Conclusioni
p. 177-188
Texte intégral
1In questo volume ho analizzato le narrazioni prodotte da alcuni uomini che per diversi mesi hanno frequentato un centro d’ascolto per maltrattanti, aderendo volontariamente a un percorso di gruppo di tipo psicoeducativo, cognitivo-comportamentale e pro-femminista. La ripetizione settimanale degli incontri collettivi ha permesso di osservare nel tempo – al momento dell’arrivo al centro, nella fase iniziale e a percorso avanzato – una variazione importante delle rappresentazioni dei maltrattanti, nei confronti della propria compagna e delle donne in generale, rispetto alla violenza e alla propria maschilità.
2Il programma – realizzato nel rispetto degli standard internazionali, orientato a una presa in carico piuttosto lunga, condotto da operatrici e operatori adeguatamente formati – rivela la sua efficacia nell’effettivo contenimento della violenza maschile. In questo spazio-tempo gli autori di violenza imparano a vigilare sui propri comportamenti, ad assumere la piena responsabilità dei propri atti e a riconoscerne gli effetti sulla propria compagna. I maltrattanti gradualmente acquisiscono nuove competenze: arrivano a comunicare i propri stati d’animo con linguaggi alternativi alla violenza oppure a fermarsi prima di compiere un gesto aggressivo, riducendo sensibilmente i rischi per le donne e per i minori. I partecipanti agli incontri collettivi apprendono inoltre a collocare le proprie azioni lungo il continuum di pratiche violente che si estende dall’insulto, all’intimidazione, alla spinta, fino al caso limite del femminicidio. Di conseguenza, essi sono in grado di ammettere che quegli stessi atti che inizialmente erano portati a minimizzare, giustificare, negare, possono condurre, potenzialmente, a conseguenze irreversibili o addirittura fatali.
3Nel tentativo di studiare la violenza degli uomini contro le donne non solo nella sua fisicità, ma nelle dimensioni sociali e culturali che le conferiscono significato1, ho cercato di comprendere come i maltrattanti percepiscano il proprio agire, quali spiegazioni vi attribuiscano e in che modo si sentano socialmente legittimati a compiere tali atti contro la propria compagna. Tale approccio da una parte ha permesso di evidenziare la trama puntiforme del consenso sociale che giustifica e sostiene la violenza maschile sulle donne nella sfera familiare e nelle relazioni d’intimità. Dai parenti ai colleghi, dalla sorella di lui al padre di lei, i maltrattanti generalmente riferiscono la mancata condanna dei loro atti. Al contrario, essi raccontano di aver riscontrato una sorta di approvazione implicita delle loro aggressioni, anche grazie ai continui richiami simbolici al valore positivo della violenza maschile, pubblicamente presentata come risorsa. All’inizio del loro percorso, si dichiarano appunto “uomini normali”, nel senso di “non-devianti” e di “conformi alla norma (eterosessuale)”, a conferma della generale concezione della violenza maschile come espressione del “normale” ordine di genere e delle norme culturali dominanti2.
4La materialità delle pratiche violente dei maltrattanti – colte nelle loro conseguenze tangibili e scientificamente misurabili, nelle ferite, nei lividi, nelle fratture – si rivela come la traduzione concreta di quelle pratiche discorsive maschili che incessantemente producono la squalificazione delle donne – dalla battuta sessista che suscita ilarità, all’impiego sistematico del witch stigma a discolpa della propria condotta aggressiva. Sebbene la discriminazione sessuale e di genere non sempre dia luogo, in maniera meccanica e lineare, a vere e proprie violenze, tuttavia le molte forme di abuso degli uomini contro le proprie compagne nelle relazioni d’intimità sembrano poggiare comodamente sull’edificio culturale costruito dal sessismo e dalla misoginia: entrambi dispositivi che sistematicamente producono la violenza come possibilità. In tal senso la violenza degli uomini non ha bisogno di realizzarsi materialmente per produrre i suoi effetti disciplinari, poiché essa anticipa la sua efficacia anche solo allo stato di minaccia.
