3. Una ricerca con le donne che si rivolgono a un centro antiviolenza ai tempi del lockdown
p. 62-78
Texte intégral
3.1. La domanda di partenza e il percorso per rispondervi
1La ricerca che sta alla base di questo libro nasce da una collaborazione più che decennale tra una docente e ricercatrice universitaria, Patrizia Romito, da una parte con i centri antiviolenza, in particolare con il centro GOAP di Trieste, e dall’altra con un’epidemiologa, Marie-Josèphe Saurel-Cubizolles, afferente a una istituzione francese di ricerca sulla salute, l’INSERM. La collaborazione con il GOAP è iniziata fin dalla nascita del centro, nel 1999, e si è declinata negli anni in varie modalità, sia nell’ambito della ricerca sia in quello della formazione sul tema della violenza che ha visto quasi sempre la presenza della ricercatrice e delle operatrici di accoglienza nelle iniziative di formazione a livello regionale. La collaborazione con Marie-Josèphe Saurel-Cubizolles è iniziata più di 30 anni fa, facendo ricerca insieme sulle relazioni tra lavoro, maternità e salute delle donne e più recentemente sull’impatto della violenza sulla salute: Marie-Josèphe ha fatto parte del gruppo di ricercatrici che ha coordinato la prima grande inchiesta francese sulla violenza contro le donne, curandone principalmente proprio la parte sulle conseguenze sanitarie1.
2È grazie a questa storia di scambi, collaborazioni e amicizia che è stato possibile, come vedremo, pensare e concretizzare questa ricerca in un tempo brevissimo. C’è una data precisa a cui far risalire l’ideazione del progetto: il 27 aprile 2020, in pieno lockdown, in occasione dell’intervento delle operatrici del GOAP al corso su “Violenza contro le donne” che Patrizia Romito tiene da anni presso il Corso di Laurea in Medicina all’Università di Trieste2. Nella discussione tra noi alla fine della lezione ci siamo poste delle domande su cosa stesse succedendo alle vittime di violenza in questo periodo: gli appelli al centro erano drasticamente diminuiti e la preoccupazione nei confronti delle donne era accompagnata dalla frustrazione per l’approssimazione dei dati sulla violenza che stavano circolando in quei giorni. A partire dalle nostre conoscenze in merito, ci sembrava che questi dati non tenessero in conto la situazione di quelle donne che, pur non convivendo con un uomo violento, continuavano a subirne le violenze. La situazione drammatica delle donne conviventi con il loro aggressore era stata ampiamente descritta – la coabitazione forzata con un uomo reso forse ancora più intollerante a causa della pandemia, l’impossibilità di chiedere aiuto – ed era fonte di giusta preoccupazione; ma cosa stava accadendo invece alle donne separate o comunque non conviventi in un periodo in cui le occasioni di relazioni e di incontri erano sottoposte a restrizioni e controlli?
3Da questa discussione sono nate le domande che hanno guidato la ricerca: quale era stata l’evoluzione della violenza del partner o ex-partner durante il periodo del lockdown, per le donne conviventi così come per le donne non conviventi? Come avevano vissuto questo periodo, non solo riguardo la violenza e i rapporti con le istituzioni coinvolte (come servizi sociali, forze dell’ordine e tribunali) ma anche riguardo la gestione della vita quotidiana, le figlie/i, il lavoro fuori e dentro casa e la paura dell’epidemia?
4Partire dalle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza ci è sembrata una scelta adeguata. Non sarebbe stato possibile, in tempi brevi e senza risorse economiche molto ingenti, implementare una ricerca a carattere nazionale, in cui si chiedesse a un campione ampio di donne se avesse subito violenze prima del lockdown o durante. Le donne che si rivolgono ai centri hanno tutte storie di violenza: questa caratteristica rappresenta un punto di forza perché permette di osservare, anche su un campione più piccolo, la sua evoluzione e di approfondire, a partire da situazioni sempre complesse, l’esperienza in questo periodo. Rappresenta tuttavia anche un limite, che è bene sottolineare fin da qui: i risultati riguarderanno donne che hanno potuto e voluto rivolgersi a un centro, e non tutte le donne che subiscono violenze nella loro relazione di coppia.
5Il disegno della ricerca si è sviluppato in tre parti:
- un’inchiesta quantitativa con questionari strutturati, con le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza aderenti alla rete nazionale D.i.Re. della regione Friuli-Venezia Giulia: lo scopo era di cogliere, basandosi su analisi statistiche, l’evoluzione della violenza del partner o ex-partner nel periodo del lockdown e in quello immediatamente successivo e le sue conseguenze;
- uno studio qualitativo con un campione più piccolo di donne afferenti agli stessi centri, per approfondire la tematica a partire dalla loro esperienza soggettiva;
- a questi due bracci della ricerca si è aggiunta un’intervista collettiva alle operatrici degli stessi centri, per raccogliere la loro esperienza di lavoro con le donne in questo periodo.
