Interior intimo… La decostruzione di Agostino tra Heidegger e Nancy
p. 115-120
Texte intégral
1Il presupposto da cui muove questo intervento è che i pochi riferimenti di Nancy ad Agostino costituiscano una mise en abyme della sua pratica di decostruzione del cristianesimo. Questa intrattiene un legame peculiare con il più intenso confronto di Heidegger con tempo e memoria agostiniani, paradigma a sua volta della disposizione metodologica heideggeriana alla distruzione o decostruzione dell’ontoteologia tradizionale. Non solamente Agostino è per Nancy tra i pochi ad avere conosciuto «l’agitazione che nasce quando la presenza si mette a tremare»; non solo Nancy riconosce in Agostino le tracce di un cristianesimo che «si auto-decostruisce ed entra in rapporto di mutua dischiusura con la ragione». Per Nancy, Agostino è soprattutto il pensatore dell’«interior intimo meo et superior summo meo – più interiore della mia intimità e più elevato della mia sommità» di Confessiones III, 6, 11. Mentre secondo Derrida questa frase appartiene alla tipica spiritualizzazione della vita e del desiderio, le stesse parole sono per Nancy la rivelazione di uno scardinamento della presenza del sé a se stesso1. Ne L’Adoration, la sentenza ricorre almeno tre volte, spezzandosi e perdendosi in dissolvenza: «interior intimo meo, superior summo meo»; «interior intimo meo»; «interior intimo…» (A 85, 110, 122). Le tre ricorrenze riflettono «come in uno specchio, in enigma» – per essere tre volte fedeli, alle parole di Paolo care ad Agostino, al Ritratto dei coniugi Arnolfini e a Le partage de voix – i tre momenti della decostruzione di Nancy che daranno il ritmo a quanto segue.
Interior intimo meo, superior summo meo
2Se il rischio non fosse quello di richiamare alla mente uno o due episodi simili, sarebbe qui il caso di barrare il «superior summo meo». Questo primo passo è ciò che la decostruzione di Nancy condivide con la decostruzione di Heidegger. Con una ridondanza solo apparente, si può dire che se in Nancy c’è decostruzione del cristianesimo è perché in Heidegger c’è già decostruzione del cristianesimo. La morte del Dio ontoteologico è per Nancy già avvenuta sotto i colpi dei maestri del sospetto così come di Heidegger che ha sospettato di questi stessi maestri. Se si vuole parlare della prima dunque, bisogna collocarla nell’orizzonte della seconda.
3Certamente è vero che quando Heidegger parla di Destruktion egli insiste nel distinguerla dalla semplice distruzione: «Destruktion, vale a dire una decostruzione (Abbau) di ciò che è stato tramandato […]. Questo non significa negare la tradizione o condannarla all’annullamento: vuol dire invece appropriarsi di essa»2. Eppure, ciò che rimane della tradizione non è altro per Heidegger che la determinazione ontologica del Dasein. La pre-comprensione heideggeriana non è mai questione di presupposti onticamente e tradizionalmente determinati: «‘porre’ l’esserci equivale per Heidegger a nulla ‘presupporre’ […]»3. A ben guardare, il passaggio dalla decostruzione al superamento (Überwindung) dell’ontoteologia – che diventa un «mandar giù (verwinden)», una sorta di digestione che segue la torsione (Verwindung) dell’intestino e arriva dove arriva – non è che l’ovvia conseguenza di questa diffidenza nei confronti dell’intera tradizione. Tutto ciò che non è autenticamente ontologico, tende a cadere in Heidegger nella indifferenza – o nell’indifferenziata, per ricordare l’immondizia di Nancy – dell’ontoteologico. Sintomaticamente, questo accade nella decostruzione heideggeriana del cristianesimo e di Agostino in particolare4.
