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3. Violenza contro le donne e violenza nell’intimità

p. 52-74


Texte intégral

3.1. Una questione pubblica sul piano nazionale e internazionale 1

1Fino agli anni Settanta la violenza contro le donne non è considerata un problema di pubblico interesse. Solo attraverso complessi processi storici e politici, la violenza di genere è gradualmente riconosciuta come la manifestazione di un “fatto sociale totale” determinato dalla struttura dei rapporti di potere tra uomini e donne e come un fenomeno che riguarda tutte le donne come gruppo sociale2. Negli ultimi cinquant’anni, il succedersi dinamico tra fatti di cronaca, mobilitazione del movimento femminista e visibilità mediatica dà l’impulso necessario a far emergere progressivamente il tema della violenza contro le donne come una questione che esige l’attenzione degli Stati, che richiede l’intervento del legislatore e lo sviluppo di politiche pubbliche mirate.

2Il regime di rappresentazione della violenza contro le donne varia a seconda delle epoche e delle culture3 e negli anni Settanta è l’irruzione della violenza sessuale sulla scena pubblica a causare una consapevolezza crescente sull’argomento. In diversi paesi a distanza di pochi anni, singoli episodi di stupro contro le donne diventano oggetto di pubblico interesse e innescano la risposta del movimento femminista. In Italia, il delitto del Circeo getta una nuova luce sulla violenza maschile contro le donne, come scrisse Dacia Maraini in un articolo pubblicato su “Paese Sera” l’11 ottobre 1975:

Quello che nessuno ha detto è che la violenza sulle donne è un fatto quotidiano, comune, di massa. Nessun giornale ha parlato di questa violenza continuata, atroce, muta, ricattatoria, sottile, abituale che viene compiuta sul corpo e sull’anima delle donne. Una violenza che si consuma nelle famiglie, nei luoghi pubblici, nelle camere da letto, nelle strade, nei giardini pubblici. […] La violenza sulla donna è un esercizio quotidiano, così antico e abituale che non ce ne stupiamo più. Le donne poi non denunciano quasi mai le violenze subite, per paura, per complicità, per amore, per un malinteso senso del pudore, nonché per la solita scarsa fiducia in se stesse e nel mondo.4

3I fatti raccapriccianti del Circeo sono l’occasione per sollevare una questione nazionale sulla violenza ordinaria nei confronti delle donne. Immediatamente dopo il delitto, la rivista “Effe” dedica un numero speciale all’argomento, dal titolo “Violenza contro la donna” 5. Nei mesi che seguono l’omicidio di Rosaria Lopez, le organizzazioni del movimento femminista presidiano il tribunale di Latina, dove ha luogo il processo, richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica sulla condizione femminile e sulla violenza sulle donne in Italia: “una realtà scomoda, del tutto ignorata dagli studiosi e dagli accademici, dai mass media e dalle istituzioni”6.

4Matrice dell’analisi femminista, il carattere “esemplare” dello stupro mette in luce la dimensione culturale e sociale delle forme di controllo, dominazione e disciplinamento degli uomini sulle donne7. Fino ad allora considerati fatti privati, grazie al movimento delle donne tali crimini cominciano a essere riconosciuti nella loro specificità di genere. In Italia come altrove – in Francia è il caso dello stupro di Aix en Provence nel 19748 – le mobilitazioni delle donne a seguito di fatti particolarmente brutali sono all’origine delle prime leggi che mirano a inquadrare la violenza sessuale e lo stupro come manifestazioni della violenza di genere9.

5Dal confronto tra donne, a partire dalla propria esperienza personale, altre forme di violenza vengono poco a poco riconosciute e analizzate dalle militanti femministe. È il caso della violenza domestica, spesso non riconosciuta a causa del comune modo di concepire l’istituzione del matrimonio e indirettamente legittimata dal diritto di famiglia10. In molti luoghi d’Europa, le femministe rispondono a quella che viene definita un’emergenza attraverso l’attivazione di servizi e centri antiviolenza, inizialmente luoghi militanti e autogestiti. Secondo la coppia di studiosi britannici Rebecca e Russell Dobash, il battered women’s movement è stato determinante nel collocare fermamente la questione dell’abuso fisico e sessuale sulle donne e sulle ragazze nell’agenda sociale e politica internazionale11. Nel 1972 viene inaugurata in Gran Bretagna la prima casa rifugio per donne vittime di violenza domestica. Negli anni successivi si sviluppano esperienze simili nel resto d’Europa, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia. Nel caso dell’Italia, un anno dopo il delitto del Circeo, sorgono i primi sportelli antiviolenza a Roma, Torino e Milano. Risultato della militanza del Movimento di Liberazione delle Donne, gli sportelli sono punti d’ascolto e di assistenza con le donne, da parte delle donne.

6In questa fase, la strategia politica del movimento è volta a trasformare sia lo stupro che la violenza domestica “da evento privato a fatto politico”12, per arrivare a denunciare l’esistenza di un sistema patriarcale all’origine dell’oppressione di tutte le donne13. Nel 1976, a Bruxelles, donne di tutte le nazionalità si riuniscono per raccontare pubblicamente le proprie storie di violenza subita, istituendo temporaneamente un “Tribunale dei crimini commessi contro le donne”14. In questa fase, la lotta contro la violenza domestica si articola su pochi principi fondamentali: accogliere e proteggere le vittime; punire gli autori e rendere giustizia alle donne; sensibilizzare la società a tutti i livelli, dalle forze dell’ordine, agli assistenti sociali, al sistema giudiziario, ai media. Sul piano internazionale, l’attivismo sociale, la militanza e la ricerca femminista sembrano intrecciarsi per contribuire all’istituzione di servizi a sostegno delle vittime e per partecipare alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, riuscendo a suscitare un autentico interesse scientifico su questi argomenti15.

7Nell’ambito del diritto internazionale16, grazie alla battaglia del movimento globale delle donne per il riconoscimento della violenza di genere come violazione dei diritti umani, negli anni Ottanta il tema entra nell’agenda delle Nazioni Unite e negli anni Novanta diviene una delle priorità nel mondo dei diritti umani17. La Convenzione cedaw del 1979 definisce per la prima volta le forme di discriminazione cui sono esposte le donne. Tuttavia la “violenza di genere” è menzionata apertamente solo nel 1992, nel testo della Raccomandazione Generale n. 19 delle Nazioni Unite, dove viene definita come una forma di violenza che trova la sua origine nelle disuguaglianze strutturali tra uomini e donne. Fino a quel momento, in diversi luoghi del mondo, erano sorte lotte isolate e campagne occasionali su alcune pratiche specifiche: in Europa e negli Stati Uniti contro lo stupro e la violenza domestica; in Africa sulle mutilazioni genitali femminili; in Europa e in Asia contro la schiavitù sessuale; in America Latina sulla tortura e lo stupro delle donne militanti e delle detenute politiche. L’introduzione della definizione di “violenza di genere” permette di configurare un unico quadro concettuale e di riconoscere l’insieme di queste pratiche come espressione dello stesso fenomeno globale18. Nel 1993, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne pone l’accento sulla responsabilità dello Stato nel prevenire e criminalizzare la violenza contro le donne in tutti gli ambiti della vita sociale19, sfidando apertamente la concezione dominante fino a quel momento, secondo cui le autorità nazionali non erano tenute a intervenire in questioni private, quali la violenza e il maltrattamento nella sfera domestica20.

8Nel corso degli anni Novanta, tale impulso si traduce in attività concrete in materia di violenza contro le donne, promosse da diverse organizzazioni internazionali, fino alla Conferenza delle Nazioni Unite a Pechino del 199521, occasione in cui si rafforzano i criteri guida dell’empowerment e del gender-mainstreaming22 e la violenza contro le donne viene riconosciuta anche come un problema di uguaglianza23. Seguono il Piano d’azione promosso dall’Organizzazione Mondiale per la Salute del 1997, l’istituzione dei primi programmi Daphne finanziati dall’Unione Europea24, fino ad arrivare alla conferenza internazionale “Violenze contro le donne: tolleranza zero”, promossa dalla Commissione Europea a Lisbona nel 2000. Questi eventi offrono una crescente visibilità al fenomeno e richiedono la partecipazione attiva degli Stati nelle azioni di prevenzione e contrasto. Se le iniziative delle Nazioni Unite determinano un riconoscimento della violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani, il Rapporto mondiale su violenza e salute, pubblicato nel 2002 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la definisce come una questione prioritaria anche in materia di salute pubblica, in ragione degli effetti dannosi su chi la subisce. Da un punto di vista simbolico, l’istituzione nel 1999 della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre, contribuisce a sensibilizzare la società civile su questi temi.

