Autocoscienza e fondamento in Friedrich Schleiermacher
p. 212-220
Texte intégral
1Il pensiero moderno è caratterizzato da una duplice tendenza: da un lato vi è una componente idealista, ovvero un primato dell’ideale sull’empirico che fonda la conoscenza su un’ipotesi (questa tendenza si traduce in una sorta di platonismo, in contrapposizione alla tradizione aristotelica di stampo empirista); dall’altro vi è una componente “sperimentale”, ovvero l’esigenza di comprovare e verificare l’ipotesi di partenza su una base, questa volta, empirica. Questa postura conoscitiva mette al centro della riflessione il concetto di ‘esperienza’, cioè la capacità e i confini della conoscenza umana, sulla quale poi ruota la verifica stessa della ‘certezza’ epistemica, inaugurando il problema della fondazione del sapere.
2Non a caso, una questione molto dibattuta nella riflessione filosofica moderna è il rapporto fra l’autocoscienza e l’idea di Dio, rapporto che si esplica nella ripresa sistematica della cosiddetta “prova dell’esistenza di Dio”, e in particolare dell’argomento a priori (o “ontologico”). Ora, i caratteri fondamentali di tale argomentazione sono anzitutto la determinazione del concetto di Dio (che assume di volta in volta l’accezione di ente perfettissimo o di ente necessario) e la relazione fra l’io e l’idea di Dio1.
3Secondo il canone fornito da Dieter Henrich2, a partire dall’età cartesiana l’argomento ontologico possiede delle precise costanti: è un argomento che prescinde dall’esperienza; si costituisce di un procedimento deduttivo; verifica il passaggio dalla determinazione concettuale alla conoscenza reale, passaggio che non richiede alcun presupposto per il procedimento probante.
4In sintesi, i caratteri fondamentali del Gottesbeweis sono riconducibili alla pretesa conoscitiva dell’idea di Dio e al procedimento deduttivo, il quale implica un primato dell’idea di Dio sul postulato della sua esistenza (non a caso, l’obiezione più frequente è quella del salto dal piano noetico a quello ontico)3.
5Ora, il contributo di Schleiermacher (1768-1834) all’ontologia moderna si inserisce pienamente in questa tradizione e risulta decisivo per almeno due aspetti: per la costruzione di una soggettività capace di sintetizzare l’eredità razionalista e il trascendentalismo kantiano, attraverso il canone di un’esperienza religiosa4; per la svolta ermeneutica dell’ontologia moderna, che riconosce il nuovo focus del soggetto conoscente nell’interpretazione, intesa come ambito privilegiato di applicazione dell’esperienza5.
6L’itinerario dell’ontologia schleiermacheriana conosce diversi stadi, nei quali è possibile tuttavia individuare una proposta unitaria: sottoponendo la tradizione a una serrata verifica, egli inaugura un paradigma che ha nella dialettica la sua segreta legge, la quale tuttavia non si risolve in una mediazione o in una sintesi, bensì nella ricerca di un punto sorgivo; è proprio in questa ricerca appassionata che si insinua la relazione – pressoché costante – fra autocoscienza e idea di Dio (o fondamento trascendente)6.
7è opportuno però chiedersi se sia lecito parlare in Schleiermacher di una prova dell’esistenza di Dio. Secondo Friedrich Beißer l’argomento probante è unicamente oggetto della Dialettica, che costituirebbe – secondo il modello classico – una propedeutica alla Dogmatica7. Robert R. Williams8, invece, avanza l’ipotesi che l’introduzione alla Glaubenslehre costituisca un programma fenomenologico ante litteram, fondato su una vera e propria “eidetica” teologica, costituita da un principio preteoretico (la coscienza di realtà) e dalla stretta correlazione fra Dio e l’esperienza umana. Jan Rohls9 mette in luce la diversa finalità dell’opera teologica: questa sarebbe tesa, piuttosto che a comprovare l’esistenza di Dio, confinandola così nella coscienza oggettiva, a conferirle immediata certezza attraverso l’organo della religiosità. Infine, la posizione più recente di Markus Mühling10 individua la presenza di un’argomentazione probante proprio nel suo aspetto dogmatico, tentandone una decostruzione.
