La temporalità plurale tra Bloch, Gramsci e Althusser
p. 91-103
Texte intégral
La rimozione della temporalità plurale
1Carlo Rovelli nel suo L’ordine del tempo, un libro divulgativo sulla fisica relativistica e quantistica, scrive a proposito del tempo definito da Einstein:
[Vi è] un tempo diverso per ogni punto dello spazio. Non c’è un solo tempo. Ce ne sono tantissimi. Il tempo indicato da un particolare orologio misurato da un particolare fenomeno, in fisica si chiama «tempo proprio». Ogni orologio ha il suo tempo proprio. Ogni fenomeno che accade ha il suo tempo proprio1.
2Il tempo della relatività generale di Einstein non descrive «come il mondo evolve nel tempo», ma descrive «le cose evolvere in tempi locali e i tempi locali evolvere uno rispetto all’altro». In definitiva, conclude Rovelli, «il mondo non è come un plotone che avanza al ritmo di un comandante», ma «una rete di eventi che si influenzano l’un l’altro»2. Non posso negare che il concetto di temporalità plurale a cui faccio cenno nel titolo sia ispirato da un orizzonte di questo genere. Certo, non va sottovalutata la difficoltà del passaggio dal piano della fisica relativistica a quello della storia.
3Facciamo allora un passo indietro e prendiamo in considerazione i due grandi modelli attraverso cui la tradizione occidentale ha pensato il tempo: il circolo e la linea. Il primo modello, con estrema generalizzazione, è quello greco; il secondo è quello che si apre con il cristianesimo. Cristo è il punto che stabilisce la doppia direzione del tempo storico, il passato come prefigurazione e il futuro come giudizio universale. Löwith ha insistito giustamente sulle origini della filosofia della storia settecentesca e ottocentesca dal modello fornito da Gioacchino da Fiore (nel Libro della concordia tra antico e nuovo testamento)3 che aggiunge alla linea del tempo ascendente una precisa epocalizzazione, che sarà ripresa dall’illuminismo al positivismo, dall’hegelismo al marxismo, sotto la forma di uno sviluppo per fasi, gradi, stadi. Le epoche in questo contesto sono grandi aree di contemporaneità.
4Ora, mi sembra di estremo interesse rilevare il fatto che la costruzione di questi due modelli, quello del circolo e quello della linea, sia stata possibile solo con l’esclusione dell’ipotesi di una molteplicità di tempi. Si potrebbero fare numerosi esempi nella storia del pensiero. Mi limiterò qui a citarne due che mi sembrano paradigmatici: Aristotele e Kant.
5All’inizio della trattazione sul tempo, dove prende in considerazione le teorie del tempo formulate prima di lui per mostrarne utilità e limiti, Aristotele scrive:
Taluni affermano che il tempo è il movimento del tutto, mentre altri sostengono che esso è la stessa sfera celeste. [Ma] – aggiunge Aristotele – se esistessero più cieli, allora il movimento di ciascuno di essi sarebbe tempo, cosicché esisterebbero più tempi simultaneamente4.
6Qui Aristotele lascia già indovinare quelle che saranno le conclusioni della sua trattazione. Se il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi, non lo sarà di ogni movimento, ma del movimento della sfera. L’esclusione della molteplicità dei tempi è l’effetto, come dice giustamente Wolfgang Wieland, della sovradeterminazione cosmologica del tempo fisico. La problematica esclusa è evidentemente quella dell’atomismo.
7Veniamo ora a Kant, in particolare alla sua «Estetica trascendentale», in cui fissa i principi della conoscenza a priori delle due forme dell’intuizione sensibile: lo spazio e il tempo. Nell’esposizione metafisica del concetto di tempo, cioè la rappresentazione chiara di ciò che appartiene al concetto come dato a priori, troviamo una serie di verità apodittiche tratte dalla necessità a priori, o assiomi del tempo in generale:
- il tempo non ha che una dimensione: «tempi differenti non sono simultanei ma successivi [verschiedene Zeiten sind nicht zugleich, sondern nach einander]»5;
- tempi differenti sono parti di un unico tempo;
- ogni grandezza determinata di tempo non è possibile se non come limitazione di un «unico tempo che sta a fondamento»6.