9Nello stesso periodo, diverse iniziative e pubblicazioni del Consiglio d’Europa preparano il terreno per una convenzione specifica sulla violenza contro le donne25 . Le sentenze di alcuni casi esaminati dalla Corte Europea dei Diritti Umani segnano la storia della giurisprudenza internazionale in materia. In particolare, il caso “Opuz contro la Turchia” del 2009 è fondamentale nel riconoscere tale violenza come una forma di discriminazione di genere sotto la responsabilità dello Stato, secondo il principio della due diligence26. Anche sulla base delle sentenze della Corte, la Convenzione di Istanbul27, adottata nel 2011 ed entrata in vigore nel 2014, è in grado di codificare le definizioni di violenza contenute nelle precedenti convenzioni e risoluzioni internazionali, affermando con forza il diritto delle donne a una vita libera dalla violenza28. Nel testo, la violenza contro le donne è definita come una “violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne”29. Essa è in primo luogo una “violenza di genere”, dove “con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti, che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”30. Il quadro concettuale di riferimento riconosce dunque la dimensione sociale, storica e culturale del fenomeno della violenza contro le donne, intesa come il risultato della persistente asimmetria di potere tra uomini e donne e come prodotto della cultura patriarcale. La violenza domestica – sia essa fisica, sessuale, psicologica o economica – è solo una tra le tante forme di violenza di genere riconosciute dalla Convenzione31. La prevenzione della violenza contro le donne prevede anche un coinvolgimento attivo di ragazzi e uomini, in quanto attori del cambiamento culturale necessario, così come l’istituzione di programmi di trattamento per autori di violenza domestica e sessuale.

10Dagli anni Settanta a oggi, le battaglie dei movimenti femministi su scala nazionale e lo sviluppo di un’agenda internazionale in materia di violenza contro le donne hanno favorito processi di profondo mutamento nella definizione del fenomeno, nell’adozione di misure legislative specifiche e nello sviluppo di politiche concrete di contrasto alla violenza contro le donne e alla violenza domestica in particolare.

3.2. La violenza maschile nelle relazioni d’intimità: paradossi, caratteristiche e definizioni

11La violenza domestica ha suscitato uno scarso interesse della sociologia mainstream sia classica che contemporanea, che ha invece privilegiato le tematiche del conflitto sociale32. Tuttavia, come ha osservato il sociologo Jeff Hearn, sono diverse le dimensioni del fenomeno che la rendono un oggetto degno d’interesse sociologico: l’estensione del fenomeno e la sua diffusione su scala globale; la questione “intima”, ovvero il vincolo sentimentale tra le parti; la divisione sessuale dei ruoli della relazione abusiva, ovvero la grande prevalenza di donne-vittime e di uomini-autori. Nonostante lo sviluppo di un vero e proprio campo d’indagine a livello internazionale33, secondo Hearn il disinteresse della sociologia nei confronti della violenza degli uomini contro le donne nelle relazioni di intimità trova in parte una spiegazione nella marginalizzazione della produzione accademica delle studiose femministe, nelle università e nei centri di ricerca. Se Hearn sottolinea la dimensione paradossale e contraddittoria del rapporto tra violenza e intimità, Rebecca e Russell Dobash enfatizzano il peso di credenze culturali radicate in profondità34. Analogamente Patrizia Romito denuncia le strategie di occultamento che favoriscono la legittimazione di comportamenti criminali in seno alla famiglia35. Già negli anni Settanta il sociologo americano Murray A. Straus sosteneva che questa forma di violenza fosse oggetto di una “disattenzione selettiva” poiché uno sguardo scrupoloso avrebbe turbato l’immagine della famiglia come luogo degli affetti e di protezione dal mondo esterno36.

12I rapporti sentimentali tra partner eterosessuali sono uno dei campi in cui si realizza la violenza di genere. La violenza domestica non riguarda estranei, ma uomini e donne che si conoscono, uniti da un legame concepito come “amoroso”. La relazione tra le parti è comunemente intesa come basata sulla confidenza, sulla progettualità comune, sulla cura, sulla condivisione della gestione della casa e dell’educazione della prole, sulla prossimità fisica e sull’intimità sessuale. In tale ambito, gli atteggiamenti violenti sono spesso difficili da riconoscere e identificare, ancor più da denunciare, poiché si perdono in rapporti di potere vischiosi e ambivalenti, alimentati e giustificati dai luoghi comuni sulla passione amorosa. La specificità familiare di tale violenza, invisibile fino a poco tempo fa, riguarda i rapporti tra uomini e donne e l’asimmetria strutturale delle relazioni di potere tra loro37, come confermato dalle indagini sulla violenza domestica a livello nazionale, europeo e globale.

13Il nucleo centrale della violenza nella sfera delle relazioni intime trae origine nella disuguaglianza strutturale tra uomini e donne, nella gerarchia di valore tra maschile e femminile, nell’eteronormatività, intesa come l’insieme di costrizioni culturali che agiscono sulla scelta identitaria individuale38. Le radici degli atti violenti sono peraltro intimamente legate alle aspettative sui comportamenti maschili e femminili nelle relazioni di coppia. Storicamente, le relazioni amorose si sono istituzionalizzate attraverso una chiara divisione dei ruoli, in primo luogo attraverso l’istituzione del matrimonio: un’unione “efficiente”, anche se non particolarmente gratificante, si reggeva sulla divisione del lavoro tra i sessi, assegnando agli uomini il lavoro salariato e alle donne il lavoro domestico39. Il principio degli universi separati rafforzava il controllo degli uomini sulle donne, già assicurato dal “diritto di proprietà” che i primi vantavano tradizionalmente nei confronti delle mogli, delle sorelle, delle figlie. L’ideologia romantica al servizio dell’istituzione del matrimonio eterosessuale, insieme al mito della dipendenza reciproca e della fusione totale, può essere considerata all’origine di abusi, talvolta estremi, quali per esempio i cosiddetti “omicidi passionali”40.

14Tale forma di violenza è intesa come un modello di comportamento coercitivo, fondato sull’esercizio del potere e del controllo nelle relazioni di intimità, attraverso intimidazioni, minacce, e altre condotte dannose o persecutorie41. Mezzo secolo di ricerca in quest’area, in ambito accademico così come nella pratica femminista e dei servizi, ha permesso di identificarne alcuni tratti caratteristici: essa è ricorrente, multiforme e prevalentemente unilaterale, ovvero esercitata dagli uomini contro le donne42. La psicologa americana Lenore Walker ne ha teorizzato la dimensione ciclica, analizzando il circolo vizioso e continuo tra conflitto, aggressione, riconciliazione e nuova aggressione. A ogni stadio, Walker identifica i modelli di comportamento tipici della vittima e dell’autore. Riprendendo tale schema, gli operatori e operatrici dei centri antiviolenza e dei centri per uomini maltrattanti definiscono “luna di miele” la fase di apparente armonia che segue la “pace” dopo ogni nuova violenza43: nel momento di quiete, il marito pentito si mostra conciliante, nel tentativo di restaurare la relazione, ma difficilmente è in grado di assumere la responsabilità dei propri atti44. Il ciclo rischia di ripetersi nel tempo e di condurre a forme di abuso sempre più gravi, in un crescendo che viene comunemente definito “la spirale della violenza”. Ideata nell’ambito del Modello Duluth nel 1982, la “ruota del potere e del controllo” riassume alcuni modelli fondamentali di comportamento degli uomini maltrattanti, in ognuna di queste fasi45.

15Concretamente la violenza domestica può assumere molte forme, dall’attacco all’autostima, alle limitazioni nei rapporti con familiari e amici, al controllo delle attività della partner, passando per spintoni, schiaffi, aggressioni fisiche fino ad arrivare all’omicidio. Nel 1980 viene elaborato l’“Inventario del maltrattamento psicologico delle donne”46, una scala di 58 azioni puntuali alla stregua dell’attuale “violentometro”, uno strumento comunemente usato in diversi luoghi del mondo in grado di rappresentare graficamente, in maniera efficace e intuitiva, la continuità di comportamenti abusivi sempre più pericolosi47. Riprendendo la formulazione di Liz Kelly, come la violenza sessuale, anche la violenza domestica s’inserisce nel continuum48 delle forme di sopraffazione maschile. Gli abusi verbali, psicologici, fisici, economici e sessuali s’intrecciano e si sovrappongono continuamente: la violenza degli uomini sulle donne nelle relazioni d’intimità si realizza in una scala che va from vigilance to violence49, dalla violenza verbale al femminicidio. Il concetto di coercive control introdotto da Evan Stark ha permesso di includere nella definizione di abuso domestico tutta una serie di pratiche esercitate nell’ambito delle relazioni eterosessuali in grado di intrappolare la vita delle donne e limitarne la libertà, senza per forza ricorrere alla violenza fisica e sessuale50. Queste sottili tattiche di controllo patriarcale rispondono a un ampio spettro di comportamenti del maltrattante nei confronti della compagna – dai commenti sul suo aspetto fisico fino ai veti sulle sue frequentazioni. Secondo Stark, tali strategie si rivelano particolarmente efficaci proprio in ragione delle disuguaglianze di genere strutturali e dell’accettazione sociale del controllo maschile sulle donne nelle relazioni d’intimità.

