Legami difficili, soluzioni singolari1
p. 133-140
Plan détaillé
Texte intégral
«occorre fare posto a una violenza infantile
come modo di godere, anche quando è un messaggio,
il che vuol dire non attaccarla frontalmente.
[…] l’analista deve procedere col bambino violento
preferibilmente con la dolcezza, senza rinunciare a maneggiare,
se occorre, una contro-violenza simbolica»2
Violenza in gioco
1Al primo incontro con un piccolo gruppo di alunni di una seconda media inferiore, invitando a prendere parola a partire dal titolo del progetto dell’Associazione Aletosfera, Legami difficili, soluzioni singolari, pare che nessuno abbia nulla da dire, sembrano molto disorientati, preoccupati, sospettosi.
2Il conduttore interviene dicendo che capita a tutti nella vita di trovarsi in difficoltà nelle relazioni con gli altri. Questo fa sì che, poco dopo, uno di loro inizi a parlare della difficoltà a stare in classe con un compagno che disturba (compagno non presente nel gruppo): improvvisamente ognuno ha da ridire su quel compagno. Da vittime di ciò che altri fanno e dicono, in un secondo tempo degli incontri i partecipanti al gruppo possono includersi diversamente in ciò che raccontano, dicendo che anche ciascuno di loro fa delle cose che possono arrecare fastidio ad altri; ciò consente a Luca di dire che a lui dà molto fastidio che nel corso degli intervalli i suoi compagni parlino sempre tra di loro di Fortnite e lui, che non ha questo gioco, venga messo da parte. L’affermazione di Luca suscita reazioni negli altri, chi si discolpa, chi attacca, chi offende, chi tace. Non sapendo assolutamente cosa sia questo gioco, il conduttore sostiene Luca, mettendosi anche lui nella posizione di colui che non sa e non capisce, proponendo a tutti i componenti del gruppo di raccontarne qualcosa in più. Spiegano che ogni giorno, dopo la scuola, stanno a casa e giocano alla play, a Fortnite, un gioco in cui la violenza è in primo piano: «più si uccide più si vince».
3Il racconto di questo gioco è stato ciò da cui partire per iniziare a conversare. Si propone loro di creare anche noi un Fortnite inedito, e che il gioco che avremmo inventato avesse la caratteristica di dover tener conto del tema del progetto: quindi creare un gioco i cui personaggi avrebbero dovuto trovare dei modi per stare insieme. Incuriositi e sorpresi, sospettosi e scettici, si guardano tra di loro e, con sorrisini, accettano quest’idea strampalata.
4Ci mettiamo al lavoro, ma è proprio difficile inventare, creare, è difficile separarsi da quello che già si conosce; ogni decisione va necessariamente condivisa: qui sta la strettoia che produce legame. Ciascun partecipante si mostra incollato a ciò che sa, non disposto a far posto ad altre idee, ad altri modi di fare, alle difficoltà degli altri. Come fare esperienza di una perdita di godimento?
5Inizialmente si criticano l’un l’altro, pertanto il conduttore propone loro di assegnare una funzione specifica a ciascuno; questo produce un primo accordo nel gruppo. In un secondo momento, lavorando insieme intorno allo stesso tavolo, i ragazzi iniziano a constatare che Luca è bravo a disegnare e quindi che può occuparsi di preparare le card, che Marco ha una bella grafia e si può occupare di scrivere la storia, e così via: a partire da funzioni assegnate arbitrariamente, i ragazzi cominciano a considerare gli altri come delle risorse e a riconoscere in ciascuno dei compagni del gruppo una competenza.
6All’ultimo incontro, svolto con tutta la classe, ciascun piccolo gruppo espone i punti di lavoro emersi nel corso degli incontri. Ciò che è stato più sorprendente è stata la serietà con cui ciascuno ha preso parola e ha esposto al resto della classe il lavoro svolto a partire dal gioco, cosa che ha permesso che altri compagni ascoltassero, domandassero e dessero suggerimenti.
