Introduzione. Dal passato al non tempo
p. 14-20
Texte intégral
Mentre la cultura sperimentale del ventesimo secolo era preda di un delirio ricombinatorio che dava l’impressione che la novità fosse disponibile all’infinito, il ventunesimo secolo è oppresso da un soffocante senso di finitezza e sfinimento. Non si ha affatto l’impressione di trovarsi nel futuro. O in alternativa, non si ha l’impressione che il ventunesimo secolo sia cominciato.
Mark Fisher, Spettri della mia vita
1È con una certa emozione che mi accingo a introdurre questo libro, provando a restituire il percorso che ha portato alla sua scrittura e a immaginare l’incontro con coloro che lo leggeranno. Come spesso accade per i libri, anche questo è il punto d’arrivo di un lungo tragitto: il primo balenio d’idea risale a diversi anni fa, a partire da uno scatto di rabbia. Trento è ormai catalogata tra i luoghi simbolo del lungo ’68 italiano: nel corso di questi cinquant’anni il movimento studentesco di Sociologia è stato oggetto di innumerevoli narrazioni e – paradossi della storia – persino di un processo di parziale istituzionalizzazione nella memoria pubblica. Eppure, c’è un altro racconto possibile di quella stagione, rimasto significativamente al margine del discorso. Una storia che, come tutte le storie non raccontate, rischia di cadere nell’oblio. È la storia di un’altra rivoluzione e, al contempo, di una rivoluzione altra, quella femminista. Trento è infatti una delle prime città italiane, insieme a Milano e Roma, in cui fa la sua comparsa il femminismo di cosiddetta seconda ondata, quello degli anni Settanta. Qui nasce uno dei primi collettivi femministi, il Cerchio spezzato, gruppo inizialmente composto da studentesse di sociologia che, dentro e oltre l’esperienza del ’68, si mette alla ricerca di forme autonome di politica e vita. Un’esperienza avanguardistica, che avrà parecchia influenza sui primi sviluppi del movimento italiano, da cui trae origine un femminismo locale molto ricco, rimasto però in un cono d’ombra storiografica pressoché totale.
2La memoria e la storia, si sa, sono una questione (anche) politica, e nelle dimenticanze si scorge, in filigrana, l’impronta del potere del proprio tempo. In questo senso, la fatica di far entrare organicamente il femminismo (trentino e non) dentro la memoria pubblica e la storia del periodo è triplice. La prima fatica è istituzionale. A proposito della ricezione dei movimenti politici della nuova sinistra negli anni Settanta De Luna scrive che «una memoria collettiva diventa ufficiale quando a stabilire i confini del patto su cui si fonda interviene la sanzione dello Stato, quando, cioè, la Memoria si incontra con la Politica e le istituzioni» (2009, p. 152). Indubbiamente permane una resistenza strutturale dello Stato a fare i conti con il femminismo, inteso non come incorporazione controllata di alcune istanze nell’orizzonte delle pari opportunità, ma come esperienza politica di critica radicale a un’idea astratta di cittadinanza, in cui le differenze sono ricomprese nell’uguaglianza senza corpo dei dominanti. Il femminismo non è certo l’unica omissione, in un processo di costruzione della memoria pubblica degli anni Settanta ormai ridotto a retorica degli opposti estremismi e a reality del dolore, ma senz’altro la più inconsapevole. Nel modo in cui lo Stato ha espunto dalla sua memoria il femminismo c’è la baldanza dell’aver dimenticato persino la dimenticanza, o forse, addirittura, di non averla mai registrata. È anche così che l’Italia continua, tenacemente, a non essere un paese per donne, nonostante sia stata protagonista del più massiccio e socialmente composito movimento femminista d’Europa (Rossi-Doria 2005).
3La seconda fatica della memoria appartiene alla sinistra, nuova e vecchia, così come a chi ne ha ricostruito la storia. La memoria del lungo ’68, salvo rare e felici eccezioni, è ancora fatta di maschile universale, proprio come quella dello Stato. In essa il femminismo è ancora nota a margine, al più voce critica accolta con magnanimità o, per i più politici, divisivo impeto della soggettività. In tutti i casi, continua a non venire accolto, proprio come allora, l’enorme potenziale critico e rifondativo che il femminismo ha sprigionato, anche e non secondariamente verso la cultura della sinistra. Un’occasione mancata di ripensare alle forme della politica e, con esse, ai metodi con cui la si pratica, che le donne hanno cercato per sé e che avrebbe potuto essere un buon punto di partenza per tutti. Una dimenticanza che è quindi anche rimozione di un conto in sospeso, di un nodo affiorato alla coscienza collettiva nel ’68, ma quasi subito lasciato ricadere dai ragazzi di allora nel mare dell’inconscio: il nodo tra maschilità e autoritarismo, che segna infatti il distacco delle donne dal ’68 e l’inizio di un percorso di ricerca proprio.
