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Passaggio all’atto e costruzione di una storia

p. 119-126


Texte intégral

«Per quanto tempo è per sempre?» chiede Alice;
«A volte, solo un secondo» risponde il Bianconiglio.

1La cronaca quotidiana testimonia di azioni efferate a opera dell’uomo rispetto alle quali sembra impossibile costruire o ricostruire la scena che le abbia determinate e tantomeno una causalità che consenta di cogliere un prima e un dopo. Un secondo che è per sempre.

2Una sorta di buco nero spazio-temporale nella storia dei soggetti, di cui spesso a posteriori non sanno dire niente e di cui talvolta non hanno memoria. A differenza del trauma, che in qualche modo eternizza il tempo, producendo una sorta di reiterazione della scena nella memoria, nei pensieri diurni e nei sogni, il passaggio all’atto rappresenta una caduta, così come lo articola Lacan nel suo seminario dedicato al tema dell’angoscia:

Questo lasciar cadere è il correlato essenziale del passaggio all’atto. […] il passaggio all’atto è dal lato del soggetto in quanto questo appare cancellato in modo estremo dalla barra. Il momento del passaggio all’atto è quello del massimo imbarazzo del soggetto, cui si aggiunge a livello comportamentale l’emozione come disordine del movimento. È allora che, da dove si trova – ovvero dal luogo della scena in cui soltanto può mantenersi nel suo statuto di soggetto, come soggetto fondamentalmente storicizzato – esso si precipita e cade fuori della scena1.

3Una caduta dunque dal punto in cui il soggetto come tale può collocarsi in un prima, un adesso e un poi. Come si trattasse di una sorta di tempo senza storia che solo un lavoro a posteriori può eventualmente inserire nella diacronia della vita del soggetto.

4Non si tratta del concetto fondamentale di atemporalità dell’inconscio scoperto da Freud, ma di qualcosa di più prossimo alle scoperte della fisica che hanno sovvertito le leggi del tempo e dello spazio, proprio a partire dalla questione della caduta dei gravi, dalla legge di gravità.

5Il tempo ha perso il suo ordine e “adesso” non significa nulla, ci insegna Carlo Rovelli nel suo testo dedicato al tempo e alla fisica: L’ordine del tempo2.

6Domandandosi come facessero il Sole e la Terra ad attrarsi senza toccarsi e senza che nulla scorresse nel mezzo, Einstein ha immaginato che essi modificassero lo spazio e il tempo attorno a sé, e per questa via è arrivato a scoprire che il tempo scorre più veloce in montagna e più lento in pianura: «ogni corpo rallenta il tempo nelle sue vicinanze. […] Se le cose cadono, è a causa di questo rallentamento del tempo»3.

7Nel campo della violenza e dei passaggi all’atto, in particolare il suicidio e l’omicidio, un corpo cade: atterra, a terra. Il tempo rallenta sino a fermarsi.

8Quale implicazione e quale insegnamento possiamo trarre dalla clinica con soggetti che agiscono violenza o che siano stati coinvolti a vario titolo in episodi violenti?

9Una prima ipotesi che possiamo trarre da queste brevi note introduttive è che, se il soggetto preso nel passaggio all’atto è caduto dal punto in cui può includersi in una storia, si può cercare, in atto o a posteriori, di produrre un’enunciazione a partire dalla quale possa ricollocarvisi.

10È così avviene con Giada, giovane ospite in una comunità terapeutica, che urlando ha preso in ostaggio la responsabile e altri due colleghi perché le impedirebbero di tornare in possesso delle sue armi per la guerra simulata. Dirle di essere dispiaciuti, che le armi sono davvero un problema e che occorre che ciascun operatore della comunità la aiuti a liberarsi da quel pensiero costante che la perseguita, colloca Giada nuovamente nel fluire del tempo. La scena cambia, Giada consegna con calma i documenti, di cui si è appropriata nel frattempo minacciando tutti, e con le lacrime agli occhi torna nel legame con chi la circonda.

11O Sam, Guido e Daniele, bambini toccati a vario titolo dalla violenza, che al Centro Nodi4, nel lavoro in piccolo gruppo, passano dalla lotta corpo a corpo allo scrivere storie e sceneggiature di film in cui, in una versione moderna dei miti inconsci, i padri vengono uccisi e i buoni possono fuggire.

