1 H.G. Gadamer, Wahrheit und Methode, Tubingen, Mohr, 1960; trad. di G. Vattimo, Verità e metodo, 2a ed., Milano, Bompiani, 1983, p. 526.
2 Cfr. R. Rorty, The Priority of Democracy over Philosophy; ora in G. Vattimo (a cura di), Filosofia ’86, Roma-Bari, Laterza, 1987.
3 J. Derrida, L’écriture et la différence, Paris, Ed. du Seuil, 1967; trad. di G. Pozzi, La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi, 1971, pp. 194-195.
4 Per la tematizzazione dell’agire etico anteriore alla comprensione, cfr. anzitutto E. Levinas, Quatre lectures talmudiques, Paris, Ed. de Minuit, 1968; trad. di A. Moscato, Quattro letture talmudiche, Genova, Il Melangolo, 1982. Sul dire anteriore al detto, cfr. E. Levinas, Totalité et infini, Den Haag, Nijhoff, 1978 (trad. di A. Dell’Asta, Totalità e infinito, Milano, Jaca Book, 1980, in particolare la sezione prima, Il medesimo e l’altro, pp. 31 e sgg. della trad. it.); e Id., Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Den Haag, Nijhoff, 1978 (trad. it. di S. Petrosino – M.T. Aiello, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Milano, Jaca Book, 1983). Sul volto, Id., Totalità e infinito cit., sezione terza, Il volto e l’esteriorità, pp. 191 e sgg.
5 Id., Altrimenti che essere cit., p. 193.
6 Id., Totalità e infinito cit., p. 207.
7 Su questo punto, cfr. J. Derrida, La loi du genre, in «Glyph», 7, 1980, pp. 176-201; ora in Id., Parages, Paris, Galilée, 1986; Id., Geschlecht. Différence sexuelle, différence ontologique, in L’Herne, fascicolo monografico su Heidegger, 1983, pp. 419-430; Id., Geschlecht, II: The Hand of Man According to Heidegger, manoscritto letto alla «International Derrida Conference», Loyola University, Chicago, 23 marzo 1985, trad. inglese di J. Leavey (ora i due testi sul Geschlecht sono raccolti in J. Derrida, Psyché, Paris, Galilée, 1987).
8 «Esiste dunque anche un empirismo metafisico, come per il momento vogliamo chiamarlo: sotto il concetto generale di empirismo filosofico saranno dunque da assumersi altri sistemi che quelli sensualistici»; ma «la filosofia positiva non è […] empirismo, almeno in quanto essa non parte dall’esperienza, né nel senso ch’essa si immagini di possedere questo suo oggetto in un’esperienza immediata (come il misticismo), e neppure nel senso ch’essa cerchi di giungere al suo oggetto mediante ragionamenti fatti a partire da un dato dell’esperienza, da un fatto empirico (io devo infatti escludere anche questo caso onde distinguere la filosofia positiva dal dogmatismo razionale, il quale, a fondamento delle sue prove dell’esistenza di Dio, mette in parte anche fatti empirici, come l’ordinamento finalistico della natura). Ma se la filosofia positiva non parte dall’esperienza, nulla impedisce che essa si volga all’esperienza, e provi così a posteriori ciò ch’essa ha da provare, che il suo prius è Dio, cioè il superessente e il sovraesistente. Infatti ciò da cui essa parte a priori non è Dio: è Dio solo a posteriori. Che esso sia Dio non è una res naturae, qualcosa che si capisca di per sé: è una res facti, e può quindi venir provato anche soltanto di fatto»; Schelling, Introduzione alla filosofia della rivelazione, ossia fondazione della filosofia positiva, primo libro della Filosofia della rivelazione (cito dalla antologia schellinghiana curata e introdotta da L. Pareyson, Schelling, Casale Monferrato, Marietti, 1975, pp. 387-389). Come Schelling, Levinas ha l’idea di un empirismo metafisico che può divenire filosofia positiva; ma a differenza di Schelling, per una allergia pregiudiziale nei confronti dell’ontologia e del suo linguaggio (e questa è forse una eredità dell’empirismo sensistico) non ravvisa nell’empirismo metafisico un supplemento o una vera fine della Enciclopedia, ma ne scorge la semplice esclusione dogmatica.
9 Cfr. R. Bubner, Handlung Sprache und Vernunft, Frankfurt/M., Suhrkamp, 1976; trad. it. di B. Argenton, Azione, linguaggio e ragione, Bologna, Il Mulino, 1985, in particolare Equiparazione di agire e linguaggio (Wittgenstein, Austin, Winch), pp. 140 e sgg.
