riflessione sociologica non solo in relazione alle questioni di genere ma anche, in senso più vasto, sugli stili di vita degli individui (maschi in questo caso), e quindi sui loro consumi, le modalità di tali consumi, le morali che li ispirano, le pratiche culturali che ne derivano: direttamente legate al momento del pasto oppure alla scelta dei prodotti o ancora concepite in quanto strumento per curare il proprio corpo, la propria salute, organizzare il tempo libero, pensare la propria etica, i propri gusti, le proprie appartenenze sociali. In questo senso, parlare di stili di vita permette di riflettere in maniera più ampia sul concetto di consumo, e sui giudizi che accompagnano le scelte alimentari. La nozione di stile di vita è intesa qui in quanto insieme di pratiche che strutturano, affiancano, definiscono o seguono l’adozione di un certo regime alimentare. Non scordiamo che l’etimologia originaria del termine dieta, in greco e in latino, rinvia al significato di modo di vivere quotidiano. Ciò permette di riflettere sull’alimentazione per studiare come i modelli culturali e sociali (di genere, e non solo) associati al cibo orientino e costruiscano in maniera incessante i significati che gli individui attribuiscono a ciò che mangiano, come lo mangiano e in quali situazioni. Lo sguardo sarà quindi concentrato su quello che gli intervistati fanno dell’alimentazione, dei prodotti e dei piatti scelti, di tutte quelle pratiche sociali che si organizzano attorno all’atto del nutrirsi (il rito del pasto, la spesa, il lavoro domestico in cucina, lo sport...) permettendoci di pensare il cibo in quanto fenomeno culturale che scandisce le abitudini – e appunto gli stili di vita – degli uomini incontrati. Così, in una prospettiva se vogliamo di sociologia della vita quotidiana, cercheremo di esplorare come gli intervistati, attraverso i processi di identificazione di genere che passano per i consumi alimentari, e tra disuguaglianze, disposizioni sociali, vincoli e capacità d’agire, pervengono ad attribuire significati specifici a una delle pratiche principali che definisce le loro giornate: l’alimentazione.
Il disegno di ricerca e la metodologia
12Lo studio empirico su cui poggiano le analisi presentate in questo volume è stato costruito nel 2016 e poi realizzato tra il 2017 e il 2019. Dopo un lungo lavoro sulla letteratura scientifica esistente, si è predisposta la guida d’intervista articolandola attorno a tre tematiche principali (su cui poi si incentrano i capitoli del volume): il rapporto tra maschilità e salute alimentare, tra maschilità e consumo di carne, tra maschilità e condivisione con le partner di coppia dei compiti domestici legati alla cucina. Dopo una breve fase esploratoria per testare la guida elaborata, la ricerca è stata realizzata conducendo 34 interviste approfondite, semi-direttive, con uomini di età compresa tra 40 e 63 anni (i cui profili sono dettagliati nell’appendice conclusiva del volume: per evidenti ragioni di anonimato i nomi utilizzati sono tutti fittizi). I colloqui con gli interlocutori sono stati registrati. In seguito a una breve ricostruzione sociografica del profilo dell’intervistato, e una fase introduttiva del dialogo in cui uno scambio disteso sui gusti alimentari dell’intervistato e dell’intervistatore permetteva di innescare la conversazione guidata, la discussione si addentrava sulla vasta questione della corrispondenza tra pratiche alimentari e costruzioni maschili. Nella fase propedeutica all’intervista stessa, la mia non adesione a uno stile alimentare vegetariano o vegano non ha rappresentato un fattore d’ostacolo alla realizzazione delle interviste con quegli uomini che si definivano appunto vegetariani o vegani. Tutte le interviste sono state condotte e registrate da chi scrive: la loro durata media è di circa una ora e mezza. In seguito alla trascrizione completa del materiale empirico raccolto si è proceduto a un’analisi tematica (senza ausilio di programmi informatici dedicati) volta a far emergere le questioni principali e ricorrenti nel racconto degli intervistati, così come quelle che apparivano invece più periferiche. Questo primo lavoro di analisi delle interviste è iniziato durante le fasi di campo ed ha permesso di migliorare nel corso dello studio empirico la formulazione delle domande di ricerca e la struttura della guida d’intervista, rendendola via via sempre più fluida ed efficace. Una volta completata la fase di campo vera e propria si è proceduto a un lavoro esclusivo d’analisi sui dati d’intervista, realizzato tra il 2018 e il 2020.
