Karl Marx e la questione di genere
p. 67-75
Texte intégral
1Il tema della relazione tra Karl Marx e la questione di genere è piuttosto controverso. Questo tema è del resto di grande interesse poiché induce a riflettere su altre relazioni, come per esempio quella tra classe e genere, marxismo e femminismo, pubblico e privato, sulle quali in modo peculiare il femminismo materialista si è particolarmente impegnato.
2La questione di genere nell’opera di Marx si presta a un’analisi che implica necessariamente un’ulteriore articolazione: la critica dell’istituzione familiare e l’esame del ruolo e del valore del lavoro riproduttivo. Tuttavia, mentre il primo tema è stato, seppure in modo discontinuo, dibattuto all’interno del marxismo, il secondo è stato per lo più appannaggio del femminismo materialista, con l’eccezione di Claude Meillassoux che, in Donne, granai e capitali – opera pubblicata nel 1975 –, riconosce appieno la centralità non solo della comunità domestica e del lavoro riproduttivo all’interno del capitalismo ma soprattutto del ruolo delle donne1.
Il genere e l’istituzione familiare
3Le opere giovanili di Marx sono estremamente interessanti per l’analisi dei rapporti di genere all’interno della famiglia borghese. Non solo: una loro analisi risulta necessaria per argomentare la critica al patriarcato. Contrariamente a una lettura sovente sbrigativa dell’opera marxiana, va posto in luce il valore della critica operata da Marx all’istituzione familiare borghese e ai rapporti in essa presenti.
4Nelle opere giovanili – e mi riferisco alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, ai Manoscritti economico-filosofici del 1844, all’Ideologia tedesca e al Manifesto del partito comunista del 1848 – la critica all’istituzione familiare è presente ovunque. Tuttavia, è utile evidenziare la cesura presente nell’opera marxiana: nelle opere giovanili, infatti, la critica è diretta all’istituzione familiare e, indirettamente, al sistema patriarcale a essa collegato. Nelle opere della maturità, invece, il tema della famiglia è pressoché assente. Esso è ripreso solamente nei Quaderni antropologici del 1880-1882.
5Altro discorso, invece, va fatto per l’analisi della condizione femminile. Questo tema non trova compiutamente spazio nell’opera marxiana, se non in riferimento al lavoro salariato. Molte pagine del Capitale sono riservate alla minuziosa descrizione dello sfruttamento delle donne nell’industria tessile e dell’abbigliamento dell’epoca, svolta sulla base dell’analisi dei rapporti prodotti dall’Ispettorato del lavoro e da medici di famiglia2. Nel Libro i Marx si sofferma in particolare sulle condizioni di sfruttamento delle donne all’interno dell’industria a domicilio, senza tuttavia problematizzare la segregazione di genere presente nell’ambiente domestico3.
6In quest’analisi, sebbene Marx riconosca appieno lo sfruttamento perpetrato ai danni delle donne, attraverso il decentramento di alcune fasi della produzione industriale a domicilio, egli non tematizza il legame presente tra il lavoro a domicilio, retribuito, e quello domestico e di cura, non retribuito. In questi termini, il lavoro a domicilio rappresenta la perfetta sintesi del doppio sfruttamento a cui sono sottoposte le donne, sposate, con figli: all’interno dell’ambiente domestico le donne producono per la famiglia ma anche per l’impresa che fornisce loro lavoro. Talmente è cruciale il lavoro a domicilio all’interno del sistema capitalistico che meriterebbe di essere interrogata a fondo la rimozione che generazioni di marxisti e accademici (senza alcuna distinzione sulla base dell’appartenenza di genere) hanno operato nei confronti di questa forma di produzione. Mi limito a sottolineare il ruolo giocato dai processi di naturalizzazione del lavoro domestico e di cura che certamente hanno contribuito a sottrarre interesse all’analisi del valore di tale lavoro all’interno del capitalismo. A partire da Margaret Reid con Economics of Household (1934), e poi con le studiose afferenti al femminismo materialista4, ci sono stati importanti avanzamenti nell’analisi e conseguentemente nella valorizzazione del lavoro domestico e di cura che, tuttavia, appaiono ancora insufficienti. Del tema continuano a occuparsene studiose – quasi l’attività riproduttiva riguardasse solo le donne.
