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Individuo corpo soggetto in Jean-Luc Nancy. Un’argomentazione minima

p. 41-46


Texte intégral

1Con lo sguardo orientato sulla “questione politica” del pensiero di Nancy (i temi del con-essere, della mondializzazione, della libertà come liberazione) si è costretti ad affrontare la questione ontologica. E – non ce lo si può nascondere – si tratta di una pretesa rifondazione della filosofia prima: lo dice Nancy stesso nell’avvertenza a Essere singolare plurale. Se, quindi, si è interessati a cogliere l’aspetto politico del suo edificio filosofico, non si può fare a meno di entrarvi e di percorrere gli spazi interni dell’ontologia.

2D’altro canto non si dovrebbe escludere di far lavorare la prospettiva della comunità, dell’individuo e del corpo sociale, così come vengono posti da Nancy, a contatto con gli autori e i nodi concettuali della filosofia politica, sia essa di cultura anglosassone o continentale. Questo lavoro ha sullo sfondo proprio tale scopo, ma lo realizza cercando di isolare i legamenti dell’articolazione teorica dell’autore. Individuo, corpo e soggetto vengono perciò a costituire i puntuali termini di riferimento dello studio. Le domande che muovono il discorso sono però di portata più ampia e investono appunto anche altre tradizioni di pensiero: su quali presupposti si basa l’individualismo politico che governa le moderne democrazie occidentali? Che tipo di soggettività dobbiamo porre a fondamento della politica in tempo di globalizzazione economica? Come pensare la libertà non solo in termini di procedure e diritti individuali, ma anche di invenzione, rischio, impegno, condivisione? Domande cui in questo contesto non si potrà dare risposta, ma che devono esser tenute presenti in quanto linee guida della ricerca.

Individuo

3L’individuo è stato pensato in Occidente secondo molteplici quadri di riferimento. C’è un individuo – e quindi un corrispondente individualismo – religioso, politico, filosofico, economico1. Ognuno di questi è oggi attivo; nella nostra storia, pur avendo seguito linee d’approfondimento peculiari, essi si manifestano secondo una logica convergente. Mi sembra si possa correttamente affermare che, quale che sia l’angolo d’entrata all’individualismo, in ogni caso oggi vengono messe in atto vere e proprie «visioni di sovranità dell’individuo»2 (CD 16; it. 23).

4Secondo Nancy l’individuo è invece «solo quel che resta dell’esperienza della dissoluzione della comunità» e perciò «il risultato astratto di una decomposizione» (CD 16; it. 23). Evidentemente siamo in presenza di una sovranità rovesciata. Qui è infatti la comunità ad avere corona, comunità intesa non come la sommatoria di individui legati socialmente da tradizioni, interessi e scopi, ma – con uno scarto concettuale – come condizione di possibilità del rapporto tra individui. In Nancy si ha una concezione non comunitaristica della comunità: gli individui non sono cioè atomi che si inseriscono in tradizioni, lingue, regioni eccetera, ma elementi che entrano in relazione per il puro fatto di esistere, in virtù del nudo accadimento dell’essere. In Occidente, secondo Nancy, non si è tuttavia pensato adeguatamente il nesso individuo-comunità. La dissoluzione del principio comunitario dell’esistenza ha prodotto la separazione degli individui e reso possibile il pensiero di un fondamento della realtà inteso come l’unico, il singolo, l’irripetibile. L’individuo ha cioè assunto la veste della metafisica ed è stato colto nella sua presunta separatezza: come quell’atomo che, componendosi con altri, forma l’insieme della società; oppure, l’atomo che sta contro lo stato, anch’esso pensato come individuo sommo (Hobbes).

5La filosofia che cerca il fondamento è metafisica: della Soggettività, dello Stato, dell’Individuo, dell’Idea, del Sommo Ente (ontoteologia). La metafisica è la totalità di essere, la «chiusura» del separato su stesso (da qui l’urgenza, secondo l’autore, di una «dischiusura» al tempo stesso del cristianesimo e della filosofia in ragione della loro storia comune)3.

6Per Nancy, in opposizione al mainstream del pensiero occidentale, si tratta di s-chiudere la chiusura, aprirla, fessurarla. La filosofia deve dunque cercare di scardinare il fondamento portando alla luce – o prestando ascolto al – l’infondato. Ma cercare l’infondato significa togliere l’ancoraggio dell’essere all’ente sommo (e a tutti i sommi enti che la tradizione ci consegna: morali, politici, estetici, religiosi insieme a quello ontologico) e cioè accedere a una pura ontologia della libertà. La libertà, infatti, è quell’unico principio (ma già “principio” sarebbe parola impronunciabile) che non sta né dietro né sopra o propriamente sotto gli enti, ma presso di essi: li ac-com-pagna. Si presenta con essi, dando vita a una co-esistenza, una co-esposizione4.

7Che ne è dell’individuo in un’ontologia della libertà radicale?