7Molto importanti le parole di un giovane, il quale, raccontando la sua esperienza degli incontri, afferma di essere rimasto molto sorpreso, perché si è trovato a dire come la pensava e questo a scuola non capita quasi mai.
8I ragazzi di questa classe ci hanno insegnato che forse la violenza è nel discorso, «più si uccide più si vince»; un discorso che domanda di essere performativi a tutti i costi, che non lascia spazio al desiderio, alla perdita; i ragazzi si trovano spesso a fare i conti con un Altro ingombrante ed esigente, che sa tutto quello che è giusto per loro, anticipando, prescrivendo e assegnando, non lasciando spazio all’inedito.
Far posto alla parola
9In un altro dei gruppi, all’inizio della conversazione, l’atteggiamento dei ragazzi e delle ragazze è molto contenuto, le frasi sembrano slogan, buoni propositi: «Impegno, classe unita, non rispondere male per rispetto». Su un foglio una di loro scrive ciò che ascolta dagli altri: «Relazione: ci vuole fiducia – Tradire: ferisci una persona che poi non si fida più di te – Impegno: provare a fare una cosa senza arrendersi e impegnarsi al massimo – Relazione nello sport: tifare per i compagni e incoraggiarli». Si parla anche della paura: «Paura di non essere accettati», e a questo punto qualcuno parla di «falsi amici», riferito al rapporto con la Farfuglia.
10Farfuglia è il nome dato a una compagna di classe, che sembra avere qualche particolare difficoltà. Ognuno di loro parla di ciò che gli è insopportabile di questa compagna: i toccamenti, le telefonate, l’odore, e altro. Inoltre, emerge anche che la loro classe è considerata la peggiore della scuola, a causa di questa compagna, perché qualche insegnante li accusa di non essere solidali, di non avere pazienza e di prenderla in giro. Qualcuno di fronte alla domanda: «Come fare?», mormora: «Faccio finta di ascoltarla», «Mi sposto dal banco», «Mantengo la calma», «Non rispondo male: è pur sempre una persona».
11Nei primi due incontri le frasi pronunciate dai ragazzi esprimono nel loro contenuto un sapere predeterminato, esprimono la soluzione del problema. Il conduttore del gruppo si pone in una funzione di agente provocatore, astenendosi dal dare giudizi o soluzioni al problema che si presenta. A partire dalla genericità delle frasi pronunciate dai ragazzi, la scommessa è cercare di dare vita a una conversazione che apra alla possibilità di dire le difficoltà particolari che ognuno incontra nella relazione. Il punto di svolta si produce nel momento in cui il nome Farfuglia diventa una parola qualsiasi, una parola fra le altre, che può associarsi a frasi e parole diverse per ciascuno. Così, attraverso quei particolari montaggi di parole, ognuno può esprimere la propria singolarità, il proprio modo di trovare una soluzione non perfetta, un modo per alleggerire qualcosa di insopportabile e restare nella relazione.
Un altro salto
12Toni Morrison sostiene che vi siano casi in cui il linguaggio opprimente non rappresenta la violenza, non è un suo sostituto, ma è pura espressione di violenza3, come può avvenire attraverso l’insulto.
13Insulto deriva etimologicamente dalla parola latina insultus, derivato di insilire, ovvero «saltare addosso», «assalire»: un attacco all’altro, attraverso l’Altro del linguaggio e della parola, attuato attraverso una sua riduzione a nome, a parola che punta a nominare l’essere di un soggetto che, così colpito, viene ridotto a oggetto.
14Quando l’insulto diventa pietrificante, ripristinare il malinteso può aprire a qualcosa di inedito.
15In un altro dei piccoli gruppi condotti nell’ambito di una scuola media inferiore, una delle prime difficoltà che i partecipanti introducono riguarda una certa deriva dell’insulto, che può facilmente passare da gioco attraverso cui divertirsi, a eccesso che colpisce, ferisce e fa soffrire. Interessante notare che le parole che i ragazzi rubricavano come offensive e insultanti, erano le stesse con cui giocavano, ridevano e si prendevano in giro.