8Di fatto, pur prefiggendosi un compito diverso da quello di dimostrare l’esistenza di Dio (cfr. GL §4.4, I, 29 n.), si può scorgere nella riflessione di Schleiermacher il tentativo costante di fornire una base certa e scientifica al sapere, sia filosofico che teologico: individuando nella prova ontologica il pericolo di una petitio principii, cioè di presupporre già il veicolo dell’indagine (l’io o il cogito), Schleiermacher propone una nuova argomentazione, che ha come nervus probandi non già un presupposto logico, bensì un riconoscimento immediato.
9La verifica della relazione fra autocoscienza e idea di Dio è condotta, poi, secondo due procedimenti: il primo è di carattere deduttivo (e ha luogo nella Dialettica), il secondo invece è di natura trascendentale-fenomenologica (viene esplicitato nella Dottrina della fede, ma affonda le sue radici negli scritti giovanili, per esempio nei Discorsi sulla religione).
1. Pensiero puro e trascendenza
10Il primo argomento prende le mosse dalla confutazione di un paradigma preesistente, quello cioè che parte dal presupposto di ogni realismo universale, secondo cui i concetti di genere possiedono una realtà: risulta facile concludere dall’esistenza di una singola cosa imperfetta all’esistenza dell’essere perfetto corrispondente al genere di riferimento, giacché l’ente sommo corrisponde all’essere in sé, cioè al genere supremo, identificandosi con Dio stesso. Sennonché, questo quadro di riferimento teorico viene messo in crisi da Schleiermacher: egli individua un gap nell’identificazione dell’essere sommo con Dio, scorgendovi una disparità fra il piano noetico e quello ontico.
Fondazione del sapere: trascendenza come esperienza-limite nella Dialettica
11La disciplina che ha per oggetto la “ricerca del sapere reale”, intesa come ricerca della referenza all’essere, è la Dialettica. Il suo obiettivo è l’elaborazione di un “pensiero puro”, nel quale l’attività noetica venga a coincidere con la determinazione dell’essere: l’attività noetica, pertanto, è concepita come un autentico circolo virtuoso fra essere e pensare.
12Il compito precipuo di definire la struttura formale del pensiero nella sua costitutiva referenza ontica fa nascere l’esigenza di tracciare i confini del «sapere reale», lì dove il problema della realitas si esplica come la specifica relazione fra la «realtà formale» (cioè l’atto mentale dell’idea) e la «realtà oggettiva». La competenza dialettica ha il compito formale di fornire per così dire la “sintassi” dell’intelletto, prescindendo dai contenuti, e il compito trascendentale di determinare i contenuti a priori11.
13Ora, una prima determinazione del «sapere reale» ha luogo nella deduzione del fondamento trascendente, a partire dalla delimitazione dei confini noetici, ovvero a partire da ‘concetti’ e ‘giudizi’ presi al loro sommo grado12. Si tratta di una decostruzione del metodo razionalista, che secondo Schleiermacher – anziché giungere a un’unità originaria – resta nella molteplicità: infatti, la delimitazione dei confini noetici in un sistema “realistico” o “idealistico” (condotta rispettivamente a partire dal concetto o dal giudizio) porterà a sua volta a una quadruplicità di formule, anziché pervenire al «fondamento originario dell’essere» (cfr. DA.1, p. 260; it. p. 285).
14Il procedimento deduttivo della scuola razionalista – inteso come Ableitungsverfahren secondo il metodo geometrico – si rivela, così, fallimentare; fermo al limite della pensabilità (o non-contraddittorietà), esso permane nell’ambito del condizionato: «non possiamo trovarne alcuna formula nel pensiero per esprimere il fondamento originario in maniera adeguata, ci si chiede allora se possiamo appropriarcene, se non nel pensiero, almeno nell’essere pensante» (DA.1, p. 261; it. pp. 286-287).
