Il fondamento ultimo e l’ultimo fondamento
p. 179-187
Texte intégral
1L’ontologia di Franz Rosenzweig è costituita da tre elementi (Dio, mondo, uomo) irriducibili l’uno all’altro. Nelle intenzioni del filosofo, tale tripartizione del “nuovo pensiero” si contrappone all’intera tradizione della “vecchia filosofia”, la quale, invece, tende a ricondurre il tutto a unità, operando riduzioni ontologiche inaccettabili. «Dalla Jonia fino a Jena» – dal «Tutto è acqua» di Talete al «Tutto è Spirito» di Hegel – il pensiero ha di volta in volta creduto di poter ricondurre la complessità dell’essere a un unico fondamento. Espressione sintomatica di tale tendenza è la domanda filosofica per eccellenza: “Che cos’è?”. Ponendo il problema di cosa sia “propriamente” la cosa, la domanda circa l’essenza presuppone che la cosa non sia ciò che sembra essere, ma qualcos’altro. Secondo l’idealismo, per esempio, la natura non è natura, ma, propriamente, l’idea fuori di sé; oppure, dal punto di vista del materialismo, al di là delle apparenze, non vi è null’altro che materia. In tal senso, ogni “-ismo”, a prescindere dalla soluzione di volta in volta proposta, rappresenta una risposta riduzionista, perché tale è l’impostazione stessa della questione.
2La storia di queste indebite riduzioni a un unico fondamento, ricorda Rosenzweig, è stata spesso riassunta nelle «tre epoche della filosofia europea: l’antichità cosmologica, il medioevo teologico, l’epoca moderna antropologica»1.
1. Storia della filosofia (o del fondamento ultimo)
3Il fondamento ultimo trovato dalla filosofia è ciò che non è e non può essere messo in discussione dal pensiero, anzi, è ciò a partire da cui si può comprendere o mettere in discussione qualunque altra cosa. Il fondamento è l’assoluto, ovvero ciò che, etimologicamente, è sciolto da ogni legame, dunque non ha bisogno d’altro per sussistere, anzi, costituisce la realtà su cui si fonda l’essere di ogni altra cosa.
L’antichità cosmologica
4La prima epoca della storia del pensiero sarebbe caratterizzata dal fondamento cosmologico. Persino gli dèi, lungi dal creare il mondo, nascono dal mondo (teogonie elementari: terra, aria, acqua, fuoco) e vivono nel mondo (ciascuno nel suo elemento o in luoghi sacri). Se l’immortalità degli dèi sembra elevarli all’altezza del mondo, l’idea stessa di “teogonia” relega la loro eternità su di un piano inferiore rispetto al mondo, il quale, a differenza degli dèi, non ha inizio. Si può ricorrere al concetto di panteismo, purché non lo si concepisca retrospettivamente alla luce di ciò che è venuto soltanto in seguito: gli dèi non sono soggetti autonomi e trascendenti che stanno nel mondo, ma, al contrario, il mondo è l’unico “soggetto” autonomo caratterizzato da forze divine immanenti. Gli dèi non sono che parziali astrazioni delle singole qualità del mondo. Dai presocratici ad Aristotele cambia la percezione del divino (si passa da una concezione vicina al mito a una metafisica e razionale), ma senza mettere in discussione il fondamento mondano. Gli dèi, e tanto più gli uomini, sono soggetti alla necessità: fato e destino sono il presupposto del tragico. Non è possibile, quindi nemmeno pensabile, un corso degli eventi diverso da quello stabilito. L’eternità non è infinita durata del tempo, ma atemporalità uguale a sé stessa. Il tempo, per il divenire che lo caratterizza, è dimensione decaduta che si allontana dalla statica perfezione dell’eterno, ma ne conserva i tratti fondamentali in una versione mediata di immutabilità che è la ripetizione ciclica. Il circolo rappresenta l’immanenza, la compiutezza e l’unità del mondo in sé stesso.
Il medioevo teologico
5Con la seconda epoca, il cosmo è compreso nella sua unità e messo in discussione: perché il mondo? Da dove il mondo? Solo per poter concepire una tale domanda, occorre poter pensare la trascendenza di un punto esterno da cui guardare al mondo nel suo insieme. Il domandare stesso circa il mondo rappresenta il superamento dei confini del vecchio fondamento cosmico. Dio è il nuovo assoluto. Il mondo e l’uomo sono creature derivate. Quanto al tempo, esso si apre al novum: la circolarità è spezzata, poiché esistono un inizio e una fine assoluti (creazione e redenzione). La temporalità e la storia non sono più segnate dalla necessità e dal tragico, ma dalla possibilità (o per meglio dire: dalla promessa) del diverso, dunque dalla speranza. La fine e il fine dei tempi costituiscono la meta della teologia della storia.