16La distinzione tra “conflitto” e “violenza”, elaborata dal sociologo Michael P. Johnson, ha invece reso possibile contestare l’idea di una supposta simmetria tra le aggressioni femminili e quelle maschili e di evitare la normalizzazione delle relazioni abusive degli uomini sulle donne nei rapporti di coppia. Nei suoi studi sulla violenza domestica, Johnson distingue tra tre diversi tipi di violenza. In primo luogo definisce come situational couple violence i cosiddetti litigi o conflitti tra partner, che possono essere simmetrici e reciproci, ma che rischiano di sfociare in forme di violenza di diversa gravità. Questo genere di violenza può essere agita da donne come da uomini, tuttavia questi ultimi sono in grado di produrre danni più severi e la loro violenza può generare uno stato di paura nelle vittime. Confermando la formulazione di Lenore Walker in merito alla ciclicità dell’abuso domestico, Johnson considera che tale schema può facilmente diventare ricorrente e sempre più pericoloso. In seconda battuta Johnson definisce l’intimate terrorism, ovvero la strategia attraverso cui gli uomini terrorizzano e controllano “le proprie donne”, attraverso l’impiego di una varietà di tattiche di controllo coercitivo, utilizzate in maniera sistematica, che comprendono la violenza fisica e sessuale, la minaccia, l’intimidazione, l’isolamento, e l’affermazione esplicita o implicita del privilegio maschile. In ultima istanza, il sociologo descrive la violent resistance, intesa come la reazione di chi ha subito a lungo forme di intimate terrorism, come nel caso delle donne maltrattate dal proprio compagno.

17La classificazione di Johnson contribuisce alla comprensione delle forme di violenza maschili e femminili, nelle relazioni intime tra partner eterosessuali, in una prospettiva di genere. Secondo il sociologo americano, uomini e donne sono ugualmente capaci di agire violenza, con possibili gravi conseguenze per la vita delle persone coinvolte, ma con gradi diversi d’intensità e soprattutto con diverse motivazioni51. L’autore sostiene che le aggressioni da parte delle donne sono più frequentemente annoverabili come comuni forme di “violenza di coppia”, mentre le violenze maschili sono più severe e frequenti, e soprattutto orientate al controllo e all’isolamento della partner. Le caratteristiche la violenza degli uomini sono sintetizzate in maniera efficace da un modello ideato dall’attivista americano Michael Kaufman, tra i fondatori della campagna internazionale del “Fiocco bianco”. Il modello delle “sette P” è in grado di spiegare tale violenza attraverso poche parole chiave, derivate dall’esperienza di presa in carico dei perpetrators: “Potere patriarcale”, “Privilegio dovuto”, “Permesso”, “Paradosso del potere maschile”, “corazza Psichica della virilità”, “Pentola a pressione psichica”, “esperienze Passate”52.

18Un altro aspetto rilevante dal punto di vista sociologico è anche, secondo Jeff Hearn, la questione della definizione della violenza domestica: the politics of its naming and framing – ovvero chi definisce la violenza e come – rappresentano questioni cruciali per la comprensione e l’inquadramento del fenomeno53. Come render conto della molteplicità delle forme di violenza? Come evitare una gerarchia delle forme di violenza, per esempio delle violenze fisiche su quelle psicologiche? Conviene parlare di “violenza” al singolare o di “violenze” al plurale? Gli stessi termini per definire il fenomeno con esattezza non sono esenti da ambiguità.

19Se “violenza contro le donne” può sembrare un termine generico54, secondo alcuni autori e autrici l’espressione “violenza di genere”, pur avendo il merito di includere forme di violenza come l’omofobia e la transfobia, può apparire come una definizione troppo vaga e tutto sommato opaca55. Inoltre, come osservano Elisa Giomi e Sveva Magaraggia, “la dicotomia uomini-autori/donne-vittime rimanda a un’interpretazione unilaterale del nesso genere e violenza, che ne lascia in ombra articolazioni fondamentali”56. A sua volta, il sociologo Marco Deriu mette in guardia rispetto a un linguaggio che “preclude la possibilità di mettere a fuoco il tema delle relazioni, di porre l’attenzione sulle forme della relazione affettiva, di coppia, familiare”57.

20L’espressione “violenza maschile contro le donne nelle relazioni d’intimità” (ipv, intimate partner violence) permette di richiamare la dimensione strutturale del fenomeno e allo stesso tempo rivela la responsabilità degli autori di violenza coinvolti nella relazione affettiva. Inoltre, tale perifrasi permette di affermare senza equivoci “che si tratta di uomini che maltrattano donne, talvolta (non raramente) fino a ucciderle”58. La definizione di intimate partner violence evoca la dimensione ordinaria della violenza nei rapporti sentimentali tra uomini e donne e soprattutto il contesto specifico in cui tali violazioni hanno luogo, “connotato più che dal luogo fisico (l’ambiente domestico), dalle specificità della relazione tra autore e vittima”59. In particolare, l’uso dell’aggettivo “maschile” evoca “il nesso profondo, non casuale ma intimo, che esiste tra la maschilità e la violenza” e invita a riflettere su come la violenza degli uomini sia culturalmente appresa, attraverso la socializzazione di genere60.

3.3. Oltre le vittime: il focus sui maltrattanti

21Dall’attenzione esclusiva alle vittime, fin dalla fine degli anni Settanta si sviluppa un graduale e crescente interesse nei confronti degli autori di violenza nelle relazioni d’intimità. In piena contestazione femminista, mentre in diversi paesi del mondo cominciano a sorgere case rifugio e centri antiviolenza per accogliere donne maltrattate, nel 1977 a Boston nasce “Emerge”, il primo abusive education program negli Stati Uniti, che da allora offre un programma d’intervento per gli aggressori, affinché interrompano i comportamenti violenti. A dieci anni dall’inaugurazione, il sociologo e criminologo Edward Gondolf scrive un bilancio dell’esperienza e prende le distanze dalla terapia familiare e di coppia61, poiché a suo parere la psicoterapia tradizionale non è sufficiente a comprendere i comportamenti degli uomini maltrattanti e a trasformare le loro condotte. In particolare, Gondolf sottolinea l’importanza cruciale dell’adozione di un orientamento pro-femminista, poiché permette di contrastare gli atteggiamenti di potere e controllo tipici degli abusanti nell’ambito delle relazioni d’intimità. I primi risultati del programma “Emerge” mettono in luce l’assenza di uno specifico profilo psicopatologico dell’“uomo violento”, al contrario rilevano il carattere ordinario di alcuni micro-pratiche maschili, comuni a molte “normali” relazioni di coppia. Qualche anno dopo, a Duluth, in Minnesota, è inaugurato un modello complesso d’intervento, fondato sull’approccio psicoeducativo62. Da quell’esperienza vengono elaborati strumenti tuttora in uso nell’accoglienza delle vittime e degli autori, tra cui l’“inventario del maltrattamento psicologico delle donne” e la “ruota del potere e del controllo” che abbiamo già citato.

22In alcuni casi per iniziativa di attivisti, in altri casi per volontà di professionisti tra cui psicologi, psichiatri e assistenti sociali, in Nord America e in Europa negli anni Ottanta sorgono diversi centri per il trattamento di uomini violenti, talvolta istituiti all’interno di centri di salute mentale o nell’ambito dei servizi per le famiglie63. In Europa, “Alternative To Violence”, inaugurato nel 1987 in Norvegia, è il primo centro orientato al trattamento degli autori di violenza domestica64. Il progetto si fonda sulla convinzione che la violenza sia un comportamento appreso e che gli uomini siano in grado di cambiare. Molti centri di questo tipo sorgono inizialmente in forma sperimentale, spesso per iniziativa di operatori e operatrici specializzate nell’accoglienza delle donne vittime di violenza. Con il tempo, i programmi per uomini maltrattanti entrano a far parte di piani nazionali o d’interventi ad hoc, orientati al contrasto della violenza maschile. oppure vengono inseriti in una strategia globale per garantire una maggiore sicurezza alle vittime65.