12«Le fiabe […] non hanno colpa di infondere paura nei bambini, o qualunque forma di paura; non sono le fiabe a formare nei bambini il concetto del male o del brutto: esiste già, nel bambino, perché già esiste nel mondo. Non sono le fiabe a dare al bambino la sua prima idea di orco. Ciò che le fiabe gli danno è la prima idea chiara della possibile sconfitta dell’orco. Il bimbo ha conosciuto intimamente il drago fin da quando possiede l’immaginazione. Ciò che la fiaba gli offre è un san Giorgio che uccida il drago»5.

13Le favole e i miti costruiscono delle scene, dei racconti attorno a ciò che dell’umano può fare orrore. Vita, morte e violenza sono tessute in una storia, una trama simbolica in cui i protagonisti hanno dei posti definiti e le azioni, anche le più cruente, si concatenano in un susseguirsi temporale di fatti reperibili e dunque possibili e immaginabili.

Storie che anticipano

14Nel saggio Delinquenti per senso di colpa risalente al 19166, Freud mette a tema una questione apparentemente paradossale, sviluppando un approccio che rovescia il senso comune della relazione causa-effetto. In breve: un oscuro senso di colpa causa il compimento di un misfatto dopo il quale il soggetto si fa una ragione del senso di colpa, prima apparentemente immotivato.

15Come spiega Miller nel suo lavoro sul concetto di passaggio all’atto di Lacan7, occorre distinguere il passaggio all’atto dall’acting out. Quest’ultimo si svolge sempre su una scena e convoca lo spettatore. Nel passaggio all’atto svaniscono scena, spettatore e perfino il soggetto, eventualmente morto, come nel paradigma di atto riuscito, cioè il suicidio. In ogni caso, il soggetto non è più lo stesso prima e dopo l’atto: «il soggetto può rinascerne, ma comunque ne rinasce differente»8. In tale assenza della scena, si rivela una situazione anch’essa in apparenza paradossale: in una sorta di scena rovesciata, il soggetto: «Sarà lui, in quanto morto che guarderà gli altri, porrà loro la sua questione e farà loro sentire il perché del suo sguardo. È proprio in questo che l’atto […] è sempre di autopunizione, è da qui che Lacan ha cominciato la sua carriera di psichiatra, con l’autopunizione»9.

16Sulla scorta di tale rovesciamento della scena e dello snodo dell’autopunizione, torniamo a Freud. Nel quinto paragrafo de L’Io e l’Es del 192210, Freud riprende in termini di elaborazione teorica il tema della sorpresa per aver scoperto nell’esperienza clinica il carattere delinquenziale nel senso di colpa. Come nota Freud, una accentuazione del senso di colpa inconscio può sfociare in atti tali da trasformare gli uomini in delinquenti. Ciò può accadere come conseguenza di relazioni tra le istanze psichiche: «il Super-io lascia scorgere la sua indipendenza dall’Io cosciente e i suoi intimi rapporti con l’Es»11. In particolare, Freud spiega che occorre riconoscere «anche al Super-io un’origine dalle cose udite […] rappresentazioni verbali (concetti, astrazioni); tuttavia l’apporto di “energia di investimento” non deriva […] dalla percezione auditiva (e cioè dall’insegnamento o dalla lettura) bensì da fonti che albergano nell’Es»12.

Storie udite

17Quando si conduce un lavoro analitico con i bambini è impossibile non essere toccati dalle loro trovate (neologismi, creazioni pittoriche e costruzioni fantastiche). È dunque probabile maneggiare immagini talmente evocative da far eco, in modo esuberante, con qualcosa che va dritto all’essere, senza sapere come. Arriva e basta. Le immagini da cui ci sentiamo rappresentati svelano, dicono dell’intimo rapporto che abbiamo con l’oggetto da sempre perduto. Quanta la delicatezza che occorre nel farle entrare in un discorso! Se poi la pulsione di cui si tratta è la pulsione di morte, come spesso capita di far esperienza nella pratica clinica, allora non si può far altro che contrastarla simbolicamente, non direttamente, ma per effetto di un lavoro a lato, come indica Miller nel suo testo Bambini violenti 13.

