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Bambini violenti

p. 11-21


Texte intégral

1Bambini violenti è il titolo che ho scelto di concerto con Daniel Roy per la prossima Giornata dell’Institut psychanalytique de l’Enfant1. I due termini sono al plurale: il bambino violento non è un idealtipo. Daniel Roy mi ha chiesto di aprire qualche pista di lavoro per la preparazione di questa Giornata dell’Institut; ho rivolto a lui questo onore, ed egli mi ha fornito una lista di temi che merita di essere pubblicata.

Il sintomo, al bivio dei sentieri

2Il primo pensiero è stato quello di domandarmi se la violenza nel bambino sia un sintomo. Si tratta spesso del mio metodo – partire dalla prima idea che mi viene in mente, senza giudicare se sia buona o cattiva. È un principio che può trovare autorizzazione a partire dalla psicoanalisi. Dato che si tratta di aprire un lavoro, svilupperò il mio pensiero partendo da questo punto. Se vi presentassi un lavoro terminato, invece che delle piste di lavoro, alla fine del mio intervento comincerebbe l’elaborazione di un lavoro compiuto. Come metodo penso a questa frase del generale De Gaulle nelle sue Memorie: «Verso l’Oriente complicato volavo con idee semplici». Anche io sono partigiano del volare con idee semplici. Lacan lo rende possibile dal momento che, quando si affronta un tema a partire dal suo insegnamento, si applica spesso immediatamente la ripartizione fra reale, simbolico e immaginario. Il fatto stesso di applicare questa griglia su una questione generalmente fornisce un punto di partenza. Quando una questione è complicata, sono per prendere avvio da idee semplici; quando una questione è semplice, sono per complicarla – nel complicarla si produce un certo effetto caotico da cui possono sorgere delle idee.

3Il mio punto di partenza è stato quindi quello di domandarmi se la violenza nel bambino sia un sintomo e perché. Questo nella misura in cui in psicoanalisi chi dice sintomo dice spostamento della pulsione, o almeno, in termini freudiani, sostituzione di un soddisfacimento pulsionale – che in lacaniano possiamo tradurre con godimento. Ora, la violenza non si produce forse quando non c’è questo spostamento, questa sostituzione, questo Ersatz, come dice Freud? Ecco la questione che mi sono posto: l’emergere della violenza non è forse la testimonianza che non c’è stata sostituzione di godimento?

4In questa prospettiva, ho voluto assicurarmi della definizione freudiana del sintomo. Per trovare i punti in cui Freud tratta del sintomo, ho avuto la debolezza di prendere in mano l’Enciclopedia della psicoanalisi e, con grande stupore, mi sono accorto – vi riporto il mio piccolo viaggio – che non c’è la voce “sintomo” nell’Enciclopedia di Laplanche e Pontalis, almeno nell’edizione di cui dispongo, che deve essere la prima2. In mancanza dell’aiuto di Laplanche e Pontalis, ho dovuto rifarmi direttamente a Freud e, per farla breve, a Inibizione, sintomo e angoscia. Avrei anche potuto rifarmi al capitolo di Introduzione alla psicoanalisi intitolato “Le vie per la formazione dei sintomi”3, che amo molto – Lacan lo segue con esattezza nel suo testo La direzione della cura e i principi del suo potere4. Nel secondo capitolo di Inibizione, sintomo e angoscia, Freud definisce il sintomo come Anzeichen und Ersatz, ovvero «segno e sostituto», einer Triebbefriedigung, «di un soddisfacimento pulsionale». Freud aggiunge un aggettivo, unterbliebenen, dove riconosciamo il prefisso unter, che significa «sotto», ma che comporta anche altri significati, in particolare «quello che non accade, quello che non si riproduce più». Nella traduzione di Inibizione, sintomo e angoscia, troviamo la seguente frase: «il sintomo sarebbe segno e sostituto di un soddisfacimento pulsionale che è mancato»5. Se avessi dovuto tradurla, avrei dato un piccolo accento heideggeriano all’aggettivo, dicendo «un soddisfacimento non avvenuto».

