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Oltre il canto delle sirene

p. 85-92


Texte intégral

L’istituzione come linguaggio

1«Non c’è bambino senza istituzione»1, insegna Jacques Lacan. Non c’è religione, senza istituzione2, riprende J.-A Miller. Bambino e religione sono il prodotto della istituzione che li accoglie a un tempo. Per Lyth Menzies e Elliot Jaques l’istituzione è un linguaggio che accoglie le angosce di chi vi opera3. Poi arrivano le guerre, determinate dal contesto istituzionale, dalla cultura, dallo spirito del tempo. Le istituzioni, in quanto linguaggio, si muovono orientate dalla circolazione del desiderio o dalla pulsione di morte che lo rigetta. C’è un movimento costruttivo, quindi, ma anche uno distruttivo, fortemente distruttivo, a volte.

Tre osservazioni

1) Segregazione e violenza

2Da anni operiamo attraverso Centri Clinici accreditati al sistema sanitario e socio-sanitario. I Centri del primo sistema sono più segreganti di quelli del secondo. I casi che vengono accolti nei differenti centri, sul piano diagnostico-sanitario, non sono, però, differenti. Indirizzarsi ai differenti Centri dipende dalla storia istituzionale dei soggetti, da differenti tipi di incontri più o meno fortunati. Ci chiediamo: esiste una relazione tra sistemi segreganti e violenza? La storia dei manicomi sembra sostenerla. Gli scienziati hanno una loro idea sulla questione e, in una conferenza pubblica, per esempio, Gianvito Martina sostiene:

Sesso, cibo, violenza, sono le tre cose che il cervello è allenato a riconoscere per difendere le proprie funzioni neuronali. Che cosa realmente il cervello fa, dal punto di vista biologico, non è ancora chiaro. Sostanzialmente oggi avremmo la prova che il circuito base, il format di base dei circuiti neuronali sarebbe legato all’inibizione e alla motivazione… si tratta di un sistema per nulla razionale. Quando dobbiamo fare qualche cosa in fretta e dobbiamo essere veloci, il cervello cerca subito di capire se l’evento che sta vivendo può essere dannoso per i circuiti della sopravvivenza e reagirebbe in modo automatico, veloce e irrazionale4.

3Fanno eco, sul piano sociale e della riabilitazione del criminale, posizioni di persone illuminate che si occupano di carceri come Lucia Castellano: «Si può punire salvaguardando la dignità delle persone»5. È possibile, quindi, rispettare il soggetto quando violenza e aggressività distruttiva esplodono?

2) Un soggetto “scollocato” nel tempo/spazio fatica a costruire il suo sintomo soggettivo

4Ogni bambino nasce già con il suo sintomo soggettivo. Nasce già sintomaticamente, insegnano Freud e Lacan. Per costruire un sintomo, ci vuole comunque un tempo. Il tempo, a sua volta, lavora e funziona all’interno di un contesto. Si parla, infatti, di tempo soggettivo che interagisce con il discorso che lo include o esclude, per così dire. Sono decisivi i primi due anni di vita del bambino. Sono decisivi in quanto il bambino, la buona novella che irrompe nel discorso della famiglia che di fatto lo accoglie, per usare una metafora non scontata, assorbe come una spugna il contesto che gli sta intorno e, in particolare, introietta e respira il proprio albero filogenetico6. La modalità di accogliere o meno, il grido del bambino appena nato è in relazione, allora, al potere della filogenesi che cattura il bambino e contribuisce nel sostenerlo o lasciarlo cadere nel gorgo della psicosi. La questione non è da porre sul piano biologico, ma della trasmissione del discorso e della cultura cui genitori, insegnanti e società sarebbero assoggettati.