18Alcune volte le immagini offerte dal bambino si possono solo accogliere. Altre volte, in après-coup, si riesce a fermarne una, intorno a ciò che, con una certa costanza, ritorna: ritorna agganciata a una parola o a una catena significante. Ritorna da un tempo non identificato, che non è solo fatto da un tempo passato o solo da un tempo futuro; forse è fatto da entrambi, unitamente al presente, in un precipitato, una condensazione, di tempi possibili. Se un significante ritorna una volta, poi un’altra e un’altra ancora, lì qualcosa può agganciarsi trovando la via di una nuova significazione. Un atto dopo l’altro, un’immagine segue l’altra e la scena va costruendosi, ricostruendo contemporaneamente la storia del soggetto. La scena ha una sua fissità e dunque una dimensione in cui passato presente e futuro si fondono.

19Il desiderio, sebbene calato in una dimensione storica, non lo si deve pensare in una successione cronologica lineare, ma in una struttura che si dispiega nei tempi dell’esperienza umana ed è proprio in questo aspetto di dispiegamento temporale che possiamo trovare il carattere storico del desiderio. La scena di cui trattiamo, dunque, che si può fermare nel suo scorrere, è possibile definirla come una sequenza di immagini condensate dall’effetto del desiderio. Freud affronta questo aspetto della ricostruzione temporale a proposito delle rappresentazioni fantasmatiche e delle fantasticherie, nel testo Il poeta e la fantasia, con la massima «passato, presente e futuro, come infilati al filo del desiderio che li attraversa»14. Lacan nel saggio La direzione della cura, istituisce un legame tra fantasma e immagine: il fantasma in quanto immagine, cioè in quanto scena, in funzione nella struttura significante, cioè articolata con le parole, permette al soggetto di reggersi a livello del proprio desiderio15.

Scene da un manicomio (lettura in après-coup di tre atti).

20Terzo atto. «Sapete bene che il sintomo non può essere interpretato direttamente, che ci vuole transfert, vale a dire l’introduzione dell’Altro»16. Piè, testa china sul foglio da disegno, parla della vita di un pittore mettendo al corrente gli altri presenti di quanto ha imparato sulla sua biografia: si sofferma sul fatto che l’artista fosse stato in manicomio. L’operatore coglie la possibilità per Piè di dirne ancora qualcosa e domanda. Piè ha un’idea di manicomio del tutto originale, personale, non fedele a quella che la storia ha trasmesso. L’operatore, dialogando sul tema, mette quindi l’accento sul fatto che il manicomio è un luogo del passato, ormai in disuso, in cui le persone vissute allora potevano recarsi per cercare soluzioni alla propria sofferenza. Piè, interrompe: «Mamma mi ha detto che finirò in manicomio».

21Secondo atto. «Uomo di desideri, d’un desiderio da lui seguito suo malgrado su vie in cui si rimira nel sentire, nel dominare e nel sapere, ma di cui ha saputo svelare, lui solo, come un iniziato agli scomparsi misteri, il significante senza pari […]»17. Piè, durante una brutta lite con un bambino che frequenta il Centro, picchia ed è picchiato. L’incontro seguente Piè dirà all’operatore che il bambino con cui aveva litigato al Centro nei giorni passati aveva urlato: «Questo è un manicomio!».

22Primo atto. «Gli uomini, le donne e i bambini non sono altro che significanti»18. Quando Piè, dieci anni, arriva al Centro Nodi è inafferrabile. Madre e padre dicono di lui che per fermarlo bisognerebbe legarlo. Retro-scena. I genitori, durante un colloquio, a qualche mese dall’inizio del percorso di Piè presso il Centro, raccontano di un episodio violento che, in modi diversi, si rivelerà traumatico per ciascun componente della famiglia e del quale la madre ricorda solo l’urlo disperato contro il figlio: «Finirai in manicomio se continui così!».

Storie costruite

23Laddove non si può dare un senso a ciò che non ne ha, inquadrare in una scena il reale in gioco è una risorsa e può consentire a un soggetto di assumersi le conseguenze delle sue azioni, passando dalla dimensione del passaggio all’atto a quella dell’atto.

24Se l’atto si presenta «come muto, come nell’orribile paradigma del suicidio, tuttavia l’atto trova la sue coordinate solo nel linguaggio […]. È questa la giustificazione della definizione di Lacan, secondo cui l’atto accade sempre da un dire: non basta un fare, […] bisogna che ci sia anche un dire, che inquadri e fissi l’atto»19. Si tratta di un dire che riecheggia dalla legge: Miller richiama Cesare nell’attraversamento del Rubicone. E anche in questo si riconosce un rovesciamento, come evidenziato da Lacan con riferimento a san Paolo: «Il detto: è la legge a fare il peccato, resta vero fuori dalla prospettiva escatologica»20.