Il godimento rifiutato

5Direi che il sintomo si definisce qui come Ersatz di un godimento rifiutato. Utilizzerei questo aggettivo perché ho in mente la frase di Lacan con cui si chiude Sovversione del soggetto, poco dopo che Lacan ha parlato di «supremo narcisismo della Causa perduta»6. L’ultima frase è la seguente: «La castrazione vuol dire che bisogna che il godimento sia rifiutato perché possa essere raggiunto sulla scala rovesciata della Legge del desiderio»7. Questa definizione della castrazione meriterebbe di comparire in una Enciclopedia lacaniana. La castrazione non è qui definita a partire dal fallo, è definita direttamente a partire dal godimento, cioè a partire dalla pulsione. È definita a partire da ciò che Lacan designa molto precisamente come rifiuto del godimento, cosa che introduce il riferimento all’iniziativa del soggetto, nel quadro di una scelta – accettare o rifiutare.

6Mi viene in mente l’immagine iconica di Ercole al bivio che, nella favola di Prodico di Ceo, deve scegliere fra il sentiero del vizio e quello della virtù. Si tratta di un paradigma barocco a cui Erwin Panofsky ha dedicato uno studio, un libretto8. Se posso esprimermi così, si tratta di Ercole dopo l’infanzia, alla soglia dell’età adulta, posto di fronte alla scelta della virtù, cammino arduo che passa attraverso il lavoro, oppure della voluttà. Questa storia ha conosciuto numerose rappresentazioni, dalla fine del xiv fino al xvi secolo. D’altra parte, ho consultato Google scrivendo semplicemente “Ercole al bivio”, e ho trovato un articolo molto interessante che se volete potete consultare9.

7Dunque, castrazione = rifiuto del godimento, in seguito al quale il godimento non avrà luogo. Lacan introduce un ragionamento incentrato sulla dialettica, il godimento deve essere rifiutato per essere raggiunto. Non deve aver avuto luogo per poter avvenire. Si potrebbe credere a un’astuzia del godimento, così come Hegel parla di astuzia della ragione. Si tratta del fatto che la castrazione è uno spostamento del godimento, che il godimento dev’essere rifiutato su un certo piano per essere raggiunto a livello della legge. Dev’essere rifiutato nel reale per essere raggiunto sotto l’egida del simbolico. Quella che Lacan chiama la legge del desiderio, è precisamente questo rifiuto del godimento nel reale, il passaggio del godimento al di sotto. Questo rinvia alla metafora paterna, che è la traduzione in termini edipici del processo di rimozione, e che si può generalizzare se si assume che l’operatore essenziale della rimozione è il linguaggio stesso, la parola, che opera il passaggio del godimento al di sotto, nel senso che arresta il suo avvento.

8Il prezzo di tale processo, il risultato del processo di rimozione, come si esprime Freud, è precisamente il sintomo. Il prezzo della rimozione è la formazione del sintomo come segno e sostituzione di un godimento che non è avvenuto. In altre parole, la legalizzazione del godimento si paga con la sintomatizzazione. L’essere umano come parlessere è votato a essere sintomatico.