7La cecità nei confronti del lavoro domestico e di cura permea l’intera opera marxiana. Nell’esame scrupoloso che Marx compie delle trasformazioni dell’industria dell’epoca egli si preoccupa di dimostrare la pervasività del capitalismo, ma non pone in luce lo sfruttamento che il capitale opera nei confronti delle donne, non solo in qualità di lavoratrici salariate ma di donne in quanto subordinate agli imperativi del lavoro domestico e di cura. Come avremo modo di vedere più compiutamente, a mancare, nell’analisi marxiana, sono proprio il lavoro riproduttivo e l’analisi del contesto domestico come luogo di oppressione e sfruttamento, non solo in relazione alla sfera del lavoro salariato ma anche alla sfera del lavoro riproduttivo, estraneo a qualsiasi forma di riconoscimento salariale.
8Se il lavoro riproduttivo, il suo valore e il suo ruolo all’interno del capitalismo non sono posti in luce da Marx, la sua opera è, invece, di assoluto interesse in relazione al contributo che ha fornito alla critica all’istituzione familiare. Mi riferisco alle opere giovanili di Marx, all’interno delle quali lo spazio dedicato alla famiglia è distinguibile sotto diversi profili.
9Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1843), Marx sottolinea l’inestricabile nesso tra il principio della proprietà privata e le dinamiche interne alla famiglia borghese, come si evince dal seguente passaggio:
Nella classe che si fonda sulla vita familiare manca, dunque, la base della vita familiare, l’amore come principio reale, dunque efficace e determinante. È la vita di famiglia senz’anima, l’illusione della vita familiare. Nel suo più alto sviluppo il principio della proprietà privata contraddice il principio della famiglia. Contrariamente dunque alla classe dell’eticità naturale, della vita familiare, è piuttosto nella società civile che la vita familiare perviene a essere la vita della famiglia, la vita dell’amore. La prima è piuttosto la barbarie della proprietà privata contro la vita familiare5.
10La critica all’istituzione familiare borghese è presente anche nei Manoscritti economico-filosofici del 1844:
Religione, famiglia, stato, diritto, morale, scienza, arte… sono soltanto particolari modi della produzione e cadono sotto la sua legge generale. L’effettiva soppressione della proprietà privata, come appropriazione della vita umana, è quindi l’effettiva soppressione di ogni alienazione, e con ciò la conversione dell’uomo dalla religione, dalla famiglia, dallo stato… alla sua esistenza umana, cioè sociale6.
