1 Cfr. I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht; trad. it. di G. Vidari (riveduta da A. Guerra), Antropologia pragmatica, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 26-29.
2 I. Kant, Antropologia pragmatica cit., p. 29.
3 Tutto ciò, a prescindere dall’effettiva o reale possibilità di guadagnare davvero il “fine” (τέλος [télos]) comunque implicato da una “vocazione” di questo genere. A questo proposito è interessante l’osservazione di Karl Löwith secondo cui, se è vero che «spiegare un fenomeno significa, per lo spirito positivo [qui il filosofo tedesco sta riflettendo sul senso che alla legge scientifica viene assegnato dal positivismo comtiano – ma ovviamente la sua tesi può essere estesa e fatta valere per la storia della scienza nel suo complesso], null’altro che stabilire relazioni tra singoli fenomeni e alcune leggi generali, il cui numero diminuisce sempre più con il progresso della scienza… è anche vero che la spiegazione di tutti i fatti mediante un’unica legge, come quella della gravitazione, è un ideale decisamente irraggiungibile» (K. Löwith, Meaning in History, Chicago, University of Chicago Press 1949; trad. it. di F. Tedeschi Negri, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, Milano, il Saggiatore, 2010, p. 939 [il corsivo è nostro]).
4 Secondo quanto l’Uno aveva sempre significato per la grande metafisica; già per Platone, di sicuro, ma ancora più esplicitamente per Plotino. Secondo il quale, appunto, se per un verso è auspicabile che tutti da ultimo, mossi da un sano e vivificante Eros conoscitivo, cerchino di risalire a Lui (Lui sta per l’Uno), per altro verso è bene sapere che tale anelito rimarrà comunque indefinitamente inappagato; e proprio per la radicale distanza che separa (di certo non al modo di qualsiasi altra relazione differenziante) l’Uno (che non è) dal molteplice (che è). «Ci fosse almeno qualcuno che voglia risalire a Lui per comprenderlo! E magari riuscirà anche a contemplarlo, ma stia certo che poi non sarà in grado di esprimere quello che avrebbe voluto» (Enneadi, VI, 8 [39], 19). L’Uno, infatti, per Plotino è anche al di là dell’essere: «Non è pertanto in quanto è che l’Uno crea l’“è”» (Enneadi, VI, 8 [39], 19).
5 Ci riferiamo a L’aporia del fondamento, II ed., Milano-Udine, Mimesis, 2008 (prima edizione pubblicata nel 2000), a Sulla negazione, Milano, Bompiani, 2004, e a Il tempo della verità, Milano-Udine, Mimesis, 2010.
6 Spiega bene Pier Aldo Rovatti quale sia l’effettiva posta in gioco della radicale messa in questione, operata da Heidegger, della categoria di soggettività. «L’esserci (il Dasein, l’esistenza, il “qualche cosa” che troviamo) – dice Heidegger – è ciò per cui, nel suo stesso essere, ne va dell’essere. Che significa? Che se andiamo fenomenologicamente a fondo, riguardo a questo esistere “soggettivo”, dobbiamo necessariamente mettere in dubbio che l’essere coincida con la semplice presenza; e che, dunque, se il soggetto tradizionalmente e normalmente, innanzi tutto e per lo più, coincide con la semplice presenza, per rendersi conto di questo “qualche cosa” bisogna uscire dall’idea comune di soggetto» (P.A. Rovatti, La posta in gioco. Heidegger, Husserl, il soggetto, Milano, Bompiani, 1987, p. 16).
7 Secondo Merleau-Ponty, infatti, da quello che era stato l’indiscusso primato metafisico del soggetto o della coscienza, si tratta di procedere a una adeguata comprensione del rapporto tra il nostro corpo e il mondo; solo così il soggetto potrà apparire nella sua verità come soggetto-incarnato, e al posto della distinzione “soggetto-oggetto” potranno disegnarsi nuovi rapporti, tra noi e le cose, che «non saranno più rapporti tra un pensiero dominatore e un oggetto o uno spazio completamente dispiegati davanti a esso, ma renderanno possibile il costituirsi di un rapporto ambiguo tra un essere incarnato e limitato e il mondo enigmatico che egli intravede e che non smette di ossessionarlo, ma sempre attraverso prospettive che glielo nascondono nella stessa misura in cui glielo rivelano, attraverso l’aspetto umano che ogni cosa assume sotto uno sguardo umano» (M. Merleau-Ponty, Exploration du monde perçu: animalité, in Causeries, radio letture; trad. it. di F. Ferrari, Esplorazione del mondo percepito: l’animalità, in Conversazioni, Milano, SE, 2002, p. 43).
8 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, prop. 5.631; trad. it. di A. Conte, Torino, Einaudi, 1989, p. 135.
9 Ivi, prop. 5.632.
10 J.-P. Sartre, L’être et le néant, Paris, Gallimard, 1943; trad. it. di G. Del Bo, L’essere e il nulla. La condizione umana secondo l’esistenzialismo, Milano, il Saggiatore, 2008, p. 144.
11 Ivi, p. 163.
12 M. Merlau-Ponty, Le visible et l’invisible, Paris, Gallimard, 1964; trad. it. di A. Bonomi, Il visibile e l’invisibile, Milano, Bompiani, 1993, p. 81.
13 I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, 1781, vol. I (§ 24); trad. it. di G. Gentile e G. Lombardo Radice, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza, 1981, p. 145.
14 Espressione ripresa spessissimo nel corso della storia della filosofia, ma anche della poesia; per esempio da Benedetto Menzini (poeta arcadico seicentesco) in Della bellezza (testo di un Discorso Accademico, recitato in Roma nella soluta celebre Adunanza, che allora si teneva dalla Real Maestà): «Quindi è, che non a torto disse Platone, che se come con gli occhi del corpo questa terrena bellezza, così con gli occhi della mente la bellezza della Virtude si riguardasse, ne accenderebbe di un maraviglioso desío i cuori di tutti per quella possedere, che tanto del suo lustro, e del suo amabil pregio sì largamente comparte» (B. Menzini, Della bellezza, in Opere, tomo III, contenente le prose volgari, Firenze, Gaspero Ricci, 1819, p. 38).
15 Di Andrea Emo consiglierei i seguenti volumi: Supremazia e maledizione. Diario filosofico 1973, a cura di M. Donà e R. Gasparotti, Milano, Cortina, 1998; Quaderni di metafisica. 1927-1981, a cura di M. Donà e R. Gasparotti, Milano, Bompiani, 2006; Aforismi per vivere. Tutte le parole non dette si ricordano di noi, a cura di R. Toffolo, Milano-Udine, Mimesis, 2007, e infine gli ultimi due volumi pubblicati da Gallucci (Roma), il primo nel 2013 e il secondo nel 2014: La voce incomparabile del silenzio, a cura di M. Donà e R. Toffolo, e Verso la notte e le sue ignote costellazioni. Scritti sula politica e la storia, a cura di M. Donà e R. Toffolo.
16 Rinviamo a questo proposito alle pagine, tese e folgoranti, di Supremazia e maledizione cit., che qui abbiamo sostanzialmente parafrasato.
17 Sul tema del nulla, questa volta in rapporto alla questione del linguaggio, rinviamo invece a La voce incomparabile del silenzio cit. Sempre il medesimo nulla, poi, risuona imperioso… ma soprattutto poetico, nelle intensissime pagine di Aforismi per vivere cit.
18 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, § 257; trad. it. Roma-Bari, Laterza, 1978, vol. I, p. 233.
19 Ivi, § 254; trad. it., p. 230.