8È su queste basi che Kant propone la linea come metafora della successione temporale da cui è possibile dedurre tutte le proprietà del tempo, con l’unica differenza che le parti della linea sono simultanee, mentre quelle del tempo sono successive. L’unità del tempo è qui garantita da una fondazione trascendentale, la temporalità plurale è esclusa.
9Su queste stesse basi si costituisce la teoria della temporalità storica hegeliana e marxiana i cui caratteri, fatte le debite differenze, sono l’unicità, la linearità, la stadialità. I testi a cui si potrebbe fare riferimento sono numerosi, basti qui citarne due tra i più celebri: il Manifesto e la Prefazione del ’59. Nel Manifesto Marx ed Engels disegnano un cammino lineare e ascendente della storia che dal feudalesimo conduce al comunismo. Il tempo fondamentale è quello dell’espansione delle forze produttive. Nella Prefazione del ’59 il medesimo modello di contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione sta a fondamento di una concezione della storia come successione di modi di produzione: asiatico, schiavistico, feudale, capitalistico.
10Ora, il punto chiave di questo modello di temporalità storica è costituito dal concetto di rivoluzione. Posto che la lotta di classe è il terreno costitutivo della storia, la rivoluzione si dà nel Manifesto sotto forma di «collisione tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione e di scambio che incatenano questo sviluppo»7, nella Prefazione come «contraddizione»8. Come la società capitalistica nasce nel seno della società feudale, così la società comunista nasce nel seno di quella capitalistica: in questo senso nel capitolo 24 del Capitale Marx dirà che «la violenza è la levatrice della storia», nella misura in cui essa non crea ma aiuta la nascita di una nuova società già presente nel seno della vecchia.
11Se si volesse individuare nel marxismo un testo che incarna pienamente e radicalizza all’estremo questi caratteri, sarebbe da indicare senz’altro Del materialismo dialettico e del materialismo storico in cui Stalin, stabilendo una duplice corrispondenza senza scarti – modo di produzione = società e forze produttive = rapporti di produzione9 –, enumera «i cinque tipi fondamentali di rapporti di produzione: la comunità primitiva, la schiavitù, il regime feudale, il regime capitalista e il regime socialista»10. Il passaggio da una società all’altra è dato dalla temporanea non corrispondenza tra forze produttive e rapporti di produzione. Tuttavia, sottolinea Stalin, «il sorgere delle nuove forze produttive e dei rapporti di produzione corrispondenti non avviene al di fuori del vecchio regime, dopo la sua scomparsa, ma nel seno stesso del vecchio regime»11. A questa affermazione segue la paginetta in cui, attraverso il gioco di corrispondenza e di non corrispondenza di forze produttive e rapporti di produzione, è ripercorsa l’intera storia umana dalla comunità primitiva al socialismo12.
12Ora, quando evoco il concetto di temporalità plurale rispetto alla tradizione marxista, quale operazione sto facendo? Quali caratteri della temporalità marxista intendo discutere o sottoporre a tensione? In primo luogo va detto che il termine temporalità plurale non si trova in modo aperto ed esplicito nel marxismo. Potremmo dire che il concetto, o meglio, il problema che esso indica è segnalato da una serie di termini di cui faccio un primo breve elenco incompleto: Ungleichzeitigkeit (non contemporaneità), multiversum, stratificazione, temporalité différentielle.
13L’ipotesi che vorrei formulare è la seguente: questi termini appaiono come sintomi dell’insufficienza di un modello lineare e stadiale di sviluppo storico. Mi limiterò qui a prendere in considerazione qualche caso di utilizzo nella tradizione marxista cercando di mostrare in che modo questi trattino della temporalità plurale e all’interno di quali limiti. Ragioni di spazio mi impongono di escludere dalla relazione i testi marxiani stessi in cui questi problemi emergono, e che costituiscono un riferimento importante per ciò che prendo in considerazione, dall’«Introduzione» alla Critica del diritto statuale hegeliano alle varie versioni della lettera a Vera Zašulic, passando per il 18 brumaio, la cui centralità in questa prospettiva sembra indiscutibile.
