Variazione sul politico in Jean-Luc Nancy
p. 29-34
Texte intégral
1La riflessione più strettamente politica di Jean-Luc Nancy si articola in tre momenti fondamentali: le ricerche sul “politico” degli anni Ottanta gravitanti al Centre de recherches philosophiques sur le politique, da lui fondato assieme a Philippe Lacoue-Labarthe; le riflessioni sulla “comunità” tra gli anni Ottanta e i Novanta; la messa a tema della “democrazia” dalla fine degli anni Novanta fino ai testi recenti. In primo luogo, ipotizzerò che all’interno di questa periodizzazione si possa distinguere un “primo Nancy” (primi due momenti) da un “secondo Nancy” (terzo momento). In secondo luogo – in un certo senso contro Nancy, in quanto è lui stesso ad accennare autocriticamente di aver variato il proprio modo di affrontare la problematica politica – sosterrò che su questi temi la sua riflessione si sviluppa al contrario con una continuità che mette in discussione tale ipotesi.
2Il “primo Nancy” corrisponderebbe a colui che – a partire dalla distinzione tra politico e politica, tra la riflessione sull’essenza del politico (le politique) e quella sull’attività politica (la politique) – concentra le proprie analisi sul politico coestendendone il senso al senso dell’essere.
3Elaborate nei primi anni Ottanta, le idee di retrait du politique e di être abandonné veicolano un pensiero secondo cui tanto il senso del politico quanto quello dell’essere non possono ridursi alla logica dell’Uno-Soggetto (Dio, stato, nazione, popolo eccetera), non possono comprendersi a partire da un principio trascendente né immanente: di entrambi non è possibile individuare un’essenza o determinare una volontà secondo la prospettiva di una realizzazione teleologica. Di tutto ciò il pensiero rileva il venir meno, il retrait, l’abbandono.
4Il senso del politico consiste proprio nel retrait du politique, nell’“essenziale” ritrarsi della sua essenza, nell’indeterminatezza. Le sue caratteristiche sono individuabili in quattro motivi articolati: dall’“impossibilità di un fondamento” metafisico (o di un Soggetto ab-solutum: senza rapporto) del politico (1), alla conseguente centralità del motivo del “rapporto” (2) a partire dal pensiero della “radicale finitezza” (3) e di ciò a cui questa espone, l’“alterità” (4)1. Si può dire che i suddetti motivi trovino la loro sintesi nel concetto di “singolarità” – in quanto singolarità d’esistenza di tutto ciò che c’è, ogni volta, hic et nunc: la singolarità è “infondata” e non è un Soggetto, è costitutivamente “finita” e dunque sempre in un “rapporto” di non coincidenza – di “alterità” – tanto tra sé e sé, quanto tra sé e l’altro da sé.
5Il senso dell’essere in quanto être abandonné obbedisce alla stessa logica: né pura trascendenza né pura immanenza, l’essere è la nuda esistenza nella “singolarità” di ogni suo atto sorgivo e dunque nel “rapporto” e nella pluralità delle singolarità (cfr. ESP e IC 141-153; it. 9-22). Le idee di politico e di essere si articolano allora vicendevolmente: di entrambe Nancy mostra l’ontologica dimensione relazionale, irriducibile a ogni logica ipostatizzante e unitaria (che si tratti di un uno individuale o di un uno collettivo). Il nome nancyano di tale reciprocità ontologico-politica è “comunità”. Il senso del politico è il retrait du politique: è l’esistenza, che è essere-in-comune. Il senso dell’essere è l’être abandonné: è, a sua volta, l’esistenza, che è, appunto, essere-in-comune.
6Sotto il segno della comunità, ritengo dunque che il pensiero di Nancy configuri una politicizzazione dell’essere. A conferma di questa tesi si pensi a quando scrive: «Il politico, se è possibile designare con questa parola l’ordinamento della comunità in quanto tale nella destinazione della sua partizione (partage) e non l’organizzazione della società, […] non si dissolve nell’elemento socio-tecnico delle forze e dei bisogni [corsivi miei]» (CD 99-100; it. 88) e: «La comunità ci è data con l’essere e come l’essere, ben al di qua di tutti i nostri progetti, volontà e tentativi [corsivi miei]» (CD 87; it. 78). Insomma, da un lato, l’essere è l’esistenza nella sua struttura ontologicamente relazionale, dall’altro, la comunità è la struttura ontologicamente relazionale dell’essere: la questione fondamentale del politico è proprio quella di interrogarsi sulla relazione in quanto tale, cioè su ciò che rende possibile il legame, non a partire da ciò che unisce (essenza comune, contratto, consenso eccetera), ma a partire dal pensiero di quel limite che unisce-dividendo e divide-unendo (partage), esponendo le singolarità le une alle altre, costitutivamente in contatto e separate senza possibili fusioni identitarie, senza che alcun fine possa essere “dato”. È questa la logica della singolarità, della finitezza, dell’essere-in-comune.
