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Perché l’umanesimo del giovane Marx può ancora servirci

p. 34-42


Texte intégral

1Difficile per me, a breve tempo dalla consegna di un lavoro impegnativo di edizione commentata dei manoscritti marxiani del 1844, allontanarmi troppo da quel che ho scritto, a mo’ di introduzione, in quell’occasione1.

2Come i presenti ben sanno, i Manoscritti rappresentano un’opera di cerniera nella produzione teorica di Marx tra l’umanesimo giovanile e la conversione al punto di vista scientifico della maturità. Già L’ideologia tedesca accenna a questo tipo di sviluppo e contiene quasi una ritrattazione rispetto all’approccio filosofico-umanistico precedentemente adottato, o quanto meno una sua reinterpretazione.

3Quando i Manoscritti divennero di dominio pubblico, nel 1932, furono accolti con entusiasmo dai fautori di un marxismo critico. Marcuse ne fece una recensione calorosa2. Divennero la bandiera di quanti nei paesi comunisti si opponevano alle burocrazie e all’ortodossia del Diamat. Le tesi sull’alienazione furono uno strumento per contestare l’alienazione prodotta dai rispettivi establishment. E il riferimento a un’essenza umana perduta e da ripristinare impresse una nota rivoluzionaria ai programmi di questi intellettuali radicali.

4Sul fronte opposto gli ideologi dei paesi comunisti dell’area sovietica e, in Occidente, i rappresentanti del cosiddetto antiumanesimo teorico relegarono l’opera nella preistoria del marxismo, che a loro giudizio prenderebbe inizio da quando Marx si è immesso sulla strada della scienza dei rapporti sociali, rinunciando a ogni elucubrazione intorno alle essenze.

5Ancor oggi, sebbene in modo meno diffuso e con meno decisione, c’è chi sostiene che una teoria dell’alienazione in cui lo sfruttamento non sia associato all’analisi del plusvalore non abbia senso né efficacia, e finisca per risolversi in una vuota denuncia del carattere «disumano» del capitalismo.

6Far dipendere la purezza e l’efficacia pratica di un’intera visione del mondo dall’accettazione di un singolo dogma quale quello della teoria del valore è abbastanza strano e fa ricordare vecchie battaglie teologiche per l’ortodossia cristiana, intorno al modo di interpretare per esempio il filioque nella dottrina trinitaria.

7Proprio questo scritto mostra d’altronde come Marx avesse anche altri strumenti per caratterizzare l’economia fondata sulla proprietà privata come un’economia rivolta in modo esclusivo alla valorizzazione del capitale. Compare qui, e viene ripresa in tutti gli studi economici successivi, la teoria ricardiana del «reddito netto».

8Su questa teoria si svolgeva un confronto tra il cinico Ricardo e i seguaci sentimentali di Sismondi. Ricardo si rifiutava di considerare come indice di ricchezza di una nazione il suo reddito lordo, l’insieme dei beni utili prodotti, e la faceva risiedere invece nel reddito netto, che fornisce la base per la tassazione di un paese, ed è indipendente dalla quantità di lavoratori che lo producono (dall’occupazione). Se grazie a innovazioni tecnologiche fosse possibile avere lo stesso reddito netto mettendo all’opera un numero esiguo di lavoratori, per la nazione ciò sarebbe indifferente, in quanto appunto la sua ricchezza consiste in tale reddito netto. Affermazioni contestate come disumane da economisti quali Sismondi, propugnatore di un’economia che integrasse in sé la preoccupazione per la felicità degli individui3.

9L’atteggiamento di Marx in questo dibattito è piuttosto singolare. Egli cita le reazioni sentimentali di Sismondi e dei suoi seguaci per denunciare a sua volta la disumanità dell’economia politica, ma si rifiuta in definitiva di seguirli sullo stesso terreno. E prende, sia pure in maniera provvisoria, le parti di Ricardo, il cui cinismo riflette, e quindi permette di comprendere, il cinismo reale degli stessi agenti economici. In via provvisoria, perché Marx prevede un tempo in cui, una volta che il principio ricardiano della produzione per la produzione avrà consentito quel gigantesco incremento di ricchezza che è necessario per soddisfare i bisogni crescenti della specie umana, sarà possibile riconciliare il punto di vista della felicità degli individui con quello della produzione.