13Lo studio è stato condotto in Francia e in Italia, in particolar modo in due regioni: il Grand Est e la Toscana. Tutte individuali, le interviste si sono svolte sia in luoghi pubblici (caffè, ristoranti, luoghi di lavoro) sia privati (soprattutto le abitazioni degli uomini incontrati), seguendo per quanto possibile le proposte o gli inviti degli interlocutori. Gli uomini intervistati sono stati incontrati sfruttando reti di relazioni interpersonali (benché la quasi totalità delle interviste siano state realizzate con persone che ho conosciuto solo nell’occasione del colloquio registrato), ma anche attraverso contatti stabiliti con membri di associazioni del territorio che promuovono consumi alimentari specifici (della filiera corta per esempio, o di prodotti che arrivano da agricoltura biologica) o tramite contatti con ristoranti che offrono scelte culinarie specifiche, in particolar modo vegetariane e vegane. In minima parte gli intervistati sono stati incontrati tramite relazioni con professionisti del mondo medico che hanno avuto modo di seguire pazienti colpiti da disfunzioni (pressione alta, difficoltà cardiache, diabete) legate anche allo stile alimentare. Le interviste sono state realizzate tutte in una singola occasione d’incontro, fatta eccezione per due colloqui (registrati) con due intervistati che si sono svolti in tempi diversi: in entrambi i casi ho voluto richiedere un secondo colloquio per riprendere e approfondire alcuni temi d’intervista in seguito a una mia prima analisi dei colloqui trascritti. In un solo caso (sull’insieme delle interviste realizzate) il dialogo si è svolto parzialmente alla presenza della compagna dell’uomo intervistato. In tale occasione gli ostacoli che tale configurazione ha portato con sé – la prima mezz’ora di colloquio è apparsa condizionata dalla presenza della donna che confermava o correggeva le affermazioni del compagno interrompendo a più riprese la conversazione – sono stati rimossi nella seconda parte dell’intervista in cui ho potuto intrattenermi da solo con l’uomo in questione riformulando domande che avevo inizialmente lasciato da parte viste le circostanze poco favorevoli al libero scambio di opinioni.
14Gli intervistati che ho incontrato e con cui ho realizzato le interviste hanno origini sociali diverse, professioni differenti e vivono sia in zone urbane densamente popolate (città e capoluoghi di provincia o regione) sia in piccoli centri urbani più isolati, talvolta immersi anche in contesti rurali. Tutti si sono dichiarati eterosessuali nel corso delle interviste. La ricerca non mirava necessariamente a uno studio esclusivo dell’eterosessualità; tuttavia, il fatto di essermi ritrovato a intervistare unicamente uomini che si sono dichiarati eterosessuali si configura come un limite del lavoro. Benché proprio questo sguardo sugli uomini eterosessuali e sull’eterosessualità trovi una giustificata continuità lungo tutto il mio percorso di ricerca27, e permetta poi comunque di analizzare – come vedremo – anche i significati dell’omosessualità, soprattutto in quanto modello subalterno con cui gli intervistati fanno i conti, lo studio su cui poggia questo volume necessiterebbe senz’altro di estendere e variare il profilo della popolazione investigata. È senza dubbio questa una delle sfide principali cui andare incontro per una possibile prosecuzione del lavoro qui discusso.