10 Cfr. J.L. Austin, How to Do Things with Words, The William James Lectures delivered at Harvard University, 1955, London, Oxford U.P., 1962; 2a ed., a cura di J.O. Urmson – M. Sbisà, Oxford, Clarendon Press, 1975. Sull’analogia tra Austin e Levinas, cfr. J.-F. Lyotard, Le Différend, Paris, Ed. de Minuit, 1983; trad. it. di A. Serra, Il dissidio, Milano, Feltrinelli, 1985, pp. 144 e sgg.
11 J. Derrida, Signature événement contexte, in Id., Marges de la philosophie, Paris, Ed. de Minuit, 1972, pp. 365-393; Id., Limited Inc. a b c ..., in «Glyph», 2, 1977, pp. 162-254. I due interventi sono ora in volume, Limited Inc., Paris, Galilée, 1990. Per una discussione, cfr. M. Frank, La loi du langage et l’anarchie du sens. A propos du débat Searle-Derrida, in «Revue internationale de philosophie», 151, 1984, pp. 396-421.
12 G. Deleuze, Différence et repétition, Paris, PUF, 1968; trad. it. di G. Guglielmi, Differenza e ripetizione, Bologna, Il Mulino, 1971.
13 Su questo punto, cfr. D. Marconi, Dizionari e enciclopedie, Torino, Giappichelli, 1982; e U. Eco, L’antiporfirio, in G. Vattimo – P.A. Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, Milano, Feltrinelli, 1983, pp. 52-80.
14 L’altro più interessante, e che è reso possibile dalla ipotesi di una Enciclopedia, è precisamente un altro di cui non possiamo riconoscere il volto e di cui non possiamo dire se sia un uomo, semplicemente perché questa alterità ha da fare piuttosto con le nozioni heideggeriane di epoca e di evento: cioè di accadimenti e di irruzioni della alterità non prevedibili e non programmabili secondo il canone preformato dell’altro uomo come differenza specifica. Si tratta, scrive Derrida, di «lasciar venire l’avventura o l’evento del radicalmente altro. Di un tutt’altro che non può più confondersi con il Dio o con l’uomo dell’ontoteologia né con alcuna delle figure di quella configurazione (il soggetto, la coscienza, l’inconscio, l’io, l’uomo o la donna, ecc.). Dire che questo è l’unico avvenire non significa invocare l’amnesia. La venuta dell’invenzione non può estraniarsi dalla ripetizione e dalla memoria. Perché l’altro non è il nuovo. Ma la sua venuta conduce al di là del presente passato che ha costruito (inventato, occorre dire) il concetto tecno-onto-antropo-teologico dell’invenzione e pure il suo statuto, lo statuto dell’invenzione e la statua dell’inventore». J. Derrida, Psyché. Inventions de l’autre, testo letto a Venezia il 10 dicembre 1983 (ora in Id., Psyché cit.; trad. it. parziale di M. Ferraris, L’invenzione di Dio. Politica della ricerca, politica della cultura, in «Alfabeta», 60, 1984, pp. 19-20).
15 E. Levinas, Noms propres, Montpellier, Fata Morgana, 1976; trad. di F.P. Ciglia, Nomi propri, Casale Monferrato, Marietti, 1984, pp. 72-73.
16 R. Rorty, Habermas, Lyotard et la postmodernité, in «Critique», 442, 1984, p. 194.
17 Id., Philosophy and the Mirror of Nature, Princeton, Princeton U.P., 1979.
18 S. Fish, Is there a Text in this Class?, Cambridge, Mass., Harvard U.P., 1980; Id., Conseguenze, trad. di S. Rosso, in «Nuova Corrente», 31, 1984, pp. 119-156.
19 Id., Conseguenze cit., pp. 132-133.
20 È la prima pagina di Philosophy and the Mirror cit.
21 S. Fish, Conseguenze cit., p. 145.
22 Su questo punto, cfr. anzitutto G. Vattimo, La secolarizzazione della filosofia, in «Il Mulino», 300, 1985, pp. 597-606; e cfr., nel seguito del presente volume, Scrittura e secolarizzazione [1987].
23 M. Heidegger, Nietzsches Wort «Gott ist Tot», in Id., Holzwege, Frankfurt/M., Klostermann, 1950; trad. it. di P. Chiodi, Sentieri interrotti, Firenze, La Nuova Italia, 1968, p. 22.
24 J. Derrida, Cogito e storia della follia, in La scrittura e la differenza cit., pp. 39-79.
25 Id., Forza e significazione, ivi, p. 34.
26 Ivi, p. 35.
27 Id., Freud e la scena della scrittura, ivi, p. 273.
28 Id., Marges de la philosophie cit., p. 321.