15L’esigenza di Schleiermacher è quella di rinvenire un «segno» del fondamento trascendente dell’essere, che non si mostri unicamente nella sua «differenza» dal pensiero, ma costituisca la traccia di una «unità» in noi stessi: «L’identità di essere e pensiero la serbiamo in noi stessi: noi stessi siamo essere e pensiero, l’essere pensante e il pensiero essente. […] Non dobbiamo permanere nel pensiero né partire sempre da questo processo, poiché il fondamento trascendente dell’essere non può essere oggetto del pensiero» (DA.2, p. 553; it. p. 290); esso «dev’essere il medesimo per l’essere che esercita su di noi un’affezione e per l’essere che è la nostra propria attività» (DA.2, p. 557; it. p. 295).
16Alla pars destruens segue una pars construens, nella quale Schleiermacher intraprende in maniera quasi speculare una deduzione di tipo trascendentale: nell’autocoscienza si realizza una sorta di passage à la limite, in cui ha luogo una coincidenza di pensiero ed essere.
17La vita della mente è costituita da un «transito» fra pensare e volere: questa polarità trova una risoluzione nella sua stessa condizione di possibilità, ovvero «l’esser-posto-insieme dell’altro», che si realizza nell’«immediata autocoscienza» (o «sentimento»). Si tratta di un «tempo realmente compiuto» (DA.2, p. 567; it. p. 307), nel quale ha luogo «l’analogia col fondamento trascendente, cioè la connessione che toglie le antitesi relative» di pensare e volere (DA.1, p. 266; it. p. 308).
18Fra i due “analogati” – autocoscienza e fondamento – il sentimento religioso possiede un’ulteriore caratterizzazione, essendo una «rappresentazione del fondamento trascendente» in senso stretto, o quel sentimento dotato di una «determinatezza trascendente» che si esplica come «allgemeines Abhängigkeitsgefühl» (DA.1, p. 267; it. p. 309)13.
19Il fondamento entra così in scena in una maniera del tutto singolare: esso costituisce una “rappresentazione analogica” all’interno dell’autocoscienza, che nel transito fra le funzioni oggettive conosce un punto-zero, nel quale l’affezione (e quindi la referenza oggettuale) si ritira. L’esperienza dell’autocoscienza avrà come suo costitutivo analogato il suo fondamento, in un Wechselverhältnis che permette un cambiamento di rotta dal metodo geometrico-deduttivo a quello trascendental-fenomenologico, e quindi dalla descrizione dei confini noetici nella Dialettica all’analisi dell’autocoscienza nella Dottrina della fede.
2. Autocoscienza e temporalità
20La seconda argomentazione non è a sé stante, ma parte dai risultati della fondazione dialettica, realizzando un sorta di circolarità “virtuosa”. Pur avendo due finalità – nonché due metodi – differenti (la prima era tesa alla ricerca del fondamento trascendente del sapere, la seconda è volta ora all’attestazione della presenza dell’oggetto della fede nell’autocoscienza), entrambe le argomentazioni hanno alla base una pretesa conoscitiva.
21Anzitutto, partendo non dall’io assoluto, bensì dall’io empirico, cioè dall’autocoscienza personale, individuale, temporale, Schleiermacher giunge alla rappresentazione di Dio come alterità compresente all’autocoscienza; l’idea di Dio verrà a costituire al tempo stesso il contenuto oggettuale dell’autocoscienza e la sua origine, cui essa perviene via causalitatis. In secondo luogo, l’indagine più specificamente dogmatica mostra come la dinamica fondativa inaugurale sia terreno di una continua verifica del contenuto di fede: nel fenomeno di rigenerazione si assisterà al progressivo superamento del giogo fra vecchia e nuova creatura, che si realizza di volta in volta trascendentalmente, in un “punto-zero”; sicché la fede coincide tout court con una ricettività vivente, o con la possibilità di vivere ogni istante un rapporto originario.