11E ancora nell’Ideologia tedesca (1845-1846), dove emerge in termini nitidi la critica alla famiglia borghese e alla sua necessaria ambivalenza: da un lato, essa è serva obbediente del capitale, in quanto funzionale al disciplinamento dei suoi membri al fine di esercitare al meglio le funzioni proprie della classe dirigente; dall’altro, essa è luogo di dissolutezza estrema e di negazione reale dei valori sui quali la classe borghese fonda, nel discorso pubblico, la propria egemonia. Questa la rappresentazione della famiglia borghese offerta nell’Ideologia tedesca:
Il borghese dissoluto infrange il matrimonio e commette adulterio di nascosto; il commerciante inganna l’istituzione della proprietà privando altri della loro proprietà con la speculazione, la bancarotta, ecc.; il giovane borghese si rende indipendente dalla sua famiglia, se può, e per suo conto dissolve praticamente la famiglia; ma in teoria il matrimonio, la proprietà, la famiglia restano inviolati, perché in pratica sono le basi sulle quali la borghesia ha edificato il suo dominio, perché nella loro forma borghese sono le condizioni che del borghese fanno un borghese, precisamente come la legge sempre elusa fa dell’ebreo religioso un ebreo religioso. Questo rapporto del borghese con le sue condizioni di esistenza riceve una delle sue forme generali nella moralità borghese. Non si può parlare affatto della famiglia. La borghesia dà storicamente alla famiglia il carattere della famiglia borghese, in cui il legame è costituito dalla noia e dal denaro e di cui fa parte anche la dissoluzione borghese della famiglia, nonostante la quale la famiglia stessa continua sempre a esistere. Alla sua sporca esistenza corrisponde il sacro concetto nella retorica ufficiale e nella generale ipocrisia. [Nel proletariato] il concetto di famiglia non esiste affatto, mentre vi si trova talvolta un’affezione per la famiglia, fondata su condizioni quanto mai reali. Nel xviii secolo il concetto di famiglia fu liquidato dai filosofi perché sulle cime più alte della civiltà la famiglia reale era già avviata alla dissoluzione. Dissolto era il legame interno della famiglia, le singole parti di cui si compone il concetto di famiglia, per esempio l’obbedienza, la pietà, la fedeltà coniugale, ecc.; ma il corpo reale della famiglia, patrimonio, rapporto di esclusione verso altre famiglie, convivenza forzata, le condizioni che erano date se non altro per l’esistenza dei figli, la costruzione delle città attuali, la formazione del capitale, ecc. restarono – per quanto alterate sotto molti aspetti – perché l’esistenza della famiglia è resa necessaria dalla sua connessione col modo di produzione indipendente dalla volontà della società borghese7.
12In questi termini, il superamento della famiglia borghese, quale istituto giuridico necessario alla proprietà privata, e la creazione di una «forma superiore di famiglia», implica secondo Marx il venir meno sia del familismo patriarcale sia della «comunanza delle mogli»8, come evidenziato nel Manifesto, nel quale, con Engels, scrive:
Il borghese vede nella propria moglie un semplice strumento di produzione. Egli sente che gli strumenti di produzione debbono essere sfruttati in comune e, naturalmente, non può fare a meno di pensare che la sorte dell’uso in comune colpirà anche le donne […]. Il matrimonio borghese è, in realtà, la comunanza delle mogli9.
13È vero, come sottolinea Silvia Federici10, che Marx si limita a indicare la necessità della sparizione della famiglia borghese senza ipotizzare la «forma di famiglia superiore» alla quale fare riferimento. Non potrebbe essere altrimenti poiché essa è parte del nuovo ordine che verrà disegnato con il rovesciamento del dominio borghese da parte del proletariato e, per tale ragione, non è predefinibile. Nella visione marxiana è evidente che al superamento della vecchia società borghese con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe seguirà una nuova società. In questa nuova società il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti: il nuovo ordine non potrà, quindi, che rimuovere le divisioni proprie della società borghese, prefigurando l’emancipazione di tutti, senza distinzioni, inclusa quella di genere. Sullo stesso tema, Luciano Parinetto, in Corpo e rivoluzione in Marx (1977) osserva che la «liberazione del corpo, che è anche liberazione dalla famiglia borghese, liberazione della donna, liberazione dai ruoli sessuali tradizionali (originatisi e sclerotizzatisi nella divisione del lavoro)»11 rappresenta per Marx un indicatore decisivo della condizione di liberazione dell’uomo in una società che stia sperimentando il socialismo.
L’oblio del lavoro domestico e di cura
14Se, come evidenziato, la critica all’istituzione familiare che opera Marx è d’aiuto nella disarticolazione dei rapporti fra i generi e delle forme di dominazione presenti all’interno della società nel suo complesso, non si può dire lo stesso in riferimento al lavoro riproduttivo.