9Per questo, il godimento è sempre un godimento che si sposta altrove, nel senso in cui si parla degli sfollati – il godimento che non è allo stesso posto, che non è nel posto originario, fondamentalmente esiliato. Tutto ciò è legato alla nostra attualità. Diciamo solo che i migranti vengono a cercare in Occidente quello che per loro è un altro godimento – ci attendiamo milioni di persone nel corso del xxi secolo, cosa che rappresenterà un fenomeno di massa che sarà al contempo essenziale nella ristrutturazione delle nostre società. A questo titolo, beninteso, le grandi migrazioni sono un sintomo del disagio della civiltà nel mondo civilizzato, sia nella loro che nella nostra civiltà. Nel quadro di questo intervento lascio da parte tutto ciò. Mi limito a dire che sono i temi per cui ho apprezzato le frasi pronunciate recentemente da Antonio Di Ciaccia, che termina un suo articolo scrivendo: «Se vogliamo avere una bussola, ricordiamoci, con lo scritto di Lacan Joyce il sintomo, che “La storia non è niente di più che una fuga, di cui si raccontano solo gli esodi”, e che “solo i deportati partecipano alla storia”»10. Si tratta dell’esodo del godimento, del godimento deportato.

Dieci punti sulla violenza nel bambino

10Una volta stabilite queste semplici idee, proporrò alcuni punti che riguardano la violenza nel bambino.

