1 Ricordiamo almeno F. Scotto, Bernard Noël: il corpo del verbo cit., unica monografia critica sull’Autore finora apparsa in Italia; Bernard Noël: le corps du verbe, Actes du Colloque de Cerisy sous la direction de Fabio Scotto, Lyon, ENS Éditions («Signes»), 2008, 352 pp. L’identità del secondo titolo con il primo non tragga in inganno il lettore: trattasi di due opere del tutto diverse e distinte; è stato per volontà di Bernard Noël che il titolo del Convegno internazionale da noi organizzato, diretto e pubblicato, il primo integralmente dedicato alla sua opera, fosse lo stesso, in francese, della nostra monografia.
2 B. Noël, Onze romans d’œil, Paris, P.O.L, 1988. Ne è seguito naturale e ulteriore ampliamento Id., Romans d’un regard, ivi, 2003.
3 Id., Le lieu des signes, Paris, Jean-Jacques Pauvert, 1971.
4 F. Scotto, Bernard Noël: il corpo del verbo cit., p. 40.
5 Ivi, p. 41.
6 B. Noël, Les Premiers Mots, Paris, Flammarion, 1973.
7 Id., Le 19 Octobre 1977, ivi, 1979.
8 Id., Journal du regard, Paris, P.O.L, 1988, trad. it. a nostra cura: Diario dello sguardo, Milano, Guerini e Associati («I Testi di Testo a fronte» 7), 1992. Tutte le traduzioni in italiano da tale testo citate da qui in poi in nota sono tratte da questo volume a nostra cura.
9 «[…] le poème, lui, ne saurait fonctionner chez Noël qu’à partir du fragment et de la bribe», M. Brophy, Dupin*Bonnefoy*Noël*Guillevic. Voies vers l’autre, Amsterdam-Atlanta, Rodopi («Chiasma» 5), 1997, p. 100 («la poesia non potrebbe funzionare in Noël che partendo dal frammento o dalla nota»), trad. nostra. Di qui in poi, salvo diversa indicazione, le traduzioni in italiano delle citazioni fra parentesi tonde sono nostre.
10 Vedasi a proposito la raccolta poetica fondamentale B. Noël, Extraits du corps, Paris, Minuit, 1958.
11 Ci permettiamo di rinviare in merito ai nostri articoli seguenti: F. Scotto, Bernard Noël er la peinture: la quête du mot visible, in Écriture et peinture au xxe siècle, dir. M. Khémiri, Tunis-Paris, Sud Éditions-Maisonneuve & Larose, 2004, pp. 289-300; Id., Bernard Noël e la fotografia: lo “sguardo sullo sguardo”, in Bianco e Nero Nero su Bianco. Tra fotografia e scrittura, a cura di B. Donatelli, Napoli, Liguori, 2005, pp. 153-166.
12 B. Noël, Journal du regard cit., pp. 19, 27 («L’invisibile è dietro i nostri occhi, è lo spessore del corpo. Noi siamo quindi delle macchine oscure: per così dire, il buio di una camera oscura. […] Il visibile è la camera bianca, in cui tutto si offre alla vista, luminosamente. L’invisibile è la camera oscura che, in me, trasforma tutto ciò che è fuori di me in visibile»).
13 Ivi, pp. 17-18 («L’occhio contiene il visto e contiene lo sguardo. L’occhio riflette l’immagine e ne è la riflessione. Io penso in me, ma penso anche fuori di me in un perenne capovolgimento del dentro e del fuori, del proiettato e del riflesso, il cui incrocio produce questo oggetto mentale che è l’immagine»).
14 Ivi, p. 23 («La vista non è una constatazione, ma una lettura. Noi leggiamo il visibile pur credendo di guardare la realtà. Non c’è sguardo senza spazio per lo sguardo. Tentare di cogliere questo volume conduce alla scoperta di un legame che collega lo spazio dal quale parte la vista a quello che essa percorre»). Lo sguardo è definito anche «l’espace communicant», ivi, p. 11 («lo spazio comunicante»).
15 Ivi, p. 56 («Lo spazio dello sguardo è il visibile. E il visibile è la nostra lettura del mondo, poiché i nostri occhi fondono sempre la nostra visione del mondo con la nostra mentalità. Noi vediamo più il senso che ha per noi la parte di mondo che guardiamo che non il mondo»).