6I centri della regione contattati hanno aderito con entusiasmo, così come, da Parigi, Marie-Josèphe Saurel-Cubizolles; nel mese di maggio il lavoro di preparazione della ricerca è stato intenso e la raccolta dati è potuta iniziare ufficialmente il 3 giugno 2020.
3.2. I centri antiviolenza del Friuli-Venezia Giulia che hanno partecipato alla ricerca
7La ricerca ha coinvolto i centri antiviolenza: GOAP-Gruppo operatrici antiviolenza e progetti di Trieste, SOS Rosa di Gorizia, Da Donna a Donna di Ronchi dei Legionari, Voce Donna di Pordenone e Voce Donna di Tolmezzo3.
8Il centro antiviolenza di Trieste è gestito dall’associazione GOAP fin dal 1999. L’apertura del centro è stata possibile grazie al contributo di molte donne della città, appartenenti a mondi diversi: associazionismo femminile e femminista, università, cultura, politica e istituzioni. Questo impegno ha portato nel 1998 alla nascita dell’associazione e alla sottoscrizione di un accordo di programma tra la Provincia di Trieste, l’Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina” e tutti i Comuni del territorio, che prevedeva l’apertura di un centro antiviolenza sperimentale, sul modello di quelli già avviati nel resto d’Italia. L’associazione, oltre al centro antiviolenza, gestisce a oggi anche 3 case rifugio a indirizzo segreto e 3 case di transizione4. A Ronchi dei Legionari l’associazione Da Donna a Donna si è costituita nel 1997, come realizzazione di un progetto che si stava sviluppando già da anni; anch’essa gestisce 2 case rifugio a indirizzo segreto e 1 casa di transizione. A Pordenone l’associazione Voce Donna si è costituita nel 1997; gestisce il centro, 3 case rifugio e 2 case di transizione. Grazie a convenzioni con Comuni del territorio offre due sportelli d’ascolto in cittadine più piccole, permettendo alle donne della provincia di svolgere i colloqui nella sede che ritengono più adatta. Voce Donna inoltre, dal 2018, in collaborazione con i Servizi Sociali comunali, ha attivato un centro antiviolenza anche a Tolmezzo, il centro principale della Carnia, che dispone di 1 casa rifugio e di 3 sportelli d’ascolto in comuni minori; viene garantita così, anche a un territorio montano come quello carnico, la presenza di un luogo che possa accogliere e sostenere le donne. A Gorizia, l’associazione SOS Rosa è nata nel 2002 e attualmente gestisce il centro antiviolenza, 1 casa rifugio, 3 case di transizione e 4 sportelli d’ascolto in altrettanti comuni del territorio; è in preparazione l’apertura di un altro centro nella cittadina di Grado. Tutti i centri, in collaborazione con le forze dell’ordine dei rispettivi territori e grazie a delle convenzioni con alcune strutture alberghiere, garantiscono anche l’ospitalità in situazioni d’emergenza: in caso di intervento presso l’abitazione della donna, infatti, le forze dell’ordine possono accompagnarla nell’albergo di riferimento mettendola in sicurezza e stabilendo un contatto diretto con le operatrici del centro.
9I territori in cui sono situati i 5 centri antiviolenza sono molto diversi tra loro. Trieste è la capitale della regione Friuli-Venezia Giulia, una città con una cultura marittima, commerciale e internazionale e una grande tradizione di autonomia femminile; Pordenone e Gorizia sono capoluoghi di provincia, situate, la prima nella pianura industrializzata, la seconda sul confine con la Slovenia5. Ronchi dei Legionari è un comune più piccolo, situato in prossimità dei cantieri navali di Monfalcone; ospita un’importante comunità immigrata soprattutto dal Bangladesh. Tolmezzo è la città più importante della Carnia, una regione di montagna, con cultura e tradizioni molto specifiche. Questa grande diversità di territori, condizioni socioeconomiche e culture rappresenta un arricchimento per la nostra ricerca.
10La tabella 1 presenta i dati relativi al numero di donne che si sono rivolte ai 5 centri nel 2020 e il numero di donne che hanno partecipato alla ricerca. La provenienza delle donne intervistate nella ricerca rispecchia la numerosità delle donne che afferiscono nei vari centri coinvolti: il 44% delle intervistate si era rivolto al centro di Trieste; l’8% a Ronchi dei Legionari; il 25% a Pordenone; il 7% a Tolmezzo e il 15% a Gorizia.