4Il terzo vuoto di memoria è interno alla comunità di chi studia il femminismo e a quella di chi l’ha praticato (spesso le due aree si sovrappongono). L’impostazione degli studi storiografici e sociologici risente di una scarsa articolazione geografica, con uno sbilanciamento narrativo sui grandi centri rispetto alla provincia (Passerini 1991; Rossi-Doria 2005). Alla gerarchia centro-periferia si accompagna un’enfasi sugli aspetti di scavo intellettuale e analitico, che pone l’accento sul contributo di specifici gruppi o singole intellettuali. Questa impostazione, che comincia da un po’ a smussarsi, rischia di deformare l’effettiva esperienza storica femminista, che in Italia più che altrove ha avuto un carattere eminentemente politico, una diffusione di massa (l’intellettuale collettivo) e una notevole capacità di attraversare la società nelle sue diverse articolazioni (Rossi-Doria 2005).
5La constatazione di questa triplice smemoratezza ha orientato l’impostazione della ricerca sul movimento trentino che ho condotto tra il 2016 e il 20191. In primo luogo, ho provato a guardare al femminismo non come entità in sé conchiusa, ma come nodo di una rete, esperienza in relazione con la società e la politica del proprio tempo. Ho cercato di leggere le identità politiche come snodi, generati e generanti relazioni, anche conflittuali, talvolta mancate, ma pur sempre relazioni. In questo modo, ho mantenuto l’attenzione sul femminismo come esperienza storica di trasformazione profonda della cultura, della società e (un po’ meno) della politica italiana.
6Mettersi dal punto di vista della periferia significa valorizzare il margine come prospettiva di conoscenza, guardando con particolare interesse a chi del margine ha fatto una scelta. Per tale ragione, in questo libro trovano spazio e attenzione analitica le storie delle femministe che hanno praticato la cosiddetta “doppia militanza” (nel movimento delle donne e nelle formazioni della sinistra) e che forse più di tutte hanno sperimentato l’arte difficile dello stare sul confine, provando a tradurre linguaggi e modi, spesso con il risultato di sentirsi dire o dirsi di averli traditi. È sulle doppio-militanti che si abbatte più implacabilmente la scure del conflitto e dell’incomunicabilità tra appartenenze allora molto vive, poi ricondotte a una misura assai meno intensa dalla progressiva rivincita dell’individualismo avviatasi con gli anni Ottanta. Sono loro che forse più di tutte hanno fatto le spese di un mancato percorso collettivo a sinistra, e dei mancati percorsi maschili dentro la sinistra. Insieme alle storie di doppia militanza, ho dato spazio anche a quelle delle tante femministe che si sono impegnate in luoghi e contesti vari – scuola, università, sindacato, fabbrica, quartiere – portando il femminismo dentro la società del proprio tempo, anche in questo caso spesso a prezzo di conflitti e fatica.
7Il mio percorso di studi in sociologia organizzativa mi ha senz’altro spinta a guardare con particolare curiosità e attenzione al femminismo come rete organizzativa: non c’è politica senza soggetti incarnati che si adoperano per realizzare scopi, cose, situazioni. E, in questo senso, il mio retroterra di studi e l’“oggetto” studiato si coniugano felicemente nel valorizzare una lettura del femminismo come esperienza, campo di partecipazione attraversato da relazioni e reti, mappa in continua trasformazione, pratica dell’organizzare. La storia di un movimento capace di atti di rottura sino ad allora impensabili, proprio perché fondati sulla riunificazione di pratica e teoria, una delle dicotomie più profondamente costitutive tanto dei modi della politica, quanto della conoscenza occidentali. Ho guardato alle pratiche femministe del periodo come baricentro del pensare: l’autocoscienza, il corpo, lo spostamento del confine tra personale e politico non solo e non tanto come questioni teoriche, ma come metodo che mette a soqquadro l’esistenza privata e pubblica, portando al centro del discorso una ribellione di cui è bene non smarrire il senso concreto, gli effetti profondi sulle traiettorie individuali e sul corpo collettivo della società. Per questa ragione mi sono sforzata di restituire nel testo la vividezza delle parole dette e scritte dalle protagoniste, qualche dettaglio minuto delle loro esperienze, i luoghi costruiti e attraversati, i viaggi, le manifestazioni, gli incontri e le amicizie, spesso di lunga durata: in sintesi, la storia di un tempo fatto da vite vissute con intensità.
