Intersoggettività e pluralità in Jean-Luc Nancy: un approccio fenomenologico
p. 133-138
Texte intégral
1Pur nella forma di semplice abbozzo, questo breve contributo intende porre la questione della possibilità di un ripensamento del rapporto tra Jean-Luc Nancy e la tradizione fenomenologica. Nonostante non siano molto frequenti i riferimenti testuali a Husserl, la critica di Nancy emerge apertis verbis in Essere singolare plurale: «Il sé ha luogo con prima di aver luogo a se stesso e all’altro, ed è anteriore quindi alla distinzione di una coscienza e del suo mondo. Prima dell’intenzionalità fenomenologica e prima della costituzione egologica, ma anche prima della consistenza cosale in quanto tale, c’è la co-originarietà del con» (ESP 72; it. 57). Tentiamo dunque di far “reagire” quest’affermazione con la posizione husserliana sulla questione dell’intersoggettività, emblematicamente rappresentata dalla Quinta meditazione cartesiana.
2Secondo Husserl, noi facciamo in primo luogo esperienza degli altri in quanto oggetti psico-fisici nel mondo, cioè come corpi-cosali; tuttavia, li esperiamo anche come soggetti che, a loro volta, fanno esperienza del nostro stesso mondo: in altri termini, noi esperiamo gli altri sia nella loro oggettità, nel loro “star dinanzi a noi” (Gegenständlichkeit), sia nel loro essere soggetti d’esperienza a cui il mondo si mostra nello stesso modo in cui si mostra a noi stessi. Attraverso un’ulteriore ἐποχή (epoché) astrattiva che riduce l’ego alla sfera della pura proprietà (Eigentlichkeit), cioè a quell’esperienza primordiale che raggiunge il livello più profondo e originario dell’ego, senza il quale non sarebbe possibile esperire né l’alter ego né il mondo obiettivo, emerge il mio “corpo organico” (Leib), cioè il solo corpo che non è meramente “corpo fisico” (Körper): mentre gli altri corpi sono puri oggetti che vedo dall’esterno, il mio corpo organico si muove insieme a me, rappresenta l’hic et nunc a partire dal quale guardo il mondo. In secondo luogo, mentre degli altri corpi posso soltanto accorgermi del movimento, del mio corpo ho delle sensazioni cinestetiche che lo accompagnano in qualunque movimento o mutamento di stato. In altri termini, ogni ego esperisce se stesso come unità psicofisica, ossia come sintesi indissolubile di corporeità fisica e capacità di sentire: una volta sospeso ogni rapporto con un possibile “noi”, l’ego resta il solo polo di tutti i miei Erlebnisse, l’io a cui tutte le rappresentazioni si riferiscono e la forza sintetica attraverso cui l’esperienza dell’alterità si costituisce.
3Tuttavia, se riflettiamo sulla nostra esperienza dell’alterità, ci accorgiamo che l’altro è dinanzi a noi in persona, in carne e ossa, offrendosi a noi in modo profondamente diverso rispetto a una semplice cosa. Più precisamente, l’altro ci si dà in primo luogo come corpo fisico, ma non vi si riduce: innanzitutto è una coscienza intenzionale i cui vissuti sono tuttavia inaccessibili alle nostre sintesi costitutive. L’esperienza dell’altro implica dunque sempre un’intenzionalità indiretta, la quale non può mai tramutarsi in presenza primaria: si tratta dunque di una sorta d’atto di presentificazione, d’una specie di appresentazione. Ecco la condizione di possibilità appercettiva dell’analogia tra il mio corpo e quello dell’altro. Dunque, la somiglianza tra il mio corpo e quello altrui agisce in modo tale che il corpo fisico che mi si manifesta è percepito come un corpo organico simile al mio, ma non una cosa sola con esso: il corpo altrui si mostra come corpo organico solo attraverso una trasposizione appercettiva proveniente dal mio corpo. Ora, questo accesso indiretto e mediato alla vita della coscienza dell’altro è denominato da Husserl “empatia” (Einfühlung), una forma particolare di esperienza attraverso cui l’ego si rapporta alla coscienza d’altri: è presso l’altro senza coincidervi. Non può coincidervi, perché ciò comporterebbe l’assunzione immediata da parte dell’ego degli stessi vissuti dell’altro – come se, vedendo un uomo in collera, fossi immediatamente colto da collera anch’io, cosa evidentemente assurda. Si tratta piuttosto di un atto di presentificazione, un’esperienza di una coscienza empatizzata, cioè una coscienza non interamente inscrivibile nel flusso intenzionale dell’ego, in modo tale da presentarsi come un altro punto di vista sullo stesso mondo di cui entrambi facciamo esperienza: per l’appunto, il punto di vista di un’altra coscienza.
