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Violenza e castigo

Gli adulti di fronte alla violenza

p. 47-52


Texte intégral

1La violenza non può mai essere isolata dal contesto sociale in cui avviene. C’è un atto di violenza e a esso segue una risposta. Da quando l’uomo esiste come soggetto sociale è legato, che lo voglia o meno, alla sua comunità che crea delle regole di convivenza. La violenza del singolo individuo è quindi arginata dalla società. Come diceva Freud ne Il disagio della civiltà, la civiltà frena l’aggressività attraverso il Super-io1. L’aggressività del soggetto viene introiettata e rimandata contro il proprio Io, che si contrappone come “coscienza” o come Super-io. Il concetto del Super-io viene inoltre spiegato da Freud come un’interiorizzazione delle regole e delle leggi sociali con le quali si scontra il bambino, limitando così la sua pulsione. Si tratta di un’interiorizzazione dell’autorità, e la prima e più importante di solito è l’istanza parentale che viene poi estesa ad altre autorità esterne2.

2Osservando le differenze tra l’epoca di Freud e quella attuale, si potrebbe pensare che il Super-io di una volta fosse più feroce. Vigeva un sistema di punizioni che al giorno d’oggi non c’è più. Dopo i genitori, le più grandi autorità erano l’insegnante e il sacerdote. Per i giovani d’oggi non è più così. La scena in cui gli allievi prendono in giro il professore, lo insultano, gli mettono il cestino della spazzatura in testa e lo riempiono di calci, sembra una situazione surreale ma invece è una cosa che accade ai nostri giorni. Si potrebbe pensare che la causa di questa situazione sia legata all’assenza di castighi e punizioni. Ma si può veramente pensare a un ritorno al passato in cui un insegnante bacchetti le mani dei propri studenti? Dopo tutto siamo veramente convinti che il Super-io di oggi sia più mite di quello di una volta? Forse, paradossalmente, è ancora più severo rispetto a cent’anni fa…

3Il Super-io descritto da Freud potrebbe essere quello di Delitto e castigo di Dostoevskij3. Freud si è interessato molto all’autore di quest’opera in uno dei suoi scritti. Il protagonista di quest’opera, Raskol´nikov, è un giovane studente che vive a San Pietroburgo ai limiti della povertà. Un giorno, dopo diverse ore di febbre e sonno, si alza e decide di realizzare l’omicidio di una vecchia usuraia con la quale aveva contratto un debito. Si convince che il suo atto sarebbe altamente morale perché ammazzando una persona cattiva renderebbe felici molte altre persone maltrattate da lei. Per realizzare il suo piano di omicidio, però, si trova a dover uccidere anche la sorella dell’usuraia, che capita sulla scena del delitto nel momento inopportuno. Dopo l’accaduto, nonostante il protagonista riesca a non farsi scoprire per il suo delitto, è tormentato dai sensi di colpa che non gli danno pace. In preda ai rimorsi confessa il suo reato a Sonja (una giovane prostituta nella quale il protagonista vede un esempio di purezza e di moralità). La ragazza convince Raskol´nikov a confessare il reato e arrendersi alle autorità.

4La trama di quest’opera rispecchia bene il pensiero di Freud riguardo al Super-io e il suo rapporto con la punizione. La coscienza della propria colpa (coscienza morale) si presenta come un bisogno di punizione. È una risposta del Super-io non solo per gli atti violenti compiuti, ma anche per un’intenzione di aggressione verso l’altro, anche in assenza di azione. Come dice Freud: «Il Super-io conserva il carattere del padre, e quanto più forte è stato il complesso edipico, quanto più rapidamente (sotto l’influenza dell’autorità, dell’insegnamento religioso, dell’istruzione, della letteratura) si è compiuta la sua rimozione, tanto più severo si farà in seguito il Super-io nell’esercitare il suo dominio sull’Io sotto forma di coscienza morale, o forse di inconscio senso di colpa»4. Il problema dell’inconscio senso di colpa riguarda il fatto che il soggetto potrebbe ricercare di essere castigato anche senza aver effettivamente commesso “il male”. È un senso di colpa che ha la sua origine nel complesso edipico e quindi è legato al timore di provare ostilità verso il Padre e di perdere il suo amore5. Più feroce è il Super-io, più viene repressa l’aggressività e indirizzata verso se stessi.