15La popolazione di studio comprende uomini che consumano carne, altri che hanno scelto di abbandonarne il consumo per sposare una dieta vegetariana o vegana, e altri ancora che possono essere definiti “flessitariani”28, vale a dire persone che si definiscono principalmente vegetariane ma che, in funzione delle situazioni e dei contesti di condivisione dei pasti, mangiano carne, pesce o altri prodotti animali. Su questo aspetto mi sembra importante soffermarmi qualche istante in quanto, contrariamente a ciò che immaginavo nella fase di preparazione della ricerca, definire e classificare chiaramente le persone che scelgono una dieta vegetariana si è rivelato compito più ostico del previsto. Se nel caso della scelta vegana gli interlocutori non hanno avuto esitazioni nell’auto-definirsi vegani sin dal primo contatto per realizzare l’intervista – benché la scelta vegana non si configurasse per tutti in quanto questione che trascende le abitudini alimentari per divenire anche un’etica di vita che abbraccia altre sfere di consumo, stili di vita “sostenibili” e battaglie militanti – per i vegetariani le cose sono apparse più complesse. Nelle fasi di presa di contatto con gli intervistati (più di 50 uomini in totale, che non hanno poi partecipato tutti alla ricerca29) molti di questi si sono dichiarati vegetariani. Tuttavia, nel momento in cui chiedevo loro se la dieta scelta prevedesse eccezioni molti spiegavano che, malgrado avessero adottato un regime per larga parte vegetariano, nel loro stile alimentare potevano rientrare anche prodotti non vegetariani, come il pesce e la carne (quest’ultima in misura inferiore e con frequenze di consumo limitate). Si poneva dunque la questione di capire chi si diceva vegetariano ed era effettivamente vegetariano, e differenziarlo da chi invece si definiva come tale pur senza applicare realmente quel tipo di dieta. Con l’avanzare dello studio mi sono reso conto di quanto fosse poco importante riuscire a incasellare i consumi degli intervistati in una categoria fissa e coerente, e di come invece fosse necessario – ai fini della ricerca – rendere conto delle negoziazioni individuali (i significati che l’individuo attribuisce a un alimento o un altro, a una dieta o a un’altra) e collettive (gli stili alimentari che cambiano in base ai commensali) che sottendevano la scelta vegetariana o semplicemente il fatto di volersi identificare con essa30. Così, tra gli uomini incontrati e dei quali analizzeremo i racconti d’intervista in questo volume troveremo coloro che si definiscono vegetariani e che rispettano completamente una dieta di questo tipo, ma anche coloro che pur definendosi come tali non adottano davvero un regime vegetariano31. La decisione di prendere in considerazione differenti tipologie di vegetariani mi è sembrata importante da difendere per garantire una maggiore ricchezza dei dati qualitativi raccolti e per rendere conto di quanto spesso le categorizzazioni che si cercano di applicare agli intervistati si scontrino con le pratiche concrete degli individui stessi. Queste pratiche sembrano ribellarsi alle classificazioni, si mostrano sempre un passo avanti, sempre più variegate: per questo necessarie da prendere in conto ai fini di uno studio qualitativo sugli stili alimentari.
16L’obiettivo della ricerca, così come quello del libro, non è quello di comparare le pratiche alimentari dei francesi e degli italiani. Il campione di studio non è sufficientemente vasto per permettere questo tipo di lavoro né lo scopo della ricerca si è orientato verso questo fine specifico. Semmai, i due contesti sono stati scelti per due ragioni interconnesse che affiancano motivi pratici a finalità scientifiche. In Francia e in Italia, e proprio nelle regioni del Grand Est e della Toscana, ho avuto occasione di lavorare in modo approfondito sul tema della costruzione delle maschilità già nel quadro di studi precedenti32 e – aspetto non trascurabile per una ricerca come questa, ancorata al campo – realizzare interviste nella lingua d’origine degli interlocutori. Si tratta dunque di due contesti socio-culturali che mi sono ormai familiari e rispetto ai quali dispongo di sufficienti risorse per orientarmi facilmente anche nella costruzione di relazioni di campo. In secondo luogo, proprio queste regioni sono tra quelle in cui il consumo di carne rappresenta una caratteristica centrale della cultura culinaria. Entrambe caratterizzate da una tradizione spiccata nella preparazione di piatti e alimenti carnivori – con una netta incidenza di carne rossa – sia il Grand Est che la Toscana fanno parte di due Pae-si europei tra i quali si registrano i più alti consumi di carne, sia rossa che bianca33. Interrogare il nesso tra maschilità e alimentazione in due contesti così nettamente connotati dal consumo di carne si configura dunque come una occasione particolarmente allettante, se non altro per verificare l’esistenza riconosciuta in altri studi su queste stesse regioni34 di una correlazione tra costruzione della maschilità, esaltazione della virilità e identificazione con consumi carnivori. E poi: cosa accade invece a coloro che rinunciano alla carne? In due contesti che attribuiscono una così grande importanza a questa pietanza ma anche alla dimensione conviviale del pasto, delle abitudini a tavola, dei riti connessi alla cucina35, mi è sembrato interessante capire se e come chi si allontana da tale consumo debba poi giustificarsi di fronte allo sguardo altrui.