  1. Primo punto, punto di partenza che eventualmente rimetterò in questione in seguito, la violenza nel bambino non è un sintomo.
  2. Essa è perfino il contrario di un sintomo.
  3. Non è il risultato della rimozione, ma piuttosto il segno che la rimozione non ha operato.
  4. Facciamo un passo in più chiedendoci di quale pulsione la violenza, e in particolare la violenza del bambino, sarebbe la soddisfazione. Tenterei questa risposta – la violenza non è una sostituzione della pulsione, essa è la pulsione. Non è la sostituzione di un soddisfacimento pulsionale.
    La violenza è la soddisfazione della pulsione di morte. Ricordiamo in effetti che l’avversario di Eros nel mito a cui si riferisce Freud, l’avversario dell’amore non è l’odio, è la morte, Thanatos. Occorre differenziare violenza e odio. L’odio si situa dalla stessa parte dell’amore. L’odio, come l’amore, si situa dalla stessa parte di Eros. Per questo Lacan può parlare di odioinnamoramento, una parola che ha avuto fortuna. L’amore, così come l’odio, sono modalità di espressione affettiva dell’Eros.
  5. L’odio si situa sul versante dell’Eros, è di fatto un legame molto forte con l’altro, è un legame sociale importante.
    Recentemente ho letto un appello contro i partigiani dell’odio. Mi sono detto che io non sono un partigiano dell’odio. Non odio Marine Le Pen; da un certo punto di vista, non la amo abbastanza per odiarla. In questo senso, sono piuttosto portato a prendermi gioco di lei.
    In compenso, nella corrente da cui è sorta, è molto leggibile un odioinnamoramento per gli ebrei. Si attribuiscono loro poteri fantastici. Il popolo ebraico è evidentemente oggetto di una straordinaria fascinazione, popolo antico sopravvissuto alla persecuzione grazie al suo rapporto con la lettera, con il litorale della lettera. Si tratta di un oggetto al contempo di fascinazione e di repulsione, mentre da parte mia, dato che non odio i fascisti, sono tanto più portato a una violenza nei loro confronti.
  6. Quanto alla violenza, essa è dal lato di Thanatos. Per riprendere il titolo di un celebre libro di La Boétie, l’amico di Montaigne, è il godimento del Contr’Uno11. In Freud classicamente Eros fabbrica dell’Uno, introduce del collante, mentre Thanatos disfa l’Uno, slega, frammenta, direi perfino che sparpaglia a mo’ di puzzle, per riprendere una frase famosa di In famiglia si spara12.
    Il bambino violento è quello che rompe tutto e che trova una soddisfazione nel semplice fatto di fare a pezzi, di distruggere. Occorrerà interrogarsi sul godimento che vi è implicato e su quello che potremmo chiamare “il puro desiderio di distruzione”. Quando si denunciano i teppisti, in fin dei conti si denuncia il puro godimento di distruggere. Non si denuncia la politica dei teppisti, si denuncia il più-di-godere implicato nella violenza dei teppisti.
    A tal proposito – vi comunico le mie associazioni d’idee – è stata molto rimproverata a André Breton la frase del Secondo manifesto del surrealismo con cui definisce l’atto surrealista. Lo hanno fatto tutte le anime belle, fra le quali una delle prime è stato Albert Camus, che gli ha rivolto i suoi rimproveri. Quanto a me, questa frase di André Breton mi piace molto – nel contesto di oggi non si può confessare questo a tutti. «Il più semplice atto surrealista consiste nello scendere in strada, pistole alla mano, e sparare a caso fra la folla finché si può». Dopo il Bataclan e altri incidenti passati, presenti e futuri, è evidentemente problematico. Questa frase è stata molto rimproverata a Bréton. Immaginate se la pronunciasse oggi!
    Ma occorre leggere la seconda frase: «Chi non ha avuto almeno una volta voglia di farla finita in questo modo con il piccolo sistema di avvilimento e di rincretinimento in vigore ha il suo posto ben segnato in questa folla, petto ad altezza di cannone». La seconda frase permette di comprendere la prima. Permette di comprendere che si tratta solo di un fantasma. Breton dice che occorre averne avuta voglia almeno una volta. Non dice che occorre averlo fatto. L’atto surrealista, come dice, è l’atto terrorista ma con dei sembianti. Il surrealismo non è terrorismo. Oppure è «terrore nelle lettere», come dice Jean Paulhan. Si tratta di una posizione letteraria.
    I surrealisti sono stati animati dal desiderio di aggirare la civiltà per ritrovare il mondo inalterato della pulsione, per mettere la scrittura in sintonia con la pulsione. Si tratta di un sogno, dal momento che pensavano di giungervi non maneggiando le armi, ma con un certo uso del linguaggio, che però è la prima molla della rimozione.
    Leggo che, nella formula «pistole alla mano», «pistole» è al plurale, «mano» al singolare. Se si trattasse veramente di pistole, sarebbe necessario mettere «mano» al plurale, dato che non si possono tenere due pistole nella stessa mano. Non ho mai visto niente di simile in nessun western. Pistole alla mano vuol dire penne in mano.