Tabella 3.1. Numero delle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza* della regione Friuli-Venezia Giulia nell’anno 2020 e donne che hanno partecipato alla ricerca
Trieste | Ronchi | Pordenone | Tolmezzo | Gorizia | Totale | |
Totale delle donne che si sono rivolte al centro antiviolenza nel 2020 | 483 | 150 | 205 | 48 | 145 | 1.031 |
Donne che hanno partecipato alla ricerca | 129 | 23 | 74 | 21 | 45 | 292 |
→ Di cui donne vittime di violenza da un partner o ex-partner | 114 | 17 | 52 | 18 | 37 | 238 |
*Centri aderenti alla Rete DiRE (Donne in Rete contro la violenza)
11Durante il lockdown, anche i centri del FVG si sono attivati per continuare a sostenere le donne già in percorso e per far sapere a tutte le donne che continuavano la loro attività6. Le operatrici hanno da subito riorganizzato il loro lavoro, ampliando l’orario di ricezione telefonica per cercare di adattarsi il più possibile ai bisogni e ai tempi delle donne. I colloqui in presenza sono stati limitati ai casi di emergenza; nelle situazioni in cui era possibile, sono stati sperimentati i colloqui d’accoglienza virtuali, una modalità che ha ricevuto un’ottima risposta dalle donne. Per dare un’idea del loro funzionamento durante il lockdown, citiamo due brevi estratti dall’intervista alle operatrici.
Operatrice, Centro antiviolenza n. 1. Ci siamo trovate costrette a trovare molto velocemente dei nuovi modi di incontrare le donne, di poter parlare con loro, quindi nel giro di poche settimane siamo tutte diventate esperte di digitale, di videochiamate, di utilizzare il telefono, di lavorare da casa, in realtà poi diciamo che col passare dei mesi ci siamo come accorte che questi strumenti in realtà possono essere molto utili a prescindere dalla pandemia, nel senso che siamo riuscite per esempio a fare colloqui regolari con donne che hanno problemi di lavoro e quindi magari si collegano brevemente durante la pausa pranzo con Skype.
12I centri hanno continuato a offrire l’ospitalità nelle case rifugio a donne in situazioni ad alto rischio: questo ha implicato affrontare ulteriori difficoltà dovute alla pandemia, come per esempio situazioni di contagio all’interno delle strutture protette. Il sostegno delle operatrici è andato ben al di là dei loro interventi abituali e forse anche di quanto messo in opera dai servizi pubblici e dalle istituzioni.
Operatrice, Centro antiviolenza n.1. Per quanto riguarda le case rifugio durante il lockdown anche noi abbiamo sospeso i passaggi per una questione di sicurezza però praticamente passavamo e consegnavamo la spesa, le stampe per i compiti dei bambini, e abbiamo dotato ogni casa di computer e iPad per tutti i bambini, per sostenerli ci collegavamo anche a distanza per esempio per far fare i compiti, quindi credo che tutte noi in qualche modo a 360° abbiamo provato a sostenere le donne in ogni modo, per non lasciarle da sole in quella fase.
3.3. La ricerca e i suoi metodi
13La presentazione dei metodi della ricerca è essenziale per comprenderne i risultati. Essi dipendono infatti da un processo razionale che implica numerose decisioni prese via via dalle ricercatrici: dalla scelta del tema e quindi dalla formulazione della domanda di ricerca, alla decisione su quale metodo utilizzare, alla costruzione degli strumenti (per esempio un questionario), fino alla modalità di raccolta dei dati, alla definizione del campione e infine alla strategia di analisi. Queste scelte dovrebbero essere il più possibile trasparenti, perché è da esse che dipendono i risultati e la loro qualità7.
14La questione della violenza alle donne, e in particolare della violenza dal partner nel periodo del lockdown, è molto complessa e molteplici sono le domande che ci eravamo poste: da qui, la decisione di impostare una ricerca multi-metodo, sia con un approccio di tipo quantitativo – inchiesta con questionari – sia di tipo qualitativo – interviste semi-strutturate. I due metodi sono diversi e permettono quindi uno sguardo multiplo e sfaccettato sulla realtà che si vuole studiare. L’approccio quantitativo produce dei risultati in termini numerici: ne abbiamo bisogno per individuare la frequenza di un certo fenomeno e le condizioni che vi sono associate; ci permette, grazie a tecniche statistiche sofisticate, di costruire dei modelli complessi dei fenomeni sotto osservazione. Per raggiungere questi scopi, il campione studiato dovrebbe essere ampio e soprattutto rappresentativo della popolazione di riferimento, altrimenti i risultati prodotti su quel campione specifico non potranno essere considerati generalizzabili a tutta la popolazione. Nell’approccio quantitativo, la domanda di partenza è particolarmente importante, perché questa domanda sarà il quadro di riferimento dentro il quale i soggetti della ricerca apporteranno le loro risposte. Per essere chiari: in un questionario, il soggetto è libero di rispondere come crede a una domanda, ma non di modificare la domanda. Questa è la differenza di fondo con la ricerca di tipo qualitativo, in cui si vanno ad esplorare dei fenomeni a partire dall’esperienza e dal vissuto soggettivo delle persone coinvolte. È una ricerca che si definisce spesso come esploratoria, in cui non si tratta di testare il punto di vista della ricercatrice ma di far emergere, grazie alla situazione di intervista, il punto di vista del soggetto. La ricerca qualitativa ha esigenze diverse rispetto all’approccio quantitativo: il campione di solito è piccolo, anche perché lo scopo non è di generalizzare i risultati, ma di far emergere delle situazioni che possono essere anche infrequenti, arrivando alla fine, a partire da queste situazioni, a individuare dei concetti che, questi sì, possano avere un valore esplicativo più ampio.