5La violenza maschile nelle relazioni d’intimità è comunemente interpretata come l’espressione del patriarcato e/o come la manifestazione della sua crisi3. Nel primo caso si fa riferimento all’ordine patriarcale e alla disuguaglianza strutturale tra uomini e donne, risultanti nella legittimazione sociale della dominazione maschile e nell’oppressione delle donne. La seconda spiegazione identifica invece nelle recenti trasformazioni dell’ordine dei generi la principale causa delle aggressioni degli uomini contro le donne, poiché questi sembrerebbero resistere alla crescente emancipazione femminile in tutte le sfere della vita4. In entrambi i casi, la violenza degli uomini nelle relazioni d’intimità è ritenuta una condotta maschile finalizzata a mantenere o a ristabilire potere e controllo sulla “propria” donna e sulle donne in generale. A riprova della validità di entrambe le letture, dall’analisi del materiale etnografico emerge che, per mezzo dell’esercizio della violenza contro la propria compagna, i maltrattanti tentano di procurarsi da un lato vantaggi materiali – lavoro domestico e di cura, disponibilità sessuale, ecc. – dall’altro, vantaggi simbolici – in termini di status, reputazione, potere e diritto al comando.
6Tuttavia, la logica oppositiva della guerra tra i sessi, degli “uomini contro le donne”, rischia di condurre a una lettura riduttiva del senso che sembra avere, per gli uomini, l’esercizio della violenza contro la propria compagna. I risultati della ricerca etnografica mostrano che i benefici materiali e simbolici ottenuti attraverso la violenza entrano a far parte di un gioco di controllo e potere che non si esaurisce nel rapporto con le donne. Dall’analisi del punto di vista dei maltrattanti, le pratiche violente contro le proprie partner non sembrano orientate esclusivamente a mantenere il potere e controllo maschile su soggetti femminili percepiti come subalterni, né paiono unicamente intese ad affermare e confermare il proprio status di maschio dominante nell’ambito dei rapporti pubblici e privati con le donne. Tali benefici acquisiscono valore anche al di fuori del ristretto ambito della coppia, del nucleo familiare, delle relazioni tra i generi, ovvero nell’arena delle relazioni sociali tra maschi e tra diversi tipi di maschilità.
7Come nel caso di altre forme di violenza maschile5, anche la intimate partner violence si dimostra un’efficace strategia per fare il genere e per fare la maschilità, in questo caso nella sfera familiare, nell’ambito relazionale più prossimo – la coppia – e nel rapporto con una Donna – alterità esemplare del soggetto Uomo, considerato neutro e universale6. Queste particolari aggressioni maschili sembrano volte non solo contro le donne, ma anche a favore di un’immagine di sé percepita in termini ideali. Nel caso di questa ricerca, il focus sulla maschilità ha permesso di rilevare il valore, per gli uomini, del proprio sé ideale e della sua continua tensione verso la realizzazione della maschilità egemonica7 – di cui la maschilità violenta è solo uno dei tratti dominanti.
8Come abbiamo visto, nel momento del loro arrivo al centro d’ascolto, gli uomini si presentano come “martiri”, vittime passive della propria compagna e della propria violenza, quest’ultima descritta come una forza che prende il sopravvento, oppure come un “istinto” cui è impossibile resistere. Le “loro” donne sono ritratte come aggressive, isteriche, eccessivamente emotive, “provocatrici”, colpevoli di disertare un modello ideale di moglie e madre, ritenute perciò colpevoli della perdita dell’auto-controllo maschile. Le aggressioni compiute dai maltrattanti sono quindi descritte come gesti innocui, naturali, privi d’importanza, reazioni istintive al bisogno espressivo di “sfogarsi”. In questa fase i maltrattanti offrono un’immagine di sé come soggetti perseguitati dalle proprie mogli, ingiustamente accusati e privati di quel riconoscimento che sentono di dover meritare, anche in ragione dei loro sforzi quotidiani per corrispondere al ruolo maschile definito dalla norma eterosessuale.