16Quando il conduttore del gruppo domanda quale sia, secondo loro, la differenza tra uno scherzo e un insulto, i presenti fanno a gara a rispondere: «Sono diversi i modi, i toni, il contesto, la relazione, l’intenzione…». Mentre ciascuno propone di cogliere una differenza e non manca di fare degli esempi, lì, in atto, si isola a un tratto, tra gli altri, il significante «bocciato», che viene rivolto a uno dei partecipanti, Pietro. Mentre Sveva sostiene che non sia la stessa cosa se Pietro si dice «bocciato», rispetto a che sia detto «bocciato» da un altro, Martino – sovente insultato da Pietro – interviene dicendo che anche lui «ha bocciato», mentre era in auto con il padre, spaventandosi molto. Al che Pietro esclama: «Ma davvero!? Anche tu bocciato?! Non lo sapevo, allora possiamo diventare amici!» dandosi “un cinque” come segno d’incontro. Incontro che è potuto avvenire in quella contingenza grazie all’effetto di un equivoco significante, grazie al suono di lettere che, perdendo il loro significato, hanno potuto consuonare differentemente: non più un insulto, ma un’altra cosa, un’apertura per un altro legame.
17Nel 1972 Lacan, a proposito dell’interdetto dialogo tra un sesso e l’altro, scrive dell’insulto che «si rivela […] come la prima e l’ultima parola del dialogo»4, e l’anno dopo, giocando con l’omofonia tra on la dit-femme (la si dice donna) e on la diffame (la si diffama), dice che una donna, dicendola donna, la si diffama5. Certo, Lacan lo dice a proposito delle donne, ma il tentativo di dire l’indicibile non risulta sempre infamante e insultante? Come «Non c’è La donna, con l’articolo definito per designare l’universale»6, ovvero La donna non esiste, ed esistono piuttosto le donne, una per una; così per ciascun essere parlante, la dimensione indicibile è strutturale: qualcosa sfugge inesorabilmente alla presa della parola. Non può che fallire l’ostinato tentativo di dirlo e questo, specialmente se avviene da parte di un altro, può risultare insultante. In fondo i partecipanti al gruppo hanno portato esempi di insulti che nominavano modi di essere e di godere, facendo notare inoltre che mentre tra loro «è un gioco, quando sono gli adulti a insultare è diverso». Forse dipende dal punto di enunciazione? Dalla differente possibilità – offerta o negata – di poter rispondere? La parola insultante che arriva dal luogo dell’Altro sembra avere un peso maggiore e un’incidenza letale se punta a colpire e, anziché offrirsi come vuoto perché si produca del soggetto, satura il buco rendendo asfissiante il legame: con la pretesa di dire l’essere di un soggetto, non resta posto per il non sapere, per il non ancora saputo che, solo a condizione che non sia tutto già dato, può rivelarsi, aprendo la via della sorpresa e dell’inedito. Altre volte invece l’insulto può essere scagliato contro il luogo dell’Altro proprio per bucarlo, come tentativo di aprirvi una faglia vitale.
18Comunque sia, al di là delle intenzioni, le parole insultanti, possono propagarsi di bocca in bocca, spadroneggiando sui soggetti a venire, che non saranno più indifferenti a quell’eco nel corpo prodotto dalla percussione delle parole sulla carne.
19Allora, che fare? Resta la gioia dell’incontro, del fraintendimento e dell’equivoco, così come bocciato insegna. Tra un soggetto e un altro, un equivoco significante apre al riso anziché inchiodare sotto una parola carica di senso. E se è successo una volta, allora può capitare ancora: che il peso di un insulto si trasformi, a condizione di perdere senso, nell’occasione di un altro salto, consentendo così di provare un’altra soddisfazione: «ciò che si soddisfa a livello dell’inconscio»7 e «che si sostiene sul linguaggio»8.