15Fin dal 2001, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stilato delle raccomandazioni etiche e di sicurezza da seguire nella ricerca sulle violenze domestiche8. Gli elementi principali riguardano la sicurezza delle donne intervistate e delle intervistatrici: una ricerca che si svolge nei centri antiviolenza con la collaborazione attiva delle operatrici garantisce massimamente queste esigenze. Ma anche la qualità scientifica della ricerca ha, secondo l’OMS, una rilevanza etica: bisogna garantire rigore metodologico ed evitare di sottostimare o di sovrastimare le violenze. Data la censura, la vergogna e la paura vissute dalle vittime, il rischio di sottostimare la violenza è grande, e le sue conseguenze possono essere serie: la sottostima delle violenze potrebbe indurre, per esempio, a ridurre i finanziamenti per i servizi dedicati. Altrettanto grave, tuttavia, è il rischio di produrre dei risultati che sovrastimano la violenza: un risultato non corretto è sempre fuorviante; dei dati sovrastimati inoltre rischiano di attirare sospetti e di inficiare, alla fine, la credibilità stessa delle vittime.
3.4. L’evoluzione della violenza durante il lockdown e nei mesi successivi: lo studio quantitativo
La procedura
16Dal 3 giugno al 5 settembre 2020, le operatrici dei 5 centri coinvolti hanno proposto a tutte le donne che iniziavano o continuavano un percorso di accoglienza di partecipare a uno studio sulla violenza durante il periodo del lockdown, rispondendo a un questionario, di persona o per via telefonica: 292 donne sulle 379 contattate hanno accettato di partecipare. I rifiuti erano dovuti a mancanza di tempo o, in pochi casi, allo stato di disagio acuto in cui la donna si trovava in quel momento. La percentuale di risposta è quindi del 77%: un ottimo risultato per una ricerca che coinvolge donne in un momento difficile della loro vita. Sulle 292 intervistate, 238 erano vittime di violenza da un partner o ex-partner: come vedremo, le analisi saranno focalizzate su di loro. Nel periodo di preparazione della ricerca, le operatrici si erano formate alla somministrazione del questionario, che avveniva prima o dopo il colloquio di accoglienza, di solito il primo o il secondo. Le donne venivano informate che la partecipazione era del tutto volontaria e che rifiutare non avrebbe influenzato in nessun modo il rapporto con il centro; che il questionario era anonimo; che potevano smettere di rispondere in qualsiasi momento. Prima di iniziare, firmavano il modulo del consenso informato9. Un terzo circa delle donne ha risposto al questionario al telefono o via web; tutte quelle che lo hanno iniziato lo hanno completato. Le operatrici hanno inoltre raccolto e trascritto i commenti spontanei delle donne, che rappresentano un ulteriore contributo conoscitivo all’analisi della loro situazione.
17Il questionario è stato implementato sulla piattaforma Google Moduli, che permette un passaggio automatico dei dati su un foglio Excel. Le ricercatrici verificavano i questionari uno a uno e, nel caso di dati mancanti o di contraddizioni, contattavano il centro antiviolenza per integrare o correggere dove possibile.
Il questionario
18Il questionario è il risultato di un lavoro comune tra le ricercatrici e le operatrici dei centri: la sfida era di disporre di uno strumento che fornisse informazioni precise ma che fosse sufficientemente semplice e breve da poter esser somministrato in una situazione complessa, in cui le donne e le operatrici erano impegnate a trovare soluzioni per problemi seri e urgenti.