    Nella rappresentazione cinematografica comune degli assassini, l’assassino mafioso uccide freddamente, precisamente senza giri di parole. Breton ha preso tutte le precauzioni, dato che in nota aggiunge che la sua «intenzione non è di raccomandarlo». Non vedo che cosa gli si debba rimproverare. Non faceva che dare un’eco sensazionale a quello che André Gide aveva messo in scena ne I sotterranei del vaticano – che, pensate, sono del 1914, prima di un grande massacro che non è stato per finta –, ovvero l’atto gratuito, precisamente quello che compie Lafcadio buttando giù dal treno il povero Amédée Fleurissoire13. I surrealisti furono affascinati da questo passaggio sull’atto gratuito in Gide. Non svilupperò quel che Marguerite Bonnet (che ho d’altra parte conosciuto alla tavola di Lacan), erudita su Breton, ha segnalato in proposito.
    L’atto gratuito, l’atto gratuito di violenza affascinava, dal momento che Gide ne faceva un assassinio irrazionale, presentandolo come culmine della libertà in quanto separato da qualsiasi causa. Se ci pensiamo, è una versione della causa perduta. In questo immaginario si tratta di un atto senza ragione, che si oppone al principio di ragion sufficiente di Leibnitz, che vuole che niente sia senza ragione. È ciò a cui già Angelus Silesius aveva risposto in anticipo nel suo famoso verso, commentato da Heidegger e citato da Lacan, La rosa è senza perché.
    Trattandosi del bambino violento, occorre non rimanere ipnotizzati dalla causa. C’è una violenza senza perché che ha in se stessa la sua ragione, che è in se stessa un godimento. Soltanto in un secondo tempo si cercherà il determinismo, la causa, il più-di-godere che è la causa del desiderio di distruggere, dell’attivazione di questo desiderio. Come dicevo, generalmente la si trova in un difetto nel processo di rimozione, o, in termini edipici, in un fallimento della metafora paterna.
  7. Cerchiamo di introdurre una pragmatica dell’approccio al bambino violento nel nostro campo. È possibile che la violenza del bambino annunci, esprima una psicosi in formazione. A mio parere occorre interrogarsi sui seguenti punti:
    a) la violenza in quel bambino è una violenza pura e semplice? È la pura irruzione della pulsione di morte, un godimento nel reale?
    b) Il paziente può metterla in parole? Si tratta di un puro godimento nel reale, oppure è simbolizzata o simbolizzabile?
    c) Che si tratti di un puro godimento nel reale non indica necessariamente la psicosi. Non costituisce necessariamente una promessa di psicosi, ma in ogni caso segnala uno strappo nella trama simbolica, di cui occorre sapere se è puntiforme o esteso.
    d) Se si tratta di una violenza di cui si può parlare – a volte ci sono anche delle violenze loquaci –, resta da sapere che cosa dica. Cerchiamo allora quella che chiamerei una traccia di paranoia precoce.
    Una collega è venuta ieri in controllo a esporre un caso di un giovane adulto a proposito del quale si domandava: psicosi o no? Parlando, abbiamo rintracciato nella sua storia il filo di una posizione di isolamento, della sensazione di essere insolito, che sfociava su un «loro parlano» – loro: i compagni, gli altri studenti –, «loro parlano male di me», ovvero una leggera, anzi leggerissima sensazione di diffamazione. Niente più di questo, molto limitato, tanto che la collega non l’aveva segnalato all’inizio, e che costituiva già una spinta-alla-donna infantile. Giovane adulto, lo ritroviamo innamorato perso di un vecchio compagno di classe, al punto che la collega mi parla di erotomania, ma non nel senso di Clérambault, dato che era lui ad amare questo ragazzo.
    Nel quadro della nostra indagine sui bambini violenti, cerchiamo le tracce discrete di paranoia precoce, senza dimenticare che il soggetto appare, che il soggetto nasce, sotto l’egida della paranoia. Come indica Lacan in Posizione dell’inconscio, relativamente al soggetto: «C’è chi parla, ça parle, di lui, ed è lì che egli si apprende»14. La Risposta al rapporto di Daniel Lagache contiene anche un passaggio molto significativo sulla determinazione del soggetto da parte del discorso che lo precede. Prima ancora che appaia, ça parle, si parla di lui15.
    Per un verso, possiamo utilizzare una visione deterministica del bambino. C’è causa della violenza quando, cercando classicamente nelle relazioni, nel dialogo fra i genitori, nel discorso del suo entourage, ci si accorge che il bambino può essere assegnato molto presto alla categoria del violento, del teppista; l’analisi gli permetterà allora di prendere le distanze dal significante assegnato dall’Altro. Per altro verso, dobbiamo considerare il soggetto come luogo dell’indeterminazione; ci domandiamo allora: «Che scelta ha fatto? Che orientamento ha preso?». Qui la risposta è indeducibile, la causalità non è assegnabile. Non ci si accosta a questo che a posteriori, e da qui viene la necessità di essere molto minuziosi nel cogliere i discorsi di quel bambino.
    La violenza che parla può essere di ordine paranoico come può essere di ordine isterico. Diremo che è di ordine isterico quando ha valore di domanda d’amore o di lamento per la mancanza-a-essere, cioè quando si situa nel registro dell’Eros. Nel registro dell’Eros la violenza del bambino è il sostituto della soddisfazione non-avvenuta della domanda d’amore. Qui, in effetti, la violenza è un sintomo e, possiamo dirlo, un messaggio rovesciato – cosa che corregge il carattere assoluto di quanto ho sostenuto nel punto 1.