9La considerazione che gli uomini hanno di sé dimostra gli effetti di un sistema che educa alla centralità maschile e trasmette l’idea di un rispetto che è dovuto ai maschi per diritto. La violenza sembra essere utilizzata strategicamente per ristabilire il controllo della situazione e per riconquistare una posizione di dominio all’interno delle relazioni di potere familiari, per correggere ed educare la compagna e i figli, per affermare il proprio diritto a essere rispettati. Dall’analisi delle rappresentazioni maschili, l’elemento che emerge come innovativo è l’uso della violenza come strategia per “salvare la faccia” in quanto uomini, mariti e padri8. Nell’esperienza dei maltrattanti, quando viene meno la capacità di affermare e verificare la propria identità di genere in altro modo, la violenza contro la propria compagna si presenta come una scorciatoia o come un passe-partout. Ai loro occhi, essa veicola l’esibizione di genere e ne certifica la conformità, poiché in maniera illusoria permette di ricomporre un’immagine convincente del proprio sé ideale, riferito a un modello normativo. La violenza contro la propria compagna è quindi ritenuta efficace poiché sembra compensare e riparare le perdite subite in termini di maschilità. Essa può dunque essere intesa come risorsa che permette di “ristabilire il proprio sé maschile all’interno di un setting che sembra aver messo in discussione i loro diritti e privilegi in quanto uomini ”9. Anche nelle relazioni d’intimità la violenza mostra dunque tutta la sua forza, non tanto o non solo per dominare le donne, quanto per verificare la propria maschilità rispetto ai modelli egemonici e per rendersi riconoscibili come maschi adulti ed eterosessuali, ai propri occhi e davanti ad altri uomini. Nelle parole dei maltrattanti essa è descritta come una risorsa a disposizione, a portata di mano, incessantemente proposta ai maschi nel corso della vita, seppur con sfumature diverse secondo il momento biografico e il contesto sociale e culturale.
10Il processo continuo, ciclico e rituale, che si realizza negli incontri collettivi in un centro per autori di violenza, permette agli uomini di narrare e rinarrare episodi della propria vita davanti al gruppo e di approfondire la riflessione su di sé e sulla propria esperienza, in un confronto costante con il vissuto degli altri partecipanti. Il racconto dei maltrattanti all’interno della cornice discorsiva dei gruppi psicoeducativi sembra riconducibile all’idea foucaultiana di “confessione”, interpretata da Butler come “una manifestazione del sé che non deve necessariamente corrispondere a una supposta verità interiore”, ma a “un atto di parola in cui il soggetto “si pubblica”, si rende pubblico, si dà attraverso parole, impegnandosi in un’articolata azione di verbalizzazione di sé – di exomologésis – che diviene manifestazione del proprio sé a un altro”10.
11Se secondo Foucault il sé diviene ciò che realmente è, soprattutto attraverso la pratica discorsiva, nell’atto stesso di raccontarsi, per Goffman esso si costituisce attraverso un processo eminentemente sociale, manifestandosi pubblicamente in una fitta rete di relazioni11. Nel caso dello studio delle maschilità, il sé acquisisce rilevanza grazie alla ripetizione incessante delle pratiche performative di genere12, nel confronto con il proprio sé ideale e con il modello di maschilità egemonica, nello sforzo di stabilire il proprio posizionamento relativo, rispetto agli altri uomini e alle altre maschilità13. Quando i maltrattanti parlano della propria violenza di fronte agli altri componenti del gruppo psicoeducativo, essi continuano a “essere uomini”, a “fare gli uomini” e a costruire attivamente la propria identità di genere nel momento stesso dell’interazione14. I loro resoconti sono quindi situati nel tempo e nello spazio, possono variare secondo gli aspetti della propria maschilità che in quel momento stanno cercando di riparare, riconquistare o affermare.
12Dopo un certo numero d’incontri collettivi, i maltrattanti acquisiscono consapevolezza e la violenza sembra perdere le qualità seduttive che possedeva inizialmente ai loro occhi. Nonostante l’uso che possono averne fatto in passato, nel momento in cui riconoscono le conseguenze materiali negative e gli svantaggi simbolici generati da tali condotte, la violenza si rivela problematica per se stessi e per le persone vicine, con le sue continue tentazioni e gli eventuali rischi di ricadute. Come ha affermato un uomo nel corso di un’intervista biografica: “Quando è sfociata, questa violenza mi ha creato dei problemi e non l’ho riconosciuta più come una risorsa o come una cosa di cui andare tanto fieri”. In questa fase di passaggio e di “crisi”, gli uomini riconoscono la propria dipendenza e vulnerabilità. Oltre al senso di vergogna e di umiliazione, i maltrattanti avvertono il rischio di perdere la propria compagna, i propri figli e la propria reputazione.