19Nella prima domanda, si chiedeva alle donne chi fosse l’autore delle violenze e se avessero convissuto con questa persona durante il lockdown. Per analizzare l’evoluzione durante il lockdown, il questionario proponeva una lista di 12 forme di violenza, chiedendo se quel tipo di violenza fosse aumentato, rimasto lo stesso o diminuito; un’ulteriore possibilità di risposta era che la violenza non fosse presente né prima né durante il confinamento10. La stessa lista veniva proposta alle donne per indagare l’evoluzione della violenza dopo il lockdown, al momento in cui rispondevano al questionario, in cui si chiedeva se la violenza fosse aumentata, rimasta la stessa, diminuita, rispetto al periodo del lockdown.
20Dalle risposte delle partecipanti, abbiamo costruito due indicatori di sintesi dell’evoluzione della situazione di violenza durante e dopo il lockdown, le cui categorie sono: la violenza è piuttosto aumentata; è rimasta globalmente stabile; è piuttosto diminuita. In caso di variazioni, si chiedeva poi alle donne per quali motivi ciò fosse avvenuto.
21Due domande riguardavano la paura dell’aggressore, durante e dopo il lockdown. Altre domande riguardavano il regime di visite padre-figli e le azioni intraprese dalle donne per cercare aiuto in questo periodo. Una parte del questionario riguardava il malessere psicologico al momento dell’intervista, con domande sugli incubi, i sintomi di attacchi di panico, sentire voci o rumori che nessun’altro sentiva, disturbi del sonno. Si chiedeva poi alle donne se avessero consultato medici o psicologi o avessero assunto farmaci per questi problemi.
22Venivano infine poste domande sulle caratteristiche sociodemografiche della donna e dell’autore delle violenze.
Chi sono le donne che hanno risposto ai questionari
23Delle 292 donne che hanno risposto al questionario, 238 si erano rivolte al centro antiviolenza perché subivano maltrattamenti da un partner o ex-partner. Per le altre 43 donne, l’autore era invece un familiare, un conoscente o uno sconosciuto. Avevano inoltre risposto altre 11 donne, che frequentavano un centro per usufruire di attività come i gruppi sull’autostima o i laboratori, ma le cui storie di violenza erano ormai superate: queste donne non sono state incluse nelle analisi.
24Le donne vittime di violenze da un partner. Partner è un termine “ombrello”, che ci permette di sintetizzare con una sola parola l’uomo11 con cui la donna ha una relazione affettiva o, seguendo la terminologia inglese, “intima”12. Le 238 donne che rientravano in questa categoria subivano violenze da varie tipologie di partner: mariti, conviventi, fidanzati, amanti, attuali o ex. Tra loro, 104 avevano convissuto con l’uomo durante il lockdown, mentre 134 erano non conviventi. Queste due categorie corrispondevano solo in parte alla distinzione tra partner o ex-partner: c’erano infatti situazioni in cui le donne convivevano, per vari motivi che vedremo in seguito, con un ex-partner, mentre in altri casi vivevano fisicamente separate da un uomo che era a tutti gli effetti il loro marito. La tabella 3.1 presenta le caratteristiche delle donne intervistate; data l’importanza della variabile “convivenza”, i dati sono presentati per l’insieme del campione e separatamente secondo che le donne convivessero o meno durante il lockdown con l’autore delle violenze.
25Come si vede dalla tabella 3.2, conviventi e non conviventi sono molto simili per quanto riguarda l’età, i/le figli/e, la nazionalità e il livello di istruzione: si potrebbe concludere che si tratta delle stesse donne, che si trovano in fasi diverse del loro percorso di uscita dalla violenza. Quello che le differenzia sono alcune caratteristiche socioeconomiche: le donne non conviventi hanno più spesso un lavoro regolare e la loro situazione economica è migliore; in particolare, il 13% delle non conviventi ma il 31% delle conviventi definisce la situazione come “molto cattiva”. Da questi dati non possiamo trarre delle conclusioni causali: è possibile che le donne che hanno maggiori risorse possano più facilmente decidere di non convivere con l’autore delle violenze; ma è anche possibile che il fatto di non convivere si traduca in maggiore autonomia finanziaria, minori spese e quindi una migliore situazione economica.