Un vuoto creativo
20Non appena avviato il primo incontro, posto sotto l’insegna del tema Legami difficili soluzioni singolari, Lara, una bimba di sette anni, fa subito notare al conduttore che il gruppo si compone di due femmine e due maschi, disposti le une di fronte agli altri. A Lara piacciano i maschi – dice – ma ha deciso di fare il maschiaccio per evitare di avere delle delusioni da loro, in futuro. «Anche tu sei un maschio», prosegue, «ma l’unico rispetto alle altre tre conduttrici femmine».
21Non c’è nulla di meglio di un lavoro di gruppo, soprattutto se con dei bambini – dice il conduttore tra sé e sé – per rinnovare l’entusiasmo che si ricava da un autentico rapporto con l’inconscio, la cui verità non si trova in fondo al pozzo, ma sulla sua superfice.
22Sin dalle prime battute emerge come sia la struttura organizzativa del gruppo a muovere il dire dei suoi componenti. Il lavoro di gruppo proposto ai bambini, e illustrato in anticipo alle maestre e ai maestri, è stato costruito per far emergere in atto eventuali difficoltà di relazione, con le quali i conduttori sono chiamati a implicarsi. Gruppi che, composti da non più di cinque alunni estratti a sorte dall’insieme classe, mettono da subito in gioco che è la contingenza, e il modo proprio a ciascuno di affrontarla, a determinare lo scorrere di una vita.
23Sandro, infatti, conosciuta la composizione dei gruppi, decide di parteciparvi rinchiudendosi dapprima in un armadio da cui lanciare rapidi agguati ai compagni che non aveva potuto scegliere, e poi girando per i gruppi in cerca di un posto. Emerge da subito il modo di fare di Sandro di fronte ai significanti imposti.
24La trama di uno dei gruppi, per esempio, si tesse scivolando sui significanti, maschio e femmina, fratello e sorella, papà e mamma, insegnante di sostegno e maestra, e ciò avviene di fronte a un foglio bianco che ciascuno, a partire dall’esempio dato da chi conduce il gruppo, di-segna con i pennarelli già disposti al centro del tavolo intorno a quale ci si trova seduti. Ed ecco che parlare senza prestare direttamente attenzione a ciò che si dice, ma all’oggetto di fronte al quale si è disposti, facilita il racconto di una storia particolare a ciascuno che, come per caso, si rappresenta sul foglio e che, alla fine di ogni appuntamento, il coordinatore ha cura di tessere in una trama condivisa. I fogli sparsi divengono un grande cartellone dove le differenze non fanno più confine, ma litorale: ciascun bambino ricuce la storia raccontandola agli altri a partire da ciò che l’ha segnato.
25Compare una «bimba bionda che cavalca una moto blu», la «ragazza pazza», ci dice Lara, «che fa tanto sport», ma ha paura che il padre muoia perché fuma le sigarette.
26Compare un letto blu con delle croci rosse ricamate su di una coperta gialla e, al suo capezzale, Clarissa, la «ragazza che viene dal futuro per curare le malattie nere», come quella che si è portata via suo fratello, morto un anno fa.
27Compare una «draga gialla guidata da un bimbo rosso», Ema «il muratore», che ha imparato a voler bene al fratello minore perché quando Ema lo ha picchiato, il fratello non lo ha tradito dicendolo alla mamma.
28Compare un sole giallo e un albero verde e marrone dai lunghi e folti rami che abbracciano il cielo e su cui si nasconde Giù-Giù. Vuol fare «lo scienziato» e inventare la macchina che può far tornare al passato, a prima di nascere, quando era nella pancia della mamma.