La religiosità come cuore della dogmatica
22La «forma fondamentale» della scienza teologica è costituita dalla religiosità: non si tratta né di un sapere né di un agire, ma di una «determinatezza del sentimento o dell’autocoscienza immediata» (GL § 3, I, p. 14; it. I, p. 146); lì dove alla categoria del sentire, che di per sé afferisce alla recettività e «per tutta la sua durata, in quanto esser-mosso, non è causato dal soggetto, ma si presenta unicamente al soggetto» (GL § 3.3, I, p. 18; it. I, p. 149), si affianca quella dell’immediatezza.
23Questa acquisizione è al tempo stesso trascendentale e storica, giacché modifica l’autocoscienza pura secondo una precisa «determinazione»: l’autocoscienza diviene “sede della religiosità”, nella quale si realizza l’unità “indivisa” dell’io e al tempo stesso si palesa la sua scaturigine.
In nessuna coscienza reale, sia che accompagni soltanto un pensiero o un agire, sia che riempia per sé un momento, siamo coscienti esclusivamente del nostro io in sé e per sé, così come è sempre identico, bensì siamo sempre coscienti allo stesso tempo di una sua determinazione variabile. […] ogni autocoscienza è al contempo coscienza di un esser-tale mutevole (GL § 4.1, I, p. 24; it. I, p. 155).
La determinazione dell’autocoscienza consiste allora in una “duplicità”, data dalla compresenza di un «essere del soggetto per sé» e del suo «essere insieme a un altro»: ora, questi due elementi convivono nella coscienza temporale rispettivamente nella forma di una “spontaneità” e di una “recettività”.
Come, però, ci troviamo sempre e solo nell’essere-insieme a un altro, così pure in ogni autocoscienza che si manifesta per sé il primo elemento è quello della recettività nella quale in qualche modo ci si imbatte [der irgendwie getroffenen Empfänglichkeit], e persino l’autocoscienza che accompagna un agire – sotto cui può esser compreso anche il conoscere –, per quanto esprima prevalentemente una vivace spontaneità, si rapporta sempre a un momento precedente in cui la passività è stata colpita (GL § 4.1, I, pp. 24-25; it. I, p. 156).
In base alla costitutiva correlazione io-mondo, l’autocoscienza è connotata da un sentimento di libertà e al contempo di dipendenza: due poli, questi, che rapportandosi fra loro costituiscono delle grandezze “relative”. Non potrà darsi, infatti, una libertà assoluta, giacché «il sentimento di libertà esprime un’attività spontanea che sgorga in noi», tale da avere «un oggetto, che in qualche modo ci è stato dato» (GL § 4.3, I, p. 27; it. I, p. 159). Esiste, tuttavia, una «coscienza di dipendenza assoluta», come quel punto in cui «l’autocoscienza accompagna l’intera nostra spontaneità […], e che contraddice alla libertà assoluta», ma al tempo stesso «non sarebbe possibile senza alcun sentimento di libertà» (GL § 4.3, I, p. 28; it. I, p. 160): «l’essenza della religiosità è il fatto che siamo coscienti di noi stessi come assolutamente dipendenti, ovvero […] come in rapporto con Dio» (GL § 4, I, p. 23; it. I, p. 155), e Dio costituisce «il da-dove [Woher] dell’esistenza recettiva e spontanea posto nella nostra autocoscienza» (GL § 4.4, I, p. 28; it. I, p. 160)14.
24Schleiermacher intende qui fornire una «propedeutica» alla dogmatica, che assolva il compito non di «dimostrare a priori il cristianesimo», ma di «determinare il suo luogo» (SL II, p. 371). In questo gesto si radica il superamento della teologia tradizionale: Schleiermacher sostituisce le formulazioni metafisiche, che per loro natura parlano di Dio astraendolo dalle sue manifestazioni attuali, con una relazione esistenziale. Di qui nasce l’esigenza di partire dall’istanza esperienziale, per basare poi sulla correlazione atto-soggetto l’intera analisi della coscienza e della redenzione, secondo la duplicità del peccato e della grazia. Questa impostazione, infatti, avrà grandi conseguenze sul piano cristologico: la stessa rigenerazione dell’uomo verrà descritta come uno scambio processuale dalla giustificazione alla conversione; lì dove la stessa azione divina ha come sua condizione di possibilità la «recettività vivente» (GL § 109.4, II, p. 182; it. II, p. 296)15.