Tabella 3.2. Donne vittime di violenza da un partner o ex-partner. Caratteristiche socio-demografiche
Caratteristiche socio-demografiche delle donne e dei partner/ex-partner | Tutte le donne | Coabitano con il partner/ex durante il LD+ | Non coabitano con il partner/ex durante il LD+ | |||
N=238 | N=104 | N=134 | ||||
N | % | % | % | p* | ||
Età della donna (anni) | ||||||
≤ 25 | 16 | 7 | 7 | 7 | ns | |
26-35 | 51 | 21 | 19 | 23 | ||
36-45 | 89 | 37 | 37 | 37 | ||
> 45 | 82 | 34 | 36 | 33 | ||
Figli/e con l’autore delle violenze | ||||||
No | 72 | 30 | 32 | 29 | ||
Sì | 166 | 70 | 68 | 71 | ||
Nazionalità | ||||||
Italiana | 175 | 74 | 69 | 77 | ns | |
Non Italiana | 63 | 26 | 31 | 23 | ||
Istruzione | ||||||
Primaria | 65 | 27 | 31 | 25 | ||
Secondaria | 113 | 48 | 44 | 50 | ||
Terziaria | 60 | 25 | 25 | 25 | ns | |
Attività professionale | ||||||
Occupata | 109 | 46 | 36 | 53 | .04 | |
Situazione professionale precaria | 66 | 28 | 33 | 24 | ||
Casalinga o altrimenti non occupata | 63 | 26 | 31 | 23 | ||
Situazione economica (autovalutazione) | ||||||
Buona o molto buona | 96 | 40 | 33 | 46 | .01 | |
Non buona | 92 | 39 | 36 | 40 | ||
Cattiva | 50 | 21 | 31 | 13 | ||
Nazionalità del partner/ex-partner | ||||||
Italiana | 173 | 73 | 73 | 72 | ||
Non italiana | 65 | 27 | 27 | 28 | ns | |
Attività professionale del partner/ex-partner | ||||||
Occupato | 128 | 54 | 64 | 46 | .001 | |
Situazione professionale precaria | 30 | 13 | 16 | 10 | ||
Non occupato | 42 | 18 | 20 | 16 | ||
La donna non lo sa | 38 | 16 | 0 | 28 | ||
Autore delle violenze | ||||||
Partner | 132 | 56 | 85 | 33 | .001 | |
Ex-partner | 106 | 44 | 15 | 67 |
26In una ricerca quantitativa, è importante evitare gli effetti di selezione del campione. Le caratteristiche delle donne che abbiamo intervistato sono molto simili a quelle delle donne che si sono rivolte agli stessi centri antiviolenza nel corso del 201913: possiamo concludere che non c’è stato un effetto di selezione.
Tabella 3.3. Donne vittime di violenza da autori diversi dal partner/ex
Autore | Numero delle donne |
Padre | 5 |
Fratello | 7 |
Figlio | 8 |
Madre | 2 |
Figlia | 3 |
Partner della madre | 5 |
Altro familiare | 2 |
Persona conosciuta | 7 |
Sconosciuto | 4 |
27Le donne vittime di violenze da altri autori. Tra le donne che si sono rivolte ai centri nel periodo della ricerca, 43 subivano violenze da qualcuno che non era un partner o ex-partner. Come si vede dalla tabella 3.3, in 32 casi su 43 l’autore della violenza faceva parte della cerchia familiare e si può parlare di violenza domestica; in 7 casi si trattava di un uomo conosciuto (datore o collega di lavoro; inquilino; vicino di casa) e solo in 4 casi di uomini sconosciuti; questi ultimi, sono casi di aggressioni sessuali. Nell’insieme, in 38 casi su 43, l’autore delle violenze era un uomo. Si tratta di situazioni molto eterogenee, su cui non ritorneremo nel corso delle analisi. Ci è sembrato tuttavia utile descrivere anche se in maniera sintetica, la diversità delle donne che si rivolgono a un centro antiviolenza e l’universo di situazioni a cui i centri danno una risposta.
3.5. L’esperienza soggettiva delle donne: lo studio qualitativo
28L’analisi statistica dei dati e la lettura dei commenti fatti dalle donne in occasione del questionario hanno risposto a una parte delle nostre domande, ma ne hanno anche fatte nascere altre. I commenti soprattutto, sintetici dato il contesto, ci hanno aperto un mondo, facendo intravedere situazioni di una unicità e complessità tali che non era stato e non sarebbe stato possibile indagare in un questionario standardizzato. È nata quindi l’esigenza di intraprendere uno studio qualitativo, con interviste semi-strutturate e con un piccolo campione di donne, afferenti agli stessi centri. Le operatrici si sono rese disponibili a chiedere alle donne seguite in quel periodo se volevano partecipare a uno studio, narrando la loro esperienza. Tutte coloro a cui è stata fatta la proposta hanno accettato e hanno preso contatto autonomamente con la ricercatrice: 20 donne, provenienti dai 5 centri coinvolti, sono state così intervistate tra il 15 gennaio e l’11 febbraio 2021.
Le interviste semi-strutturate
29L’intervista semi-strutturata, o colloquio non direttivo, è uno degli strumenti principali del metodo qualitativo. Si tratta di una “forma di conversazione professionale che segue regole e impiega tecniche specifiche, in uno scambio di opinioni basato sulla sincerità tra due persone che si confrontano su un tema di interesse comune, producendo conoscenza”14. L’obiettivo è di comprendere il punto di vista delle/dei partecipanti, la loro visione del mondo, i significati che vi attribuiscono. L’intervistatore/trice utilizza una traccia che riporta i temi da toccare nel corso dell’intervista ma evita domande pre-formulate e, in generale, interviene il meno possibile; la persona intervistata è invece incoraggiata a esprimersi liberamente, diventando così la protagonista della sua storia.