4Nell’amalgama del metafisico, Heidegger non trascina solo l’Agostino neoplatonico, della distinzione tra uti e frui e della conseguente assiologizzazione dell’essere, ma anche Agostino che medita con intensità l’imperscrutabilità del male e della grazia divina. Per quanto anche nel periodo antipelagiano egli abbia ingenuamente demitologizzato il mito adamitico, razionalizzandolo secondo principi biologici e giuridici, resta vero che Agostino ha descritto a volte con efficacia la radicalità del male che non trova giustificazione. Questo è il caso del racconto del furto delle pere che è «una seduzione inesplicabile dello spirito» (Conf. II, 9, 17) o ancora della veritas redarguens di Conf. X. Ma soprattutto Agostino ha scoperto a un certo punto del proprio percorso spirituale e intellettuale (cfr. Ad Simplicianum I, 2) l’evento inatteso ed es-propriante della grazia di Dio, raccontato nel libro VIII delle Confessiones per mezzo di un’altra mise en abyme: Agostino oramai convertito nella volontà e negli affetti che scrive di Simpliciano «nel quale riluceva la Tua grazia», il quale narra a sua volta della conversione di Vittorino. Memoria e temporalità descritte tra i libri X e XI delle Confessiones – l’una aperta sull’abyme dell’oblio, l’altra determinata da parte a parte dal suo contrasto con l’eternità – sono da collocarsi in questo contesto di grazia «indebita»5.
5Fenomeni come quelli di grazia e peccato, avrebbe detto Heidegger nel 1921, sono autenticamente riguadagnati solo nell’ambito di una comprensione ontologica6. Rallegrarsi per il donum della grazia è «dovere supremo e certo non comodo», ma la grazia che spezza l’autocompiacimento di sé – ambitio saeculi – è ridotta per Heidegger alla «cura estrema, più decisiva e più pura di se stessi»7. La memoria, che nelle Confessiones interrompe il flusso orizzontale dell’autobiografia dei libri I-IX e apre la riflessione in verticale su grazia, tempo e creazione, è per Heidegger solo il luogo di riappropriazione del sé a partire da se stessi. Con il concetto temporale di distentio, Agostino afferra certamente «il carattere fondamentale della vita actionis, dell’essere della condotta umana»; essenzialmente aperta sull’eternità, anch’essa tuttavia decade nell’orizzonte della metafisica: «ciò che è prima di ogni tempo è eternità – praesentissimus, stabile presenza, il nunc stans»8. Heidegger si dimostra così volontariamente sordo a ogni apertura verticale del sé agostiniano, tanto verso il Dio ontoteologico quanto verso il Dio di confessione, nella doppia accezione di confessione di lode e confessione dei peccati. Se la veritas redarguens agostiniana mette radicalmente in discussione il sé, per Heidegger è piuttosto il Dasein a mettere in discussione la verità come la prima tra le sue possibilità.
6Anche a voler moderare questo giudizio alla luce dei riferimenti all’«ultimo Dio» dei Beiträge, che come i «divini» del Geviert funziona da correttivo alla chiusura quasi-stoica dell’essere risoluti davanti alla morte, è chiaro che questo annuncio non vuole avere nulla da spartire con il ritorno al Dio cristiano e al Dio di Agostino in particolare. Si deve leggere in questa maniera ciò che di Nancy suona quasi come un lamento: «l’essenza del Wink […] ‘il segreto dell’unità nella vicinanza più intima nella lontananza più estrema’. (È mai possibile che Heidegger, scrivendo queste parole, non abbia sentito accendersi in lui un’allusione al Deus interior intimo meo, superior summo meo di Agostino?)» (D 162; it. 156).