7Il “secondo Nancy” corrisponderebbe invece al pensatore della democrazia, a colui che ritiene sia necessario smettere di pensare l’“essere” e la “comunità” sotto l’insegna du politique perché in questo modo, come lui stesso osserva autocriticamente2, l’ontologia della comunità risulta essere immediatamente politica, rendendo impossibile il pensiero della specificità di una “politica” nei confronti del tutto dell’“essere-politico” in quanto “comunità”. Si tratterebbe allora di non pensare più che l’ordine comunitario dell’essere sia coestensivo a quello del politico e possa dirsi e chiamarsi “politico”: è come se Nancy volesse sottrarsi a questa versione del “tutto è politico” e ai ben noti fantasmi totalitari che in essa possono celarsi (l’assunzione di tutta la vita sociale sotto l’unità politico-organica di un’Idea).
8Le attuali riflessioni di Nancy sulla democrazia in quanto ambito specifico – in quanto politique distinguée – sarebbero allora rese possibili a partire da due condizioni concatenate: da un lato, la messa in discussione delle ricerche sul politico nel loro configurare un “tutto è politico” che persiste nella politicizzazione dell’essere, dall’altro, conseguentemente, la contestazione della stessa distinzione le politique/la politique, in modo tale da svincolarsi da un pensiero che tenda implicitamente a nobilitare l’“essenza del politico” sottovalutando, o rendendo impossibile, il pensiero di una specifica “politica distinta”. È secondo me il caso di ridimensionare la portata di questo slittamento concettuale e, anzi, di rintracciare una forte continuità nella sua riflessione ontologico-politica: seguendo rigorosamente le articolazioni dei suoi ragionamenti, per quale ragione dovremmo abbandonare il pensiero della politicizzazione dell’essere e superare definitivamente la distinzione tra “politico” e “politica”? Ritengo che tutti questi temi lavorino anche all’interno del cosiddetto “secondo Nancy”.
9Bisogna allora evidenziare un aspetto equivoco delle sue analisi. Se il “primo Nancy” della politicizzazione dell’essere tende al “tutto è politico” pensando a una consustanzialità tra l’essere (l’essere-in-comune, la comunità) e “il politico”, il “secondo Nancy” dice chiaramente che bisogna pensare “la politica” come una sfera distinta che non può sussumere ogni sfera dell’esistente, dal momento che non tutto l’essere-in-comune (che si presenta nell’arte, nell’amicizia, nell’amore eccetera: in definitiva, è l’esistenza) è politico. A supporto di quest’ultima osservazione, in un testo del 2000 scrive: «Sembra che occorra capire se la sfera politica debba restare distinta o meno dalla sfera del ‘comune’, che essa non può riassorbire o subordinare a sé. La politica non ha il compito di tracciare l’identità o il destino comune»3.
10Ecco una prima osservazione a sostegno della mia tesi. Che la politica non possa avere un carattere fondazionale, che non debba individuare l’identità della comunità e sussumerne l’intero destino, è una convinzione chiara e più volte manifestata non solo dal “secondo”, ma anche dal “primo” Nancy: la riflessione sull’essenza del politico in quanto dimensione relazionale dell’essere si è infatti da sempre accompagnata al rifiuto di ogni possibile fondazione politica. E così, per esempio, già ne La communauté désœuvrée (1986) scrive che la sua idea di comunità «non determina un modo particolare di socialità e non fonda una politica, sempre che si possa ‘fondare’ una politica. Ma definisce almeno un limite su cui ogni politica si ferma e comincia [corsivi miei]» (CD 197-198: it. 163). È quindi chiarissimo già nel “primo Nancy” che se, da un lato, le riflessioni sul politico portano al “tutto è politico” della politicizzazione dell’essere (beninteso, alla luce dell’idea de-totalizzante e anti-essenzialistica del politico in quanto retrait du politique), dall’altro, esse tendono a stabilire un limite imbattendosi nel quale ogni politica si rivela distinta e dunque nell’impossibilità, come appunto scriverà nel 2000, «di tracciare l’identità o il destino comune».
11Una seconda osservazione. L’ipotesi del “secondo Nancy” dice che “la politica” è una sfera distinta che non può assumere ogni sfera dell’esistente e che l’essere-in-comune non è politico. Tale essere-in-comune – la molteplicità differenziale singolare-plurale di ogni singolo atto d’esistenza – ricade infatti in un al di là incommensurabile e la politica non può che limitarsi a relazionarsi a esso per fargli spazio, per renderlo possibile e farlo esistere. È proprio questo il compito dell’“an-archica” politica democratica: essa, non potendo legittimare il proprio potere a partire da alcun archè (naturale o divino), non muovendo da contenuti definibili, certezze condizionanti o figure direttrici, non può non configurarsi che nel potere del popolo in quanto «potere di mettere in scacco l’archia» (VD 57; it. 63); il suo evento, perlomeno quello moderno, rivela che la vita e l’uomo sono esposti a una assenza di principi e fini dati; essa non deve dare una forma o un senso sostanziale all’essere-in-comune, ma laisser être che ogni forma di vita possa affermarsi, senza creare tra di esse gerarchie.