10Questa politica dei due tempi ci è diventata sospetta. Per lunga esperienza sappiamo che se il punto di vista della felicità degli individui non viene tenuto in conto immediatamente, non ci sarà mai modo di recuperarlo. Questo ci introduce più in generale al modo in cui Marx affronta la questione dei rapporti tra economia e morale.

11Una posizione ambivalente: da un lato si denuncia l’infamia morale dell’economia politica ma nello stesso tempo l’ipocrisia della morale che introduce considerazioni umanitarie in un terreno compromesso dal principio dell’interesse. La morale esistente viene considerata cioè una proiezione della stessa economia politica e dei suoi disvalori (egoismo). Nessun cambiamento è possibile se non risulta da una trasformazione pratica radicale che sopprima l’economia politica e la stessa morale esistente. Di morale si potrà parlare solo dopo che sia avvenuto questo passaggio4.

12La stessa cosa avviene per quanto concerne un altro dominio simbolico, quello della religione. Si sa che per la tematica centrale dei manoscritti, quella del lavoro alienato, Marx è in debito verso Feuerbach, un critico della religione che pochi anni prima aveva sostenuto che l’uomo religioso perde le sue qualità proprie, proiettandole in un essere che gli si erge di contro, onnipotente e misericordioso, il quale soddisfa in maniera illusoria i suoi desideri.

13In una lettera dell’agosto 1844 Marx tenta di arruolare Feuerbach alla causa del comunismo. Il rapporto intersoggettivo dell’uomo con l’uomo viene ricondotto con una certa forzatura al concetto di società. Ma Feuerbach resiste rivendicando come proprio compito l’approfondimento della critica religiosa. Marx appare convinto invece che si debba realizzare prioritariamente la trasformazione pratica del mondo umano alienato per venire a capo una volta per tutte delle aspirazioni religiose5.

14L’ateismo viene considerato una fase preparatoria dell’affermazione in positivo dell’essenza umana. Questo schema, per cui la negazione della negazione, nel processo dialettico, precede una fase ulteriore, denominata «positivo fondato su se stesso», era stato introdotto da Feuerbach nei Principi della filosofia dell’avvenire (1843). Ma nei Principi, § 64, l’umanesimo deve recuperare i valori religiosi o ereditare le funzioni della religione. La meditazione sulla religione e sulle sue possibili trasformazioni resta fondamentale. La riflessione sul passaggio dall’ateismo all’umanesimo è assente invece in Marx, che, come lamenta Hermann Kriege, un agitatore comunista seguace di Feuerbach, in una lettera rivolta a quest’ultimo, «risolve tutti i rapporti religiosi in rapporti reali». A questo modo egli perviene all’umanesimo rinunciando a un confronto con la modalità teorica dell’alienazione (l’ateismo), e supera esclusivamente la sua modalità pratica, andando oltre il comunismo inteso come semplice abolizione della proprietà privata6.

15La religione così resta una dimensione non pensata per se stessa, ma riportata, analogamente alla morale, a una patologia sociale più fondamentale.

16La previsione del venir meno delle convinzioni religiose è stata smentita dalla storia successiva. Non solo queste convinzioni si sono mantenute, persino nelle forme più tradizionali e fondamentaliste, soprattutto nei paesi dove assolvono una funzione di rassicurazione rispetto a minacce che toccano la sopravvivenza7, ma sono anche evolute, dove il processo di secolarizzazione è più avanzato, in forme più aperte e non confessionali di religiosità, confortando l’idea simmeliana che la religiosità rappresenti appunto una categoria costitutiva dell’esistente. La lotta politica ispirata al marxismo è stata danneggiata dall’assunto di questo necessario e magari prossimo tramonto delle religioni – impoverendosi, tra l’altro, con la rinuncia a possibili importanti alleanze.