Ungleichzeitigkeit e multiversum in Ernst Bloch
14Il primo autore che chiamo qui a testimone dell’esistenza di una tradizione sotterranea della temporalità plurale è Bloch, che ha sviluppato il tema in due testi fondamentali: Eredità di questo tempo e Differenziazioni nel concetto di progresso. Il primo è composto da una serie di articoli usciti tra il 1924 e il 1934, pubblicati in volume nel 1935. L’oggetto del libro è l’ascesa al potere di Hitler e l’impossibilità di dar ragione di questo fenomeno storico attraverso lo schema della contraddizione capitale/lavoro. Il cuore del libro è il capitolo del 1932, «La non contemporaneità e il dovere di renderla dialettica». L’incipit di Bloch è folgorante: «Nicht alles sind in selben Jetzt da»13.
15Coesistenza e contemporaneità non sono sovrapponibili o, in altre parole, c’è una molteplicità di tempi coesistenti. Vi sono forze provenienti dal passato che innervano il potere di Hitler. Il tempo dei giovani di estrazione borghese, quello dei contadini, quello del ceto medio impoverito, sono altrettanti tempi non contemporanei. Questi tempi non sono semplicemente soggettivi, differenti modi di fare esperienza di una medesima contemporaneità: essi affondano le radici in una non contemporaneità oggettiva della società tedesca. La società tedesca non è uno spazio omogeneo permeato da un unico tempo che costituisce il campo di gioco della contraddizione semplice: la Germania è il «klassische Land der Ungleichzeitigkeit»14, in Germania convivono con il presente capitalistico delle strutture precapitalistiche, ed è proprio la presenza oggettiva di queste strutture che favorisce il radicarsi soggettivo di un immaginario nazista: «In Germania presso il contadino disperato, il piccolo borghese fallito, la natura e [...] i fantasmi della storia risorgono con particolare facilità»15.
16Qual è il rapporto tra contemporaneità e non contemporaneità, tra contraddizione contemporanea e non contemporanea. La contraddizione non contemporanea, dice Bloch, si mette di traverso rispetto allo svolgersi della contraddizione contemporanea che vede la forza motrice nel proletariato. Per pensare la società tedesca è necessario rendere «più ampio il tempo attuale»16, è necessario dotarsi di una dialettica a molteplici livelli, una dialettica plurispaziale e pluritemporale, capace di ereditare questi tempi in una prospettiva politica comunista.
17Il secondo testo, Differenziazioni nel concetto di progresso17, appartiene a una congiuntura completamente differente, il dopoguerra, ed è una conferenza del 1955 all’Accademia delle scienze della Repubblica democratica tedesca (l’ex Ddr). L’obiettivo polemico è la filosofia della storia eurocentrica come ideologia del colonialismo, ma sottotraccia anche il marxismo ortodosso, l’Histomat, con la sua idea di progresso lineare e stadiale. L’attacco che Bloch conduce contro questa concezione è complesso è articolato. Proverò a sintetizzarlo in alcuni punti:
- critica all’identificazione di successione e progresso;
- critica dell’omogeneità temporale di struttura e sovrastruttura;
- critica alla concezione di un ordine progressivo delle fasi della sovrastruttura;
- insufficienza della partizione della storia in epoche e stadi;
- critica del vettore natura-storia.
18Per pensare il progresso, concetto a cui Bloch non rinuncia, è necessaria una concezione del tempo storico come multiversum (termine coniato da Novalis). Di nuovo non si tratta di un tempo soggettivo, di una molteplicità di modi di immaginare il tempo. Si tratta anche di questo – ma non solo. Multiversum significa una molteplicità di tempi su un piano reale: molteplicità che si dà primariamente nell’intreccio e nell’interazione, e che tuttavia non presuppone la continuità, semmai la concepisce come effetto dell’intreccio stesso, così come del resto la discontinuità.
La stratificazione del tempo in Antonio Gramsci
19Il secondo autore che voglio chiamare in causa qui è Gramsci, testimonianza per certi versi paradossale data la centralità che la Prefazione del ’59 ha nel suo pensiero, di cui si potrebbe individuare come forma-limite una filosofia della storia in cui il determinismo economicista lascia spazio a una concezione della politica intesa come rivoluzione permanente, attiva o passiva. Una tale filosofia della storia interdice evidentemente il riferimento a una temporalità plurale, precisamente perché costruita su un tempo unico di cui gli altri tempi non sarebbero che variazioni misurabili sull’asse normale/patologico.