16 Ivi, p. 112 («[…] tale sostanza è invisibile; è nel contempo “lo spazio” e “l’aria”. La sua percezione muta il corpo perché ne sconvolge i confini: non esiste più, da un lato, il mondo interno e, dall’altro, il mondo esterno, ma uno spazio unificato – un elemento infinito, che penetra ed è penetrato»). Non è un caso che il capitolo conclusivo del volume si chiami proprio La pénétration, ivi, pp. 122-125.
17 Ivi, p. 18 («La scrittura, dice Magritte, è una descrizione invisibile del pensiero e la pittura ne è la descrizione visibile»).
18 Ivi, p. 13 («Il lavoro del pittore è quanto sta al di sotto della pittura, come la realtà è quanto sta al di sotto del visibile. Il lavoro e la realtà sono così nascosti dalla visibilità che creano»).
19 F. Scotto, De la représentation à l’irreprésentable, in Bernard Noël: le corps du verbe cit., pp. 269-283.
20 Ivi, pp. 270-274.
21 M. Collot, La matière-émotion, Paris, Puf («Écriture»), 1997, p. 276: «Il fait ainsi écho, poétiquement, aux thèses du dernier Merleau-Ponty sur la réciprocité du voir et de l’être-vu, et sur l’appartenance du voyant à la “chair du monde”» («Echeggia, poeticamente, le tesi dell’ultimo Merleau-Ponty sulla reciprocità del vedere e dell’esser-visto e sull’appartenenza del vedente alla “carne del mondo”»). Analogamente vedasi P. Wateau, Bernard Noël ou l’expérience extérieure, Paris, José Corti, 2001 («en lisant en écrivant»), p. 28, e A. Malaprade, Bernard Noël. L’épreuve des c/sensures, les c/sensures à l’épreuve, Paris, Seli Arslan, 2003, p. 108, la quale sottolinea l’identità di vedente e di visto in uno spazio transizionale, ivi, pp. 42, 109. Tale affinità con il Merleau-Ponty de Le visible et l’invisible suivi de Notes de travail, texte établi par C. Lefort accompagné d’un Avertissement et d’une Postface, Paris, Gallimard («Tel»), 1999, non esclude tuttavia talune differenze, da noi analiticamente mostrate in F. Scotto, Bernard Noël e la fotografia: lo “sguardo sullo sguardo” cit., p. 154, nota 4.
22 B. Noël, Journal du regard cit., p. 53 («Dipingere è un gesto che si compie e finisce, ma fissando unicamente il presente. Un presente che s’oppone all’irreversibilità del tempo. L’atto di guardare si svolge sempre nel presente. La pittura e lo sguardo ritagliano l’immutabile nell’eterna foga»).
23 Ivi, p. 61 («Scrivere significa accedere all’irreversibile, inoltre rivolgendosi agli occhi, in modo invisibile; dipingere è il contrario, perché significa sia creare del visibile che sospendere il tempo»).
24 Ivi, p. 63 («Le immagini dipinte, proprio come le immagini fotografiche, rappresentano il reale, ma con uno scarto di fissaggio che fa sì che esse rappresentino anche il pensiero del reale. La loro materialità è duplice: essa è parte di quella del mondo, che è solida, e di quella del mentale, che è aerea, poiché pensare significa cogliere quanto sta davanti ai nostri occhi per trasferirlo poi dietro di essi fino alla perdita d’occhio… Letteralmente fino all’irrappresentabile»).
25 Ivi, p. 104 («Lo scrittore, quando scrive “sedia”, mette giù sei lettere; il pittore, quando dipinge una sedia, rappresenta una sedia che non è una sedia. Oppure non rappresenta nulla»).
26 Ivi, p. 105 («Le cose dipinte sono inseparabili dal loro spazio dipinto […]»).
27 Id., L’Espace du poème. Entretiens avec Dominique Sampiero cit.
28 Id., Journal du regard cit., p. 29: «La ressemblance est l’outil mental par excellence» («La somiglianza è lo strumento mentale per eccellenza»).
29 Id., L’Espace du poème cit., p. 46.
30 Ivi, p. 36 («un evento naturale […] un temporale verbale»).
31 Id., La Chute des Temps, Paris, Flammarion, 1983. La raccolta si compone di tre Canti, il primo e il terzo di 333 versi, il secondo di 223, e di due Controcanti di 111 versi l’uno, per un totale di 1111 versi.