8Non è atomo e non è separato: è intersezione di eventi singolari (che lo precedono o lo strutturano in certo modo) ed è in relazione (il suo statuto ontologico è l’essere-per, l’arcata di ponte sospesa). L’individuo è la fessura nell’essere che fa essere l’essere come spartizione: è spaziatura – in qualche modo è un niente, un buco nel muro – che, per sua natura, mette in relazione parti di mondo. (Nancy riporta una bella citazione di Bataille: «Essere isolato, comunicazione hanno un’unica realtà. Non esistono da nessuna parte ‘esseri isolati’ che non comunichino, né esiste una ‘comunicazione’ indipendente dai punti di isolamento») (CD 50; it. 50-51). L’individuo non è pertanto dissolto nella struttura dell’essere, mantiene una sua autonomia relazionale, ma non può pensarsi come il fondo cieco da cui emergerebbe, come somma di porzioni, una totalità.

Corpo

9Quest’aspetto strutturale dell’individualità, colta nel suo nesso con la comunità, la rende fragile e concettualmente indeterminata. Ogni volta per la prima volta, in ogni accadimento libero dell’essere che av-viene, sorge qualcosa di individuale. L’esperienza della libertà non è infatti propriamente qualcosa di cui io faccio esperienza, ma un evento che fa di me qualcosa che esperisce5. È a partire da questo sfondo che si rende necessario un pensiero della corporeità, intesa come quella condizione di apertura all’essere e dell’essere che, al tempo stesso, più ci appartiene (è ciò che è più mio, perché da lì faccio esperienza – il tema del toccare) e più ci destruttura (il corpo, in quanto corpo, non può mai essere davvero mio – si pensi alla contestazione che Nancy fa del Leib husserliano).

10Cos’è il corpo? È esposizione dell’essere esistente. L’essere avviene cioè ex-sistendo, uscendo fuori da sé, o meglio essendo questo stesso fuori di sé e nient’altro che il fuori, un’esteriorità pura. L’ex dell’expono, dell’exsisto, dell’exterus. In questa prospettiva si colloca difatti la contestazione del concetto di incarnazione (sia esso embodiment, oltre che incarnation): i corpi non sono incarnati – ciò che presupporrebbe ancora uno spirito in-sufflato –, ma carnati. Sono piuttosto forme viventi di una «carnazione» (C 17; it. 17). È nella carnazione stessa che si dà spirito, ma – ancor più precisamente – non all’interno del corpo che si carna, ma nell’atto del carnarsi del corpo, nell’esteriorità di una forma vivente che non pre-sup-pone altro che quell’esteriorità (letteralmente non pone qualcosa al di sotto della superficie, un sostrato come sostanza). Così va compreso il tema dell’ex-peau-sition (C 31; it. 32).

11La carnazione avviene sempre in loco. Il corpo, cioè, è circoscritto: ha relazione essenziale con l’essere, poiché è il qui dell’essere. Il corpo è «luogo» dell’essere esistente ed è sempre «un» luogo: non si dà esistenza senza i luoghi, perché, se non ci fossero luoghi (corpi), ci sarebbe un essere totale, si darebbe un’onnipresenza ontologica (forse in tedesco oltre che al concetto teologico di Allgegenwart, che mette l’accento sulla questione del tempo – si potrebbe far riferimento a una “Allseinheit”, intendendo la totalità d’essere come presenza (spaziale?!) che quindi sarebbe senza alcuna possibilità di comunicazione e conseguentemente senza conoscibilità).

12Ma l’essere esiste, noi lo siamo, liberamente, di volta in volta, di luogo in luogo. La libertà, kantianamente, è un fatto.

13Il Dasein di Nancy, nell’immagine dei corpi presenti, è tutto concentrato sul da6: il sein è sempre qui, da qualche parte (è spartito, partagé). Di più: l’ontologia altro non è che «ontologia del corpo» (C 17; it. 17), in quanto mostrazione dell’essere nella sua esistenza che è sempre locale.

14Attraverso il corpo c’è quindi del singolare che non è mai individuale7, questo è il lato strutturalistico della questione. Ma – cosa altrettanto interessante – l’individuale è inassimilabile alla struttura e risulta anzi essenziale al dispiegamento dell’essere stesso. L’essere, infatti, si piega (termine che fa eco a Deleuze) creando molteplici individualità che, come increspature del tessuto, sole sono in grado di riverlarne la consistenza.

Soggetto

15Alla luce di quanto s’è detto, si potrebbe naturalmente dire che la filosofia di Nancy rappresenta una destrutturazione compiuta della nozione di soggetto. Certo: se per soggetto abbiamo in mente l’individuo in senso atomistico che, “mediante” il corpo, è posto a fondamento di azioni, pensieri e istituzioni, allora Nancy è antisoggettivista. Ma, mentre è escluso che l’individuo possa essere un soggetto intenzionale guidato da bisogni e desideri e capace d’azione8 (perché ciò confliggerebbe con quanto il principio strutturalista sostiene9), non è detto che non possa essere pensato secondo categorie di autonomia e decisione e, per questa via, addirittura secondo gli schemi di una filosofia narrativa (Ricœur)10.