5In uno dei suoi scritti Freud presenta uno studio su dei giovani delinquenti, ragazzi che avevano compiuto dei piccoli furti e truffe6. Si tratta di pazienti che l’analista seguì per diversi anni notando che un inspiegabile senso di colpa li tormentava senza alcun motivo apparente; questa colpa spariva subito dopo aver commesso l’azione proibita, dando loro un certo sollievo psichico. Il senso di colpa, prima inconsciamente legato all’astio edipico verso il padre, veniva così incanalato in una situazione reale. Freud li chiama «delinquenti per senso di colpa»7. Nel testo Dostoevskij e il parricidio Freud riconferma la sua teoria del Super-io: «Se il padre era duro di carattere, violento, crudele, il Super-io assume da lui queste caratteristiche […]. Nell’Io sorge un potente bisogno di punizione che in parte affronta come tale il suo destino, in parte si soddisfa per i maltrattamenti che l’Io subisce ad opera del Super-io (coscienza di colpa)»8.

 

6La ferocia del Super-io dell’epoca di Freud è strettamente legata al castigo come risposta alla violenza. Al giorno d’oggi le cose sembrano essersi rovesciate. La rilettura dei concetti freudiani da parte di Lacan ci mostra un’altra faccia del Super-io, che è quella del godimento, la stessa che possiamo già intravedere nel testo di Freud sui «delinquenti per senso di colpa››.

7Lacan, in Kant con Sade, parla del «diritto al godimento»9. È il diritto alla sfrenata felicità, una felicità egoistica che si ferma solo di fronte alla Legge. In questo passaggio affronta il tema del sadismo, e di come il sadico abbia il bisogno di rendere l’altro un suo oggetto10. Seguendo questa ipotesi si può dire che la ricerca egoistica della felicità guidata dalla credenza di un diritto al godimento, può diventare sadica, e quindi pericolosa, dal momento che l’altro in questa relazione è solo il mezzo del godimento.

8Secondo Lacan il Super-io è «osceno» e «feroce». M-H. Brousse riprende questa definizione di oscenità del Super-io legandolo all’epoca capitalista. Brousse dice che non si tratta del fatto di agire in modo osceno11; non c’è infatti più bisogno di togliere il velo del pudore per indignare le persone. Tutto ormai si può vedere senza problemi. I giovani hanno nudità e film pornografici a loro disposizione. Sono poche le scene di violenza che potrebbero inorridire i ragazzi d’oggi; esistono gare su chi si arrampica sull’edificio più alto, esponendosi al rischio di morte. Esiste una vasta scelta di video su tutto questo a loro disposizione. Brousse si chiede quindi da che parte stia l’oscenità del Super-io moderno, affermando che non si tratta né dell’interdizione né dell’identificazione a un ideale. L’oscenità, secondo la psicoanalista, è dal lato di un imperativo12. È il Super-io come «imperativo vuoto»13, ovvero quello del capitalismo e della globalizzazione. Si caratterizza per dare maggior valore al “di più”, all’eccesso. Siamo circondati da un imperativo che mira ad alzare il livello di vita sempre di più: acquistare di più, essere sempre più sani, vivere di più, avere più oggetti, più cibo eccetera14. È l’era del plus-profitto a minor prezzo.

9I cambiamenti culturali tra l’epoca di Freud e quella della modernità occidentale sono notevoli e quindi è necessario tenerne conto in rapporto al Super-io. Nell’epoca del consumismo si può osservare come nelle pubblicità le aziende promuovano i loro prodotti per il “nostro bene”: un pacco di caramelle ci darà finalmente un respiro di libertà, un nuovo paio di scarpe ci renderà più forti e più belli, una nuova macchina renderà felice tutta la famiglia e il mal di testa passerà con una pillola di antidolorifico. Non dobbiamo sentire nessun disagio o sconforto. C’è una vastissima scelta di programmi televisivi, a partire dai cartoni animati, in cui un topolino stacca la testa all’altro, per poi passare a film d’azione con spari, sangue e scene erotiche più o meno velate. Viviamo in una società in cui abbiamo il “diritto alla felicità”, con l’illusione che non ci siano conseguenze per i propri atti. La norma incarnata dall’Altro dei media e dalla legge del mercato sta diventando una richiesta di perfezione irraggiungibile. Il Super-io, che è un’introiezione delle autorità, vale al giorno d’oggi anche come un’introiezione delle norme proposte dai media, con un messaggio che si può sintetizzare così: “Hai il diritto a essere felice e a avere sempre di più”.

10All’epoca del regno del godimento, dunque, il Super-io sembra dirci “Godi, consuma e possiedi sempre di più!”, in accordo con la visione moderna del Super-io come un «imperativo vuoto›› proposta da Brousse. Il diritto a godere si trasforma dunque oggi in un dovere. Nei tempi in cui qualsiasi autorità può essere schiacciata dal sapere “universale” di internet, è difficile per gli adulti contraddire questo imperativo del Super-io capitalista generalizzato. Il Super-io sembra spingerci in una corsa acefala verso la felicità, che si traduce però in una corsa verso l’annullamento del soggetto. Si può dire che, nonostante la punizione e il castigo siano quasi scomparsi (almeno nel mondo occidentale), il Super-io è ancora più feroce di quello del tempo di Dostoevskij, dato che porta la maschera delle “buone intenzioni”. Sembra quindi che tra il Super-io freudiano della ferocia normativa e quello descritto da Lacan come «imperativo a godere››, non esista una risposta corretta e universale alla violenza. Per trovare una soluzione a questa questione esiste un concetto che ha messo in luce Lacan, cioè il godimento.