32 Id., Le Passant de l’Athos, in Le Reste du voyage, Paris, P.O.L, 1997, pp. 7-46.
33 Si pensi al suo monologo La Maladie du sens, Paris, P.O.L, 2001. Sul rapporto con Mallarmé e su quest’opera, ci sia permesso rinviare al nostro articolo Bernard Noël et Mallarmé. La Maladie du sens ou Du sens de la maladie, «Balises. Cahiers de Poétique des Archives & Musée de la Littérature» 3-4: Crise de vers 1, Bruxelles, Didier Devillez Éditeur, 2003, pp. 73-86.
34 B. Noël, L’Espace du poème cit., p. 17 («una certa condensazione d’energia»).
35 Ivi, p. 53 («Ebbene, nella poesia non esiste rappresentazione. Vale a dire che l’evento che in essa ha luogo – che ha il suo luogo nella poesia – non ha altro luogo se non quello della poesia. In un romanzo c’è sempre una rappresentazione in relazione a dei referenti che interpretano nel contempo il ruolo d’immagini esplicative e di rilancio. La poesia non ha bisogno di questo, è un evento interamente verbale»).
36 Ivi, pp. 142-143 («Mi sono inventato un mito per situare l’origine e la persistenza della poesia: il testo poetico si distingue immediatamente per il suo modo di occupare la pagina. Il testo poetico vi sta in piedi, verticale. E immagino che questa verticalità serbi la traccia, che mimi l’atto fondatore dell’umanità poiché l’uomo si è umanizzato alzandosi, levandosi in piedi. Fare atto di verticalità non significa soltanto sfuggire all’orizzontalità, ma significa liberare la mano che, cessando di servire alla deambulazione, potrà dotarsi d’attrezzi e soprattutto permetterà alla bocca di non essere più un organo di presa – come possiamo osservarlo nella maggior parte degli animali – per diventare l’organo della parola». Ne scaturisce una delle più geniali invenzioni dell’opera di Bernard Noël, la lettre verticale, testo poetico-missiva indirizzato a una persona cara (spesso scrittori, poeti o artisti viventi) che tratteggia un dialogo il quale chiama al testo le peculiarità del lavoro del dedicatario prescelto e la propria relazione con esso, vedasi Id., Lettres verticales 1973-2000, Draguignan, Éditions Unes, 2000.
37 Id., En présence… Entretien avec Bernard Noël conduit par Jean-Luc Bayard et filmé par Denis Lazerme, Coaraze, L’Amourier, 2008, p. 39 («Si scrive in orizzontale e si pensa in verticale»).
38 Id., L’Espace du poème cit., pp. 108-109. Vi è però, secondo Noël, comunque sempre integrazione chiastica delle due dimensioni nella scrittura: «Il n’y a pas d’espace sans temps… ni de temps sans espace et l’écriture est une précipitation. Elle précipite du temps dans l’espace et l’y intègre», in Id., En Présence… cit., p. 28 («Non c’è spazio senza tempo… né tempo senza spazio e la scrittura è una precipitazione. Essa fa precipitare del tempo nello spazio e ve lo integra»).
39 Id., Matisse, Paris, Hazan, 1983.
40 Id., En Présence… cit., p. 65 («Quando dipingo, vedo alle mie spalle»).
41 Ivi, ma l’espressione risale al 1979.
42 Ivi: «Depuis, je pense que le rôle de la peinture, et peut-être de toute œuvre d’art, est de faire déborder l’espace, de le déchaîner! De l’arracher à la représentation statique pour le précipiter en nous» («Da allora penso che il ruolo della pittura, e forse di ogni opera d’arte, sia quello di fare dilagare lo spazio, di scatenarlo! Di strapparlo alla rappresentazione statica per farlo precipitare in noi»).
43 Id., L’Espace du poème cit., p. 85 («Sono stato molto colpito dalla coppia che formano il pittore e la sua tela. Visto da una certa angolazione, lo spazio di lavoro della pittura si situa tra la schiena del pittore e la schiena della tela, e questo spazio è anche il corpo del pittore. Il corpo amoroso si sviluppa analogamente tra la schiena degli amanti, e s’irradia oltre»).
44 Questa nostra interpretazione è avvalorata in modo inequivoco dal testo olografo apposto dall’Autore stesso come dedica alla copia di Onze romans d’œil offertaci in data 14 giugno 1994: «Cher Fabio, cet ensemble est en quelque sorte la “pratique” qui accompagnait Journal du regard paru en même temps. Amicalement. Bernard» («Caro Fabio, questo insieme è in un certo senso la “pratica” che accompagnava Diario dello sguardo apparso nel contempo. Con amicizia. Bernard»).