13Se guardiamo alle trasformazioni delle maschilità, la scelta di abbandonare la violenza per adottare comportamenti alternativi può in alcuni casi condurre a sostituire e contrapporre al ruolo passivo dei “martiri” – vittime della propria compagna e dominati dalla propria violenza – il ruolo attivo degli “eroi”: protagonisti, dinamici, scaltri, impegnati con zelo e buona fede nella performance di maschilità pensate come “non-violente” e “rinnovate”. Da passivi ad attivi, la metamorfosi da “martiri” a “eroi” permette di sostituire la violenza con altri tratti, positivamente connotati, della maschilità egemonica: l’agency, la capacità di agire e di risolvere, l’esercizio del controllo sulla propria vita. Tratti che, per giunta, possono risultare più fruttuosi della violenza stessa, in termini di dividendo patriarcale15. Nonostante l’ambivalenza della figura dell’“eroe”, è importante accennare al fatto che altri tipi di trattamento per autori di violenza – come nel caso dei programmi coatti previsti dal sistema francese, di più breve durata, imposti dalle autorità giudiziarie e senza un chiaro approccio pro-femminista – possono invece condurre i partecipanti ad assumere piuttosto l’atteggiamento attivo del “guerriero”, figura che resiste stoicamente ai colpi inflitti dal destino, che lotta per avere la custodia dei figli, che si batte contro la ex moglie e contro un sistema di giustizia percepito come persecutorio16. In questo caso, l’immagine del “guerriero” sembra incarnare tratti della maschilità egemonica fortemente associati a una radicalizzazione in chiave sessista e vittimista.
14In un’epoca in cui i problemi strutturali sembrano ricadere sulle scelte individuali del singolo, da più parti sollecitato a una gestione manageriale di se stesso, i maltrattanti possono effettivamente scegliere di “cambiare”, per creare con orgoglio una nuova immagine di sé come “eroi”, capaci di lasciarsi alle spalle i comportamenti violenti e quindi in grado di mettere in campo altre prestazioni di successo, quali l’ascolto, la comprensione, la gestione efficace delle proprie emozioni e delle proprie reazioni. Nel passaggio dal controllo alla prestazione17, attraverso il travaglio della “crisi”, la loro immagine di “veri uomini” si ricompone, così come potenzialmente si rinnova la presunzione di occupare una posizione sociale dominante. In maniera circolare, l’illusione del controllo si riproduce attraverso l’efficienza della prestazione – realizzandosi tuttavia in forme non violente, più “civilizzate”18 e forse più al passo coi tempi. Sebbene la violenza fisica commessa dal singolo scompaia, l’ordine dei rapporti di genere rimane inalterato, lasciando spazio a forme di prevaricazione talvolta più sottili e insidiose: la maschilità normativa, pur modificandosi, si preserva e in alcuni casi può uscirne rafforzata.
*
15La ricerca che ho presentato in questo libro si colloca in una fase storica di profondi cambiamenti, spesso spiegati in maniera sintetica e semplicistica attraverso il paradigma della crisi – economica, politica, migratoria, umanitaria, ambientale. Le nostre vite sono travolte da una crisi sistemica che ha reso evidenti le diverse dimensioni della violenza strutturale e i suoi effetti sulle relazioni sociali, nella precarizzazione del lavoro e degli affetti19, nell’intensificazione della cultura del consumo e di flussi di comunicazioni sempre più schizofrenici, nella decomposizione della collettività a favore di nuove forme di atomizzazione sociale20. Come in altre epoche storiche, le nuove forme d’organizzazione del lavoro produttivo e riproduttivo creano cambiamenti sociali inattesi, con importanti conseguenze anche sull’ordine dei generi.