20È possibile tuttavia, in opposizione a questa forma-limite, fare emergere un altro Gramsci. Luogo fondamentale in questo senso è il Quaderno 11, II, «Appunti per un avviamento allo studio della filosofia e della storia della cultura», dove Gramsci analizza le forme della filosofia spontanea contenute nel linguaggio, nel senso comune e nella religione popolare il cui carattere fondamentale è quello di essere «disgregata e occasionale». A esse oppone la filosofia critica consapevole. Si tratta di un’alternativa che sembra giocata su quella forma-limite del suo pensiero cui si è accennato: attività o passività rispetto a una storia del mondo il cui cammino appare stabilito. E tuttavia proprio qui emerge un elemento teorico che spariglia la semplice alternativa perché l’eteronomia è sì «imposta meccanicamente da un ambiente esterno», ma questo, lungi dall’essere permeato da un presente omogeneo, è in realtà costituito da una pluralità di temporalità. La concezione del mondo è occasionale e disgregata quando «si appartiene simultaneamente a una molteplicità di uomini-massa, la propria personalità è composita in modo bizzarro: si trovano in essa elementi dell’uomo delle caverne e principi della scienza più moderna e progredita, pregiudizi di tutte le fasi storiche passate grettamente localistiche e intuizioni di una filosofia avvenire quale sarà propria del genere umano unificato mondialmente»18.
21È innegabile che vi sia in questi passaggi un riferimento al tempo unico e progressivo di una Weltgeschichte di cui è fissata non solamente la fase presente ma anche quella a venire, quella del «genere umano unificato mondialmente»; e tuttavia quel che è più interessante qui è la temporalità plurale che attraversa individui e gruppi sociali: la simultaneità di una molteplicità di tempi, che significa paradossalmente coesistenza ma non compresenza. Questa temporalità plurale, che non è presente in persona nel testo di Gramsci, è indicata con una serie di termini: «stratificazione», «anacronismo», «fossile». Un primo esempio privilegiato è il linguaggio:
Se è vero che ogni linguaggio contiene gli elementi di una concezione del mondo e di una cultura, sarà anche vero che dal linguaggio di ognuno si può giudicare la maggiore o minore complessità della sua concezione del mondo. Chi parla solo il dialetto o comprende la lingua nazionale in gradi diversi, partecipa necessariamente di una intuizione del mondo più o meno ristretta e provinciale, fossilizzata, anacronistica in confronto delle grandi correnti di pensiero che dominano la storia mondiale. I suoi interessi saranno ristretti, più o meno corporativi o economistici, non universali. Se non sempre è possibile imparare più lingue straniere per mettersi a contatto con vite culturali diverse, occorre almeno imparare bene la lingua nazionale. Una grande cultura può tradursi nella lingua di un’altra grande cultura, cioè una grande lingua nazionale, storicamente ricca e complessa, può tradurre qualsiasi altra grande cultura, cioè essere una espressione mondiale. Ma un dialetto non può fare la stessa cosa19.
22Un secondo esempio è fornito dalla filosofia:
Occorre [...] spiegare come avviene che in ogni tempo coesistano molti sistemi e correnti di filosofia, come nascono, come si diffondono, perché nella diffusione seguano certe linee di frattura e certe direzioni…20.
23Un terzo esempio è costituito dalla religione:
Ogni religione, anche la cattolica [...] è in realtà una molteplicità di religioni distinte e spesso contraddittorie: c’è un cattolicismo dei contadini, un cattolicismo dei piccoli borghesi e operai di città, un cattolicismo delle donne e un cattolicismo degli intellettuali anch’esso variegato e sconnesso. Ma nel senso comune influiscono non solo le forme più rozze e meno elaborate di questi varii cattolicismi, attualmente esistenti; hanno influito e sono componenti dell’attuale senso comune le religioni precedenti e le forme precedenti dell’attuale cattolicismo, i movimenti ereticali popolari, le superstizioni scientifiche legate alle religioni passate…21.