45 Id., Onze romans d’œil cit., quarta di copertina («Un romanzo d’occhio è il racconto dello sguardo volto verso il corpo all’opera. Ora tutto è gesti, posture, spostamenti; ora tutto avviene dietro il viso. Ma ciò che vediamo non è forse fatto di tutto ciò che non vediamo? C’è della pelle ovunque, è sotto di essa che il pensiero pratica i suoi tatuaggi, davanti e sopra di essa che i nostri occhi disegnano delle immagini mentre, parola per parola, la lingua vi prende il suo piacere…»).
46 Ivi, p. 9 («Che occorre per dipingere? Tre muri, due porte, una copertura vetrata, due sedie, un lavandino, una spugna verde, dei tubetti di colore, un sacco di tubetti di colore, una lampada a rotelle, dei vasetti di yogurth di vetro, delle bottiglie di plastica tagliate a metà, delle mensole […]»). Si rammenti come già il romanzo Le 19 octobre 1977 cit., descriva minuziosamente, oggetto per oggetto, la tavola dello studio dello scrittore-narratore, ivi, pp. 43-44, poi i caratteri tipografici e il corpo di un volume, ivi, pp. 65-66.
47 Ivi, p. 39 («Psciùùù-ù, psciùùù-ù, è la gomma…»). Per l’uso delle onomatopee, si veda, oltre a Id., Romans d’un regard cit., p. 69, quello messo in atto dall’Autore lo stesso anno nel romanzo “documentario” Portrait du monde, Paris, P.O.L, 1988, pp. 23-29, relativamente alla trascrizione di sequenze asindetiche di conversazioni telefoniche.
48 Ivi, p. 57 («L’esibizione è un inganno. Attira l’attenzione su un unico punto, e nel frattempo…»).
49 Ivi, p. 180 («La figura è una forma e non un’immagine. La forma è legata allo spazio e non alla rappresentazione. Legata, certo, allo spazio del quadro, ma attraverso esso, legata a tutti gli altri, i sedicenti fuori, i sedicenti dentro. La forma, tramite questo legame, è fatta per deformarsi e riformarsi, fatta per giocare con il proprio spazio e generarne altri. Non appena essa entra in relazione, entra allo stesso modo in trasformazione, perché ciò che tocca inizialmente in noi, ciò che commuove, che apre, che penetra è il nostro spazio ben prima di rivolgersi alla memoria, alla riconoscenza, alla psicologia, al sapere. Il suo movimento si ripete senza essere ripetitivo: la figura è il contrario dell’aneddoto…»). Steven Winspur non ritiene Onze romans d’œil un libro d’estetica, supportando tale affermazione con quanto Serge Plagnol dice nel capitolo del volume a lui dedicato dell’estraneità della pittura all’estetica (ivi, p. 128), trattandosi a suo avviso piuttosto di romanzi che hanno del genere la prerogativa irrinunciabile del punto di vista, qui però non messo al servizio di una storia già fatta, ma della forza dello sguardo, che ne diviene l’oggetto testuale primario, in S. Winspur, Bernard Noël, Amsterdam-Atlanta, Rodopi («Collection Monographique Rodopi en Littérature Française Contemporaine»), 1991, p. 65. Concordiamo con lui nel giudizio d’assieme, il che tuttavia non sottrae valore poetico ed estetico alla teorizzazione-argomentazione lirico-speculativa che tale prassi mette in atto.
50 B. Noël, Onze romans d’œil cit., p. 15.
51 Ivi, p. 95.
52 Ivi, p. 108.
53 Ivi, p. 59.
54 Ivi, p. 46 («Lo sguardo informa lo spazio. E in questa misura, lo crea, invece di semplicemente penetrarlo, di percorrerlo»).
55 B. Noël, Romans d’un regard cit., p. 42 («A che punto sto rispetto a ciò?»). In quest’opera Noël ritiene di avere fatto della «photographie verbale», in Id., En présence… cit., p. 46 («fotografia verbale»).
56 Ivi, p. 141 («Il fatto che la pittura gestuale registri direttamente degli stati interni e insomma realizzi un ritratto pulsionale dovrebbe sedurci molto di più della vecchia raffigurazione poiché questa non ha mai mostrato nient’altro che l’apparenza mentre il gesto rivela l’intimità»).