17È opportuno sin da ora mettere in evidenza due limiti principali dello studio. È innanzitutto necessario sottolineare che la popolazione intervistata non può essere considerata come rappresentativa per descrivere le abitudini alimentari delle due regioni prese in considerazione. Il campione di studio maschile su cui si poggiano le analisi proposte in questo volume risente di una costruzione empirica se si vuole arbitraria, dettata dalla volontà di chi scrive di includere nella popolazione di ricerca un numero consistente di uomini che si posizionassero proprio su stili alimentari alternativi alla scelta carnivora in modo da rendere più flagranti le eventuali negoziazioni dei significati del cibo in contesti che valorizzano il consumo di carne e nei quali quegli stessi intervistati sono stati socializzati sin da piccoli.
18L’attenzione portata esclusivamente sul maschile è anche all’origine di un altro limite della ricerca realizzata: le interviste hanno esplorato le pratiche alimentari soprattutto dal punto di vista del rapporto che l’individuo, il singolo, elabora con esse. Lo studio dell’alimentazione in quanto pratica individuale permette di approfondire la ricchezza dei significati attribuiti dai maschi alle loro abitudini alimentari ma finisce anche per nascondere o sottostimare il ruolo che possono avere altre persone (i partner di coppia o altri membri della famiglia, per esempio) su quelle stesse pratiche alimentari. Poter disporre dello sguardo femminile sui racconti maschili è stata una preoccupazione che ha accompagnato la ricerca e su cui ho lungamente riflettutto soprattutto nella parte iniziale dello studio. Mi sembrava importante completare le interviste con gli uomini attraverso il punto di vista femminile e anche tramite alcuni colloqui con i pari – maschi – degli intervistati. Tuttavia, gli ostacoli con cui ho dovuto confrontarmi nelle fasi di campo mi hanno suggerito di desistere. Quando ho cercato contatti con le compagne degli intervistati, talvolta con le madri o con altri membri della famiglia d’origine, o anche con amici o amiche, e colleghi o colleghe di lavoro (a conferma del fatto che le difficoltà non erano legate solo alla questione del sesso delle persone con cui volevo realizzare le interviste complementari) ho capito di aver messo a repentaglio alcune relazioni instaurate con gli intervistati che temevano rivelassi, poi, ai loro conoscenti ciò che loro mi avevano raccontato durante le interviste. In due casi gli uomini contattati hanno fatto perdere le loro tracce e non hanno più risposto alle mie sollecitazioni. Ho dunque preferito privilegiare il rapporto di fiducia stabilito con gli informatori con cui iniziavo a poter costruire un campione di studio consistente senza rischiare di perdere altri contatti nel prosieguo della ricerca. La difficoltà di accedere a interlocutori e interlocutrici che facessero parte dell’entourage degli intervistati è data anche dal fatto che in questa ricerca non ho potuto realizzare un’etnografia approfondita per osservare le pratiche alimentari degli uomini durante i pasti. Oltre a poter condividere questo momento di commensalità con altri familiari o amici e amiche degli intervistati, l’osservazione dei pasti avrebbe permesso di problematizzare maggiormente il divario tra racconto (su cosa si è mangiato) e pratica (cosa si è mangiato davvero). Se si fa eccezione per alcune interviste realizzate durante la pausa pranzo degli intervistati – in cui gli uomini incontrati consumavano il pranzo mentre rispondevano alle mie domande –, oppure a quelle volte in cui ho realizzato i colloqui nelle case degli intervistati che hanno voluto poi mostrarmi i prodotti acquistati e cosa consumassero abitualmente, (aprendo lo sportello di una dispensa o il frigorifero) non mi è stato possibile osservare sistematicamente le pratiche alimentari della popolazione di studio. Sebbene il presente lavoro si interessi in particolar modo a come le scelte alimentari siano giustificate (più che su quali cibi mangino davvero gli intervistati)36, mi sono confrontato con l’evidenza del fatto che realizzare osservazioni etnografiche sui pasti quotidiani si configura come uno dei terreni più complessi cui accedere. Soprattutto perché un tale lavoro richiederebbe la ripetizione delle osservazioni stesse, su lunghi periodi e con un campione di studio abbastanza vasto, di difficile attuazione in contesti privati e familiari37. La realizzazione di un tale dispositivo, in ogni caso, non avrebbe necessariamente annullato tutti gli effetti che la presenza di un ricercatore o di una ricercatrice produce sul proprio campo d’osservazione e, più precisamente, sulla riorganizzazione parziale o totale delle pratiche adottate abitualmente proprio da parte della popolazione di studio in funzione di tale, inabituale, presenza di uno sguardo estraneo.