Interior intimo meo
7Si può dire che, mentre in Heidegger il cristianesimo è oggetto di decostruzione, Nancy prova a fare del cristianesimo un soggetto di decostruzione. La dischiusura è l’istante in cui la tecnica di smontaggio della tradizione cristiana ne restituisce una certa forza esplosiva. Il contrario dunque di una secolarizzazione o di un’ingenua demitologizzazione. L’adorazione è la pratica di lode infinita di questa stessa forza del cristianesimo restituita che spezza il rapporto “idiotico” di sé a se stessi. Nel cristianesimo – non accanto, al di fuori o al di là di esso – è da liberare la forza che conduce la ragione e l’ego sum alla propria s-ragione. La frase agostiniana non significa altro che “un eccesso infinito di me su me stesso”, una perdita di sé, di proprietà e dunque una barratura di tutto ciò che è meo. Restituendo un’effettività al cristianesimo come tradizione, Nancy non sostituisce tuttavia alla presenza del meo la presenza di Dio.
8Il tratto principale del Dio cristiano che es-propria il sé da se stesso non è per Nancy quello di farsi presente per mezzo della condanna o della grazia. Piuttosto, il suo aspetto saliente è l’assenza dello svuotamento: «Ma l’uomo, nel quale Dio ‘discende’ e si ‘svuota’ (la kénosis di Paolo) non è per questo divinizzato. Al contrario. Dio si cancella in lui: è questa cancellazione, è dunque traccia, vestigia impalpabile, impercettibile del divino svuotato, abbandonato» (A 46). L’idea cristiana d’incarnazione non destina l’uomo a un’antropologia superiore dell’imago dei. Il Dio monoteistico e cristiano è il Dio che si ritrae dal mondo, che non è più presente come forza tra le cose del mondo, «è il Dio che si aliena e si ateologizza» (D 127; it. 121). La dignità che Nancy restituisce alla tradizione cristiana paga l’elevato prezzo di uno scardinamento ulteriore della presenza divina. Eppure Paolo, prima di essere cristiano della kénosis, è ebreo convertito per mezzo di un intervento inatteso e violento della grazia. In Agostino la scoperta della grazia spezza ogni vanità di proprietà, sia essa intesa come illuminazione, estasi o effusione. Nancy riconosce al cristianesimo l’effettività di un linguaggio, del dono e dell’evento, ma fa dell’uno così come dell’altro un nulla, una cosa da poco. Se l’adorazione è la pratica di reconnaissance – nella doppia accezione di riconoscimento e riconoscenza – di questo nulla di donum o dono da nulla, di questo “senza prezzo” che supera il valore di scambio della moneta ma che in realtà è un prezzo da nulla, allora essa dovrà portarsi al di là di ogni che-cosa e di ogni come, oltre al dire, oltre al fare con le parole, oltre al silenzio e oltre al cantare – che pure è già un pregare due volte, secondo una sentenza erroneamente attribuita da Nancy ad Agostino, preoccupato semmai dell’estetismo che minaccia nel canto la res della parola – verso il chiacchiericcio che altrove Nancy chiama la funzione fàtica della parola (cfr. SM 182; it. 146).
Interior intimo…
9Di un Dio oramai svuotato, di un io oramai scardinato, non può che rimanere per Nancy che un noi. «Vivi in maniera vivente il tuo Mitwelt» si potrebbe dire parafrasando Heidegger che traduce il «crede ut intelligas» di Agostino con «vivi in maniera vivente te stesso»9.