24Nel quaderno 27 troviamo poi delle interessanti riflessioni sul folclore che Gramsci propone di studiare come «“concezioni del mondo e della vita”, implicita in grande misura, di determinati strati (determinati nel tempo e nello spazio) della società, in contrapposizione [...] con le concezioni del mondo “ufficiali” (o in senso più largo delle parti colte delle società storicamente determinate) che si sono succedute nello sviluppo storico»22. E aggiunge:
Concezione del mondo non solo non elaborata e sistematica, perché il popolo (cioè l’insieme delle classi subalterne e strumentali di ogni forma di società finora esistita) per definizione non può avere concezioni elaborate, sistematiche e politicamente organizzate e centralizzate nel loro sia pur contradditorio sviluppo, ma anzi molteplice – non solo nel senso di diverso, e giustapposto, ma anche nel senso di stratificato dal più grossolano al meno grossolano – se addirittura non deve parlarsi di un agglomerato indigesto di frammenti di tutte le concezioni del mondo e della vita che si sono succedute nella storia, della maggior parte delle quali, anzi, solo nel folclore si trovano i superstiti documenti mutili e contaminati23.
25«Molteplice» e «stratificato»: questa molteplicità e stratificazione di temporalità non sono depositate nelle masse come gradi successivi di una storia dello spirito ricapitolati da un presente pieno, ma sono legate a una duplice materialità: quella della traccia e quella della pratica. In altre parole, i corpi sono tracciati da questa molteplicità di temporalità attraverso il linguaggio, il folclore, il senso comune, la religione, la filosofia, dando luogo a «bizzarre», «incoerenti», «composite», «eteroclite» concezioni del mondo. Traccia, o meglio, tracce è il nome della temporalità plurale in Gramsci: tracce di pratiche che producono pratiche. Non solo non è rintracciabile in Gramsci una contemporaneità che attraversa tutti i livelli della società, ma ogni singolo livello è non contemporaneo, affetto strutturalmente da una pluralità di tempi che è, per così dire, un dato originario, ossia viene prima di qualsiasi linearità e stadialità. Naturalmente questa concezione gramsciana è legata a doppio filo con la riscrittura della sesta tesi su Feuerbach e della questione del rapporto struttura-sovrastruttura nei termini di rapporti di forza economici, politici e militari. In particolare in Q. 13, 17, dopo aver esposto i tre gradi o momenti dei rapporti di forza politici, Gramsci scrive:
Nella storia reale questi momenti si complicano tra loro, orizzontalmente e verticalmente, cioè per attività economica (orizzontale) e per territorio (verticalmente), combinandosi e scindendosi variamente, e ognuna di queste combinazioni può essere rappresentata da una propria espressione organizzata economica e politica. Ancora bisogna tener presente che a questi rapporti interni di uno stato-nazione si intrecciano i rapporti internazionali, creando a loro volta combinazioni originali e storicamente concrete24.
26In principio, metodologicamente, è la pluralità: una pluralità di temporalità, che naturalmente affetta anche la spazialità. Non si tratta però di una pluralità disseminata, intesa in senso postmoderno: è invece una pluralità in cui domina la «combinazione», nel cui «gioco locale» incide il nesso nazionale-internazionale. Lungi dal disporre le formazioni sociali su una linea di tempo unica e progressiva – per cui, come sostiene Marx nella «Prefazione» alla prima edizione del Capitale, le società avanzate indicano alle altre «l’immagine del loro futuro»25 –, la storia gramsciana è costituita da un’originaria pluralità di temporalità quale che sia il livello di osservazione su cui ci si pone: individuo, gruppo sociale, nazione, scena internazionale. Concezione della temporalità evidentemente legata con la questione gramsciana del «molecolare». Ma pluralità non è la parola definitiva di Gramsci, perché il concetto di egemonia permette di ricondurre questa pluralità, se non all’unità di una Storia, a processi di unificazione, cioè di articolazione complessa e conflittuale di una pluralità data, in cui giocano un ruolo fondamentale appunto gli apparati egemonici e gli intellettuali. Il nome gramsciano del risultato di questi processi di unificazione è «blocco storico»: unità e contemporaneità si danno dunque sempre come effetto provvisorio, relativo e contingente, come lo stabilizzarsi di un rapporto di forze costitutivamente aperto e attraversato da altre temporalità. Questo mi sembra il senso della rilettura gramsciana del concetto marxiano di rivoluzione permanente.