23A livello internazionale, la presa in carico degli uomini che hanno commesso atti di violenza nelle relazioni d’intimità diventa gradualmente una delle strategie di prevenzione della violenza contro le donne. Nel documento conclusivo della Conferenza delle Nazioni Unite, tenutasi a Pechino nel 1995, per la prima volta vi è un riferimento alla “necessità di riabilitare gli uomini autori di violenza domestica”66. Nel 2002, il Consiglio d’Europa elabora la Raccomandazione 2002(5), nella quale si trova una chiara definizione dei perpetrators67, si offrono indicazioni specifiche sull’applicazione dei programmi per maltrattanti68, e si sottolinea il legame tra violenza e costruzione sociale della maschilità69. Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, una serie di seminari sul rapporto tra maschilità e violenza hanno luogo a Strasburgo70. In particolare, la conferenza del 2004 sul “Trattamento terapeutico degli uomini autori di violenza in famiglia” diventa l’occasione per un primo confronto europeo tra esperienze di presa in carico maschile, a livello istituzionale o da parte di associazioni della società civile. A distanza di pochi anni, il secondo Programma Daphne dell’Unione Europea 2006-08, dal titolo “Work With Perpetrators of Domestic Violence in Europe” (wwp), registra 192 programmi in 19 paesi europei71.

24In un quadro sempre più dettagliato di azioni tese al contrasto e alla prevenzione della violenza maschile contro le donne nelle relazioni d’intimità, l’istituzione di programmi per maltrattanti si profila come una nuova emergente policy, orientata alla gestione di una specifica popolazione72. Se è vero che i reati devono essere puniti, tuttavia la risposta penale e l’inasprimento delle sanzioni non sembrano sufficienti a evitare la reiterazione delle violenze tra partner. In tal senso la partecipazione degli aggressori a programmi specifici di presa in carico è ritenuta una forma di prevenzione di nuove e più gravi forme di violenza degli uomini contro le proprie compagne. La guida del 2008 elaborata dal Consiglio d’Europa, orientata a stabilire i requisiti minimi per i servizi antiviolenza, contiene anche una sezione dettagliata sui criteri per l’implementazione dei programmi per maltrattanti73. Allo stesso modo, anche il manuale delle Nazioni Unite del 2010, per un’efficace legislazione in materia di violenza contro le donne, prevede “programmi d’intervento per i maltrattanti e misure alternative”74. Nel 2011, il Parlamento Europeo, attraverso una risoluzione sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico europeo in materia di lotta contro la violenza sulle donne, conferma la necessità di lavorare tanto con le vittime quanto con gli aggressori, “al fine di responsabilizzare maggiormente questi ultimi e aiutare a modificare stereotipi e credenze radicate nella società, che contribuiscono a perpetuare le condizioni che generano questo tipo di violenza e l’accettazione della stessa”75. Infine, la Convenzione di Istanbul, entrata in vigore nel 2014, richiede agli Stati l’istituzione di programmi per autori di violenza domestica e sessuale76. Secondo il rapporto esplicativo della Convenzione, tali programmi devono invitare gli autori di reato ad assumere la responsabilità dei propri atti, a riflettere sui propri atteggiamenti nei confronti delle donne. Gli interventi devono essere realizzati in stretta collaborazione con i servizi di sostegno e protezione delle donne vittime di violenza domestica, gestiti da associazioni o dal sistema di giustizia, in spazi associativi e comunitari oppure in carcere, su base volontaria o imposti dal sistema di giustizia.

25Con l’obiettivo di condividere best practices tra diversi programmi europei e di promuovere gli standard internazionali nel trattamento degli autori di violenza, nel 2014 viene fondato a Berlino il network europeo wwp (Work With Perpetrators European Network), una umbrella organisation che conta oggi 58 membri in 31 paesi europei77. L’enfasi sull’importanza degli standard risponde alla necessità di contrastare i principali rischi associati a una scorretta implementazione dei programmi per uomini maltrattanti. In tal senso i programmi devono porre come priorità assoluta la sicurezza delle donne e dei minori coinvolti, devono essere condotti da operatori e operatrici con una formazione specifica, sono tenuti ad assicurare valutazioni del rischio sistematiche e a misurare regolarmente la loro efficacia. Nell’ottica di una cooperazione inter-istituzionale, la collaborazione con i centri antiviolenza è ritenuta uno dei requisiti fondamentali78. Secondo la wwp, i programmi per autori sono una delle strategie per mettere i maltrattanti nelle condizioni di render conto davanti agli altri dei propri atti e delle loro conseguenze – non solo rispetto alla partner ma anche di fronte all’intera comunità. I maltrattanti sono tenuti ad assumere la responsabilità dei propri comportamenti e allo stesso tempo a riparare al danno arrecato, secondo il principio dell’accountability79. Tale spostamento di focus sugli autori di violenza permette di sviluppare interventi orientati a interrompere la violenza maschile, spostando l’onere sugli uomini piuttosto che sulle donne, spesso esposte alla pressione di dover elaborare, individualmente, soluzioni e strategie per sottrarsi alla violenza.

26In Italia le origini dei programmi per maltrattanti risalgono alla fine degli anni Novanta. Mentre all’interno della comunità cristiana di base di Pinerolo si forma un piccolo gruppo di condivisione per riflettere sulla condizione maschile (“Uomini in cammino”)80, nello stesso periodo in alcune città italiane sorgono diverse iniziative orientate all’ascolto degli autori di violenza. A Firenze, alcune operatrici del centro antiviolenza Artemisia riconoscono l’esigenza di lavorare con gli aggressori per meglio comprendere e risolvere il problema della violenza sulle donne. A Torino nasce “Il Cerchio degli uomini”, inizialmente formato da uomini alla ricerca di un confronto tra pari sulla struttura patriarcale e sulla prevaricazione maschile sulle donne. Nel 2004 il gruppo si costituisce in associazione allo scopo di lavorare sulle questioni di genere e sulla violenza, arrivando ad attivare uno “sportello telefonico per l’ascolto del disagio maschile” e diversi gruppi di lavoro con autori di violenza81. A Milano, alcune esperienze di trattamento per gli autori di violenza nascono in ambito penale, come il lavoro della psicoanalista Marina Valcarenghi, dal 1994, all’interno della sezione protetta del carcere di Milano-Opera82, o i progetti promossi a partire dal 2006 dal cipm (Centro Italiano per la Promozione della Mediazione), in parte finalizzati a ridurre il rischio di recidiva tra i condannati per violenza sessuale. La riflessione sul rapporto tra maschilità e violenza è stata arricchita dai contributi dell’associazione di uomini antisessisti Maschile Plurale, che dal 2007 si è fatta promotrice d’importanti iniziative a livello locale e nazionale83.

27Nel nostro paese la questione della violenza maschile contro le donne assume per la prima volta una rilevanza nazionale nel 2006, grazie alla campagna nazionale del “Fiocco bianco”, organizzata e promossa dall’Associazione Artemisia, centro antiviolenza di Firenze. Dopo pochi anni, nel 2009, un gruppo di operatori e operatrici con esperienza nell’accoglienza delle donne vittime di violenza fonda il Centro di Ascolto per uomini Maltrattanti, primo centro italiano esplicitamente dedicato alla presa in carico di uomini che agiscono comportamenti violenti. Il cam di Firenze rappresenta il primo perpetrator programme italiano formalmente strutturato e nel corso degli anni ha svolto un importante ruolo di formazione arrivando ad aprire altri centri in diverse città italiane. Il primo servizio pubblico destinato ad accogliere i maltrattanti viene invece inaugurato nel 2011, all’interno dell’asl Emilia Romagna. Traendo ispirazione dal modello di atv in Norvegia, l’esperienza modenese di “Liberiamoci dalla violenza – Centro di accompagnamento al cambiamento per uomini” suggerisce la possibilità che tali programmi, orientati a un’utenza esclusivamente maschile, diventino veri e propri servizi pubblici territoriali, così come è avvenuto in passato per i consultori familiari o i servizi per le tossicodipendenze84.

28Recentemente in Italia si sono moltiplicati i centri per la presa in carico degli autori di violenza, sostenuti da istituzioni pubbliche o da enti privati, con la finalità di intervenire urgentemente per contenere i comportamenti violenti agiti dagli uomini, senza tuttavia distogliere lo sguardo dalla vittima85. Tale approccio non solo determina uno spostamento di focus dalle vittime agli autori, ma rappresenta un vero e proprio salto simbolico a favore di una lettura della violenza nella sua “banalità”, identificando cioè tra le sue cause i “normali” rapporti sentimentali tra uomini e donne e il ruolo di “modelli culturali fondati su equilibri patriarcali di potere”86.