15Quando Marx si riferisce alla necessità di dissolvere il lavoro, riferendosi a quell’«attività asservita, inumana, asociale, che dipende dalla proprietà privata e la crea»12, si riferisce unicamente al lavoro regolato da un rapporto salariale. Egli disconosce, quindi, la dimensione dello sfruttamento del lavoro non salariato, e in particolare di quello riproduttivo. Quando ci riferiamo al lavoro riproduttivo, per intenderci, ci riferiamo a un lavoro che per le sue peculiarità solo parzialmente può essere affidato a terzi (in ogni caso per lo più donne) o automatizzato. Una madre e un padre non possono farsi interamente sostituire da altri prestatori di cura. Il carico di lavoro domestico da svolgere manualmente è stato progressivamente ridotto dagli elettrodomestici e sarà ulteriormente destinato a diminuire, ma senza mai sparire del tutto. Di conseguenza, se non viene tematizzata la divisione del lavoro sulla base dell’appartenenza di genere – distinguendo tra lavoro produttivo, svolto fuori casa, e lavoro domestico e di cura, svolto in casa, che sempre lavoro produttivo è, tra lo spazio pubblico e quello privato, con i conseguenti rapporti di dominazione che ne derivano – la liberazione dal lavoro auspicata da Marx non si può realizzare.
16Quale reale liberazione dal lavoro può esserci se il lavoro domestico e di cura continua a essere distribuito sulla base di divisioni presenti nella classe lavoratrice? Quale effetto liberatorio può essere attribuito a un processo che occulta l’esistenza di un lavoro non riconosciuto eppure cruciale per il capitalismo? Quello che nell’opera marxiana manca non è solo il riconoscimento del valore del lavoro riproduttivo ma pure del carattere servile che lo contraddistingue e lo perpetua.
17Sappiamo che l’avvento del patriarcato instaura il dominio maschile all’interno della famiglia e con esso predispone nuove gerarchie e divisioni che si producono e riproducono attraverso il lavoro servile. Non si tratta, tuttavia, di una caratterizzazione che si attaglia all’istituzione della famiglia patriarcale. Engels, in L’origine della famiglia, della proprietà e dello Stato (1884), opera basata sui marxiani Quaderni antropologici (1881-82), cita una nota da questo brogliaccio: «La famiglia moderna contiene in sé in miniatura tutti gli antagonismi che avranno in seguito ampio sviluppo nella società e nel suo stato»13. Tuttavia, Marx non si riferisce solamente alla famiglia borghese ma alla famiglia nel suo complesso. Ne deriva che è all’interno della famiglia, a prescindere dalle distinzioni di classe, che la «naturalità» del lavoro riproduttivo prende forma e si riproduce di generazione in generazione. L’analisi dell’asservimento prodotto dalle dinamiche familiari nei confronti delle donne in relazione al lavoro riproduttivo è assente nell’opera marxiana. L’attenzione selettiva che Marx ha riservato al lavoro salariato, svolto fuori dalle mura domestiche, lascia così irrisolti molti dilemmi.
18Se si analizza l’esame della giornata lavorativa operato da Marx all’interno del Capitale (1867), vediamo che egli si limita a quantificare il lavoro necessario alla produzione dei mezzi giornalieri di sussistenza, ascrivendo, quindi, le attività connesse a tale lavoro alla «naturalità» della dinamica che concerne la riproduzione sociale. L’estensione della giornata lavorativa, per come è stata concettualizzata da Marx, manca totalmente di un riferimento al lavoro domestico e di cura che, appunto, non è considerato «lavoro». Ha ragione Wally Seccombe, quando scrive che sebbene, infatti, il lavoro domestico (come il lavoro di cura) ottenga valore dalla vendita della forza-lavoro, esso è del tutto escluso dalla legge del valore. In definitiva: «esso va direttamente alla creazione della forza-lavoro senza avere una relazione diretta con il capitale. È questa dualità speciale che definisce il carattere del lavoro domestico sotto il capitalismo»14.