La temporalité différentielle di Louis Althusser
27Il terzo testimone è Althusser e il suo concetto di temporalité différentielle. Il marxismo con cui polemizza Althusser non è molto diverso da quello contro cui polemizzava, implicitamente, Bloch nel testo del 1955. Il testo chiave in questo senso è l’Abbozzo del concetto di tempo storico, in cui Althusser sviluppa sul piano di un’esplicita teoria del tempo una serie di premesse implicite nel concetto di surderterminazione e di contraddizione surdeterminata.
28Se la contraddizione hegeliana, la contraddizione semplice, si gioca in una totalità sociale temporalmente omogenea, la contraddizione surdeterminata si sviluppa in un tutto sociale complesso e strutturato secondo una gerarchia di contraddizioni. In Leggere Il Capitale Althusser critica esplicitamente la concezione hegeliana o, meglio, hegelo-marxista del tempo basato su continuità omogenea e contemporaneità. In particolare, la critica all’idea di contemporaneità è fondamentale per la costruzione della teoria della temporalità di ciò che Althusser chiama il tutto complesso marxista. La mossa chiave consiste, come peraltro in Bloch ma in un altro contesto teorico, nello svincolare i concetti di coesistenza e contemporaneità:
La coesistenza dei differenti livelli strutturati: l’economico, il politico e l’ideologico… e quindi dell’infrastruttura economica, della sovrastruttura giuridica e politica, delle ideologie e delle formazioni teoriche (filosofia, scienze), non può più essere pensata nei termini della coesistenza del presente hegeliano, di quel presente ideologico in cui coincidono la presenza temporale e la presenza dell’essenza nei suoi fenomeni26.
29Ogni livello del tutto sociale marxista ha un tempo proprio che deve essere costruito teoricamente, con i suoi ritmi, le sue continuità, le sue torsioni e le sue discontinuità. Tuttavia ciascuno di questi tempi non procede nel vuoto, ma è articolato con gli altri, è intrecciato agli altri; la specificità di questi tempi è dunque «differenziale». In altre parole, aggiunge Althusser,
non è sufficiente dire, come fanno i migliori storici dei nostri tempi, che si danno periodizzazioni differenti secondo i tempi differenti, che ogni tempo ha i suoi ritmi, alcuni lenti, altri lunghi, ma bisogna pensare queste differenze di ritmo e di scansione nel loro fondamento, nel tipo di articolazione, di spostamento e di torsione che raccorda tra loro questi tempi differenti. Diciamo anche, per andare ancora più lontano, che non ci si deve accontentare di pensare l’esistenza dei tempi visibili e misurabili, ma che bisogna porsi, necessariamente, la questione dei tempi invisibili, di ritmi e scansioni invisibili da svelare sotto l’apparenza dei tempi visibili27.
30Marx fu, secondo Althusser, particolarmente sensibile a questa esigenza: nel Capitale egli mostrò come il tempo della produzione economica non possa essere letto nella continuità del tempo della vita o degli orologi; si tratta invece di un tempo complesso e non lineare, un tempo di tempi che deve essere costruito a partire dalle strutture proprie della produzione, dai diversi ritmi che scandiscono la produzione, la distribuzione e la circolazione. Tempo essenzialmente invisibile e illeggibile, opaco, «intreccio complesso dei differenti tempi, dei differenti ritmi, rotazioni…», tempo che può essere esibito solo attraverso il concetto e che dunque deve essere costruito. Tutta la difficoltà dell’impresa teorica di Althusser sta nel pensare da una parte l’autonomia di questi tempi, dall’altra la loro articolazione nel tutto, da una parte la determinazione in ultima istanza dell’economico, dall’altra la strutturale surdeterminazione di questa istanza la cui ora solitaria non suona mai.