11Il godimento è ciò che spinge il soggetto verso un al di là del piacere, verso la dimensione mortifera della pulsione, e anche ciò che lo caratterizza e costituisce la sua singolarità. Ovviamente è una dimensione inconscia.

12Un esempio potrebbe spiegare in parte il funzionamento del godimento: il sintomo bulimico dell’abbuffarsi di cibo oltrepassa il bisogno di nutrirsi. Va oltre il principio di piacere, perché l’abbuffata deve concludersi nel rigetto del cibo. L’effetto di questa pratica è una denutrizione graduale, che diventa pericolosa perché avvicina il soggetto alla morte. Introdurre delle leggi o delle norme per frenare questo godimento ci sembra inutile, dato che questo comportamento è di tutt’altra natura rispetto a un’azione guidata dal pensiero. Per la psicoanalisi, il sintomo è un concetto che, da un lato, è un messaggio (qualcosa che si può decifrare), ma che per altro verso porta con sé del godimento, che invece non è decifrabile. Questo “indecifrabile” del sintomo non è dunque arginabile attraverso le norme.

13La stessa logica può essere applicata ai comportamenti violenti. Come Freud nota in Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, le convinzioni ottimistiche che le norme e i nostri impulsi etici possano frenare l’istinto di morte sono soltanto delle illusioni: «Una proibizione così imperiosa può soltanto esser rivolta contro un impulso altrettanto forte. Ciò a cui nessun essere umano aspira, non c’è bisogno di interdirlo, poiché si esclude da sé. Proprio la imperiosità del comando “non uccidere” ci dà la certezza di discendere da una serie lunghissima di generazioni di assassini i quali avevano nel sangue, come forse ancora abbiamo noi stessi, la voglia di uccidere»15. Come si può notare nel testo di Freud sui delinquenti per senso di colpa, se il Super-io è troppo feroce la funzione dell’inconscio morale si ritorce contro il soggetto, ponendolo nella condizione del castigo come suo destino. La dimensione punitiva o morale alimenta e rinforza il Super-io.

14Come si può dunque affrontare la questione della violenza se il rinforzo del Super-io non costituisce una risposta corretta? Lacan, parlando del godimento, dice che per svuotarlo occorre la parola. Ciò che si nota, soprattutto al giorno d’oggi, è che la parola è ridotta all’osso, al punto di non esercitare, come in passato, la sua funzione di velo al godimento. «L’evaporazione del Padre» infatti non è da intendere in senso fenomenologico. Non mancano padri, ma sembra essere venuta meno la consistenza della rete simbolica che bordava l’irruzione del godimento. L’insegnamento della psicoanalisi è che la violenza, nella maggior parte dei casi, si sostituisce a un vuoto nel dire del soggetto. Questo va considerato quando gli agiti coinvolgono bambini o adolescenti perché, riprendendo un vecchio detto popolare polacco: «I bambini e i pesci non hanno voce». Torna dunque la soluzione che da sempre la psicoanalisi ha attuato per comprendere e per arginare la violenza: dare voce al soggetto.

Notes de bas de page

1 S. Freud, Il disagio della civiltà [1930], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 2012, vol. 10, p. 610.

2 Ivi, pp. 610-616.

3 F.M. Dostoevskij, Delitto e castigo [1866], Milano, Garzanti, 2019.

4 S. Freud, L’Io e l’Es [1922], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, vol. 9, p. 497.

5 Id., Il disagio della civiltà cit., pp. 611-613.

6 Id., Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico [1916], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1976, vol. 8, pp. 651-652.

7 Ibidem.

8 Id., Dostoevskij e il parricidio [1927], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1978, vol. 10, p. 529.

9 J. Lacan, Kant con Sade [1963], in Scritti, Torino, Einaudi, 2002, vol. 2, p. 770.

10 Ivi, pp. 768-787.

11 M-H. Brousse, Spinti al peggio. Trattare l’osceno, Blog della Segreteria di Torino della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, 16 gennaio 2012, (trascrizione della conferenza tenutasi a Torino il 25 febbraio 2011), http://slp-torino.blogspot.com/2012/01/spinti-al-peggio.html?m=1.

12 Ibidem.

13 Ibidem.

14 Ibidem.

15 S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte [1915], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1976, vol. 8, p. 144.

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