17L’idea sviluppata parallelamente che il comunismo, come l’ateismo, non rappresenti come tale «la meta dello sviluppo umano» ma ammetta una fase ulteriore, l’umanesimo appunto, è una prospettiva assai interessante, antidogmatica, che ridimensiona ogni aspettativa che un cambiamento di strutture economiche e giuridiche possa di per sé bastare a creare una nuova umanità. S’intende però che vada pensata con cautela, in modo solo regolativo, anche questa ulteriorità – il dominio dell’uomo che afferma se stesso –, se non si vuole che incorra a sua volta nei rischi di assolutizzazione, così bene messi in rilievo da autori come Camus (L’homme révolté) o Foucault, dell’antropocentrismo.

18La delusione per la risposta evasiva di Feuerbach porta ben presto Marx a prenderne le distanze, benché egli gli riservi comunque nell’Ideologia tedesca una posizione privilegiata rispetto ai suoi antagonisti Bauer e Stirner. Il principio della sostanza o dell’essenza dell’uomo, diversamente da quelli dell’autocoscienza o dell’unico, conserva pur sempre la capacità di esprimere in modo figurato, filosofico, la coscienza che ogni individuo, a ogni generazione, trova preesistenti una quantità di «circostanze», capitali e risorse di ogni tipo, che costituiscono l’orizzonte della sua concreta possibile umanizzazione8.

19Tuttavia l’implementazione storica del concetto, che di per sé avrebbe potuto essere compatibile con un atteggiamento conciliante se non riconoscente verso l’umanesimo filosofico, è accompagnata ora da polemiche dure che rompono l’unità del fronte progressista. Ciò avviene anche in altre direzioni, allorché la Lega dei comunisti si sostituisce, nel 1847, alla Lega dei Giusti. Solo una giusta dottrina, capace di separarsi da ogni genere di aspirazione umanitaria o religiosa, è ritenuta capace di fornire ai lavoratori uno strumento efficace per la rivoluzione. Espressione simbolica di questo passaggio è la sostituzione del motto proletari di tutti i paesi unitevi a quello tutti gli uomini sono fratelli.

20Insieme all’idea di essenza, suscettibile di essere ripresa anche nel contesto di un materialismo «storico», l’altro motivo complementare a cui la stessa fama dei manoscritti è legata, è quello dell’alienazione. Anche qui la critica non si stanca di raccomandare che il concetto, in questo contesto, sia considerato in rapporto al lavoro, al prodotto del lavoro come alla stessa attività produttiva, e non in termini genericamente esistenziali. In effetti, la critica sociale, per potersi esercitare, ha bisogno di una limitazione del concetto di Entfremdung. Tuttavia, non si può ignorare la sottolineatura costante da parte di Marx del fatto che per il lavoratore l’alienazione coincida con un vero e proprio collasso della propria identità umana. Quando la vita dell’uomo come essere generico, ovvero le sue capacità più alte, vengono subordinate al mantenimento della pura sopravvivenza fisica, questa appare appunto come una catastrofe.

21Un primo aspetto considerato è che come valori di scambio i prodotti del lavoro sono sottratti al godimento di chi li produce. Nella forma di capitale vanno a costituire una potenza estranea (come il dio delle religioni che assorbe in sé ciò che è sottratto all’uomo).

22Se osserviamo il rapporto con i beni dei lavoratori attuali credo che essi non si lamentino del meccanismo economico che li ha messi in essere, riservando al capitalista il suo profitto, ma nutrano rancore per l’uso disuguale di questi beni. Non rifuggono affatto dai beni messi in circolazione dalle grandi multinazionali manifestando una tendenza consumistica che potrebbe essere anzi una delle forme che ha assunto l’alienazione. La previsione di una pauperizzazione assoluta crescente dei lavoratori non si è realizzata. La classe operaia si è numericamente ridotta e ha fruito, almeno per ora, delle tutele sindacali e dello stato sociale, sebbene la globalizzazione la stia esponendo a nuovi pericoli. Da ultimo sta mostrando una scarsa propensione a votare per i partiti socialdemocratici che per una lunga fase hanno costituito il suo presidio. L’identificazione di volta in volta di altri soggetti potenzialmente rivoluzionari non ha prodotto d’altronde risultati migliori. Il fatto è che nessuna classe, in virtù della posizione che oggettivamente occupa nel processo produttivo, è dotata di visioni redentrici.