16Dalla Conferenza di Pechino a oggi, diverse questioni hanno ottenuto un importante riconoscimento nell’agenda internazionale, tra cui la violenza di genere, i diritti riproduttivi e sessuali delle donne e i diritti delle persone LGBT+. In questi 25 anni sono state adottate nuove misure per combattere la violenza contro le donne, si è cominciato a discutere di nuove tecnologie riproduttive, in molti paesi sono stati riconosciuti il matrimonio e l’adozione per le coppie omosessuali, sfidando i modelli tradizionali di famiglia e di genitorialità21. Recentemente si è inoltre affermata un’inedita e potente visibilità delle donne come soggetto politico capace di prendere la parola, protestare e spesso conquistare posizioni in cui l’egemonia maschile era fino a poco tempo fa incontestata. Non solo negli ultimi anni le manifestazioni di donne sono state sempre più frequenti e sempre più partecipate – dalla marcia delle donne contro Trump alle azioni rivendicative del movimento femminista globale22 – ma sono avvenuti fatti che inducono a interrogarsi su quello che è oggi “il posto delle donne”. Solo nel 2019 alcuni eventi rilevanti sono stati i mondiali di calcio femminile e la loro ampia copertura mediatica, la nomina di due donne alla presidenza d’importanti istituzioni internazionali23, la crescente presenza femminile tra le più alte cariche dello Stato in Finlandia come in Grecia, paesi che occupano posizioni molto diverse nell’indice del Global Gender Gap. Dinanzi al protagonismo delle donne sulla scena pubblica, la sfera familiare, intima e domestica sembra acquisire una nuova rilevanza, poiché rappresenta uno degli spazi dove è ancora possibile, per gli uomini, vivere l’illusione dell’esercizio di un potere maschile incontrastato.
17Ad ogni modo, questo scenario in rapido e profondo mutamento rappresenta una straordinaria opportunità per la trasformazione sociale, sia in chiave progressista che conservatrice. Dagli anni 2000 in diversi luoghi del mondo sono stati fondati gruppi di uomini anti-sessisti24, così come sono state avviate iniziative e campagne di comunicazione orientate a coinvolgere gli uomini nel contrasto della violenza maschile. La Men Engage Alliance ha creato una rete internazionale per promuovere la partecipazione di ragazzi e uomini adulti su molte questioni prima considerate prerogative delle donne o di alcuni gruppi minoritari – tra cui la lotta contro la violenza di genere, contro l’omofobia o la transfobia, a favore della condivisione del carico di lavoro domestico e di cura. In diversi paesi del sud globale, l’istituto Promundo25 ha promosso programmi d’intervento rivolti agli uomini, con l’obiettivo di trasformarne le convinzioni e i valori, aumentare la consapevolezza maschile sul problema della violenza di genere e incoraggiare la partecipazione attiva degli uomini nel contrasto del fenomeno, spesso in collaborazione con la campagna internazionale del “Fiocco bianco”.
18Tuttavia nello stesso periodo ha cominciato a circolare su scala internazionale la retorica della “crisi della maschilità” e del ruolo maschile, originariamente per l’iniziativa combattiva e militante di diversi movimenti di uomini e padri separati, in seguito poi colta e rapidamente divulgata dai media. Diversi autori e autrici hanno decostruito tale retorica per mostrarne le strategie, prevalentemente orientate a presentare gli uomini come vittime della prevaricazione femminile e di un sistema che sembrerebbe favorire le donne a detrimento degli uomini e dei padri, distogliendo lo sguardo dalla dimensione (ancora) materiale delle disuguaglianze strutturali tuttora esistenti, dal loro impatto sulle vite delle donne e su altri soggetti, e dalla violenza che in molte relazioni continua a essere esercitata contro le donne e i minori26.