29Secondo un recente rapporto dell’irpps-cnr, oggi in Italia sono attivi 54 programmi per il trattamento degli autori di violenza, distribuiti in maniera eterogenea sul territorio nazionale. Il più recente Piano strategico nazionale sulla violenza maschile sulle donne (2017-20) ha previsto l’assegnazione di specifiche risorse ai fini della realizzazione dei programmi per maltrattanti87. Già a seguito dell’adozione della legge 119/2013, con cui il Parlamento ha recepito parzialmente le raccomandazioni contenute nella Convenzione di Istanbul, il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (2015-17)88 prevedeva l’implementazione di interventi di prevenzione e recupero degli uomini maltrattanti89. Nel 2017 nasce il network Relive (Relazioni Libere dalla Violenza), con l’obiettivo di “costruire e sviluppare una rete nazionale per combattere la violenza di genere, in particolare la violenza domestica” e per assicurare da nord a sud il rispetto delle linee guida e degli standard internazionali90.

30Nonostante molti programmi per maltrattanti adottino un approccio pro-femminista e di genere al problema della violenza, anche in Italia diverse voci critiche temono che tali interventi si rivelino una misura troppo indulgente nei confronti degli autori di violenza. In primo luogo si teme che tali programmi possano divenire l’occasione per rafforzare l’aggressività maschile e la maschilità normativa, dall’altro sorge una preoccupazione nei confronti delle donne, che possono dimostrarsi meno propense a interrompere la relazione, nella speranza di un cambiamento da parte del marito violento. Inoltre, in un contesto caratterizzato da una riduzione della spese sociale, i programmi di trattamento per i maltrattanti sono talvolta accusati di sottrarre risorse ai centri antiviolenza e ad altri servizi a sostegno delle donne.

31Diversamente, le argomentazioni a favore di un intervento trattamentale rivolto agli aggressori si fondano da un lato sullo scarso numero di denunce dei partner violenti, dall’altro sul riscontro della difficoltà, per le donne, di interrompere la relazione in maniera definitiva, soprattutto nei casi in cui sono presenti figli e figlie minori91. Alcune ricerche dimostrano che, nonostante le sofferenze e le violenze subite, molte donne non desiderano tanto cambiare partner, quanto piuttosto che il marito interrompa i propri comportamenti abusivi, per mantenere una relazione di coppia libera dalla violenza92. L’intervento sui maltrattanti è incoraggiato proprio in ragione delle peculiari caratteristiche del legame che intercorre tra la vittima e l’autore dei reati associati alla violenza nelle relazioni d’intimità: pur richiedendo tutta una serie di particolari prudenze, il trattamento dei maltrattanti è inteso a riconoscere gli uomini come “parte del problema ma anche della soluzione”93. Secondo Giuditta Creazzo, per contrastare la violenza degli uomini contro le proprie compagne, oggi è necessario promuovere “un riconoscimento e una piena assunzione di responsabilità [da parte degli uomini], sia a livello individuale che sociale”94, anche attraverso la sperimentazione di percorsi per gli autori di violenza, fondati su un’etica relazionale piuttosto che esclusivamente sulla sanzione penale o sulla carcerazione. A questo proposito, il giudice del Tribunale di Milano Fabio Roia, che ha dedicato la propria carriera ai casi di violenza subita dalle donne, osserva che gli uomini condannati per reati di violenza contro le donne, se non sottoposti ad alcun trattamento, continuano a negare e a minimizzare i propri comportamenti abusivi e presentano un alto tasso di recidiva. Il magistrato accoglie positivamente i programmi trattamentali e rileva il valore della partecipazione su base volontaria e d’incentivi di tipo premiale, poiché soluzioni coattive potrebbero porre seri problemi di costituzionalità e di riuscita stessa dell’intervento95.

32La mera criminalizzazione dei reati più brutali e la loro l’iper-visibilizzazione mediatica, come nel caso dei femminicidi, può d’altra parte generare la stigmatizzazione degli uomini violenti attraverso profili standardizzati e “mostruosi”. La conoscenza scarsa e superficiale di tali soggetti, insieme alla costruzione di un discorso emergenziale sulla violenza, rischiano di produrre un effetto paradossale di marginalizzazione del fenomeno, proponendolo come frutto di una devianza la cui gestione pare delegabile alle forze dell’ordine, ai servizi sociali e ai criminologi96. Come hanno rilevato Elisa Giomi e Sveva Magaraggia, la “mostrificazione” del violento è nel discorso mediatico “la strategia più ricorrente per esorcizzare la violenza, liquidandola come aberrazione individuale e degenderizzandone la lettura”97.

33Lo studio preliminare realizzato da Ericka Kimball et al., sulle organizzazioni che a livello internazionale operano per il coinvolgimento degli uomini nella prevenzione della violenza, dimostra l’esistenza di una comunità globale impegnata contro la violenza commessa dagli uomini e invita ad ampliare gli sforzi e ad approfondire forme d’intervento specifiche98. Negli ultimi anni è sorta la necessità di valutare sistematicamente l’impatto di tali programmi99 e molti studi hanno tentato di misurarne l’efficacia in diversi modi, rivelando risultati talvolta contraddittori: in alcuni casi la ricerca ha mostrato effetti minimi nell’interruzione della violenza100, mentre in altri sono stati misurati cambiamenti importanti nella riduzione dei comportamenti abusanti101. Secondo Taylor e Barker, queste differenze derivano dalla mancanza di una metodologia universale di valutazione, ma talvolta possono dipendere anche dalle interpretazioni e dagli atteggiamenti dei ricercatori stessi, spesso orientati ad approvare o disapprovare esperienze di lavoro con uomini violenti102. Secondo tali autori, la misurazione della recidiva non può essere l’unico e principale indicatore dell’efficacia dei programmi. Nella maggior parte dei casi la situazione è più complessa, poiché spesso l’effettiva interruzione della violenza fisica e sessuale è accompagnata dall’emergere di nuove forme di dominio all’interno della relazione103. Gran parte della ricerca sui programmi per autori di violenza si è interrogata sull’eventualità di un’interruzione della violenza – se i maltrattanti smettono di essere violenti, piuttosto che focalizzarsi su come e perché questi scelgano di modificare i propri atteggiamenti e le proprie condotte104. La mancanza di studi qualitativi in questo settore emerge come una delle questioni problematiche: ricerche basate su interviste e focus group per operatori, operatrici e partecipanti ai programmi, potrebbero illuminare queste contraddizioni, mostrare la complessità della realtà, evidenziare i punti di forza e le fragilità dei programmi105.

34Se il dibattito all’interno del movimento femminista e nelle associazioni e gruppi di uomini è ancora molto acceso, in ambito accademico diverse ricerche empiriche hanno segnalato l’importanza di approfondire la conoscenza degli ambienti maschili e le motivazioni alla radice delle azioni violente. Come afferma Diane Scully in uno dei primi studi importanti sullo stupro e sulla violenza sessuale negli Stati Uniti, “the debunking of patriarchy is not accomplished by focusing exclusively on the lives and experiences of women”106. L’autrice giustifica la scelta di concentrarsi sull’esperienza degli uomini per sfidare, da un punto di vista femminista, l’assunzione secondo cui la violenza maschile è il risultato di un problema individuale e idiosincratico, per adottare invece un approccio sociologico che metta a fuoco la dimensione strutturale del fenomeno. Allargare il campo per includere, oltre le vittime, anche gli autori di violenza, permette di superare la concezione secondo cui la violenza è principalmente un problema delle donne. Lo spostamento di focus sul maschile è la più efficace dichiarazione di una responsabilità degli uomini nella violenza e della necessità, per loro, di cambiare107. Studiando gli uomini, si possono conoscere le motivazioni e giustificazioni che guidano il loro comportamento, aggiungere nuovi elementi per interpretare il fenomeno e comprendere i ruoli reciproci di vittime e autori108, così come il peso dei modelli di genere, per gli uni e per le altre. Conoscere il punto di vista degli autori può inoltre mostrare la molteplicità dei nessi tra individuale e sociale, tra locale e globale, per riflettere e immaginare strategie trasformative dei modelli di maschilità dominanti, che quotidianamente incoraggiano e legittimano l’uso della violenza contro le donne.