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19Nei capitoli che compongono questo volume non compariranno tutti gli intervistati che troviamo nella lista esaustiva in appendice. La scelta di focalizzarsi proprio sui 26 uomini le cui storie percorrono le pagine di questo libro è stata dettata dal carattere emblematico e particolarmente rappresentativo delle loro testimonianze. I loro racconti trovano tuttavia eco profonde nei colloqui realizzati con coloro che non compaiono direttamente attraverso estratti d’intervista.
20Dopo un primo capitolo introduttivo che permetterà di fare il punto sulla stretta relazione tra processi di identificazione di genere (e in particolare sui processi di costruzione della maschilità) e pratiche alimentari, il secondo capitolo del volume si interesserà al tema della salute inteso come valore di riferimento tramite cui gli intervistati si avvicinano al cibo per orientare e strutturare le loro diete e stili di vita. Benché si tratti di una ricerca realizzata in due Pae-si che, come detto, attribuiscono un senso specifico al cibo in quanto fonte di piacere, gusto e convivialità, sarà interessante mostrare come tali significati siano rinegoziati in maniera specifica dagli uomini che fanno di ciò che mangiano innanzitutto uno strumento per vivere in salute. Il capitolo successivo, il terzo, analizzerà in maniera approfondita l’articolazione tra consumo di carne e produzione delle maschilità, indagando soprattutto come, qualora questa pietanza sia tolta e fortemente ridotta dalla dieta quotidiana, gli intervistati cerchino vie alternative per “giustificare” la loro maschilità, percepita come indebolita da loro stessi o dai loro interlocutori o interlocutrici. Attraverso l’originalità della sua struttura e del suo formato (un dialogo immaginario tra una donna e un uomo che cenano in un ristorante), il quarto capitolo proporrà una discussione vivace su alcuni sviluppi contemporanei delle ricerche su genere e alimentazione, interessandosi in particolar modo alla questione della presenza degli uomini in cucina. Interrogando alcuni fenomeni d’oggigiorno (uno su tutti: la proliferazione della figura maschile dello chef stellato e la sua sovraesposizione mediatica) la domanda che verrà posta è la seguente: siamo di fronte, nelle nostre società, a una ridefinizione del ruolo del maschio in cucina?
21Vorrei concludere questa sezione introduttiva con alcuni ringraziamenti. Innanzitutto ai curatori della collana “Questioni di genere” di Rosenberg & Sellier, Irene Biemmi, Stefano Ciccone e Barbara Poggio, che hanno accolto da subito con interesse e curiosità questo progetto editoriale, e a Lorenzo Armando per la disponibilità che ha mostrato nei miei confronti durante la preparazione del volume. Grazie a Sauro Largiuni che ancora una volta si è prestato alla rilettura dei miei scritti, e a Pietro Palladino per aver curato la copertina. Desidero ringraziare Luisa Stagi che, oltre ad aver arricchito questo libro accettando di scriverne la prefazione, ha rappresentato per me un riferimento scientifico importante in questi anni proprio sui temi qui discussi. I suoi consigli delicati e il suo gusto per la condivisione del sapere hanno incoraggiato e permesso la realizzazione di questo lavoro. Grazie a Nicoletta Diasio, fonte di ispirazione nel mio avvicinamento alla ricerca sulle pratiche alimentari che ha creduto per prima in questo studio, che ne ha diretto le prime fasi di campo e con la quale ho potuto lavorare anche a una parte d’analisi dei risultati. Resto il responsabile delle riflessioni qui proposte, ma tengo a sottolineare che molte piste di studio sviluppate nel presente volume sono il frutto degli intensi scambi avuti con lei negli ultimi dieci anni. Un ringraziamento al comitato scientifico della Fondation Nestlé France che nel 2017 ha selezionato il progetto di ricerca da cui è partito questo studio, finanziandone le operazioni di campo iniziali in terra transalpina. Infine grazie a Tristan Fournier che, oltre ad aver gentilmente accettato di partecipare al volume contribuendo alla realizzazione del quarto capitolo, ha accompagnato con la sua consueta eleganza le fasi di realizzazione di questo studio arricchendole di riflessioni illuminanti, consigli, osservazioni e suggerimenti.