19In tale contesto, l’attuale cambiamento maschile va senza dubbio incoraggiato e accolto, ma allo stesso tempo deve essere osservato scrupolosamente, non con sospetto ma con attenzione. La presa di distanza da forme di maschilità considerate obsolete così come il superamento di alcuni suoi tratti dominanti – come per esempio una certa idea di virilità fondata sull’esercizio della violenza – possono eventualmente condurre a forme più soft di maschilità egemonica, intese come caring, “non-violente”, “rinnovate”, tuttavia altrettanto eteronormative ed essenzialiste. Sebbene un certo essenzialismo possa essere considerato strategico, poiché permette di fare appello ad alcuni aspetti della maschilità normativa cercando di minarne l’egemonia27, tuttavia il cambiamento maschile va sempre valutato “all’interno delle reti di potere che rendono possibile, e simultaneamente limitano, l’agency degli uomini e la loro soggettività”28. Già Connell e Messerschmidt avevano osservato il carattere dinamico della maschilità egemonica e le sue possibili variazioni29. L’attuale proliferazione di discorsi sulla “crisi della maschilità”, così come sul cambiamento degli uomini verso modelli più egualitari, porta a interrogarsi su quale sia oggi il modello di maschilità egemonica e quali siano i suoi nuovi tratti dominanti, in grado di orientare le nuove condotte maschili. In questo quadro è importante ricordare che il genere, più che una questione identitaria riconducibile a scelte individuali, è innanzitutto una questione politica, relativa a rapporti di potere, per cui è necessario continuare a prestare attenzione alle sue dimensioni materiali, strutturali, sistemiche e – dal punto di vista della ricerca – proseguire nell’indagine di ciò che è “etnograficamente visibile”30.
20Così come è avvenuto nel passaggio alla modernità – quando, a seguito dell’introduzione di nuovi tabù e restrizioni, si sono verificati processi di privatizzazione, interiorizzazione e individualizzazione dell’aggressività31 – allo stesso modo oggi le pratiche della violenza maschile nelle relazioni d’intimità rischiano di assumere forme meno palesi32. In questo particolare momento storico, stiamo assistendo a una ridefinizione della soglia di tolleranza alla violenza contro le donne, e più generalmente della soglia di tolleranza al sessismo, come dimostrato dagli accesi dibattiti pubblici cui assistiamo quotidianamente – relativi alle rappresentazioni prodotte dai media, alla definizione delle policies, all’applicazione delle sanzioni.
21Se da un lato si sta effettivamente realizzando il tentativo di ridurre la violenza degli uomini contro le donne, dall’altro, la questione della violenza di genere istituzionalizzata33 deve ancora essere affrontata, così come la critica radicale al sistema che permette alla maggior parte degli uomini di mantenere una posizione privilegiata – pur nella varietà di possibili articolazioni intersezionali con la classe sociale, l’età, l’orientamento sessuale, ecc. In tal senso, lo studio del fenomeno della violenza maschile nelle relazioni d’intimità deve essere collocato in un quadro complesso ed esaminato non in maniera isolata ma integrata, per osservarne il funzionamento in rapporto ad altri ingranaggi del potere. Certamente i programmi per autori di violenza rappresentano un’efficace strategia preventiva per assicurare il contenimento della violenza maschile, tuttavia essi intercettano uomini ormai adulti, che hanno già commesso atti di violenza e, nel caso dei programmi a partecipazione volontaria, solo un ristretto gruppo di individui, disposti a mettersi in discussione e a sperimentare condotte alternative. Nonostante i risultati positivi, tali interventi rimangono purtroppo una pratica residuale, in un contesto che sembra richiedere cambiamenti sociali e culturali più profondi.
22Anche per queste ragioni la ricerca presentata in questo libro non può dirsi conclusa. Molti temi sono rimasti fuori campo nell’inevitabilmente parziale narrazione di questa esperienza etnografica. In occasione di ogni nuovo passaggio sul campo, nei discorsi dei maltrattanti emergevano nuove questioni da esplorare – come per esempio la sessualità o la gelosia – oppure gli stessi temi venivano trattati dai partecipanti sotto una luce diversa. Una delle questioni emerse a più riprese e in maniera diffusa è certamente la paternità. Le nuove possibili configurazioni nella relazione padre-figli/e, alla luce della riflessione critica sulla violenza, andrebbero approfondite e analizzate in futuro, magari nell’ambito di una ricerca più ampia sui cambiamenti contemporanei del ruolo paterno, scaturiti dalle attuali trasformazioni dell’ordine dei generi.