29Compaiono legami difficili e soluzioni singolari attorno a un accogliente vuoto che si accende di colore quando qualcuno vi trova un’inedita e soggettiva rappresentazione. Sarà Sandro a inventare, con una scatola – a suo dire – alimentata da un rudimentale generatore elettrico, la televisione in grado di accordare i differenti punti di vista sul tema Legami difficili, soluzioni singolari. Uno schermo che non riflette, ma che prima accoglie i diversi lavori dei gruppi, e poi li ritrasmette affinché anche altri vi partecipino ed esprimano le loro ipotesi e opinioni.
30A posteriori possiamo dire che, funzionando sia da deposito che da motore, questi appuntamenti hanno offerto all’esclusione del capro espiatorio e al suo eventuale colludere incarnando la vittima, alle parole insultanti e alle rappresentazioni più creative, un tempo e un luogo per dispiegarsi nella parola. Puntando ad approssimarsi a dire l’indicibile, preservando il posto per ciò che non si può dire – dimensione che è stata in diverse occasioni inclusa nel discorso attraverso la dimensione del «segreto» –, ciascun soggetto ha potuto utilizzare gli incontri per trattare qualcosa della propria «violenza», intesa sia come dimensione strutturale e ineliminabile del legame e del discorso che, per esistere, impone una perdita; sia come consustanziale all’essere parlante in quanto pulsionale, godente, vivente.
Notes de bas de page
1 Legami difficili, soluzioni singolari è il titolo di un progetto che l’Associazione Aletosfera ha svolto in alcune classi di scuole primarie e secondarie inferiori della provincia di Torino.
2 J.-A. Miller, Bambini violenti, in questo volume.
3 Cfr. T. Morrison, Conferenza pronunciata dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, 7 dicembre 1993, http://www.dicoseunpo.it/Nobel_della_Lettartura_files/Morrison.pdf.
4 «Giacché un discorso, qualunque esso sia, si fonda sull’esclusione dell’impossibile che il linguaggio vi apporta, ossia sull’esclusione del rapporto sessuale». J. Lacan, Lo stordito [1972], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 485, ove Lacan precisa anche che comunque «il giudizio resta fantasma, fino a quello “finale”, e, per dirla tutta, tocca il reale solo se perde ogni significazione».
5 J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora [1972-1973], Torino, Einaudi, 2011, p. 80.
6 Ivi, p. 69.
7 Ivi, p. 55.
8 Ibidem.
Auteurs
Psicologo, psicoterapeuta, membro Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e Associazione Mondiale di Psicoanalisi; Direttore Clinico Comunità terapeutiche Il Montello (Serravalle Scrivia – Al); socio fondatore Centro Psicoanalitico di trattamento dei malesseri contemporanei onlus (Torino); socio Aletosfera – Associazione di Psicoanalisi applicata (Torino); socio e docente Istituto Psicoanalitico di Orientamento Lacaniano (Ipol)
Psicologa, psicoterapeuta, partecipante alle attività Scuola Lacaniana di Psicoanalisi; coordinatrice responsabile Le Villette - Comunità e Centri terapeutico-riabilitativi per minori e giovani adulti (Saluggia - Vc); socio Aletosfera - Associazione di psicoanalisi applicata (Torino)
Partecipante alle attività Scuola Lacaniana di Psicoanalisi; socio fondatore Centro Psicoanalitico di trattamento dei malesseri contemporanei onlus (Torino); socio e presidente Aletosfera - Associazione di psicoanalisi applicata (Torino); socio e collaboratore alla docenza Istituto Psicoanalitico di Orientamento Lacaniano (Ipol)
Psicologa, psicoterapeuta, partecipante alle attività Scuola Lacaniana di Psicoanalisi; referente clinico e psicoterapeuta Comunità Il Montello (Serravalle Scrivia - Al); socio Centro Psicoanalitico di trattamento dei malesseri contemporanei onlus (Torino); socio Aletosfera - Associazione di psicoanalisi applicata (Torino); socio e collaboratore alla docenza Istituto Psicoanalitico di Orientamento Lacaniano (Ipol)
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