Notes de bas de page
1 E. Abbatecola, L. Stagi, Pink is the new black. Stereotipi di genere nella scuola, Torino, Rosenberg & Sellier, 2017.
2 R. Ghigi, R. Sassatelli, Corpo, genere e società, Bologna, il Mulino, 2018.
3 M. Darmon, La socialisation, Paris, Armand Colin, 2016.
4 R. W. Connell, Maschilità cit.
5 Darò ampio conto del valore scientifico di questo approccio soprattutto nel primo capitolo.
6 Demetriou ricordava già nel 2001 come le nuove maschilità dominanti si nutrano e possano adottare pratiche associate alla femminilità o a maschilità marginalizzate e subalterne per aggiornare il paradigma e l’esercizio della loro egemonia. D. Z. Demetriou, Connell’s Concept of Hegemonic Masculinity: A Critique, «Theory and Society», 30, 3, 2001, pp. 337-361.
7 Solo per citare alcune ricerche significative ai fini di questo volume, si veda: M. Buscatto, B. Fusulier, “Masculinities” Challenged in Light of “Feminine” Occupations, «Recherches sociologiques et anthropologiques», 44, 2, 2013, pp. 1-19; E. Dermott, T. Miller, More than the Sum of Its Parts? Contemporary Fatherhood Policy, Practice and Discourse, «Families, Relationships and Societies», 4, 2015, pp. 183-196; E. Gallo, F. Scrinzi, Migration, Masculinities and Reproductive Labour: Men of the Home, London, Palgrave Macmillan, 2016; M. Cannito, Beyond “Traditional” and “New”: An Attempt of Redefinition of Contemporary Fatherhoods through Discursive Practices and Practices of Care, «Men and Masculinities», 23, 3-4, 2020, pp. 661-679; C. Ottaviano, G. Persico, Maschilità e cura educativa. Contronarrazioni per un (altro) mondo possibile, Genova, Genova University Press, 2020.
8 E. Anderson, Inclusive Masculinity. The Changing Nature of Masculinities, London, Routledge, 2009; T. Bridges, C. J. Pascoe, Hybrid Masculinities: New Directions in the Sociology of Men and Masculinities, «Sociology Compass», 8, pp. 246-258.
9 H. Rivoal, La fabrique des masculinités au travail, Paris, La Dispute, 2021.
10 I cui risultati principali sono pubblicati nel testo V. Fidolini, Fai l’uomo. Come l’eterosessualità produce le maschilità, Milano, Meltemi, 2019.
11 C. Guionnet, Pourquoi réfléchir aux coûts de la domination masculine?, in D. Dulong, C. Guionnet, E. Neveu (a cura di), Boys don’t cry! Les coûts de la domination masculine, Rennes, PUR, 2012, pp. 7-38.
12 Tale prospettiva non vuol certo far scivolare la mia argomentazione verso una deriva giustificazionista che, per dirla con Nicole-Claude Mathieu, finisce per ammettere la dominazione in quanto via ineluttabile del maschile (cfr. N.-C. Mathieu, Bourdieu ou le pouvoir auto-hypnotique de la domination masculine, «Les temps modernes», 604, 1999, pp. 286-324).
13 R. W. Connell, Maschilità cit.
14 R. W. Connell, J. W. Messerschmidt, Hegemonic Masculinity: Rethinking the Concept, «Gender & Society», 19, 6, 2005, pp. 829-859.
15 D. Z. Demetriou, Connell’s cit.
16 R. Sassatelli, L’alimentazione: gusti, pratiche e politiche, «Rassegna italiana di sociologia», XLV, 4, 2004, 475-492.
17 É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico [1895], Milano, Comunità, 1996.