23Altre dimensioni dell’indagine potrebbero inoltre essere sviluppate e ulteriormente esaminate. In primo luogo sarebbe necessario osservare con maggiore attenzione, in una prospettiva intersezionale e con metodi qualitativi, l’intrecciarsi della maschilità con altre dimensioni quali la classe sociale, l’origine, l’età, la cultura, per riflettere sul ruolo della violenza nella produzione delle maschilità in diverse cerchie sociali. L’indagine di uomini highly educated, benestanti, bianchi, con professioni prestigiose, oppure di soggetti subalterni e marginalizzati in una società profondamente violenta e diseguale, potrebbe mostrare le gerarchie tra diverse maschilità e il loro diverso rapporto con la violenza nelle relazioni intime tra partner eterosessuali. Un’altra traccia da seguire sarebbe l’indagine del rapporto tra maschilità e violenza nell’ambito di relazioni non eterosessuali, per esaminare i modi in cui si mette in scena il genere nel rapporto di coppia, oltre il sistema gerarchico che contrappone maschile e femminile.
24Le ricerche potrebbero inoltre proseguire in direzione dello studio degli effetti del frame istituzionale in cui le narrazioni degli uomini violenti vengono prodotte, raccolte e analizzate. Nel quadro relativamente recente di nuove politiche pubbliche di prevenzione e contrasto della violenza maschile contro le donne nelle relazioni d’intimità, gli uomini maltrattanti emergono come una nuova popolazione da gestire e governare secondo specifici obiettivi, diversi secondo l’approccio che viene di volta in volta utilizzato e secondo il quadro normativo nazionale di riferimento. In questo senso sarebbe importante condurre ricerche qualitative sulle rappresentazioni maschili prodotte da dispositivi differenti, per esempio studiando i programmi per maltrattanti imposti per legge – come è il caso di altri paesi europei – oppure in ambito carcerario e associativo, o ancora confrontarli con programmi fondati su approcci di tipo diverso.
25Infine, lo studio dei rapporti tra violenza, socializzazione ed educazione meriterebbe un’attenzione particolare. Se, come abbiamo visto, uomini ormai adulti possono facilmente ricorrere alla violenza – poiché la identificano come una risorsa utile a compensare e riparare le perdite in termini di maschilità – quale può essere dunque il fascino seduttivo della violenza, presentata per esempio attraverso il gioco34, su giovani maschi che affrontano il delicato processo di definizione di sé nei primi anni della loro vita, nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, oppure ancora nella transizione dall’adolescenza all’età adulta? In che modo l’educazione e la socializzazione tra pari possono rafforzare i tratti di una maschilità violenta o, al contrario, contribuire a creare altre rappresentazioni del maschile e del femminile, e quindi promuovere la pratica e la cultura dell’uguaglianza, della reciprocità e della non-violenza? Rimane dunque molto da fare per chiunque voglia contribuire alla comprensione e alla trasformazione dell’ordine dei generi, nel suo rapporto alla violenza.
Notes de bas de page
1 N. Scheper-Hughes, P. Bourgois (a cura di), Violence in War and Peace cit.
2 S. Magaraggia, D. Cherubini (a cura di), Uomini contro le donne cit., p. 299.
3 C. Leccardi, Prefazione, ivi, p. 27.
4 T. Pitch, Qualche riflessione attorno alla violenza maschile contro le donne cit., p. 9.
5 C. Rinaldi, Maschilità, devianze, crimine cit.
6 S. de Beauvoir, Il secondo sesso cit.
7 R. Connell, Maschilità cit.
8 E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione cit.
9 L. Mullaney, Telling it like a man cit., p. 223
10 J. Butler, Critica della violenza etica [2005], Milano, Feltrinelli, 2006, p. 151.
11 E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione cit.
12 J. Butler, Questione di genere cit.
13 R. Connell, Maschilità cit.
14 J. Hearn, The Violences of Men cit., p. 213.
15 R. Connell, Maschilità cit.
16 Cfr. C. Oddone, Masculinités à l’épreuve de la loi cit.
17 F Chicchi, A. Simone, La società della prestazione cit.
18 N. Elias, Il processo di civilizzazione cit.
19 G. Giuliani, M. Galetto, C. Martucci, L’amore ai tempi dello tsunami. Affetti, sessualità, modelli di genere in mutamento, Verona, ombre corte, 2014.
20 M. Fisher, Il nostro desiderio è senza nome. Scritti politici. k-punk / 1, Roma, Minimum Fax, 2018.
21 R. Kuhar, D. Paternotte, Anti-gender Campaigns in Europe. Mobilizing Against Equality, Lanham, Rowman & Littlefield International, 2017.