23La seconda caratterizzazione del lavoro alienato, come alienazione dell’attività che precede e determina quella del prodotto, ci porta forse più lontano. Qui si evidenzia come l’attività erogata dal lavoratore si svolge al servizio di altri e non è autonoma. La non-autonomia continua a essere uno degli aspetti salienti del disagio provato dal lavoratore e del suo desiderio di uscirne quanto prima. Il vantaggio di questa ridescrizione è indicato da Marx stesso, laddove da questa priorità del lavoro alienato rispetto alla proprietà privata, cioè di un’attività rispetto a una cosa, fa derivare la prospettiva di una possibile riappropriazione9.

24La fenomenologia del lavoro alienato ha progressivamente abbracciato fenomeni che Marx forse non poteva neppure prevedere: non solo la proletarizzazione di altri soggetti sociali, ma anche fenomeni al tempo difficili da concepire: la precarietà del lavoro che si manifesta nelle società avanzate, o anche una certa sua illusoria autonomizzazione che trova un’immagine nel lavoratore «imprenditore di se stesso».

25La centralità dell’alienazione del lavoro dipende dalla centralità attribuita alla vita produttiva nell’economia dell’esistenza umana. Il lavoro è nello stesso tempo ciò che definisce l’essenza umana e ciò che è maggiormente toccato dall’alienazione, che deve la sua gravità proprio al fatto che l’uomo dovrebbe realizzarsi nel lavoro. Così si verifica uno strano fenomeno: il lavoro viene riscattato dal ruolo secondario che gli assegnavano le antropologie premoderne per acquistare una dignità particolare e diventare il perno attorno a cui si giocano i processi di liberazione; ma nello stesso tempo questa centralità rischia di far pensare la società liberata ancora come una «società del lavoro», tendenzialmente totalitaria.

26Ci sono altri ambiti, oltre quello lavorativo, in cui si palesano poteri sovrastanti su cui non si riesce a esercitare un controllo. Due furono individuati dallo stesso Marx, che nella Questione ebraica denuncia il carattere separato dello stato rispetto alla società civile e auspica il riassorbimento del momento politico in quello di una comunità autosufficiente; e nell’Ideologia tedesca attribuisce alla divisione del lavoro la responsabilità di provocare un irrigidimento dei ruoli.

27La relativa diminuzione che il peso del lavoro esercita nella vita reale e nella coscienza degli individui ha acuito la nostra sensibilità contemporanea per altre forme di alienazione, presenti non esclusivamente nel contesto capitalistico. Dietro mutevoli scenari è dato osservare la persistenza di fenomeni cangianti di spossessamento di sé che investono soggetti sociali diversi, e forme altrettanto varie di resistenza, dall’esito tutt’altro che scontato, a ciò che pregiudica la nostra integrità10.

 

28Dedicherei le ultime considerazioni a che cosa significa per Marx, ma soprattutto per noi, appigliarsi alla propria essenza umana. Un essere generico, secondo la definizione di Feuerbach che Marx riprende, è un essere cosciente della propria essenza come di quella di ogni altra cosa. Quest’essenza include l’insieme di capacità che una lunga tradizione filosofica, da Aristotele a Kant, ha indagato per se stesse e nei loro rapporti: conoscitive, pratico-morali e sentimentali. Quelle capacità che per Feuerbach corrispondono agli attributi di Dio, differenziandosene solo perché si realizzano nel divenire storico. Difficile contestare questa mappa, anche se il suo significato varia a seconda del modo in cui è stabilita la relazione tra i vari termini. Così la prevalenza della sfera conoscitiva propria della filosofia classica cede in epoca moderna a un primato della ragion pratica (o della pratica tout court), e questo primato nella filosofia romantica è insidiato a sua volta da quello del «cuore».