12In questo modo, proprio perché indeterminabile e priva di una definibile e certa misura comune a cui fare riferimento, la democrazia ha il potere di accogliere ogni forma di vita, ciascuna nella propria singolare unicità, nella propria assoluta incommensurabile differenza, ciascuna tanto distinta quanto ontologicamente in-rapporto con altre singolarità. Da questo punto di vista la democrazia può considerarsi una politica che si mantiene in un luogo distinto, separato ma sempre in relazione con un al di là incommensurabile: il suo è il luogo de-totalizzante di una praxis «in cui si tratta di mantenere aperta questa incommensurabilità»4; il luogo di una radicale eguaglianza nella e in quanto a-gerarchica differenza. La politica democratica sarebbe dunque in un rapporto di distinzione con ciò che è al di là della politica, l’incommensurabile essere-in-comune. La domanda fondamentale da porre è allora la seguente: qual è il nome del pensiero che pensa l’incommensurabile? Bisogna fare attenzione a quando Nancy scrive: «La democrazia è in primo luogo una metafisica [che espone l’essere-in-comune a una radicale indeterminatezza mettendo in gioco una ontologia dell’uomo nei confronti dei propri fini – che non sono dati] e solo in secondo luogo una politica» (VD 62; it. 68): da ciò si evince che la democrazia si basa su un principio di distinzione tra “metafisica” e “politica”, e che una metafisica democratica è la condizione della praxis di una politica democratica.
13La democrazia non è dunque soltanto una politica che si mantiene al di qua di ciò che non è politico (l’essere-in-comune) creando gli spazi per renderlo possibile, ma è soprattutto una metafisica che pensa «l’essere del nostro essere-insieme-nel-mondo» (VD 62; it. 68): essa, nello stesso tempo, è “una politica” e, in quanto metafisica, è “al di là della politica”. Il punto chiave di questa seconda osservazione è che l’“al di là della politica”, ossia il nostro être-ensemble-au-monde, è precisamente ciò che Nancy pensava all’insegna del politico in quanto retrait du politique, chiamandolo “comunità” (dell’essere). E ancora adesso – per quanto Nancy non voglia più privilegiare la riflessione sull’essenza del politico, al fine di sottrarsi al pensiero della politicizzazione dell’essere-in-comune – l’incommensurabilità del nostro être-ensemble-au-monde sembra pensabile a partire da un pensiero che tuttavia porta ancora un nome politico, esteso iperbolicamente: “democrazia”, appunto. Infatti scrive: «La ‘democrazia’ […]: è il ritrarsi del politico» (PD, 144-145; it. 158).
14Alla luce delle suddette annotazioni, mettendo in discussione tanto la sua autocritica quanto la periodizzazione da cui sono partito, ritengo dunque che il suo pensiero ontologico si tenga, con continuità, in una dimensione fondamentalmente politica: nell’estensione iperbolica del nome “democrazia” non risuona ancora il pensiero della politicizzazione dell’essere? Non risultano ancora centrali, anzi preliminari, nei confronti dell’esercizio di una necessaria politique distinguée, la riflessione sul (ritrarsi del) politico e dunque la distinzione le politique/la politique? D’altronde, anche nel cosiddetto “secondo Nancy”, si può leggere un brano di questo tipo: «Pensiamo innanzitutto l’essere del nostro essere-insieme-nel-mondo e poi vedremo quale politica permette che questo pensiero tenti la sua sorte» (VD 62; it. 68).
Notes de bas de page
1 J.-L. Nancy e P. Lacoue-Labarthe, Le “retrait” du politique, in Aa. Vv., Le retrait du politique, Paris, Galilée, 1983, pp. 196-197.
2 Cfr. J.-L. Nancy, Rien que le monde, in “Vacarme”, 11 (2000), pp. 6-7; e cfr. J.-L. Nancy, Le désir des formes, in “Europe”, 960 (2009), pp. 215-216.
3 J.-L. Nancy, Des sens de la démocratie, in “Transeuropéennes”, 17 (1999/2000), p. 47; trad. it. D. Tarizzo, Tre frammenti su nichilismo e politica, in Aa. Vv., Nichilismo e politica, a cura di R. Esposito, C. Galli e V. Vitiello, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 23.
4 J.-L. Nancy, Tout est-il politique?, in “Actuel Marx”, 28 (2000), p. 81; trad. it. L. Savarino, Tutto è politico?, in Aa. Vv., La filosofia di fronte all’estremo. Totalitarismo e riflessione filosofica, a cura di S. Forti, Torino, Einaudi, 2004, p. 238.
Auteur
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