3. Conclusione
25Il “caso” Schleiermacher sembrerebbe illuminare la duplice tendenza dell’età moderna, esibita introduttivamente, nel suo intreccio fra una premessa idealista e un’esigenza di verifica sperimentale. La sua peculiare ermeneusi del Gottesbeweis apre la strada a un nuovo paradigma: sotto l’egida della teologia anselmiana – suggerita da un motto posto in esergo alla Glaubenslehre16 – Schleiermacher dichiara programmaticamente di perseguire «una comprensione [Verständigung] sempre più chiara sul contenuto della nostra fede evangelica» (GL I, p. 3; it. I, p. 135), lì dove gli stessi asserti teologici sono espressione degli stati religiosi, ovvero dei gradi di affezione religiosa. Conferendo un’accezione “ermeneutica” alla conoscenza – fondata non tanto sulla facoltà oggettiva del giudizio, quanto piuttosto sulla capacità apprensiva dell’autocoscienza –, Schleiermacher introduce nella scienza teologica il criterio della significatività: egli trasforma la fede in un atto di comprensione, tanto che il contenuto della fede (fides quae creditur) viene ricondotto all’atto stesso del credere (fides qua creditur), cioè all’autocoscienza religiosa.
Notes de bas de page
1 è stato giustamente rilevato che il Gottesbeweis presuppone la dottrina platonica dell’eidos, cioè di una forma individuale, che non implica in sé l’esistenza, ma rimanda a qualcosa di antecedente capace di attualizzarla. Cfr. W. Cramer, Gottesbeweise und ihre Kritik. Prüfung ihrer Beweiskraft, Frankfurt a.M., Klostermann, 1967.
2 D. Henrich, Der ontologische Gottesbeweis, Tübingen, Mohr Siebeck, 19672; trad. it. S. Carboncini, La prova ontologica dell’esistenza di Dio. La sua problematica e la sua storia nell’età moderna, Napoli, Prismi, 1983. Cfr. anche D. Henrich, Metafisica e modernità. Il soggetto di fronte all’assoluto, a cura di U. Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, 2008.
3 Cfr. U. Barth, Gott als Projekt der Vernunft, Tübingen, Mohr Siebeck, 2005; Q. Huonder, Die Gottesbeweise. Geschichte und Schicksal, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz, W. Kohlhammer Verlag, 1968; M. Mühling, voce Gottesbeweis, in: Religion in Geschichte und Gegenwart, a cura di E. Jüngel, et al., Band 3, Tübingen, Mohr Siebeck, 20004; W. Röd, Der Gott der reinen Vernunft: ontologischer Gottesbeweis und rationalistische Philosophie, München, Beck, 2009; E. Scribano, L’esistenza di Dio: storia della prova ontologica da Descartes a Kant, Roma-Bari, Laterza, 1994; J. Seifert, Gott als Gottesbeweis: eine phänomenologische Neubegründung des ontologischen Arguments, Heidelberg, Winter, 1996.
4 J. Geldhof, On the Relative Unimportance of Religious Experience in the Early Schleiermacher, in L. Boeve e L.P. Hemming (a cura di), Divinising Experience: Essays in the History of Religious Experience from Origen to Ricœur, Leuven, Peeters, 2004, pp. 89-112.
5 G. D’Aniello, Wandlungen in Schleiermachers Erfahrungsverständnis, “Quaestio”, Annuario di storia della metafisica, 4 (2004), Turnhout-Bari, Brepols-Pagina, 2005, pp. 325-344.