  8. Per quanto riguarda più propriamente la rimozione della Triebbefriedigung, considerando il Freud posteriore a Inibizione, sintomo e angoscia, dobbiamo anche interrogarci sulla difesa contro la pulsione, una difesa che si iscrive al di qua del livello della rimozione. Occorre distinguere quando la violenza rientra nel caso del fallimento del processo di rimozione o in quello di una faglia nello stabilirsi della difesa. Evidentemente, ci arriviamo più facilmente nel primo caso piuttosto che nel secondo. Anche se la violenza nel bambino è di ordine psicotico, possiamo tentare di introdurre un significante dell’autorità, un surrogato che funga da significante padrone. Questo può accadere quando si tratta di un bambino cresciuto da una coppia di donne. Una di esse prende in generale la funzione, il valore, di S1. Si può trovare nei matrimoni lesbici contemporanei, ma anche quando un bambino è cresciuto dalla madre e dalla nonna, come accaduto a un noto uomo politico che ne parla volentieri e che sembra essersi sviluppato normalmente, anche se ha un rapporto difficile con la diffamazione.
  9. Abbiamo evocato il passaggio della violenza dal reale al simbolico, ma non dimentichiamo certamente l’immaginario. Per attenersi ai due primi registri, è il caso di distinguere la violenza come emergenza di una potenza nel reale e la violenza simbolica inerente al significante, che troviamo nell’imposizione di un significante padrone. Quando manca questa imposizione di un significante padrone, il soggetto può trovarne un surrogato marchiandosi lui stesso – scarificazione, tatuaggio, piercing, maniere diverse di tagliarsi, di torturarsi, di fare violenza al proprio corpo.
    Oggi è qualcosa di talmente generalizzato che dipende dalla moda, è un fenomeno della civiltà, è superficiale, ma direi che è sintomo della perturbazione che conosce l’ordine simbolico ereditato dalla tradizione. Questi sintomi rientrano in quello che, di fronte al pubblico che formate, chiamerei per l’occasione «la psicosi civilizzazionale normale», cioè compensata, con supplenza.
    Detto questo, resta comunque da sapere perché alcuni soggetti sono più sensibili di altri al punto da dover fare violenza al proprio corpo. Per esempio, oggi i transgender, che si manifestano spesso molto presto nell’infanzia, hanno ottenuto un riconoscimento sociale e giuridico che in precedenza veniva rifiutato anche agli omosessuali. Ciò non impedisce che tutte le modificazioni desiderate del proprio corpo attraverso un atto chirurgico giustifichino uno sguardo analitico. Mi si dirà: Alla fine, beh… gli impianti di capelli, la chirurgia dentale, la chirurgia estetica, non vorrà mettere la psicoanalisi in gioco a questo livello? Bisogna vedere… Sappiamo in effetti che ci sono degli atti di chirurgia estetica che rientrano nella correzione nevrotica dell’immagine del corpo, ma che altri sono chiaramente ispirati dalla psicosi.
  10. 10. Per quanto riguarda la violenza nell’immaginario – non lo svilupperò –, ci riferiremo allo stadio dello specchio, che è una forma sincretica fra l’osservazione di un fatto clinico da parte di uno psicologo, il professor Henri Wallon, e la dialettica servo padrone di Hegel, messa in valore da Alexandre Kojève; in altre parole, è un bricolage geniale di Lacan fra Wallon e Kojève. Constatiamo che questo bricolage funziona… Si tratta di un’idea semplice che mettiamo in gioco nelle nostre ricerche sui bambini violenti. Ecco ciò che mi ispirano i primi punti che mi ha segnalato Daniel Roy: quando l’altro sei tu e tu sei l’altro (transitivismo); quando l’altro è un intruso e sottrae l’oggetto più prezioso (il termine lacaniano di jalouissance16, che fonde gelosia e godimento). Vi lascio il compito di rileggere gli articoli di Lacan Lo stadio dello specchio17 e L’aggressività in psicoanalisi18. Si tratta evidentemente di un registro molto diverso quando, come dice Daniel Roy, il bambino sbatte la testa contro il muro… del linguaggio, dal momento che il fenomeno in quel caso traduce lo scacco del processo di difesa.
    Concludo. Lascio in bianco la violenza del bambino considerata come un sinthomo, all’altro capo dell’insegnamento di Lacan. Ricorderò semplicemente che occorre fare posto a una violenza infantile come modo di godere, anche quando è un messaggio, il che vuol dire non attaccarla frontalmente. Non dimenticare mai che non è affare dell’analista essere il guardiano della realtà sociale, che egli ha il potere eventualmente di riparare un difetto del simbolico o di riordinare la difesa, ma che, nei due casi, il suo effetto specifico si produrrà solo lateralmente. A mio avviso l’analista deve procedere col bambino violento preferibilmente con la dolcezza, senza rinunciare a maneggiare, se occorre, una contro-violenza simbolica.
    Non accetteremo a occhi chiusi l’imposizione del significante “violento” da parte della famiglia o della scuola. Questo può rappresentare solo un fattore secondario. Non trascuriamo che c’è una ribellione del bambino che può essere sana e distinguersi dalla violenza errabonda. Sono per accogliere questa ribellione, poiché una delle mie convinzioni si riassume in quel che il presidente Mao aveva espresso in questi termini: «Ribellarsi è giusto»19.