22 Cfr. C. D’Elia, G. Serughetti, Libere tutte! cit.
23 È il caso della nomina di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea e di Christine Lagarde alla presidenza della Banca Centrale Europea.
24 Per citarne alcuni: Nomas negli Stati Uniti, Achilles Heel Collective nel Regno Unito, Men Against Sexual Assault in Australia, in Italia Maschile Plurale, in Spagna Ahige. Cfr. A. Jordan, The New Politics of Fatherhood. Men’s Movements and Masculinities, London, Palgrave Macmillan, 2019; K. Nardini, El enemigo común es el machismo, in S. Chemotti (a cura di), La questione maschile cit., pp. 267-280.
25 Promundo, Engaging Men to Prevent Gender-based Violence: A Multi-country Intervention and Impact Evaluation Study, Río de Janeiro, Instituto Promundo, 2012, https://promundoglobal.org/resources/engaging-men-toprevent-gender-based-violence-a-multi-country-intervention-and-impactevaluation-study/ [ultima consultazione 31.01.2020]
26 Cfr. A. Jordan, The New Politics of Fatherhood cit.; P.G. Prigent, G. Suer, Strategies discurrsives et juridiques des groupes de pères séparés cit.; A. Verjus, Les coûts subjectifs et objectifs de la masculinité cit.; G. Petti, L. Stagi, Nel nome del padre cit.
27 È il caso per esempio delle campagne di comunicazione che invitano a rifiutare la violenza e a comportarsi da “veri uomini” o, secondo Ann Jordan, di alcuni men’s movement femministi (A. Jordan, The New Politics of Fatherhood cit., p. 289). Cfr. in particolare il capitolo “Feminist men’s movements: the White Ribbon campaign (UK) and the dilemmas of feminist men”, ivi, pp. 123-163.
28 “Within the networks of power which both enable and constrain [men’s] agency and subjectivities”: ivi, p. 297.
29 R. Connell, J.W. Messerschmidt, Faut-il repenser le concept de masculinité hégémonique? cit.
30 P. Farmer, Un’antropologia della violenza strutturale cit., p. 22.
31 N. Elias, Il processo di civilizzazione cit.
32 Può essere il caso per esempio di tutte le nuove forme di violenza attraverso le tecnologie digitali e i social media, che interessano soprattutto la sfera sessuale e l’uso delle immagini. Si tratta di quelle violenze che le ricercatrici americane Mc Glynn, Rackley e Houghton hanno definito come image-based sexual abuse: cfr. C. McGlynn, E. Rackley, R. Houghton, Beyond “revenge porn”: the continuum of image-based sexual abuse, “Feminist Legal Studies”, 25, 2017, pp. 25-46. A questo proposito cfr. anche W.S. DeKeseredy, M.D. Schwartz, Thinking sociologically about image-based sexual abuse: the contribution of male peer support theory, “Sexualization, Media, & Society”, october-december 2016, pp. 1-8.
33 “L’incertezza economica e lo sfruttamento della segregazione di genere nei mercati del lavoro, i salari femminili più bassi e gli svantaggi nel sistema di sicurezza sociale, l’insicurezza sociale e le discriminazioni dovute alla svalutazione del sistema di welfare, l’incertezza riproduttiva legata alle restrizioni imposte su aborto e diagnosi prenatale, insieme all’incertezza politica connessa all’esclusione e all’emarginazione sono decisamente forme di violenza di genere istituzionalizzata”: R. Dackweiler, R. Schäfer (a cura di), Gewalt-Verhältnisse. Feministische Perspektiven auf Geschlecht und Gewalt, Frankfurt, Campus, p. 82.
34 Inteso sia come i giocattoli (toys) sia come le attività ludiche (games). Cfr. I.D. Cherney, K. London, Gender-linked differences in the toys, television shows, computer games and outdoor activities of 5 to 13 years old children, “Sex Roles”, 54, 9-10, 2006, pp. 717-726; C. Oeppen, The planned and unplanned consequences of top-down representations of gender diversity in the card game and e-sport, ‘Magic: The Gathering’, intervento alla “Post-Patriarchal Masculinities Conference”, SOAS, London, 06.062019.

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