16Ma forse è possibile pensare più rigorosamente il nesso individuo-soggetto fermandosi sul primo aspetto. È opportuno, infatti, rileggere con Nancy il soggetto come quel singolare che, “nel” – o meglio “col” – corpo, è fondato da azioni, pensieri e istituzioni. In Nancy il soggetto non è soggetto di, ma soggetto a. Pensare la soggettività vuol dire in effetti scoprire la potenzialmente infinita relazione di questo corpo con il mondo, cioè l’universo di incidenze di singolari nel singolare che io sono (e che non sarei se altri non mi incidessero)11.

17Il soggetto cartesiano è morto (quantomeno nel suo pervenire a Dio, cioè alla garanzia d’essere), ma si apre la strada per una soggettività altrettanto decisiva e ineludibile: al soggetto sta infatti il compito di tenere aperto l’essere. Se l’essere, in piena libertà, accade come evento, è sempre evento che accade al soggetto. Si deve dire allora che il soggetto altro non è che “soggetto a” e che in questa passività risiede la sua unicità paradossale (perché è un unicum non fondamentale, cioè antimetafisico).

18Il soggetto, infine, non è un sé. Non sono io (non posso dire di essere io, sebbene lo sia). Piuttosto lo si è in me, a me, per me. Vale a dire: c’è un a-sé (nel doppio senso di qualcosa che non è io e che riguarda l’io, è a-sé ma è “un” sé) che costituisce la continua ex-sistenza dell’essere, che accade in pura libertà, qui e là.

19Valga, a conclusione, una bella citazione da La comunità inoperosa: « non ha nominativo, ma è sempre declinato. È sempre l’oggetto o il complemento di un’azione, di un’apostrofe, di un’imputazione. Sé ‘è’ sempre a sé, di sé, per sé eccetera. E, quale che sia il paradosso che vi si debba cogliere, sé non è soggetto. Essere a sé, e non essere sé, è la condizione d’essere dell’esistenza in quanto esposizione. O meglio: è l’essere al caso obliquo e non c’è altro caso dell’essere […]. Si dovrà dire pertanto che ciò che l’essenza è in sé non è la sua sussistenza e la sua proprietà, ma l’essere a sé, l’essere esposta alla declinazione di esistere» (CD 206; it. 171).

Notes de bas de page

1 Si veda per un’introduzione all’argomento la stringente analisi di N. Urbinati, Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 26-37.

2 Ivi, p. 32.

3 Il riferimento, anche per quanto segue, è sia a D sia più in particolare a CD 17-34; it. 24-37 e anche alle pagine sul concetto di creatio ex nihilo, sia in CMM; 53-56 e 86-101; it. 33-36 e 56-66, sia in ESP 34-40; it. 25-31.

4 Sono i temi della IV parte (Dell’essere-in-comune) di CD 201-234; it. 167-191 e dell’intero ESP.

5 Mi sia concesso, per esigenza di brevità, di cogliere con questa frase avventurosa uno dei plessi concettuali più densi di EL. Per una prima contestualizzazione si vedano le pp. 23-25; in it. pp. 12-14.

6 J.-L. Nancy, Differenze parallele. Deleuze e Derrida, conferenza inedita in francese, a cura T. Ariemma e L. Cremonesi, Verona, ombre corte, 2008, p. 39.

7 Il tocco mostra forse proprio questo: che la sensazione del contatto – anche quando è consumata dalla furia della ripetizione – porta sempre con sé un sentimento complesso: di me, di te e di un’alterità che ci porta fuori dai nostri centri focali. Un sentimento di smarrimento.

8 Si pensi alla teoria dell’intenzionalità di J.R. Searle o di D.C. Dennett.

9 Per un chiarimento sull’incompatibilità di posizioni rigidamente strutturaliste con la teoria dell’agente intenzionale si veda A.E. Galeotti, Individuale e collettivo. L’individualismo metodologico nella teoria politica, Milano, Franco Angeli, 1988, pp. 61-82.

10 Concordo con quanto ha scritto Davide Tarizzo in Il pensiero libero. La filosofia francese dopo lo strutturalismo, Milano, Cortina, 2003, che evidenzia una riproposizione del soggetto nei filosofi poststrutturalisti tra i quali viene annoverato Nancy: «Il soggetto riaffiora come un punto fuori linea, come il punto a partire dal quale si stabilisce una certa prospettiva […]. Il che non deve comunque spaventarci, se temiamo una pronta ricaduta negli antichi e rinomati vizi della metafisica classica, poiché la nuova metafisica abbandona il presupposto stesso della vecchia metafisica – il presupposto del soggetto-fondamento» (p. 23). Tarizzo parla poi di un soggetto inteso come «resto» della filosofia e della libertà che, se ben s’attaglia alla figura di Nancy, corrisponde anche a uno degli interessi teorici che Ugo Perone ha consegnato alla Scuola di Alta Formazione Filosofica. Si veda a riguardo Filosofia dell’avvenire, a cura di U. Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, 2010.

11 Emerge qui un debito forse non ancora ben chiarito con l’ontologia di Merleau-Ponty.

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