Notes de bas de page

1 Alcune considerazioni presenti in questo paragrafo sono una rielaborazione del rapporto pubblicato dal cnr-irpps nell’ambito del progetto “Viva” diretto da Maura Misiti. Cfr. C. Oddone, Buone pratiche europee di programmazione attuativa nell’ambito dei piani d’azione nazionale contro la violenza. Esempi da Austria, Francia, Spagna e Portogallo, https://viva.cnr.it/wp-content/uploads/2019/08/deliverable02-buone-pratiche-programmazione-attuativa-nell-ambito-dei-Piani-azione-nazionale-contro-violenza-esempi-Austria-Francia-Spagna-Portogallo.pdf [ultima consultazione 30.12.2019].

2 P. Delage, Violences conjugales cit.; L. Kelly, Surviving Sexual Violence, Cambridge, Polity Press, 1988; T. Pitch, I diritti fondamentali: differenze culturali, disuguaglianze sociali, differenza sessuale, Torino, Giappichelli, 2004; Id., Qualche riflessione attorno alla violenza maschile contro le donne, “Studi sulla questione criminale”, 3, 2, 2008, pp. 7-14.

3 E. Giomi, S. Magaraggia, Relazioni brutali cit., p. 12.

4 D. Maraini, La violenza contro le donne, “Paese Sera”, 11.10.1975, citato in S. Mascherpa, Il delitto del Circeo. Una storia italiana, Roma, Aracne, 2010, p. 38.

5 G. Creazzo, La costruzione sociale della violenza contro le donne in Italia, “Studi sulla questione criminale”, 3, 2, 2008, pp. 15-42.

6 Cfr. S. Mascherpa, Il delitto del Circeo cit., p. 46. Dal processo di Latina del 1976 comincia in Italia la lunga battaglia per una legge sulla violenza sessuale. Solo vent’anni dopo, nel 1996, sarà varata la legge 66/1996, denominata “Norme sulla violenza sessuale”, che modifica il codice penale aggiungendo l’elemento della violenza fisica ai fini dell’atto sessuale e l’aggravante associata alla minore età della vittima. Grazie all’abrogazione della distinzione tra congiunzione carnale e atti di libidine, la violenza sessuale si concepisce come un unico reato. Inoltre, la violenza sessuale è considerata non più reato contro la morale ma contro la persona e contro la libertà individuale.

7 S. Brownmiller, Against our Will: Men, Women and Rape, New York, Bantham Books, 1975; D.E.H. Russell, The Politics of Rape: the Victim’s Perspective, New York, Stein and Day, 1975.

8 A. Debauche, Viol et rapports de genre: émergence, enregistrement et contestation d’un crime contre la personne, tesi di dottorato, 2011.

9 Le udienze dei processi sopra citati, tanto ad Aix-en-Provence come a Latina, diventano l’occasione di mobilitazioni femministe e porteranno all’adozione delle prime leggi sulla violenza sessuale: la Loi n° 80-1041 du 23 décembre 1980 relative à la repression du viol et de certains attentats aux moeurs nel 1980 in Francia e in Italia, dopo circa venti anni di dibattito parlamentare, alla legge n. 66 del 15 febbraio 1996.

10 In Italia la riforma del diritto di famiglia risale al 1975 (legge 151), un anno dopo il referendum sul divorzio. Tra le principali innovazioni, la riforma stabilisce l’uguaglianza tra i coniugi e la “responsabilità genitoriale” in sostituzione della “patria potestà”. Pochi anni dopo, la legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza rappresenta un importante passo avanti nel processo di autodeterminazione delle donne. Nel 1981, l’abrogazione del delitto d’onore (legge 442/1981), che fino a quel momento prevedeva pene ridotte per l’autore di reato in caso di omicidio della moglie “per causa d’onore”, elimina uno dei più gravi elementi di legittimazione della violenza maschile contro le donne.

11 Cfr. R. Dobash, R. Dobash, Women, Violence and Social Change, London - New York, Routledge, 1992, p. 2.

12 G. Creazzo, La costruzione sociale della violenza contro le donne in Italia cit., p. 21.

13 Ivi, pp. 24-25. In Italia i centri antiviolenza sono “istituzioni femminili forti e autorevoli” che riconoscono la centralità dell’esperienza della vittima, mettendone tuttavia in discussione la definizione stessa, “perché nessuna donna può essere ridotta alla violazione subita, per quanto grave essa possa essere”. Per approfondire la storia e gli sviluppi delle azioni di contrasto alla violenza contro le donne, in Italia, si rimanda a A. Basaglia et al., Il silenzio e le parole. II Rapporto nazionale Rete Antiviolenza tra le città Urban-Italia, Milano, FrancoAngeli, 2006, p. 23. Per un rapporto aggiornato sui centri antiviolenza oggi in Italia si rimanda al progetto “Viva”, coordinato da Maura Misiti, https://viva.cnr.it/ [ultima consultazione 30.01.2020], e in particolare al rapporto I centri antiviolenza. Le rilevazioni Istat e Cnr, https://viva.cnr.it/wp-content/uploads/2019/11/pbcentri-antiviolenza-rilevazioni-istat-cnr.pdf [ultima consultazione 30.01.2020]

14 D.E.H. Russell, N. Van De Ven, Crimini contro le donne. Atti del tribunale internazionale. 4-8 marzo 1976, Milano, Sonzogno, 1976.

15 G. Creazzo, La costruzione sociale della violenza contro le donne in Italia cit.

16 A questo proposito si rimanda anche a L. Re, E. Rigo, M.M. Virgilio, Le violenze maschili contro le donne cit., e a C. D’Elia, G. Serughetti, Libere tutte. Dall’aborto al velo, le donne del nuovo millennio, Roma, Minimum Fax, p. 14.

17 M.E. Keck, K. Sikkink, Activists Beyond Borders. Advocacy Networks in International Politics, Ithaca, Cornell University Press, 1998.

18 Ibidem.

19 Cfr. S. De Vido, Donne, violenza e diritto internazionale. La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa del 2011, Milano, Mimesis, 2016. Nello stesso anno, l’Organizzazione degli Stati americani adotta la Convenzione interamericana per la prevenzione, la punizione e l’eliminazione della violenza contro le donne, nota anche come Convenzione di Belém do Pará. Tale convenzione diventa uno degli strumenti della Corte Interamericana per i Diritti Umani per giudicare gli Stati in materia di violenza contro le donne.

20 G. Creazzo, La costruzione sociale della violenza contro le donne in Italia cit., p. 99.

21 La quarta conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne (Fourth World Conference on Women: Action for Equality, Development and Peace) ha avuto luogo a Pechino dal 4 al 15 settembre 1995 con l’obiettivo di realizzare azioni concrete in materia di uguaglianza tra donne e uomini sul piano internazionale.

22 C. D’Elia, G. Serughetti, Libere tutte cit., p. 15.

23 Cfr. L. Re, E. Rigo, M.M. Virgilio, Le violenze maschili contro le donne cit., p. 13.

24 Dalla fine degli anni Novanta, l’Unione Europea ha finanziato progetti con l’obiettivo specifico di combattere la violenza contro le donne e le ragazze. La prima Iniziativa Daphne è stata lanciata nel 1997 ed è oggi uno degli obiettivi specifici all’interno del programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza (REC) 2014-2020. Cfr. Directorate General for Internal Policies, Implementation of the Daphne programme and other funds aimed at fighting violence against women and girls, EU, 2019, https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2019/608857/IPOL_STU(2019)608857_EN.pdf [ultima consultazione 30.01.2020].

25 Per un’accurata analisi delle raccomandazioni del Consiglio d’Europa in materia di violenza, che hanno preceduto i lavori per la Convenzione di Istanbul, cfr. M. Giovannetti, M. Merelli, M.G. Ruggerini, Violenza contro le donne. Il panorama normativo internazionale, nazionale e regionale, “Quaderni città sicure”, 33, 2008.

26 Cfr. S. De Vido, Donne, violenza e diritto internazionale cit. Secondo il principio della due diligence, gli Stati sono sottoposti all’obbligo positivo di intervenire nei casi di violenza contro le donne. Altre sentenze della cedu, come “Valiuliene contro la Lituania” del 2013 e “M. e M. contro la Croazia” del 2015, hanno permesso di analizzare, rispettivamente, le forme di violenza psicologica e in il modo in cui la violenza influisce sull’integrità e sui diritti delle donne, in questo caso di una minorenne. Il più recente caso “Talpis vs Italy” del 2017 riconosce l’obbligo positivo per gli Stati di proteggere le vittime particolarmente vulnerabili, comprese le donne e i minori che subiscono violenza domestica. Quest’ultima sentenza stabilisce peraltro la violazione da parte delle autorità italiane dell’articolo 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, “Divieto di discriminazione” e ne sanziona la condotta discriminatoria dal punto di vista del genere.