19L’universale proposto da Marx produce necessariamente l’occultamento delle relazioni di genere e del sistema patriarcale a esse collegato e altresì del lavoro riproduttivo. La dimensione di genere è considerata residuale da Marx, mentre in riferimento al sistema patriarcale egli pensa sia superabile con la sparizione della famiglia borghese e l’avvento del comunismo. Il lavoro riproduttivo è destinato, secondo Marx, a ridursi per effetto sia del venir meno dei bisogni di status propri della famiglia borghese, soppiantata da altre forme di organizzazione sociale, sia della meccanizzazione che riduce l’apporto di lavoro domestico, parimenti a quanto accade nella produzione industriale. Dalla centralità che fabbrica e lavoro salariato assumono in Marx deriva che solo il lavoro salariato di fabbrica può produrre l’emancipazione della classe operaia. Questa caratterizzazione implica necessariamente la limitazione delle soggettività che compongono la classe lavoratrice, con l’esito di ipostatizzare lo stesso concetto di classe e depotenziare fortemente non solo l’analisi teorica connessa alla dinamica che interessa la produzione di valore e le forme di sfruttamento della forza-lavoro, ma anche la pratica politica connessa alla mobilitazione della classe lavoratrice nel suo complesso.
20Credo che la cecità in relazione al ruolo e al valore del lavoro riproduttivo in Marx e all’interno del marxismo contemporaneo sia uno dei punti di caduta cruciali della riflessione marxista e del movimento operaio. E su questo tema penso che la riflessione sia davvero ancora tutta in salita.
Notes de bas de page
1 C. Meillassoux, Donne, granai e capitali. Uno studio antropologico dell’imperialismo contemporaneo [1975], Bologna, Zanichelli, 1978.
2 Cfr. K. Marx, Il Capitale, Libro i [1867], Torino, Utet, 2009, e in particolare i capitoli viii (La giornata lavorativa), xii (Divisione del lavoro e manifattura) e xiii (Macchine e grande industria).
3 Cfr. K. Marx, Il Capitale, Libro i cit., pp. 484-485. Scrive Marx a proposito dello sfruttamento nell’industria domestica: «Il Factory Act 1861 disciplina la vera e propria fabbricazione dei merletti in quanto avviene a macchina, come è la regola in Inghilterra. I rami che qui considereremo brevemente, e non in quanto gli operai vi siano concentrati in manifatture, grandi magazzini… ma solo in quanto siano cosiddetti lavoratori a domicilio, si suddividono in: 1) lace finishing (finitura dei merletti fabbricati a macchina, categoria che include a sua volta numerose suddivisioni); 2) lavorazione dei merletti a tombolo. Il lace finishing è praticato come lavoro a domicilio o nelle cosiddette “Mistresses Houses” [case delle maestre], o da donne, sole o coi figli, nelle loro abitazioni private. Le tenutarie di “Mistresses Houses” sono esse stesse povere, e il locale da lavoro fa parte della loro abitazione privata. Ricevono ordinazioni da fabbricanti, proprietari di grandi magazzini… e utilizzano donne, ragazze e bambine a seconda delle dimensioni della loro stanza e delle fluttuazioni della domanda sul mercato. Il numero delle operaie oscilla fra 20 e 40 in alcuni di questi locali, e fra 10 e 20 in altri. L’età minima media alla quale le bambine cominciano a lavorare è 6 anni, molte però iniziano sotto i 5. Il tempo abituale di lavoro va dalle 8 alle 20, con un’ora e mezza per i pasti, che vengono consumati irregolarmente e spesso in bugigattoli maleodoranti. Se gli affari vanno bene, il lavoro dura spesso dalle 8 (molte volte dalle 6) fino alle 22, alle 23 o alle 24. Nelle caserme inglesi lo spazio regolamentare per ogni soldato è di 500-600 piedi cubi; nei lazzaretti militari, di 1200; in questi antri di lavoro, ve ne sono 67-100 a testa. Nello stesso tempo, l’illuminazione a gas consuma l’ossigeno dell’aria. Per tener puliti i merletti, le bambine devono spesso togliersi le scarpe, anche d’inverno, sebbene il pavimento sia di lastre di pietra o mattoni».