8Proprio in conseguenza di questa logica di rete/mappa, questo non è un libro esclusivamente centrato su un caso locale. Certo, il testo mette al centro la vicenda del movimento femminista in provincia di Trento, nell’arco cronologico 1966-83, nella convinzione che questa storia ancora sconosciuta ai più meriti davvero di essere “scoperta” e condivisa, magari anche per aprirsi a future ricerche. Tuttavia, ho posto grande cura nell’evitare la trappola del localismo, che spesso fa il paio con l’aneddotico. Nel susseguirsi dei capitoli, anche in quelli dedicati specificatamente alla vicenda territoriale, c’è sempre il senso della rete, delle connessioni, del dibattito interno a un movimento che avanza collettivamente. La scrittura è impostata quindi al continuo fluire tra locale, nazionale e globale, che è d’altra parte caratteristica ancora non sufficientemente approfondita del femminismo, così come del ’68 (Passerini 2005). Vengono poi documentate alcune specifiche relazioni tra i gruppi trentini e altre realtà, che mettono in luce il contributo locale, importante eppure un po’ dimenticato, nell’animare il dibattito anche su scala nazionale. Le “trentine” non solo danno avvio al movimento, quando ancora non era che una vaga eco arrivata d’oltreoceano, ma poi, andandosene da Trento, fondano altri gruppi importanti, che dell’esperienza trentina risentono profondamente (Stelliferi 2015); fondano riviste; partecipano a convegni, incontri e dibattiti; gestiscono il più grande processo collettivo per aborto che l’Italia abbia conosciuto (l’incredibile caso Zorzi); sono tra le pioniere scientifiche della transizione dal movimento agli studi di genere.
9Venendo ora, brevemente, a questioni di tipo metodologico, la ricerca alla base del volume ha messo in dialogo due approcci teorici: da una parte la sociologia dei movimenti sociali e, dall’altra, la storia delle donne e di genere. Coerentemente a tale impostazione interdisciplinare, la metodologia si è basata su due diverse tipologie di dati. Da una parte, fonti documentali e archivistiche inedite (scritti politici, volantini, manifesti, fotografie, carteggi), raccolte principalmente entro due archivi, il Centro di documentazione Mauro Rostagno, presso la Fondazione Museo storico del Trentino2, e l’Archivio delle donne, presso la Biblioteca civica di Rovereto3. Dall’altra, quaranta interviste semi-strutturate, di cui dieci a testimoni privilegiati (protagonisti delle vicende politiche del tempo, militanti del movimento, sindacaliste/i) e trenta alle protagoniste del movimento a livello locale4. Ho quindi scelto di ricostruire gli eventi tanto sulla base di risorse documentarie, quanto della rielaborazione del periodo fatta dalle protagoniste, intrecciando storia e memoria, fonti scritte e orali, «in una dialettica in cui l’oggetto dello studio si fa soggetto – o meglio, soggettività» (Biagini 2019, pp. 11-12). Lo scavo nella memoria a sua volta si è inevitabilmente stratificato nel corso del tempo, dando luogo a testimonianze estremamente ricche, rese complesse dal passaggio tra molti prima e dopo storici e biografici (prima e dopo il Sessantotto, prima e dopo il femminismo, prima e dopo la fine della stagione delle mobilitazioni…).
10Un’ultima nota, prima di lasciarvi alla lettura, attiene al mio posizionamento rispetto al campo della ricerca, e non può essere omessa, per ragioni di trasparenza metodologica, rese tanto più indispensabili proprio dal tema. La riflessione femminista in materia di epistemologia ha messo duramente a critica la falsa neutralità della scienza occidentale, di derivazione cartesiana e illuministica, smantellando le dicotomie gerarchizzanti tra soggetto e oggetto e mostrando come alla base di ogni forma di sapere vi sia sempre il posizionamento dei soggetti, situati dentro ai flussi del potere. È dunque indispensabile che io chiarisca qui, senza poi più indugiare nella questione, il mio coinvolgimento personale nella vicenda che ho cercato di ricostruire.
11Le donne con cui sono cresciuta e che sono state decisive a definire chi sono, mia mamma e mia zia, sono state parte del ’68 trentino, seppure non da studentesse di sociologia, così come del primo collettivo femminista che incontrerete lungo il corso di questa vicenda: il Cerchio spezzato. È grazie ai loro racconti, e forse ancor più al loro modo di vivere, che ho scoperto l’esistenza di storie importanti, eppure rimaste al margine della ‘Storia’ di quella stagione. È nel contesto di Trento che sono cresciuta, rileggendo negli spazi cittadini, oggi profondamente trasformati, le tracce di un passato ormai quasi invisibile; è tra i corridoi un tempo occupati della facoltà di Sociologia che mi sono laureata e addottorata, probabilmente mossa anch’io dall’idea di non voler trovare un posto in questa società, ma piuttosto di voler creare una società in cui valesse la pena trovare un posto, anche attraverso “l’arma della sociologia”.