5Il tempo e il contesto, cioè lo spazio culturale che accoglie e circonda il soggetto, sono determinanti per permettere all’essere parlante di decidere come costruire la propria rappresentazione sintomatica presso il suo altro sociale e familiare. Oggi, nella società della velocità e del tempo contratto sembra che anche a livello di costruzione del sintomo ci siano degli effetti. Compaiono sintomi così deboli ed evanescenti che il soggetto non vi trova alloggio, per così dire. Come se il soggetto disponesse di minor libertà personale per costruirsi un proprio modo di essere nel mondo. Un mondo che è troppo veloce per potersi accorgere di lui. Questo ha un effetto devastante, sul soggetto. Un soggetto così “smarrito e scollocato”, per usare una espressione precisa di una paziente di 24 anni, da non riuscire se non a urlare, con il suo comportamento auto o eterodistruttivo, la sua “incollocabilità” nello spazio e nel tempo.

3) L’effetto dei peccati dei padri sulle nuove generazioni

6Shakespeare, nell’Amleto, mostra che accogliere in eredità il peccato del padre e agire la sua vendetta significa solo morirne, ma senza avere elaborato la propria posizione soggettiva in rapporto alla propria epoca. In altre parole, accettare l’eredità sintomatica del padre significa non accettare la propria castrazione simbolica e cadere nella trappola, inevitabile, di una eredità che appartiene sì al contesto e al discorso familiare e sociale, ma senza riuscire a elaborarla e senza riuscire a trovare il modo di scoprire quali siano la propria posizione e il proprio destino nel mondo. Durante una conferenza tenuta sul bullismo, un giornalista reagisce al discorso dello psicologo e dell’avvocato urlando in mezzo al pubblico: «Se so che un bullo, a scuola, picchia mio figlio gli insegno a picchiare più forte. Non posso tollerare che mio figlio diventi vittima di qualche cretino». Quale immagine di sé ha da riscattare questo padre, quale peccato ha da trasmettere e perpetuare? Si tratta di un esempio semplice e quotidiano di come un padre abbia la volontà, l’intenzione e la cura di ben trasmettere al figlio la violenza necessaria per avere la meglio sull’altro, per poter avere un potere sull’altro, e così via.

Non c’è soggetto né istituzione, senza enunciazione

7L’inconscio mostra la sua forza là dove si cerca di soffocarlo o eliminarlo, e opera come miglior alleato del soggetto quando questi impara a saperci fare con il simbolico. Se le istituzioni sociali o addirittura terapeutiche sono segreganti e invadenti, come possono aiutare il soggetto nel suo lavoro simbolico? Come è possibile per le istituzioni cliniche, prevenire la prescrizione segregante delle burocrazie sanitarie per evitare lo spaesamento del soggetto? Sara, 16 anni, durante la realizzazione di un cortometraggio che vincerà il primo premio di un concorso nazionale, anima un dibattito sulla differenza tra comunità terapeutica ed educativa, e successivamente chiederà di essere trasferita nella comunità educativa.

8Anche i significanti sono muri, ma possono rappresentare delle porte da passare come si fa, a volte, attraversando cautamente il proprio fantasma. Ariel, 13 anni, coglie la differenza tra un centro diurno sanitario e uno sociosanitario; si sente più protetto nel primo ma, dopo due anni, chiede di poter passare nel secondo. Antonio, 14 anni, viene allontanato dalla comunità madre-bambino perché è grande, e lo si colloca in una struttura terapeutica. Dopo qualche mese, la struttura terapeutica si trasferisce e, oltre a dover assumere nuovi e giovani operatori, deve sottostare a regole più rigide. Il ragazzo inizia a distruggere tutto. Lo fa improvvisamente, senza alcun segnale premonitore e poi non ne vuole parlare, anche se, a volte, chiede scusa. Che fare, in questi casi? Come leggere tali eventi? Le strutture diurne riescono a non essere segreganti per definizione, ma quelle residenziali? L’esplosione aggressiva, che irrompe da un silenzio illeggibile, è un classico agito connesso all’angoscia psicotica, o un evento senza discorso, perché spazzato via dal dispositivo organizzativo segregante? Quando l’operatore si difende dalla paura aggrappandosi alla regola che i pazienti debbono rispettare, allora l’istituzione in cui opera diventa di per sé segregante e così il discorso dell’istituzione. Ciò che diventa segregante è così il punto di enunciazione dell’operatore e della istituzione.