27 Consiglio d’Europa, Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Strasbourg, 2014.

28 S. De Vido, Donne, violenza e diritto internazionale cit. L’Italia è stata tra i primi dieci stati a ratificare la Convenzione di Istanbul, sottoscrivendo il trattato il 10 settembre 2013 (legge 77/2013), così da permettere la sua entrata in vigore il 1° agosto 2014. Il decreto legge 93/2013, e successivamente la legge 119/2013, ne hanno permesso la parziale attuazione.

29 Consiglio d’Europa, Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, articolo 3, “Definizioni”, paragrafo a.

30 Ivi, paragrafo c. Per un’analisi critica della definizione di “violenza di genere” nella Convenzione di Istanbul, cfr. F. Poggi, Violenza di genere e Convenzione di Istanbul: un’analisi concettuale, “Diritti umani e diritto internazionale”, 1, 2017.

31 Alla violenza domestica si aggiungono la violenza psicologica, lo stalking, la violenza fisica, la violenza sessuale e lo stupro, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali femminili, l’aborto e la sterilizzazione forzata, le molestie sessuali.

32 J. Hearn, The sociological significance of domestic violence cit., p. 152.

33 C. Hagemann-White et al., Gendering Human Rights Violations: the Case of Interpersonal Violence, Brussels, European Commission, 2008; J. Hanmer, C. Itzin (a cura di), Home Truths about Domestic Violence: Feminist Influences on Policy and Practice. A Reader, London, Routledge, 2000; J. Hanmer, S. Saunders, Well-founded Fear: a Community Study of Violence to Women, London, Hutchinson, 1984; T. Skinner, M. Hester, E. Malos (a cura di), Researching Gender Violence: Feminist Methodology in Action, Devon, Willan, 2005.

34 R. Dobash, R. Dobash, Women, Violence and Social Change cit., p. 1.

35 P. Romito, Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori, Roma, FrancoAngeli, 2011.

36 Diversa da altre forme d’inconsapevolezza quali la rimozione o la depressione, la disattenzione selettiva è un naturale distacco da tutti gli altri eventi. Cfr. M.A. Straus, Foreword, in R.J. Gelles (a cura di), Violent Home, London, Sage,1974.

37 T. Pitch, Qualche riflessione attorno alla violenza maschile contro le donne cit., p. 7.

38 Cfr. S. Magaraggia, D. Cherubini (a cura di), Uomini contro le donne cit., p. 298.

39 Cfr. A. Giddens, La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, Bologna, il Mulino, 1992, p. 57.

40 A. Ben-Ze’ev, R. Goussinsky, In the Name of Love: Romantic Ideology and Its Victims, Oxford, Oxford University Press, 2008. Cfr. anche L. Melandri, Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà, Torino, Bollati Boringhieri, 2011.

41 E. Stark, Coercive Control: the Entrapment of Women in Personal Life, Oxford, Oxford University Press, 2007; Id., Rethinking coercive control, “Violence against Women: an International and Interdisciplinary Journal”, 15, 12, 2009, pp. 1509-1525.

42 Cfr. Istat, La violenza contro le donne. Indagine multiscopo “Sicurezza delle donne”, 2006, https://www.istat.it/it/archivio/213411 [ultima consultazione 30.12.2019]; Id., La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia, 2015, https://www.istat.it/it/files//2015/06/Violenze_contro_le_donne.pdf [ultima consultazione 30.12.2019]; Eures, Secondo Rapporto sul femminicidio in Italia. Caratteristiche e tendenze del 2013, Roma, 2014; Id., Terzo Rapporto su Caratteristiche, dinamiche e profili di rischio del femminicidio in Italia, Roma, 2015; fra, Violence against Women. An EU-wide Survey. Main Results Report, 2014, http://fra.europa.eu/en/publication/2014/violence-against-women-eu-wide-survey-main-results-report, [ultima consultazione 30.12.2019]; who, World Report on Violence and Health, https://www.who.int/violence_injury_prevention/violence/world_report/en/introduction.pdf [ultima consultazione 30.12.2019].

43 L.E. Walker, The Battered Woman, New York, Harper & Row, 1979.

44 Cfr. I. Merzagora Betsos, Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento, Milano, Raffaello Cortina, 2009.

45 E. Pence, M. Paymar, Education Groups for Men who Batter: the Duluth Model, New York, Springer, 1993. Il “Modello Duluth”, fondato in Minnesota nel 1980 come programma per maltrattanti, ha elaborato uno dei più noti e diffusi programmi di trattamento per gli uomini autori di violenza, il Domestic Abuse Intervention Project (daip).

46 pmwi, Psychological Maltreatment of Women Inventory.

47 Concepito in America Latina, il “violentòmetro” è uno strumento di sensibilizzazione che permette di riconoscere la continuità e i diversi gradi di violenza nelle relazioni amorose.

48 Il concetto di continuum si deve originariamente all’elaborazione della sociologa britannica Liz Kelly. Cfr. L. Kelly, Surviving Sexual Violence cit.

49 J.A. Vandello, D. Cohen, Culture, Gender, and Men’s Intimate Partner Violence cit.

50 E. Stark, Coercive Control cit.

51 M.P. Johnson, A Typology of Domestic Violence: Intimate Terrorism, Violent Resistance, and Situational Couple Violence, Lebanon N.H., Northeastern University Press, 2008. Per una precedente formulazione cfr. Id., Patriarchal terrorism and common couple violence: two forms of violence against women, “Journal of Marriage and the Family”, 57, 2, 1995, pp. 283-294.

52 M. Kaufman, The 7 P’s of men’s violence, http://michaelkaufman.com/1999/10/the-7-ps-of-mens-violence/ [ultima consultazione 30.03.2020]; cfr. anche E. Giomi, S. Magaraggia, Relazioni brutali cit., pp. 26-27.

53 J. Hearn, The sociological significance of domestic violence cit., p. 158.

54 Cfr. S. Ciccone, Una riflessione politica sulla violenza maschile contro le donne: spunti per una pratica di trasformazione, in S. Magaraggia, D. Cherubini (a cura di), Uomini contro le donne? cit., p. 55.

55 Sulle diverse accezioni e possibili interpretazioni dell’espressione “violenza di genere”, cfr. F. Poggi, Violenza di genere e Convenzione di Istanbul cit., pp. 65-73.

56 E. Giomi, S. Magaraggia, Relazioni brutali cit., p. 14.

57 M. Deriu, Farsi carico dell’ambivalenza. Cosa significa lavorare con gli uomini violenti, in S. Magaraggia, D. Cherubini (a cura di), Uomini contro le donne? cit., p. 207.

58 T. Pitch, La società della prevenzione, Roma, Carocci, 2008, p. 7.

59 G. Creazzo, L. Bianchi (a cura di), Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie d’intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità, Roma, Carocci, 2009, p. 17.

60 Cfr. S. Magaraggia, D. Cherubini, Le radici della violenza maschile, in Id. (a cura di), Uomini contro le donne? cit., p. xxi.

61 E.W. Gondolf, D.M. Russel, Man to Man. A Guide for Men in Abusive relationship, New York, Sulzburger & Graham, 1987.

62 A. Bozzoli, M. Merelli, M.G. Ruggerini (a cura di), Il lato oscuro degli uomini. La violenza maschile contro le donne: modelli culturali di intervento, Roma, Ediesse, 2013; M. Merelli, Le esperienze internazionali con gli uomini violenti, “Ingenere”, 2014, http://www.ingenere.it/articoli/le-esperienze-internazionali-con-gli-uomini-violenti [ultima consultazione 30.12.2019]. Sull’uso del termine “psicoeducativo” cfr. M. Rakil, P. Isdal, I. Rangul Askeland, L’uomo è responsabile della violenza. Aiutare gli uomini che usano violenza contro le partner nelle relazioni di intimità per contrastare il problema, in G. Creazzo, L. Bianchi (a cura di), Uomini che maltrattano le donne: che fare? cit., p. 39: “Il termine psicoeducativo fa riferimento ad una combinazione di interventi relativi agli aspetti psicologici dell’uso della violenza maschile e al “disapprendimento” della violenza, come alternativa comportamentale, sulla base dell’idea che la violenza si impara a livello sociale e culturale”.

63 Cfr. M. Merelli, Le esperienze internazionali con gli uomini violenti cit.; I. Merzagora Betsos, Uomini violenti cit.

64 G. Creazzo, L. Bianchi (a cura di), Uomini che maltrattano le donne: che fare? cit.; M. Rakil et al., L’uomo è responsabile della violenza cit.