6 Si farà riferimento ai seguenti testi di Fr.D.E. Schleiermacher: Über die Religion. Reden an die Gebildeten unter ihren Verächtern [R], Kritische Gesamtausgabe [KGA] I.2, a cura di G. Meckenstock, Berlin-New York, W. de Gruyter, 1984; trad. it. S. Spera, Sulla religione: discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano, Brescia, Queriniana, 1989; Über seine Glaubenslehre. Zwei Sendschreiben an Lücke [SL], KGA I.10, ed. cit., a cura di H.-F. Traulsen, M. Ohst, 1990. Vorlesungen über die Dialektik [DA], KGA II.10.1-2, ed. cit., a cura di A. Arndt, 2002; trad. it. S. Sorrentino, Dialettica, Torino, Trauben, 2004; Der Christliche Glaube nach den Grundsätzen der Evangelischen Kirche im Zusammenhang dargestellt (1830/31) [= GL], KGA I.13.1-2, ed. cit., a cura di R. Schäfer, 2003; trad. it. S. Sorrentino, La dottrina della fede esposta sistematicamente secondo i principi fondamentali della chiesa evangelica, Brescia, Paideia, 1981/85.
7 F. Beißer, Schleiermachers Lehre von Gott dargestellt nach seinen Reden und seiner Glaubenslehre, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1970.
8 R.R. Williams, Schleiermacher the Theologian. The Construction of the Doctrine of God, Philadelphia, Fortress Press, 1978.
9 J. Rohls, Theologie und Metaphysik. Der ontologische Gottesbeweis und seine Kritiker, Gütersloh, Gütersloher Verlagshaus Gerd Mohn, 1987, pp. 359-366.
10 M. Mühling, Schleiermachers Gottesbeweis? Die (De/Re)konstruktion subjektiver Selbstgewißheit und die Erkenntnis Gottes, in I.U. Dalferth e P. Stoellger (a cura di), Krisen der Subjektivität, Tübingen, Mohr Siebeck, 2005, pp. 125-141.
11 Il termine ‘trascendentale’ è utilizzato da Schleiermacher con una consapevole presa di distanza dall’uso terminologico kantiano e al contempo con una generalizzazione di esso: Schleiermacher recupera il significato pre-kantiano di «trascendentale», che viene quasi a coincidere con «metafisico», tentando di riannodare in tal modo l’accezione specificamente gnoseologica con l’ambito ontologico.
12 Un sistema “realistico” si costruisce attorno al ‘concetto’ (connessione di note): esso avrà il suo concetto sommo (o completo) nell’‘essere assoluto’ (o forza) e il concetto infimo (o incompleto) nell’infinita ‘molteplicità di giudizi’ (o manifestazione). Un sistema “idealistico”, invece, si costruisce attorno al ‘giudizio’ (connessione di soggetto e predicato): esso avrà – specularmente – il suo giudizio autentico nell’infinita ‘molteplicità di predicati’ (o destino) e il suo giudizio inautentico nel ‘soggetto assoluto’ (o provvidenza).
13 M.G. Lombardo, La regola del giudizio. La deduzione trascendentale nella dialettica e nell’etica di Fr. Schleiermacher, Milano, ipl, 1990; Id., L’analogia fra competenza trascendentale e fondamento trascendente nella Dialettica di Schleiermacher, “Filosofia oggi”, 15 (1992), pp. 503-520.
14 Cfr. J. Mariña, Transformation of the Self in the Thought of Friedrich Schleiermacher, Oxford, Oxford University Press, 2008, pp. 186-220.
15 J. Müller, Wiedergeburt und Heiligung: die Bedeutung der Struktur von Zeit für Schleiermachers Rechtfertigungslehre, Leipzig, Evangelische Verlagsanstalt, 2005.
16 Anselmus Cantuariensis, Proslogion, in Opera, éd. G. Gerberon, Paris 17212, I. 30 A: «Neque enim quaero intelligere ut credam, sed credo ut intelligam»; Id., De fide Trinitatis, in Opera, cit., II. 42 C: «Nam qui non crediderit, non experietur, et qui expertus non fuerit, non intelliget».
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