4Conseguentemente, l’esito enigmatico della figura husserliana dell’alter ego è ben rappresentata da questo paradosso: se da un lato ciò che l’alter ego vede è strettamente connesso a ciò che vedo io stesso, dall’altro lato io non posso mai avere una visione diretta dei suoi vissuti, in modo tale che la mia esperienza e la sua rimangono sempre separate. La relazione tra l’empatia e il dato empatico è sempre mediata: il mio sguardo si fissa sugli atti intenzionali altrui, tuttavia non vi accede direttamente, ma sotto la forma di un’analogizzazione. L’altro è un altro polo egologico, analogamente a me: tuttavia, siccome non può coincidere con quella singolarità irriducibile che io sono, è un altro individuo, dunque un alter ego, un altro punto di vista, un’altra prospettiva sul mondo, quel che Husserl chiama – riprendendo una figura fondamentale della metafisica leibniziana – monade. La comparsa dell’altro destabilizza profondamente l’ego trascendentale, che si scopre così come uno sguardo particolare, per l’appunto monadico, sul mondo: così, posto che non vi siano infiniti mondi costituiti solipsisticamente da ogni ego, bisogna pensare che ogni ego esperisca l’unico mondo a partire dal proprio sguardo, che ne costituisce una via d’accesso privilegiata. La questione dell’intersoggettività in Husserl finisce quindi per oscillare tra la rivendicazione dell’ego trascendentale – secondo la via intrapresa dalle Meditazioni cartesiane – e l’apertura, talvolta debole e timida, nei confronti di una decentralizzazione dell’ego e una tematizzazione più profonda dell’empatia, non solo come processo trascendentale a fondamento della relazione con l’altro, ma anche come chiave per entrare in comunione con lui, in ragione del comune essere corpi organici.
5In Corpus, Nancy rifiuta decisamente la nozione husserliana di corpo proprio: «Non c’è ‘corpo proprio’, il corpo proprio è una ricostruzione. Il corpo, infatti, o è soltanto l’‘estendersi’, e in questo caso è troppo presto per il ‘proprio’, o è già preso in questa contrarietà, e allora è troppo tardi» (C 39; it. 27). Questa considerazione sembrerebbe porsi in tensione con ciò che Nancy afferma nella conferenza intitolata De l’âme1, in cui sottolinea l’esigenza di ripensare la connessione della seconda Meditazione di Descartes con la sesta, dedicata al problema del rapporto tra corpo e anima: «Sarebbe dunque necessario sviluppare tutto ciò ch’egli [Descartes] dice a proposito dell’unione dell’anima e del corpo, unione che è altrettanto evidente che l’ego sum stesso»2. Ma non è appunto la riflessione sull’esperienza di tale unione – esperienza quotidiana eppure peculiare – che la fenomenologia ha inteso sviluppare? Tant’è che alle Meditazioni metafisiche di Descartes si richiamano proprio le Meditazioni cartesiane di Husserl. Nella quinta di queste, come si è visto, Husserl introduce il concetto di proprietà, a cui Nancy si oppone; tuttavia, la proprietà non risulta univocamente intesa nell’accezione di possesso cui Nancy tende invece a ridurla. Nel paragrafo 44, infatti, dapprima Husserl utilizza il vocabolo Eigenheit – che ne esprime piuttosto il senso di caratteristica peculiare – per spiegare che «appartiene alla mia proprietà, purificata da ogni senso di soggettività estranea, un senso di mera natura che ha perduto anche questo per-ciascuno e che perciò non può in alcun modo esser preso per uno strato astrattivo del mondo stesso o meglio del suo senso»3. Quindi egli prosegue annunciando che «tra i corpi di questa natura colti in modo appartentivo io trovo poi il mio corpo nella sua peculiarità unica, cioè come l’unico a non essere mero corpo fisico (Körper) ma proprio corpo organico (Leib)». E ancora: «Questo corpo è la sola e unica cosa in cui io direttamente governo e impero [schalte und walte], dominando singolarmente in ciascuno dei suoi organi»4. L’argomentazione husserliana si sviluppa precisando che «nella mia attività percettiva percepisco (o posso percepire) tutta la natura e in essa la mia corporeità propria che in quest’atto è perciò riferita a se stessa. Ciò diviene possibile perché io posso percepire una mano per mezzo di un’altra, l’occhio per mezzo della mano e così via, ove l’organo funzionante deve farsi oggetto e l’oggetto organo funzionante»5.
6Ecco l’osservazione che ci pare cruciale: nell’atto stesso di tematizzare la differenza fra il corpo in quanto oggetto [Körper] e in quanto “corpo organico” [Leib], Husserl tematizza anche ciò che Merleau-Ponty definirà reversibilità fra l’uno e l’altro. Essa indica che la proprietà del corpo – intesa sia come peculiarità sia come possesso – è da sempre sul punto d’essermi sottratta per essere rovesciata in oggettivazione. Ossia non può mai considerarsi davvero proprietà. Ora, è evidente come a Nancy stia a cuore arrivare a colpire un unico obiettivo fondamentale: quella concezione della corporeità come ultimo recesso della soggettività, dell’unità dell’“io”, cui possono legittimamente far pensare certe formulazioni husserliane ricorrenti anche nella Krisis6. Peraltro, come ha osservato acutamente Mauro Carbone7, la diffidenza di Nancy nei confronti di tale concezione si manifesta allorché egli scrive che è alla «costruzione dell’intimo tessuto del sé [che] si adopera una filosofia del corpo proprio» (C 77; it. 62): curiosamente, egli fa seguire a tale affermazione proprio il passo del Visibile e l’invisibile nel quale Merleau-Ponty esplicita invece l’allontanamento da «una filosofia del corpo proprio», avvertendo che la nozione di carne «non ha nome in nessuna filosofia»8. Questo sorprendente accostamento operato da Nancy non è del resto sfuggito a Jacques Derrida, il quale, nel volume che gli ha dedicato, benevolmente ammette come la frase merleau-pontiana risulti così, piuttosto che effettivamente citata, “in verità tenuta a distanza”9.