4 Cfr. M. Benston, The political economy of women’s liberation, “Monthly Review”, settembre 1969, pp. 13-27; E. Boserup, La femme face au développement économique, Paris, Presse Universitaire de France, 1970; C. Delphy, L’ennemi principal, “Partisans”, numero speciale su «Libération des Femmes», novembre 1970; Ead., Close to Home: A Materialist Analysis of Women’s Oppression, London, Hutchinson, 1984; C. Delphy, L. Diana, Familiar Exploitation: A New Analysis of Marriage in Contemporary Western Societies, Oxford, Polity Press, 1992; M. Dalla Costa, S. James, The Power of Women and the Subversion of the Community, Bristol, Falling Wall, 1973; S. Federici, Wages against Housework, Bristol, Power of Women Collective and Falling Wall Press, 1975. J. Gardiner J., Women’s Domestic Labour, “New Left Review”, 89, 1975, pp. 47-57; G. Bock, B. Duden, Arbeit aus Liebe – Liebe als Arbeit. Zur Entstehung der Hausarbeit im Kapitalismus, in Gruppe Berliner Dozentinnen (a cura di), Frauen und Wissenschaft. Beiträge zur Berliner Sommeruniversität für Frauen, Juli 1976, Berlin, Courage, 1977; Lourdes, Beneria, Women and Development: The Sexual Division of Labour in Rural Society, New York, Praeger, 1982; M. Mies, The Lace Makers of Narsapur. Indian Housewives Produce for the Word Market, London, Zed Press, 1982; Eadem, Patriarchy and Accumulation on a World Scale. Women in the International Division of Labor, London, Zed Books, 1986; N. Folbre, The unproductive housewife: her evolution in nineteenth-century economic thought, “Signs”, 16, 3, 1991, pp. 463-484; S. Himmelweit, The discovery of «unpaid work»: the social consequences of the expansion of «work», “Feminist Economics”, 1, 2, 1995, pp. 1-19. A. Picchio, Unpaid Work and the Economy: A Gender Analysis of the Standards of Living, London, Routledge, 2003; F. Bettio, A. Verashchagina, Frontiers in the Economics of Gender, London, Routledge, 2008.
5 K. Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico [1843], in Opere filosofiche giovanili, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 112-113.
6 Id., Manoscritti economico-filosofici del 1844 [1844], in Opere filosofiche giovanili cit., p. 226.
7 K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca [1845-1846], Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 164-165.
8 K. Marx, F. Engels, Il Manifesto del partito comunista [1848], Roma, Editori Riuniti, 1980, p. 84.
9 Ivi, pp. 83-84.
10 S. Federici, Notes on gender in Marx’s Capital, “Continental Thought & Theory. A Journal of Intellectual Freedom”, i, 4, 2017, pp. 19-37.
11 Cfr. L. Parinetto, Corpo e rivoluzione in Marx. Morte diavolo analità [1977], Milano-Udine, Mimesis, 2015, p. 123.
12 Cfr. K. Marx, A proposito del libro di Friedrich List «Das nationale System der politischen Ökonomie» [1844-1845], in Meoc, Marx and Engels on Colonialism, iv, Moscow, Progress Publisher, 1976, p. 599.
13 F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato [1884], Roma, Newton Compton, 2006, pp. 81-82. Cfr. K. Marx, Quaderni antropologici. Appunti da L.H. Morgan e da H.S. Maine [1881-82], Milano, Unicopli, 2009.
14 W. Seccombe, The housewife and her labour under capitalism, “New Left Review”, 83, 1974, p. 9 (trad. mia).
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