Notes de bas de page

1 Intervento di chiusura alla IV Giornata dell’Institut Psychanalytique de l’Enfant, intitolato “Dopo l’infanzia” (Après l’enfance), che si è svolto il 18 marzo 2017 al Palais de Congrès di Issy-les-Moulineaux. Il testo è stato pubblicato nel volume Après l’enfance, Paris, Navarin, 2017. Si ringrazia vivamente Jacques-Alain Miller e l’editore Navarin per averne concesso la pubblicazione. La traduzione è di Paola Bolgiani.

2 J. Laplanche, B. Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi [1967], Bari, Laterza, 1968.

3 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi [1915-1917], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1976, vol. 8, pp. 514-531.

4 J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere [1958], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, pp. 580-642.

5 S. Freud, Inibizione, sintomo e angoscia [1925], in Opere, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, vol. 10, p. 241.

6 J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano [1962], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, p. 830.

7 Ibidem.

8 Cfr. E. Panofsky, Ercole al bivio [1930], Roma, Quodlibet, 2005.

9 M.-P. Harder, Hercule à la croisée des chemins, figure exemplaire de la conscience baroque?, “Silène, revue du Centre de recherches en littérature et poétique comparées de Paris Ouest-Nanterre-La Défense”, settembre 2008, pp. 35-45.

10 A. Di Ciaccia, Contre une dérive si funeste, “Lacan Quotidien”, 636, 20 marzo 2017, http://www.lacanquotidien.fr/blog/wp-content/uploads/2017/03/LQ-636.pdf, trad. nostra. La citazione di Lacan è estratta da J. Lacan, Joyce il sintomo [1979], in Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, p. 561.

11 Cfr. É. De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria [1576], Milano, Chiarelettere, 2011.

12 Titolo italiano del film Les Tontons flingueurs, Georges Lautner, 1963 [N. d. T.].

13 A. Gide, I sotterranei del Vaticano [1914], Milano, Mondadori, 1933.

14 J. Lacan, Posizione dell’inconscio [1964], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, p. 838.

15 Cfr. Id., Nota sulla relazione di Daniel Lagache [1960], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, pp. 643-681.

16 In francese: jalousie, gelosia, e jouissance, godimento [N. d. T.].

17 J. Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io [1949], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, pp. 87-94.

18 Id., L’aggressività in psicoanalisi [1948], in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, pp. 95-118.

19 Cfr. l’articolo di J.-A. Miller, Comment se revolter?, “La Cause freudienne”, 75, 2010, pp. 212-217.

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