7In definitiva, lo sviluppo merleau-pontyano della nozione di Leib in quella di chair può davvero giustificare l’assimilazione a «una filosofia del corpo proprio», come afferma Nancy, se tale sviluppo va nella direzione della considerazione della reversibilità fra corpo-vissuto e corpo-oggetto? A nostro avviso, bisogna ancora cercare un nome per quanto rende possibile quella reversibilità, su cui la distinzione stessa fra anima e corpo è ricalcata. Quanto prende il nome di “carne” – e che trova sviluppo sia in Merleau-Ponty sia, per esempio, in Michel Henry – risulta allora inappropriabile, proprio mentre permette la reversibilità del proprio e dell’improprio già descritta da Husserl. La radice dell’alterità va dunque ricercata nell’alterità primordiale della carne; scrive a tal proposito Paul Ricœur: «La carne precede ontologicamente ogni distinzione fra il volontario e l’involontario. Si può certo caratterizzarla mediante l’‘io posso’, ma per l’appunto ‘io posso’ non deriva da ‘io voglio’, bensì gli dà radice. La carne è il luogo di tutte le sintesi passive sulle quali si edificano le sintesi attive che, sole, possono essere definite come opere: essa è la materia (ὕλη, hýle), in risonanza con tutto ciò che può essere detto hýle in ogni oggetto percepito […]. Insomma, essa è l’origine di ogni ‘alterazione del proprio’. Da queste ultime risulta che l’ipseità implica un’alterità ‘propria’, se così si può dire, di cui la carne è il sostegno»10.
8In conclusione – che è piuttosto un invito alla discussione – si può forse affermare che vi sia in Nancy un sotterraneo rapporto con alcuni temi fenomenologici, che contribuiscono in qualche modo all’elaborazione della nozione stessa di essere singolare plurale. Tuttavia, a nostro parere, tale superamento dell’orizzonte trascendentale-costituente della fenomenologia husserliana – progetto che è stato avanzato, per altre vie, da molti fenomenologi francesi, tra cui per esempio Marion e Henry – non costituisce necessariamente un’uscita dal terreno fenomenologico tout court. Articolare fenomenologicamente l’essere-con come dimensione originaria dell’essere e del rapporto tra l’io e l’altro significa render conto di questa co-originarietà, ossia dell’alterità che abita profondamente l’io: insomma, significa abbandonare la posizione – alquanto riduttiva – secondo cui la sfera husserliana della proprietà indicherebbe esclusivamente il possesso assoluto di se stessi. Se, da un lato, è necessario procedere decostruttivamente nei confronti dell’impostazione trascendentale di Husserl, che impedisce a quest’ultimo di pensare il rapporto con l’altro al di fuori della figura dell’alter-ego e riduce l’evento dell’esposizione originaria all’alterità alla questione dell’intersoggettività, è forse utile ripensare la fecondità della fenomenologia stessa – sebbene una fenomenologia “eretica” e rovesciata, ma pur sempre una fenomenologia “all’ascolto” – non per sciogliere l’enigma dell’altro (cosa alquanto pericolosa), ma per meglio abitare la soglia del con.
Notes de bas de page
1 Pronunciata a Le Mans l’8 aprile 1994 presso l’École Régionale des Beaux-Arts nell’ambito del convegno su “Le Corps”, poi inclusa in C; trad. it. L. Gazziero, Dell’anima, in “Teoria”, 17 (1997), 1, pp. 5-20.
2 Ivi, p. 15.
3 E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, in Husserliana: gesammelte Werke (Hua), vol. I, L’Aia, M. Nijhoff, 1950, p. 128, tr. it. F. Costa, Meditazioni cartesiane e discorsi parigini, Milano, Bompiani, 1989, p. 119.
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 Cf. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, Hua, vol. VI, cit., 1959; tr. it. E. Filippini, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano, il Saggiatore, 1961, § 26.
7 M. Carbone, Attualità e non attualità del Leib, in “Leitmotiv”, 3 (2003), p. 85 (consultabile all’indirizzo web http://www.ledonline.it/leitmotiv).
8 M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, trad. it. M. Carbone, Milano, Bompiani, 1993, p. 163.
9 J. Derrida, Le toucher. Jean-Luc Nancy, cit., p. 240, nota 1.
10 P. Ricœur, Sè come un altro, trad. it. D. Iannotta, Milano, Jaca Book, 1993, p. 375.
Auteur
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