9Elsa, 11 anni, è una picchiatrice seriale. Come arriva, al mattino al Centro Diurno che la ospita, si precipita a picchiare il malato più grave e debole del gruppo. A casa picchia il padre, anche se questi è sempre disponibile e pronto a difenderla e a proteggerla, mentre la madre non tollera i comportamenti della figlia e cerca di tenerla il più lontano possibile da lei. È la madre, tuttavia, che partecipa alle riunioni di rete degli operatori, affinché questi organizzino la vita quotidiana della figlia, prescrivendo loro orari e luoghi dove accoglierla. Perché la ragazza non percepisce e comunque non valorizza la disponibilità del padre? C’è qualcosa di troppo, forse, in questa disponibilità. Un troppo perdente per la figlia stessa, al punto che picchia e umilia tale debolezza? Ci chiediamo se non sia allora la percepita indisponibilità della madre a far da perno, al punto che Elsa la imiterebbe, rappresentandola nella violenza che lei stessa agisce con i più fragili, a scuola e al Centro Diurno. Certamente Elsa è schiacciata dentro un tempo e uno spazio che non riesce ad aprire a sé stessa: non riesce, da sola, a trovare un proprio posto nel discorso che il mondo le offre. Un discorso che mostra due logiche che non si incontrano, lasciando un varco che diventa un buco nero in cui Elsa precipita senza scampo. Nelle istituzioni che gestiamo sono sempre più numerosi i minori che arrivano con queste caratteristiche distruttive e devastatrici. Il processo di identificazione di questi ragazzi si è bloccato, precipitato dentro un buco di significanti, lasciando comunque uno spazio imitativo che li spinge, però, ad aggrapparsi a comportamenti e significanti distruttivi.

10Il processo di identificazione contiene di per sé una rappresentazione costruttiva di se stessi. L’azione imitativa, invece, è la testimonianza di una precipitazione senza speranza, perché i punti di enunciazione che provengono dall’Altro e a cui rapportarsi non tengono, o il soggetto stesso non riesce a percepirne la consistenza e, quindi, non si fida e non si affida. Per questi ragazzi potremmo parlare, allora, di precipitazione nel vuoto di significanti o implosione tra enunciazione ed enunciati, che lascerebbero il soggetto in balia dei suoi atti devastatori.

11Angela, anche lei 11 anni, fugge dalle comunità educative che l’accolgono, cerca sempre la madre che gli educatori temono che lei incontri, perché alcolista ed espulsiva. La bambina è cresciuta con la nonna malata di demenza. Il contesto familiare appare poco incline a essere accogliente. Il comportamento della ragazza è decisamente autodistruttivo: viene ricoverata in ospedale perché cerca di farsi del male o addirittura di suicidarsi (ingerisce vernici o detersivi, si butta dal balcone della comunità perché sente le voci che le dicono di scappare e di morire e così via). «Pensavamo che agisse secondo modalità isteriche e presto ci rendiamo conto che il grande vuoto interiore di Angela la fa agire senza filtri e senza alcun pensiero sulle conseguenze dei suoi agiti… ». Osservazioni importanti, che rimandano alla psicosi, ma la giovane età e i comportamenti già estremi di Angela sono tali da metterci in allerta e, anche se non è facile, occorre capire in fretta come fare ad accoglierla e che conduzione della cura darsi, per aiutarla trovare un poco di quella pacificazione interiore che le permetterebbe un minimo di convivenza possibile.