30Tutte le interviste sono state svolte da Martina Pellegrini, 19 in modalità online e 1 in presenza. La durata andava da 35 minuti a 1 ora e 25 minuti (media: 54 minuti); sono state tutte registrate e trascritte. A partire dalle trascrizioni, abbiamo svolto un’analisi del contenuto seguendo i passi abituali: lettura e rilettura delle trascrizioni (un processo descritto come “impregnazione”); individuazione delle categorie di analisi; costruzione di categorie sovra-ordinate; discussione delle categorie nel gruppo di ricerca; eventuale ridefinizione delle stesse15. I risultati sono presentati come brani delle interviste, utilizzando la prospettiva narrativa; le citazioni sono in corsivo, omettendo delle parti di discorso quando ripetitive o non pertinenti e indicando questa omissione di testo con […].
31Anonimato e riservatezza erano al centro delle nostre preoccupazioni: i colloqui erano anonimi, in quanto il nome dell’intervistata non è stato né trasmesso all’intervistatrice né riportato su nessun documento; se durante il colloquio, la donna citava persone o luoghi specifici, questi riferimenti venivano cancellati già dal file audio16. Prima di iniziare l’intervista, le donne hanno firmato il modulo di consenso, che è stato inserito in una busta chiusa, senza indicazioni, custodita in luogo sicuro; lo pseudonimo con cui sono identificate nel testo è stato scelto da loro.
3.5.1. Chi sono le donne che hanno risposto alle interviste semi-strutturate
32La tabella 3.4 presenta le caratteristiche sociodemografiche delle 20 donne intervistate nella ricerca qualitativa. Tutte sono vittime di violenze da parte di un partner o ex-partner. Tutte, eccetto 2, hanno figli/e; nella maggior parte dei casi almeno uno/a di questi/e figli/e è minorenne. Quattordici donne sono italiane; 15 hanno un lavoro, 2 lo stanno cercando attivamente, 3 sono senza occupazione. Quattro donne sono state accolte in una casa rifugio, in passato o durante il lockdown. In quasi tutti i casi (18 su 20) l’uomo è stato denunciato, anche più volte; in 3 casi, il procedimento è scattato d’ufficio. Durante il lockdown, 10 donne convivevano con il maltrattante; 10 vivevano separate. Al momento dell’intervista, 7-8 mesi dopo la fine del primo lockdown, nessuna di loro conviveva più con l’autore della violenza. Come sia avvenuto questo processo, lo vedremo meglio nei prossimi capitoli.
Tabella 3.4. Caratteristiche delle donne che hanno partecipato allo studio qualitativo: donne vittime di violenza da un partner o ex-partner, intervistate dal 15/1/21 all’11/2/21
Pseudonimo scelto dalla donna | Convivente nel LD* | Convivente al momento dell’intervista | Età ** | Presenza ed età figli (anni) |
Margherita | No | No | 11,14 | |
Miriam | No | No | 42 | 10, 8 e 8 |
Sabrina | No | No | 12, 20 | |
Sofia | No | No | 7 | |
Jasmina | Sì | No | 32 | 8 |
Morgana | Sì | No | 15, 17, 27*** | |
Leyla | Sì | No | 37 | 4, 17 |
Monica | Sì | No | 3, 8 | |
Roberta | Sì (per 1 mese) | No | 9 e 9 | |
Wendy | No | No | 22 | |
Gloria | No | No | 3 | |
Viola | No | No | 6 | |
Alessia | Sì | No | 42 | 9, 5 |
Vanessa | Sì (per 1 mese) | No | 26 | No |
Lavinia | Sì | No | 32 | 2 |
Maria | Sì | No | 60 | 2, adulte |
Irene | No | No | 21 | No |
Marina | No | No | 46 | 15, 24, 25*** |
Silvia | Sì | No | 29 | 3 e 8 |
Stella | No | No | 27 | 3 e 6 |
* LD: Si intende il primo Lockdown (9 marzo-18 maggio 2020).