31Per concludere, vorrei sottolineare ciò che è in gioco nell’operazione che ho provato a fare, spazzolando, per così dire, la tradizione marxista contropelo, nel tentativo di far emergere quella che potremmo chiamare, facendo eco all’ultimo Althusser, la corrente sotterranea della temporalità plurale. L’appello a una pluralità di tempi è fatto ogni volta in nome di una critica a un modello lineare, stadiale e progressivo dello sviluppo storico. A essere colpita è una teoria della rivoluzione come esito necessario di una contraddizione fondamentale che scandirebbe il tempo della storia. Ma in nome di quale alternativa questa critica è condotta? Mi sembra chiaro che, se il determinismo economicista è rifiutato, non lo è in nome di un qualche indeterminismo, di un volontarismo o di una teoria astratta della decisione e della libertà. Così come la filosofia della storia con il suo continuismo è una secolarizzazione di un modello cristiano, anche la filosofia della discontinuità radicale lo è del modello paolino secondo cui «Dio viene come un ladro nella notte». Interruzione improvvisa e imprevista della linea tempo che, tuttavia, è presupposta. Lo sforzo da fare, riflettendo su questa tradizione, consiste nel pensare la continuità stessa, che fornisce il modello di questa storia stadiale e progressiva nella sua complessità e nella sua contingenza: non quindi come un’universale misura del particolare, ma come particolare esso stesso tra altri, di cui ogni volta si deve pensare lo specifico intreccio di tempi per poter cogliere, al suo interno, lo spazio di un’azione politica emancipativa.
Notes de bas de page
1 C. Rovelli, L’ordine del tempo, Milano, Adelphi, 2017, p. 24.
2 Ivi, p. 25.
3 K. Löwith, Meaning in History. The Theological Implications of the Philosophy of History, Chicago, University of Chicago Press, 1949, trad. it. Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, Milano, il Saggiatore, 1989.
4 Arist. Phys. iv, 218b.
5 I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, in Kant Werke, Berlin, de Gruyter & Co., 1968, Bd. 3, p. 58, trad. it. Critica della ragion pura, Milano, Bompiani, 1987, p. 87.
6 Ibidem, trad. it. cit., pp. 87-88.
7 K. Marx, F. Engels, Manifest der Kommunistischen Partei, in Marx Engels Werke, Bd. 4, Berlin, Dietz, 1959, p. 467, trad. it. in Opere, Roma, Editori Riuniti, 1973, vol. vi, p. 491.
8 K. Marx, «Vorwort» a Zur Kritik der politischen Ökonomie, in Marx Engels Werke, Bd. 13, Berlin, Dietz, 1974, pp. 8-9, trad. it. in La concezione materialitica della storia, Roma, Editori Riuniti, 19982, pp. 130-131.
9 «Quale il modo di produzione della società, tale sostanzialmente è la società stessa» (I.V. Stalin, Del materialismo dialettico e del materialismo storico, in Questioni del leninismo, Mosca, Edizioni in lingue estere, 1946, p. 597); «Quali sono le forze produttive, tali devono essere i rapporti di produzione» (ivi, p. 599).
10 Ivi, p. 601.
11 Ivi, p. 604.
12 Ivi, p. 605.
13 E. Bloch, Erbschaft dieser Zeit, in Werkausgabe, Bd. 4, Frankfurt, Suhrkamp, 1962, p. 104 (letteralmente: «Non tutti esistono nello stesso momento»).
14 Ivi, pp. 113-114 («classica terra della non contemporaneità»).
15 Ivi, p. 114, trad. it. Eredità del nostro tempo, Milano, il Saggiatore, 1992, p. 91.
16 Ivi, p. 122, trad. it. cit., p. 98.
17 E. Bloch, Sul progresso, Milano, Guerini, 1990.
18 A. Gramsci, Quaderni dal carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975: Q. 11, 12, p. 1376.
19 Ivi, p. 1377.
20 Ivi, p. 1379.
21 Ivi, p. 1397.
22 Ivi, Q. 27, 1, p. 2311.
23 Ivi, pp. 2311-2312.
24 Ivi, Q. 13, 17, p. 1585.
25 Scrive Marx a proposito del rapporto Inghilterra-Germania: «Il paese industrialmente più sviluppato [entwickelter Land] non fa che mostrare a quello meno sviluppato [minder entwickelten] l’immagine del suo avvenire» (K. Marx, Vorwort zur ersten Auflage, in Das Kapital, vol. 1, in Mew, vol. 23, Berlin, Dietz, 1962, p. 12, trad. it. Il Capitale, Roma, Editori Riuniti, 19808, p. 32).
26 L. Althusser, «L’objet du Capital», in Aa.Vv., Lire Le Capital, Paris, Puf, 19963, p. 283, trad. it. Leggere Il Capitale, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 106.
27 Ivi, p. 285, trad. it. cit., p. 107.
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