57 Ivi, p. 147 («VEDERE – vedere come tocchiamo quando sentiamo circolare il contatto nella polpa delle dita…»).
58 Ivi, p. 150 («[…] sono decine d’anni che scrivo con la speranza d’assistere al trasudare del pensiero, sempre in vano»).
59 Ivi, p. 174 («La pittura la si fa, ma vive da sola, probabilmente perché è oggettiva. Mi piace la pittura che non appartiene all’individuo che la fa: è il contrario dell’espressionismo»). Crediamo si possa accostare questo oggettivismo sull’opera al fastidio anti-identitario espresso più volte da Noël relativamente al nome dell’autore associato all’opera, quando ritiene, certo per paradosso, il proprio nome l’unica cosa superflua sulla copertina di un libro: «Tout ce qui, en quelque sorte, souligne mon nom, me gêne…», in Id., En présence… cit., p. 29 («Tutto ciò che, in qualche modo, sottolinea il mio nome, m’infastidisce…»). E ancora, sull’incertezza dello statuto del soggetto visibile, in Romans d’un regard cit., p. 221: «Ce qu’on voit est-il le sujet? La question peut paraître insensée parce qu’elle met en défaut le pacte visuel qui fonde l’ordre des choses sur la coïncidence de l’identité et de la visibilité. Le sujet visible ne saurait se distinguer du sujet réel sans introduire dans le monde la fêlure d’une incertitude» («Ciò che vediamo è il soggetto? La domanda può apparire insensata perché mette in ombra il patto visuale che fonda l’ordine delle cose sulla coincidenza dell’identità e della visibilità. Il soggetto visibile non potrebbe essere distinto dal soggetto reale senza introdurre nel mondo l’incrinatura di un’incertezza»).
60 Ivi, p. 275 («Vediamo dei triangoli, delle sfere, delle mezzelune, dei cerchi, degli omega, delle curve che serpeggiano e che, talvolta, formano degli strambi stomaci in cui vibrano grappoli d’occhi privi di pupille. No, nulla di figurativo, né di geometrico in fondo, a dispetto dell’insistente simmetria, che ha un ruolo vertebrale»).
61 Ivi, p. 312 («un’estensione organica del pittore non appena lavori in esso»).
62 Id., Le Syndrome de Gramsci, Paris, P.O.L, 1994, trad. it. e Posfazione nostra: La Sindrome di Gramsci, Lecce, Piero Manni («Plurale» 5), 2001.
63 Id., La Langue d’Anna, ivi, 1998, trad. it. di Anna Morpurgo: La Bocca di Anna, Milano, Archinto, 1999, ispirato ad Anna Magnani.
64 Ne fanno parte tra l’altro, oltre ai due testi summenzionati, i testi seguenti: La Maladie de la chair, Toulouse, Ombres, 1995, trad. it. e cura nostra: La Malattia della carne, Catanzaro, Abramo («I pavoni» 27), 2002, testo ispirato all’infanzia di Georges Bataille; La Maladie du sens, Paris, P.O.L, 2001, ispirato a Stéphane Mallarmé.
65 Id., Le Syndrome de Gramsci cit., pp. 23-24 («Chiamo “sindrome di Gramsci” la prima manifestazione di un cancro della lingua generalmente dissimulato sotto la denominazione “vuoto di memoria”. Un cancro, come sa, è una proliferazione distruttrice, un’esuberanza, una follia cellulare; un cancro della lingua è una follia inversa. Le ho parlato di un cratere implosivo: è una piaga insaziabile, una piaga nella quale tutto il linguaggio a poco a poco precipita, una piaga bianca, che assorbe tutta la sostanza che, di solito, la lingua trasforma e rinnova incessantemente. Insomma, una malattia la cui evoluzione consiste nell’assorbimento di se stessi…»).
66 Id., Le Sens la Sensure, Le Rœulx, Talus d’Approche, 1985 («sensura», «censura»).
67 Vedasi Id., URSS aller retour, Paris, Flammarion, 1980; Id., La rencontre avec Tatarka, Le Rœulx, Talus d’Approche, 1986.
68 Id., Le Syndrome de Gramsci cit., p. 51 («Là dove lo sguardo non penetra, il pensiero non può formarsi. Immagini uno spazio nel quale non appare nessun ostacolo, e in cui il vuoto comunque resiste allo sguardo. Non soltanto gli resiste, ma lo rimuove. Questa pazza situazione somiglia alla sindrome che tento di descriverle […]»).