18 G. Simmel, Sociologia del pasto [1910], in Estetica e sociologia. Lo stile della vita moderna, Roma, Armando Editore, 2006, pp. 100-111.
19 N. Elias, Il processo di civilizzazione [1939], Bologna, il Mulino, 1988.
20 P. Cardon, T. Depecker, M. Plessz, Sociologie de l’alimentation, Paris, Armand Colin, 2019.
21 M. Halbwachs, Come vive la classe operaia. La gerarchia dei bisogni nelle società industriali contemporanee [1912], Roma, Carocci, 2014. Per un’analisi rapida ma esaustiva degli approcci dell’alimentazione nella sociologia classica si veda il testo di Filippo Oncini Sociologia dell’alimentazione: l’eredità dei classici tra riduzionismo, sistemismo e microsociologia, «Quaderni del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale», 3, 2016, Università degli Studi di Trento.
22 P. Bourdieu, La distinzione cit.
23 Si pensi in particolar modo ai lavori di Claude Lévi-Strauss (Il crudo e il cotto, Milano, il Saggiatore, 2016 [1964]) o a quelli ancora precedenti di Audrey Richards (Hunger and Work in a Savage Tribe: A Functional Study of Nutrition Among the Southern Bantu, London, Routledge, 2003 [1932]), per citarne solo due, ispirati da prospettive antropologiche diverse.
24 J.-P. Poulain, Alimentazione, cultura e società, Bologna, il Mulino, 2008.
25 A. Beardsworth, T. Keil, Sociology on the Menu: An Invitation to the Study of Foodand Society, London, Sage, 1997; A. Warde, Consumption, Food and Taste: Culinary Antinomies and Commodity Culture, London, Sage, 1997.
26 In ragione, o a causa, del percorso professionale di chi scrive.
27 V. Fidolini, La production de l’hétéronormativité, Toulouse, Presses Universitaires du Midi, 2018.
28 Un solo intervistato, come si può notare dalla tabella in appendice, ha utilizzato questo termine per definirsi – si tratta di un intervistato che esercita un mestiere intellettuale come quello dell’insegnante, e particolarmente dotato in termini di capitali culturali. La categoria del “flessitariano” – che adotterò solo facilitare la distinzione tra i regimi alimentari degli intervistati – risulta dunque in larga parte sconosciuta agli uomini incontrati.
29 Visto il protocollo qualitativo di ricerca ho cercato di costruire un campione di studio il più diversificato possibile, inserendo profili di intervistati di diversa estrazione che permettessero un’ampia esplorazione di stili alimentari e modalità di consumi.
30 J. Twigg, Vegetarianism and the Meanings of Meat, in A. Murcott (a cura di), The Sociology of Food and Eating: Essays on the Sociological Significance of Food, Aldershot, Gower, 1986, pp. 18-30.
31 Chi legge potrà trovare i dettagli della dieta dell’intervistato sia in appendice che nella presentazione del suo profilo nel corpo del testo, via via che studieremo i racconti degli uomini intervistati.
32 Cfr. V. Fidolini, Fai l’uomo cit.
33 Non disponiamo a oggi di dati ufficiali ed esaustivi in merito ma secondo numerose stime sia in Francia che in Italia le persone che dichiarano di adottare un regime alimentare vegetariano e/o vegano si attestano attorno al 4-6% della popolazione totale.
34 Si vedano per esempio: C. Méchin, Essai d’anthropologie de l’alimentation dans le nord-est français, «Revue des Sciences Sociales de la France de l’Est», 14, 1985, pp. 79-95; P. Meloni, Modi giusti. Cultura materiale e pratiche di consumo nella provincia toscana contemporanea, Pisa, Pacini Editore, 2011.
35 C. Fischler, E. Masson (a cura di), Manger. Français, Européens et Américains face à l’alimentation, Paris, Odile Jacob, 2008.
36 Non si tratta appunto di recensire le pratiche alimentari degli uomini francesi e italiani.
37 C. Bossard, H. Escalon, C. Julia, J.-P. Poulain, F. Beck, Mode de recueil et catégorisation des aliments : constances et évolutions méthodologiques, in H. Escalon, C. Bossard, F. Beck (a cura di), Baromètre santé nutrition 2008, 2009, INPES, pp. 65-78.
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Uomini e diete
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