65 A. Bozzoli, M. Merelli, M.G. Ruggerini (a cura di), Il lato oscuro degli uomini cit., p. 34.

66 UN, Beijing Declaration and Platform for Action. Final Document, https://www.un.org/en/events/pastevents/pdfs/Beijing_Declaration_and_Platform_for_Action.pdf [ultima consultazione 30.12.2019].

67 Council of Europe, Recommendation 2002(5) on the protection of women against violence, 2002, par. 31, https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectID=09000016805e2612 [ultima consultazione 30.12.2019].

68 Ivi, parr. 50-53.

69 Ivi, par. 54.

70 Di seguito l’elenco dei seminari su questi temi organizzati dal Consiglio d’Europa a Strasburgo: “Men and violence against women”, 1999; “Measures dealing with men perpetrators of domestic violence”, 2003; “Therapeutic treatment of men perpetrators of violence within the family”, 2004; “Violence within the family: the role of men”, 2005.

71 M. Deriu, Farsi carico dell’ambivalenza cit.

72 C. Oddone, Public Policies Targeting Perpetrators of Domestic Violence: a Qualitative Study on Perpetrator Programmes in France and Italy, EuroCriminology Conference, Ghent, 20.09. 2019.

73 L. Kelly, Combating Violence against Women: Minimum Standards for Support Services, Strasbourg, Council of Europe, 2008.

74 UN, Handbook for Legislation on Violence against Women, New York, 2010.

75 Commissione per i Diritti della Donna e l’Uguaglianza di Genere, Proposta di risoluzione del Parlamento Europeo 2010/2209(INI), Parlamento Europeo, 18.03.2010, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A7-2011-0065+0+DOC+XML+V0//IT [ultima consultazione 30.12.2019].

76 Cfr. il capitolo sulla “Prevenzione”, articolo 16, Consiglio d’Europa, Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/8_marzo_2014/convenzione_Istanbul_violenza_donne.pdf [ultima consultazione 30.12.2019].

77 Work With Perpetrators European Network, www.work-with-perpetrators.eu [ultima consultazione 30.12.2019].

78 C. Peroni (a cura di), I programmi per autori di violenza. Quadro di sintesi dei risultati della rilevazione, “Progetto Viva”, irpps cnr, 2019, https://viva.cnr.it/wp-content/uploads/2019/11/rapporto02-programmi-autori-violenza.pdf [ultima consultazione 30.12.2019].

79 Dall’intervento di Alessandra Pauncz, direttrice della wwp: L’importance des standards européens pour la prise en charge des auteurs de violence conjugale, Journées d’étude “Violences conjugales, masculinités, rapports de genre”, 4-5.11.2019, Université de Strasbourg.

80 Per maggiori informazioni si rimanda al sito di Maschile Plurale, https://www.maschileplurale.it/category/s3-la-rete-degli-uomini/pinerolo-to/c3-gruppo-riflessione-di-pinerolo/ [ultima consultazione 30.12.2019].

81 R. Poggi, Un’antenna nel sommerso. L’esperienza del Cerchio degli uomini, in A. Bozzoli, M. Merelli, M.G. Ruggerini (a cura di), Il lato oscuro degli uomini cit., pp. 395-403.

82 M. Deriu, Farsi carico dell’ambivalenza cit.

83 Vale la pena citare l’organizzazione della giornata “Attraversare la violenza maschile. Esperienze, approcci e politiche nel lavoro con uomini che agiscono violenza”, Roma, 19.05.2017, http://www.maschileplurale.it/attraversare-la-violenza-maschile-incontro/ [ultima consultazione 30.01.2020].

84 I consultori familiari pubblici, principalmente orientati ai “servizi di assistenza alla famiglia e alla maternità”, sono stati istituiti dalla legge 405 del 1975; i SerT (Servizi pubblici per le Tossicodipendenze), dalla legge 162 del 1990.

85 A. Bozzoli, M. Merelli, M.G. Ruggerini (a cura di), Il lato oscuro degli uomini cit.

86 Ivi, p. 11.

87 Piano strategico nazionale sulla violenza maschile sulle donne (2017-20), http://www.reteagape.it/wp-content/uploads/testo-piano-diramato-conferenza.pdf [ultima consultazione 30.12.2019].

88 Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (2015-17), http://www.isprambiente.gov.it/files2017/ispra/cug/piano_contro_violenza_sessuale_genere_2015_italia.pdf [ultima consultazione 30.12.2019].

89 C. Peroni (a cura di), I programmi per autori di violenza cit.

90 Relive (Relazioni libere dalla violenza), http://www.associazionerelive.it/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=1&Itemid=101 [ultima consultazione 30.12.2019].

91 L. Pomicino, L. Beltramini, P. Romito, Freeing oneself from intimate partner violence: a follow-up of women who contacted an anti-violence center in Italy, “Violence Against Women”, 25, 8, 2018, pp. 925-944.

92 J.F. Gilgun, Lived experience, reflexivity, and research on perpetrators of interpersonal violence, “Qualitative Social Work”, 7, 2, 2008, p. 185.

93 A. Bozzoli, M. Merelli, M.G. Ruggerini (a cura di), Il lato oscuro degli uomini cit., p. 95.

94 G. Creazzo, La costruzione sociale della violenza contro le donne in Italia cit., p. 37. A questo proposito vale la pena citare l’importante lavoro culturale realizzato da gruppi di uomini antisessisti, come è il caso dell’associazione Maschile Plurale in Italia.

95 F. Roia, Crimini contro le donne. Politiche, leggi, buone pratiche, Milano, FrancoAngeli, 2017, pp. 161-163.

96 S. Ciccone, Come affrontare la violenza maschile, in F. Fanelli (a cura di), La violenza sulle donne. Riconoscerla, contrastarla, prevenirla, Perugia, Morlacchi, 2013, p. 38.

97 E. Giomi, S. Magaraggia, Relazioni brutali cit., p. 199.

98 E. Kimball et al., Global efforts to engage men in preventing violence against women: an international survey, “Violence Against Women”, 19, 7, 2013, pp. 924-939.

99 H. Geldschläger et al., European perpetrator programmes: a survey on day-to-day outcome measurement, “IMPACT: Evaluation of European Perpetrator Programmes”, Daphne III project, https://www.work-with-perpetrators.eu/fileadmin/wwp_Network/redakteure/IMPACT/Daphne_III_Impact_-_Working_paper_1_-_Outcome_Measurement_in_European_Perpetrator_Programmes_-_A_Survey.pdf [ultima consultazione 30.12.2019]; A. Taylor, G. Barker, Programs for men who have used violence against women: recommendations for action and caution, Río de Janeiro, Instituto Promundo, 2013.

100 L. Feder, D.B. Wilson, A meta-analitic review of court-mandated intervention programs: Can courts affect abusers behavior?, “Journal of Experimental Criminology”, 1, 2, 2005, pp. 239-262; J.C. Babcock, C.E. Green, C. Robie, Does batterers’ treatment work? A meta-analitic review of domestic violence treatment outcome research, “Clinical Psychology Review”, 23, 2004, pp. 1023-1053.

101 E. Gondolf, Batterer intervention systems: Issues, outcomes, and recommendations, Thousand Oaks, Sage, 2002; Id., Evaluating batterer counselling programs: a difficult task showing some sffects and implications, “Aggressions and Violent Behaviours”, 9, 6, 2004, pp. 605-631.

102 A. Taylor, G. Barker, Programs for men who have used violence against women cit.

103 N. Westmarland, L. Kelly, J. Chalder-Mills, What Counts as Success?, London, Respect, 2010; L.S. Carter, Doing the Work and Measuring the Process: a Report on the December 2009 Expert Roundtable, San Francisco, Family Violence Prevention Fund, 2010.

104 J. Downes, L. Kelly, N. Westmarland, ‘It’s a work in progress’: men’s accounts of gender and change in their use of coercive control, “Journal of Gender-Based Violence”, 3, 3, 2019, pp. 267-282.

105 A. Taylor, G. Barker, Programs for men who have used violence against women cit.

106 Letteralmente, “la demistificazione del patriarcato non si ottiene guardando solo alle vite e alle esperienze delle donne”: D. Scully, Understanding sexual violence cit., p. 3.

107 J.F. Gilgun, Lived experience, reflexivity, and research on perpetrators of interpersonal violence cit., p. 192.

108 D. Scully, Understanding Sexual Violence cit.; J.F. Gilgun, Lived experience, reflexivity, and research on perpetrators of interpersonal violence cit.; A. Flink, E. Paavilaien, Violent behavior of men in their intimate relationships, as they experience it, “American Journal of Men’s Health”, 2, 3, 2008, pp. 244-253.

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