69 Ivi, p. 55. Vedasi il pregevole scritto di Cl. Ollier, Le nom et son contexte, in Bernard Noël: le corps du verbe, Actes du Colloque de Cerisy sous la direction de Fabio Scotto cit., pp. 165-169: 165, dove opportunamente si parla per questo romanzo di «désintégration de la mémoire» («disintegrazione della memoria») e di «diagnostic […] d’une déculturation» («diagnosi […] di una de-acculturazione»).
70 Ivi, pp. 82-84: 83 («[…] vedevo della trasparenza dove, di solito, sta l’opacità […]»).
71 Ivi, pp. 88, 90 («I miei quattro vicini stavano nella sola luce del loro televisore, e in quella luce, tutti e quattro mi sono parsi immobili e immersi in un’acqua grigia. […] Un po’ più tardi, riflettendo sulla natura di quella luce, ho capito che essa proveniva, non da una fonte naturale, ma da un inganno, e che perciò la sua funzione non era quella d’illuminare»). Altrove Noël afferma gnomicamente che «[…] la télévision annule le temps», in Id., En Présence… cit., p. 51 («[…] la televisione annulla il tempo»).
72 Ivi, p. 53 («Il soggetto di questo monologo non è Anna Magnani ma una riflessione sulla rappresentazione, una riflessione concreta. Nella misura in cui essa è concreta, crea un personaggio. Questo personaggio è Anna Magnani… È il riferimento che essa s’inventa… Ma di Anna Magnani, dell’attrice reale, non sapevo granché per non avere potuto procurarmi una biografia… Avendo creato questo personaggio, gli ho posto in modo del tutto naturale accanto persone come Fellini, Rossellini, Visconti, Pasolini. Tutto quel che attribuisco loro è del tutto immaginario. Ma l’utilizzo dei nomi basta a produrre degli effetti realistici, tanto che i lettori credono di avere a che fare con le persone reali. Si direbbe che la scrittura produca una maschera che diventa il suo soggetto»).
73 Id., La Langue d’Anna cit., pp. 21, 25, 26, 32 (trad. it. di Anna Morpurgo cit., pp. 16, 18, 19, 24: «Ho molto corpo, vale a dire una carne abbastanza pesante per sopportare di essere solcata dal delirio. […] Ho troppo naso, troppo seno, troppi fianchi, troppo per un mondo in cui conta solo la pelle […] Sono sempre stata irascibile, berciante, eccessiva per far ridere o per far piangere. Non sono una diva, sono un’arpia, un corpo pieno di artigli e di denti avvolto in quel bel grasso umano che si scioglie così bene nei forni e fa salire al cielo il fumo nero che rassicura gli dei. Ho un tale appetito di vita che non avrei mai potuto bastare a me stessa essendo unicamente me stessa. […] Questo è il mio corpo!»).
74 Ivi, p. 10 (trad. it. cit., p. 7: «Improvvisamente cammino dentro uno sguardo. Non l’ho sentito nascere: ha preso il posto dello spazio ed ecco che ha sostituito l’aria attorno a me»).
75 Ivi, p. 18.
76 Ivi, pp. 36-37 (trad. it. cit., p. 27: «[…] come se, essendomi spinta fuori di me attraverso la porta degli occhi, fossi diventata la creatura del mio stesso sguardo»).
77 Ivi, p. 43.
78 Ivi, pp. 23, 33-34, 47.
79 Ivi, p. 60 (trad. it. cit., p. 45: «Ho paura che questo mondo si esaurisca nelle immagini, e sulla superficie della terra non resti altro che un po’ di materia torbida in cui non sarà più possibile distinguere il corpo dal fumo»).
80 Ivi, p. 62 (trad. it. cit., p. 47: «Avrei voluto che si vedesse tutto: i battiti, i flussi, gli slanci, le angosce, e anche i succhi, gli umori, e come queste secrezioni colpiscono gli organi oppure li eccitano. Ho ancora questo assurdo desiderio: mostrare l’invisibile, smascherarlo, sfibrarlo»).
81 H. Carn, Bernard Noël, Paris, Seghers («Poètes d’aujourd’hui» 253), 1986, p. 78.
82 B. Noël, Journal du regard cit., p. 125 («Diverremo così la nostra stessa creazione in un mondo creato da noi. E tutto ciò grazie all’opera dello sguardo…»).