29La prospettiva di Marx sembrerebbe piuttosto classica. Il contrassegno dell’umanità che viene messo in pericolo dalle condizioni di lavoro moderne è la libera attività cosciente. Tuttavia questa libera attività viene immediatamente specificata come produzione di un mondo oggettivo attraverso quello scambio con la natura organica che è appunto il lavoro. Questo scambio non è mosso solo da bisogni fisici immediati ma avviene propriamente, in modo umano, quando questo bisogno è superato e l’uomo è finalmente libero di operare sotto il segno della bellezza, in modo potremmo dire «spirituale»11. Tanto più drammatica è l’alienazione perché compromette questo livello dell’attività. E la diagnosi dell’alienazione ha senso proprio perché si riferisce a ciò che manca di essenziale alla buona riuscita di una vita. Nella recensione di Marcuse questo riferimento a un’essenza perduta e da recuperare imprime al messaggio una tonalità rivoluzionaria.

30Ora però l’idea di una pienezza originaria, che si degrada e viene infine riconquistata nella sua integrità nel tempo perfetto che segue la rivoluzione, ha perso, credo definitivamente, plausibilità. Al pari di una filosofia della storia orientata alla liberazione. Questo disincanto tuttavia non ci ha liberato semplicemente, com’è giusto, dalle illusioni, ma anche da ogni istanza ideale che possa muovere efficacemente la nostra azione. L’umanesimo, se non addirittura la bontà e la solidarietà come tali, vengono denunciati come un’ipocrisia. La gravità della crisi politica che stiamo attraversando è attestata proprio dal fatto che ci si debba occupare della salvaguardia di valori che dovrebbero darsi per scontati. Ma questa resistenza alla disumanità procede a volte con impaccio, visto che uno degli strumenti di resistenza, l’umanesimo, è stato abbandonato dagli intellettuali di sinistra, forse originariamente marxisti.

31L’abbandono, giustificato, di quelle speranze di un cambiamento radicale e totale che in una certa fase storica furono legate al concetto di rivoluzione, fa dimenticare che il riferimento all’idea di essenza e a quello reciproco di alienazione ha senso anche in un contesto meno infervorato. Possiamo avere evidenza di una contraddizione tra le esigenze di realizzazione umana e il sistema sociale in cui ci troviamo a vivere anche senza appellarci all’immagine edenica di un paradiso perduto e da riconquistare. La semplice riflessione su ciò che siamo o su ciò che siamo storicamente diventati, nelle nostre possibilità più alte, è più che sufficiente a fondare i nostri diritti e ad alimentare le speranze di riscatto. L’idea di essenza non richiama in fondo altro che l’orizzonte di un possibile che trascende le condizioni di fatto.

32Nei Manoscritti ci sono già accenni al superamento del concetto astratto di essenza. La storia dell’industria umana entra nella sua costituzione. Questo movimento di incarnazione storica dell’essenza diviene ancora più evidente nell’Ideologia tedesca.

33Alla problematizzazione di questo concetto contribuisce il confronto con Stirner (1845). Questi aveva formulato un concetto di unicità che pretendeva di mettere da parte qualsiasi valore universale. Marx reagisce contestando non tanto l’idea in sé di unicità, che anzi lo attrae, ma l’opinione imputata a Stirner che essa sia fruibile nell’attualità, senza passare attraverso una lotta, che richiede che i combattenti si facciano carico preventivamente dei loro ruoli di membri di un collettivo (classe)12.

34Ciascuno dei contendenti sottolinea una parte di verità (che però, separata dalla sua controparte, non è più verità). Stirner ha ragione di dire che se non ci si riconosce da subito come unici, nonostante ogni condizionamento, non lo si diventerà mai, neppure al termine di lotte sociali di liberazione da vincoli. Marx ha ragione di rimarcare che nessuna singolarità è possibile al di fuori di qualche ruolo (o maschera). La singolarità, come affermerà in modo più chiaro Simmel, è solo la maniera singolare di esprimere elementi comuni, e questi elementi comuni sono ciò che la tradizione ha designato essenza umana. Questa esiste solo in tensione con il singolo, sottolinea la non autosufficienza del singolo e le potenzialità di cui è capace.