12Anche in questo caso, appare evidente come il contesto enunciativo familiare e istituzionale non abbiano ancora trovato come offrire ad Angela opportuni punti di appoggio perché, con una nuova e dolce spinta, qualche cosa di un processo di apertura e di incontro possa accadere. Da dove iniziare con lei, nella nuova comunità terapeutica a cui è approdata?

13Qualsiasi équipe non può non essere spaventata, eppure occorre imparare a non avere paura nell’incontrare Angela. Tuttavia, non basta non avere paura di lei, occorre anche offrirle qualche cosa che lei stessa possa scegliere come pertinente e accogliente, perché in qualche modo la riguarda. Occorre avere il coraggio di sperimentare occasioni e atelier-laboratori che lei possa decidere di usare. Occorrono tanta pazienza e tanto rigore e regolarità. Occorre che Angela possa sperimentare l’assenza totale di arbitrio intorno a sé e, al contempo, nessun cedimento o tenerezza compassionevole per la pesante storia personale che ha caratterizzato la sua giovanissima esistenza. Nessuna seduzione morale o volontà di fare qualcosa perché si pensa sia il suo bene, quindi. Occorre che sia proprio lei a fare il primo passo per essere pronti e accorti nel sostenerla in questo.

14Sono il coraggio, la costanza, il rigore e la regolarità dell’operatore che possono rappresentare i quattro cantoni in grado di costruire quello spazio che possa prendere il nome di un posto per Angela o per gli altri piccoli ospiti di una comunità terapeutica. Piccoli ma già devastati da un incontro con un vuoto, con un buco di significanti, che non riescono a essere sufficientemente robusti per sostenere le loro giovani vite. Giovani e fragili ma fortissimi nei loro comportamenti auto ed etero-distruttivi.

15La forza dei loro comportamenti distruttivi sembra disperatamente proporzionale alla precipitazione in cui sono catapultati nel vuoto e nel buco di significanti che non riescono a incontrare e che sono personificati in chi incontrano nel loro calvario esistenziale, fino a quando non trovano qualcuno che non si angoscia e che non si intenerisce troppo.

Contare o nominare - tutelarsi o responsabilizzarsi

16Mettere in opposizione tra loro i significanti delle due coppie indicate – contare o nominare, tutelarsi o responsabilizzarsi – non agevola la nascita simbolica del soggetto e neppure quella delle istituzioni. Coglierne gli annodamenti aiuta a inventare nuove funzioni costruttive. Il delirio è un eccesso, utile, però, per il soggetto psicotico, perché gli offre un’enunciazione che lo legittima. L’eccesso di contabilità valutativa e di controllo legittima, a sua volta, la posizione dell’istituzione burocratica. Come responsabile di una istituzione clinica è importante, allora, riuscire a cogliere come operare nella funzione di segretario per lo psicotico e per l’istituzione burocratica. Riuscire in tale intento apre a nuove prospettive soggettive e clinico-organizzative, serve a riorientare il transfert di lavoro nelle istituzioni cliniche, a riconsiderare il valore della pratique à plusieurs, di una pratica “in diversi”, a proteggere meglio il vuoto di sapere nel lavoro d’équipe. Con il soggetto psicotico è prezioso il lavoro di segretario che nomina il soggetto, istituendolo. Con le organizzazioni di controllo, per esempio, sarà prezioso un lavoro in grado di umanizzare le regole e gli standard burocratici. Occorre, cioè, che il burocrate non dimentichi il principio e il valore sociale che ha generato lo standard e la regola che va a verificare, una sorta di buon segretario al servizio dell’istituzione clinica, che non ha l’obiettivo di dominarla con il potere e la violenza fine a se stessa della regola. Anche l’organizzazione burocratica, per parte sua, ha bisogno di essere “istituita”, perché renderla più umana. È da questa “istituzione” dell’istituzione che anche l’operatore si potrà sentire libero nel suo atto. Potrà anche inventarsi come luogo di enunciazione per lo psicotico, troppo perso nello spazio vuoto del linguaggio-organizzazione. La verità, la legge, la burocrazia sono crudeli e ci sono gli analisti, i giudici o i funzionari per umanizzarle. Occorre, allora, “istituire” i funzionari e gli ispettori perché non cedano alle lusinghe del “tutelarsi”, come segno della seduzione della pulsione di morte. Il movimento è l’espressione naturale della vita, scrive Leonardo da Vinci7. Il movimento rimanda al desiderio che chiede di essere realizzato. Lacan con il concetto di sinthomo, mostra che qualche cosa resta però allo stesso posto, non si muove e rappresenta sempre il soggetto. Questo vale anche per l’istituzione. C’è un segnale di staticità che si annoda alla vita e al movimento. Il movimento non è la crescita. L’illusione capitalistica che felicità e vita siano l’effetto della crescita è mito illusorio delle utopie figlie di Thanatos. Il contrario dell’amore, come insegna Freud, non è l’odio, ma la morte: Eros e Thanatos. Il desiderio si muove e può annodarsi all’amore, mentre la pulsione di morte, come il canto delle Sirene, è la testimonianza mortifera del vuoto di desiderio, dello spazio vuoto tra un significante e l’altro. Un canto che devasta il soggetto, uccide le responsabilità oltre all’atto clinico necessario, facendo precipitare, soggetto e istituzioni, nel reale. Nominare il soggetto, “istituire” l’istituzione, è istituire la vita, questa la sfida clinico-culturale, cioè politica, più che economico-contabile, di oggi.