25Terminiamo questo percorso attraverso rovesciamenti su un punto che richiama la responsabilità. Freud in L’Io e L’Es, differenziando gli effetti estremi del senso di colpa nella malinconia e nella nevrosi ossessiva, spiega che nella malinconia accade che «ciò che ora predomina nel Super-io è una sorta di coltura pura della pulsione di morte»21. In particolare, nella nevrosi ossessiva, pur essendo per Freud la situazione meno chiara, si può rintracciare un rovesciamento, laddove si tratta di «una vera sostituzione dell’amore con l’odio»22. Occorre infine non abbassare la guardia su un possibile rovesciamento messo in luce da Lacan a proposito di oblatività e altruismo: «Non si metterà mai troppo l’accento sul carattere irriducibile della struttura narcisistica, e sull’ambiguità di una nozione che tende a misconoscere la costanza della tensione aggressiva in ogni vita morale che comporti la soggezione a questa struttura: ora nessuna oblatività potrebbe liberarne l’altruismo»23. Vale a dire che l’altruismo, in apparenza una tensione apprezzabile, si può invece rivelare il rovesciamento di una aggressività in quanto camuffata di oblatività.

26Se il Super-io ha come conseguenza l’assenza di possibilità di scelta poiché il soggetto è sottomesso al suo imperativo di godimento, si può reintrodurre per il soggetto una possibilità, a condizione che vi acconsenta.

27«In ciò che abbiamo sotto gli occhi, non possiamo non riconoscere la presenza della scelta forzata, espressione forgiata da Lacan, ovviamente paradossale. Indica la scelta che si fa quando non si ha scelta. Ma è una scelta. È il richiamo al fatto che non c’è puro determinismo. Il soggetto si iscrive attraverso la scelta nella relazione di causa-effetto. C’è una relazione causa-effetto, ma il soggetto deve ancora acconsentirvi. Può rifiutare il suo consenso»24.

Notes de bas de page

1 J. Lacan, Il Seminario, Libro X, L’angoscia [1962-1963], Torino, Einaudi, 2007, p. 125.

2 C. Rovelli, L’ordine del tempo, Milano, Adelphi, 2017.

3 Ivi, p. 21.

4 I Centri Nodi dell’Associazione Aletosfera sono luoghi in cui accogliamo bambini, che incontrano delle difficoltà nel loro percorso di crescita, in un dispositivo di piccolo gruppo di lavoro laboratoriale condotto da due persone con una formazione psicoanalitica

5 G.K. Chesterton, La nonna del drago e altre serissime storie [1909], Macerata Feltria, Guerrino Leardini, 2011, pp. 19, 20.

6 S. Freud, Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico [1916], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1968, vol. 8, pp. 651-652.

7 J.-A. Miller, Jacques Lacan. Osservazioni sul suo concetto di passaggio all’atto [1988], in Id., I paradigmi del godimento, Roma, Astrolabio, 2001, pp. 226-234.

8 Ivi, p. 228.

9 Ivi, p. 230.

10 S. Freud, L’Io e l’Es [1922], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1977, vol. 9, pp. 475-520.

11 Ivi, p. 514.

12 Ibidem.

13 Cfr. J.-A. Miller, Bambini violenti, in questo volume.

14 S. Freud, Il poeta e la fantasia [1907], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1972, vol. 5, p. 379.

15 J. Lacan, La direzione della cura [1958], in Scritti, Torino, Einaudi, 2002, p. 63.

16 Id., Il Seminario, Libro X, L’Angoscia [1962-1963], Torino, Einaudi, 2007, p. 135.

17 Ivi, p. 638.

18 Id., Il Seminario, Libro XX, Ancora [1972-1973], Torino, Einaudi, 2011, p. 31.

19 J.-A. Miller, Jacques Lacan. Osservazioni sul suo concetto di passaggio all’atto cit., p. 231.

20 J. Lacan, Introduzione teorica alle funzioni della psicoanalisi in criminologia [1950], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, p. 120.

21 S. Freud, L’Io e l’Es [1922], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1977, vol. 9, p. 515.

22 Ibidem.

23 J. Lacan, L’aggressività in psicoanalisi [1948], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, p. 113.

24 J.-A. Miller, Eresia e Ortodossia, in P. Bolgiani, R.E. Manzetti (a cura di), Politica lacaniana, Torino, Rosenberg & Sellier, 2018, p. 25.

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