35Vorrei concludere indicando una tensione riscontrabile a questo punto dello sviluppo di Marx che deriva dal suo non sapersi risolvere tra i due mondi non facilmente conciliabili degli autori che maggiormente lo influenzano, Feuerbach e Hegel. Dal primo trae un’idea destinata a permanere, in forme mutate, anche in futuro, quella che la dialettica non culmina nella negazione della negazione, ma ammette un al di là, che chiama (con Feuerbach) «positivo fondato su stesso», o anche, in termini sostantivi, umanesimo coniugato con il naturalismo. Quanto sia insistito questo motivo lo dimostrano le pagine del Capitale che pongono un regno della libertà oltre il dominio della necessità e della sua regolazione, o quelle della Critica del programma di Gotha, che teorizzano un principio dei bisogni che si afferma oltre quello del merito. Tuttavia il realismo politico di matrice hegeliana lo riconduce subito a richiamare l’attenzione sulle necessità del duro lavoro e della lotta politica per conseguire quegli obiettivi di maggior valore – su ciò che Hegel aveva designato negazione della negazione.

36La rappresentazione del comunismo come «compiuto naturalismo» non sembra facilmente conciliabile col tema dominante dell’uomo come autoproduzione. Si tratta di due logiche distinte, quella del tempo dispotico, che sopprime a ogni istante tutta la serie precedente, contro quella dello spazio tollerante della natura, capace di accogliere i diversi. La sensibilità, la passione, la natura sono mete che non cessano di esercitare una forte suggestione sul giovane Marx e che anche più tardi lo trattengono dall’idealizzare la regolazione razionale del regno della necessità come vera e propria meta dello sviluppo umano. Tuttavia noi sappiamo che alla fine il marxismo ha valorizzato poco questo patrimonio ideale riallacciandosi piuttosto al realismo della dialettica hegeliana, puntando cioè sul lavoro e sulla autorealizzazione nella vita produttiva.

Notes de bas de page

1 K. Marx, Introduzione ai Manoscritti economico-filosofici del 1844, edizione commentata a cura di F. Andolfi e G. Sgrò, Napoli-Salerno, Orthotes, 2018, pp. 7-27.

2 H. Marcuse, Neue Quellen zur Grundlegung des historischen Materialismus [1932], trad. it. in Id., Marxismo e rivoluzione. Studi 1929-1932, Torino, Einaudi, 1975, pp. 61-116.

3 Le osservazioni in merito contenute nei Manoscritti del 1844 (trad. it. cit., p. 100) sono riprese nella Storia delle teorie economiche (Torino, Einaudi, 1958, vol. ii, pp. 605 sgg.) come nel Capitolo vi inedito del Capitale (Firenze, La Nuova Italia, 1969, pp. 84-87).

4 Mega, 1, 3, p. 558.

5 In L. Feuerbach, Gesammelte Werke, a cura di W. Schuffenhauer, Berlin, Akademie Verlag, vol. xvii, 1988, pp. 376-379.

6 Cfr. F. Andolfi, Il positivo fondato su se stesso. La presenza di Feuerbach nei Manoscritti marxiani del 1844, “La società degli individui”, 62, 2018, pp. 63-76.

7 P. Norris, R. Inglehart, Sacro e secolare nel mondo globalizzato, Bologna, il Mulino, 2007.

8 K. Marx, F. Engels, Die deutsche Ideologie, in Mew, 3, p. 38; trad. it. L’ideologia tedesca, in Meoc, v, p. 39 sgg.

9 K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844 cit., p. 150.

10 Per una rassegna recente di reinterpretazioni dell’alienazione si veda la sezione Alienazione ed essenza umana, “La società degli individui”, 62, 2018, pp. 11-59.

11 K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844 cit., pp. 140-141.

12 Per il rapporto di Marx con Stirner rimando al capitolo «La teoria dell’individuo sociale» del mio Lavoro e libertà. Marx Marcuse Arendt, Reggio Emilia, Diabasis, 2004, pp. 129-141.

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