Notes de bas de page

1 Cfr. A. Di Ciaccia, Il bambino e l’istituzione, in B. De Halleaux (a cura di), “Qualcosa da dire” al bambino autistico, Roma, Borla, 2011, p. 61; É. Laurent, Istituzione del fantasma, fantasmi dell’istituzione, “La Psicoanalisi”, 59, 2016, p. 29.

2 Cfr., “La Psicoanalisi”, 58, 2015 sul tema Religione, Psicoanalisi, in particolare il testo di J. Lacan, A proposito delle religioni e del reale, pp. 9-16, e quello di J.-A. Miller, Cose di finezza in psicoanalisi, pp. 131-193, dove si evidenzia che senza il linguaggio come prima istituzione umana non ci possono essere neppure le religioni come esperienza e testimonianza dell’essere in quanto esistente.

3 I.L. Menzies, The functioning of social systems as a defense against anxiety. A report on a study of the nursing service of a general hospital, “Human Relations”, 13, 1959, pp. 95-121.

4 Direttore Scientifico dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Ci si riferisce alla conferenza organizzata da Progetto Itaca nella rassegna Incontri con la scienza, tenuta da Gianvito Martina il 6 gennaio 2018 presso la Triennale dell’Arte di Milano.

5 Direttore Generale per l’Esecuzione Penale Esterna e messa alla prova del Ministero di Grazia e Giustizia – intervista radiofonica.

6 Cfr. i concetti di evoluzione e filogenesi negli scritti di J.-B. Lamark (1744-1829) e di C. Darwin (1809-1882); cfr. anche l’idea di F. Fornari, che sostiene che i simboli dei sogni (o preconcezioni filogenetiche) fungono da ipotesi, mentre il processo secondario cosciente avrebbe l’ipotesi di verificare tali ipotesi; cfr. J. Lacan che in Varianti della cura tipo [1955], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, pp. 317-356, sostiene che un grido è sempre un appello rivolto all’Altro, la cui risposta è legata al potere discrezionale dell’uditore.

7 Rai3, Il moto è causa di ogni vita, “Leonardo Da Vinci 500 anni dopo”. Disponibile su internet: https://www.raiplayradio.it/audio/2019/02/PANTHEON---1-Il-moto-195168-causa-daposogni-vita---Il-mito-di-Leonardo-454f48a5-275b-4dcd-adda-3161b00396af.html.

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