12In breve, questo è sicuramente un racconto posizionato, carico di densi portati affettivi. È al contempo un lavoro che ho cercato di condurre con rigore, nella selezione dei preziosi incontri di intervista, nell’analisi dei materiali documentari, nelle tante riletture delle trascrizioni, nel confronto con la letteratura e con alcune studiose che mi hanno aiutata a sbrogliare le matasse dell’interdisciplinareità tra sociologia e storia. È un lavoro contraddittoriamente mosso dalla nostalgia per un passato che non ho vissuto – senz’altro uno dei sentimenti che spinge a scavare nella storia – ma che rifugge con determinazione da ogni passatismo imbalsamatorio. Nel racconto, il passato si rivolge spesso al presente, provando a mettere in relazione pezzi di tempo che sembrano appartenere a spazi diversi: gli slanci utopistici di allora con il presente trionfo di un capitalismo assurto ormai a unico orizzonte del pensabile; il senso di appartenenza a un “noi” in rivolta con gli identitarismi senza identità che frantumano oggi il nostro tessuto sociale; il vivere comunitario dove tutto era politica con la crisi della partecipazione e dei suoi repertori simbolici, resa oggi più acuta dalla drammatica esperienza di isolamento sociale della pandemia. Ho provato a gettare un ponte tra queste distanze apparentemente incomponibili, cercando sfumature, contraddizioni, continuità e passaggi, costruendo un racconto che spero possa viaggiare, aprendosi il più possibile a piani di lettura, sguardi, usi diversi. L’ho fatto a partire dalla mia storia, ma d’altronde anche lo scientifico è personale.
Trento, 5 novembre 2020.
Notes de bas de page
1 Il progetto di ricerca FemMe – Femminismo e memoria, realizzato grazie al finanziamento della Fondazione Caritro, è stato interamente condotto da chi scrive, ha visto come ente capofila il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento e come ente partner la Fondazione Museo storico del Trentino. Per approfondimenti si veda il sito dedicato www.femme-unitn.it
2 Il Centro di documentazione raccoglie gli archivi di partiti, gruppi, formazioni della vecchia e nuova sinistra, dei sindacati, del movimento studentesco e delle associazioni del cattolicesimo progressista. Nel corso degli anni il Centro si è fatto promotore della raccolta di numerosi e ricchi fondi privati. Ai fini della ricerca sono stati utilizzati : il fondo del movimento studentesco di Trento (1966-69), in particolare le donazioni di Elena Medi, Gabriella Moavero e Gabriella Ferri ; il fondo di Uct (1976-) ; il fondo del movimento studentesco e sindacale a Rovereto (anni Sessanta-Settanta) ; il fondo Carlo Dogheria, relativamente alle parti riguardanti il movimento studentesco e operaio trentino (1968-79) ; il fondo Maurizio Agostini, contenente documenti sull’attività delle Acli, dei gruppi Cristiani per il socialismo e in generale dell’area del cattolicesimo di sinistra ; il fondo del Centro animazione ricerca culturale la Comune di Trento (1974-86).
3 L’archivio è frutto del lavoro di raccolta di fondi privati realizzato dall’associazione Osservatorio di cara Città di Rovereto, animata da diverse donne a suo tempo attive nel movimento femminista. Copre l’arco temporale 1968-2012 e documenta le attività di tutti i principali gruppi, collettivi, associazioni femministe e femminili che si sono succedute nell’area di Rovereto, Basso Sarca, Valle dei Laghi e Vallagarina. Vi è inoltre ampia documentazione relativa ai corsi monografici delle 150 ore delle donne. Un corpus minore di documenti utilizzati per la ricerca proviene infine da archivi personali, messi a disposizione da Silvana Battistata (Trento), Elena Belotti (Trento), Gianna Ceol (Trento) e Beatrice Carmellini (Arco).
4 In tutti gli stralci di intervista viene indicato il nome e il cognome della persona, previa autorizzazione. Nei rari casi in cui il cognome non compare, solitamente anche il nome non è quello reale, sempre su richiesta della persona intervistata. Qualora necessario ai fini della trattazione, ho indicato lo specifico ruolo ricoperto dalla persona (soprattutto nel capitolo 6). Le interviste sono state audioregistrate e integralmente trascritte ; quelle alle attiviste femministe sono state sottoposte a revisione da parte delle stesse intervistate ma non sono disponibili a terzi. Gli stralci di intervista inseriti nel libro sono stati rimaneggiati il meno possibile e, ove indispensabile, solo a fini di maggior comprensibilità. Hanno dunque il carattere tipicamente proprio del parlato.

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