10Senza esaurire in apparenza la verticalità di Dio con la sua forza di es-propriazione dell’ego, Nancy la interseca fino a esaurirla di fatto con l’orizzontalità del noi: «Dio […] è egli stesso il tra (parmi): è il con o il tra (entre) di noi […] Dio è rapporto» (A 46). L’annuncio dell’ἑρμηνεύειν (hermeneúein) che oltrepassa i presupposti dell’ermeneutica diventa una partizione di voci singole. Se già Heidegger concepisce la filosofia come il necessario correttivo ontologico della teologia, Nancy schiaccia l’ontologia heideggeriana sull’etico e sul politico. Per Nancy non esiste alcuno scarto tra religione, ontologia, etica e politica. Per questo motivo non esiste in Nancy alcuno spazio per il teologico-politico, che denuncia distanza e analogia tra due ordini di discorso. Tra Paolo e Giacomo, Nancy preferisce quest’ultimo, per il quale la grazia non è negata, ma si esaurisce nell’ἔργον (érgon) delle opere. Il peccato contro lo spirito, che non può essere perdonato, c’è anche per Nancy, ma è l’incapacità di riconoscere il senso dei mutui rinvii di senso nel mondo. La resurrezione non è rigenerazione, rinascita o rivivescenza in una vita altra, ma è «il levarsi o il levare in quanto verticalità perpendicolare all’orizzontalità del sepolcro» (NT 33; it. 31). L’eternità di Dio, che in Agostino raccoglie in un’intentio la dispersione dell’uomo nel tempo e nello spazio, per Nancy è l’eterno rinvio degli esistenti del mondo. Laddove sembra ammettere qualche cosa di Dio per scardinare l’ego, egli promuove in realtà l’alterità a sé dell’altro che giunge a noi attraverso il corpo. Tutto il monoteismo di Nancy, che è monolite di religione, ontologia, etica e politica, passa dal corpo poiché «ontologia del corpo = escrizione dell’essere», poiché «i corpi [sono il] ritmo dell’essere» e di Dio (C 20, 100; it. 19, 94). Ciò che infine rimane dell’alterità di Dio che scardina l’ego è solo l’estraneità a me stesso di un corpo che non è mai mio in quanto sempre inappropriabile: «Corpus meum e interior intimo meo, i due insieme per dire esattamente, in una configurazione completa della morte di Dio, che la verità del soggetto è la sua esteriorità e la sua eccessività: la sua esposizione infinita» (I 42; it. 34). Il pensiero dell’alterità che passa per intero dal corpo/immagine è in realtà pensiero di un’alterità, che riguarda esclusivamente l’orizzontalità dei rinvii di senso tra le cose del mondo, uomini, animali, piante e rocce. Eppure, il pensiero di una sola alterità, qualunque essa sia – Dio, essere, corpo – disprezza per abitudine l’alterità di altre alterità. Così, anziché decidersi per una di queste, si dovrebbe riconoscere l’impossibilità di dire se Altro è Dio, essere, corpo o solamente un posto vuoto.
Notes de bas de page
1 Cfr. J. Derrida, Le toucher, Jean-Luc Nancy, cit., p. 182; trad. it. cit., p. 203.
2 M. Heidegger, Die Grundprobleme der Phänomenologie (1927), GA XXIV, p. 31; trad. it. A. Fabris, I problemi fondamentali della fenomenologia, Genova, il melangolo, 1999, p. 21.
3 J.-L. Nancy, Le partage des voix, Paris, Galilée, 1982, p. 27; trad. it. A. Folin, La partizione delle voci, Padova, Il Poligrafo, 1993, p. 31.
4 Cfr. M. Heidegger, Augustinus und der Neuplatonismus, in Phänomenologie des religiösen Lebens, GA LX; trad. it. G. Giurisatti, Agostino e il neoplatonismo, in Fenomenologia della vita religiosa, Milano, Adelphi, 2003.
5 Cfr. G. Lettieri, L’altro Agostino, Brescia, Morcelliana, 2001, in particolare pp. 151-204.
6 M. Heidegger, GA LX, p. 283; trad. it. p. 361.
7 Ivi, p. 240; trad. it. pp. 306-307.
8 M. Heidegger, Quid est tempus? Confessiones lib. X, tiposcritto, p. 10. Si tratta di una conferenza tenuta nel 1930 nel monastero benedettino di Beuron e che sarà pubblicata nel volume LXXX della Gesamtausgabe.
9 M. Heidegger, Grundprobleme der Phänomenologie (1919/1920), GA LVIII, p. 62.
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