** L’età delle donne non è stata chiesta loro sistematicamente.
*** Il padre è diverso dall’autore delle violenze.
3.6. L’intervista con le operatrici
33Le operatrici dei centri coinvolti sono state parte attiva nella ricerca. Durante tutto il percorso, abbiamo svolte numerose riunioni online, all’inizio per risolvere eventuali problemi nella somministrazione del questionario, in seguito per condividere e discutere dei risultati preliminari. A completamento del lavoro, abbiamo voluto raccogliere le loro testimonianze, sul lavoro durante il lockdown, sui cambiamenti che avevano osservato nelle donne dopo il lockdown e infine sulla loro esperienza come ricercatrici. L’intervista di gruppo si è svolta online in data 19 maggio 2021, quasi un anno dopo la raccolta dati con i questionari e tre mesi dopo le interviste qualitative: si tratta quindi del punto di vista delle operatrici, situato temporalmente e che riguarda l’insieme delle donne seguite dai centri e non solo quelle che hanno partecipato alla ricerca. All’intervista, oltre alle ricercatrici (Pellegrini e Romito), hanno partecipato due operatrici per centro; l’intervista è stata registrata, ritrascritta e analizzata.
Notes de bas de page
1 Si tratta dell’Etude nationale su la violence envers les femmes en France (ENVEFF). Cfr. M. Jaspard et al., Les violences envers les femmes. Une enquête nationale, Paris, La documentation française, 2003.
2 Il corso esiste dal 2003. Cfr. P. Romito et al., Educating medical students on violence against women: a quasi experiment in the real world, in K. Smedslund, D. Risse (a cura di), Violences envers les femmes: responsabilités individuelles et collectives, Montréal, Presses de l’Université du Québec, 2014, pp. 297-313.
3 Per maggiori informazioni riguardo i centri antiviolenza, i servizi offerti e i loro contatti si vedano i rispettivi siti: https://www.goap.it [ultima consultazione 26.09.2021]; http://www.sosrosagorizia.it [ultima consultazione 26.09.2021]; http://new.dadonnaadonna.org [ultima consultazione 26.09.2021]; http://vocedonnapn.it [ultima consultazione 26.09.2021].
4 Con “casa di transizione” (o di seconda accoglienza) s’intende un’abitazione che può essere proposta alla donna e ai/alle suoi/sue figli/e per un lungo periodo, in seguito all’ospitalità in casa rifugio e una volta uscita dalla situazione di violenza, per permetterle di raggiungere una piena autonomia.
5 Dopo la Seconda guerra mondiale, metà della città è stata assegnata all’allora ex-Yugoslavia; il confine attraversava la città, ed è stato abbattuto con l’ingresso della Slovenia in Europa nel 2007.
6 P. Demurtas, M. Misiti, Violenza contro le donne in Italia. Ricerche, orientamenti e buone pratiche, Milano, Guerini, 2021; S. Brunori, L. Caterino (a cura di), Dodicesimo Rapporto sulla violenza di genere in Toscana. Un’analisi dei dati dei Centri e delle Reti antiviolenza. Regione Toscana, Osservatorio Sociale Regionale, 2020, https://www.regione.toscana.it/documents/10180/13865702/DodicesimoViolenza2020+interattivo.pdf/b01ab249-9c0f-5c41-35db-501c77e6eebe?t=1606143750034 [ultima consultazione 26.09.2021].
7 Per chi non avesse esperienze di ricerca o conoscenze metodologiche, si vedano, per esempio: E. Babbie, Ricerca sociale, Roma, Apogeo, 2010; N.K. Denzin, Y. Lincoln, The SAGE Handbook of Qualitative Research, 3a ed., Thousand Oaks, Sage, 2005; S. Reinharz, Feminist Methods in Social Research, Oxford, Oxford University Press, 1992.
8 World Health Organization, Putting Women First: Ethical and Safety Recommendations for Research on Domestic Violence against Women, 2001.
9 Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’Università di Trieste.
10 Le 12 forme di violenza sono presentate in dettaglio nel capitolo 4 (tabella 4.1).
11 La violenza esiste anche nelle coppie lesbiche, ma nessuna delle donne intervistate ha riportato violenze da una partner.
12 In inglese si parla di Intimate Partner Violence, da cui l’acronimo IPV.
13 Questa comparazione è stata possibile perché i centri raccolgono sistematicamente i dati sociodemografici delle donne accolte.
14 S. Kvale, Interviews: An Introduction to Qualitative Research Interviewing, 1996, https://www.academia.edu/4229478/Interviews_An_Introduction_to_Qualitative_Research_Interviewinghttps://www.academia.edu/4229478/Interviews_An_Introduction_to_Qualitative_Research_Interviewing [ultima consultazione 26.09.2021].
15 L’intervista semi-strutturata o colloquio non direttivo e l’analisi del loro contenuto rappresentano un’opera di alto artigianato intellettuale: non c’è da stupirsi che esistano approcci diversi secondo i diversi autori. Per una presentazione di vari approcci, si vedano: E. Babbie, Ricerca sociale cit.; S. Kvale, Interviews cit.; J.C. Kaufmann, L’intervista, Bologna, il Mulino, 2009.
16 A ricerca conclusa, i files audio verranno distrutti.

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