6Il modello riduzionista tripartito, però, comincia a mostrare i suoi limiti già alla seconda epoca. Anche il nuovo fondamento, infatti, è unico, ma, rispetto al precedente, la trascendenza ha introdotto il germe di una irriducibile alterità. Se nel mondo antico gli dèi possono essere compresi come forze e caratteri del cosmo, nel medioevo ciò che è creato può conservare l’impronta divina, ma non è Dio.
L’epoca moderna antropologica
7Con la terza epoca della storia del pensiero si può dubitare anche dell’esistenza di Dio: essa, infatti, non è più l’evidenza ultima e indiscussa, tanto da dover essere razionalmente dimostrata2. Ciò che resiste al dubbio metodico è soltanto il dubitare stesso, dunque l’esistenza del dubitante. In tal modo il Cogito ergo sum si propone quale fondamento ultimo. Soggetto del dubbio e della dimostrazione dell’esistenza di Dio è l’uomo, che in prima persona e perfetta certezza può dire: sum. Con la fine del medioevo teologico, l’umanesimo e la modernità ridanno valore a ciò che la trascendenza medievale aveva svalutato: l’uomo (a favore di Dio), il corpo (a favore dell’anima), la natura e la fisica (a favore del soprannaturale e del metafisico). Dalla comprensione teologica della storia la percezione moderna del tempo eredita il fiducioso orientamento verso il futuro, ma si razionalizza nelle figure del progresso e delle diverse filosofie della storia. La radicalizzazione del processo porta al rifiuto della speranza teologica, intesa come dimensione trascendente la storia: la speranza collocata nell’al di là escatologico divino rappresenta il tradimento dell’al di qua storico umano. Tutto sembra ricondursi all’immanenza il cui fondamento ultimo è il soggetto umano razionale.
8Il Cogito stesso, tuttavia, costituisce un presupposto soltanto gnoseologico, non ontologico. Il discorso fondativo cartesiano è guidato dalla ragione umana, ma riconosce, in ultima analisi, la preesistenza di Dio e del mondo. La conoscenza stessa, in quanto razionale e autentica, non si fonda sul presupposto umano del Cogito, quanto sull’affidabilità di Dio. L’uomo giunge a mettere in discussione gli altri due elementi, ma, riconoscendo di non bastare a sé stesso, viene meno il carattere assoluto del fondamento. La storia dei saperi moderni – attraverso Copernico, Bruno, Darwin, Freud – non fa che rimarcare progressivamente la marginalità ontologica dell’uomo. L’assolutezza del nuovo fondamento umano prova a riproporsi un’ultima volta con l’idealismo e la concezione di un io non solo conoscitore, ma anche produttore del non io. Ciò avviene, tuttavia, al prezzo di una complessità irriducibile: il nuovo assoluto, infatti, pur rappresentato a immagine e somiglianza dell’uomo, non è comprensibile a prescindere da residui teologici e, per certi aspetti, mondani (per esempio i tratti panteistici che dal Rinascimento giungono alla filosofia classica tedesca attraverso Spinoza).
2. Modernità (o dell’ultimo fondamento)
9Sulla base di queste pur sintetiche considerazioni, appare chiaro come, con l’epoca moderna, salti definitivamente la plausibilità dello schema riduzionistico che cerca di ricondurre il fondamento a uno solo degli elementi considerati da Rosenzweig. La modernità, inoltre, può essere vista come l’epoca in cui l’ultimo fondamento mette in discussione anche sé e persino l’idea stessa della possibilità di individuare un fondamento ultimo.
La legittimità dell’età moderna
10Ciò che resta valido dello schema storico-ontologico precedentemente considerato è la rivendicazione di una autonomia almeno parziale della ragione umana. In tal senso, nel dibattito sulla modernità, la posizione di Rosenzweig può essere accostata a quella di Hans Blumenberg, il quale rivendica la “legittimità dell’età moderna”. Questa, infatti, si caratterizza per la positiva autoaffermazione della ragione umana e non per la negazione di un diverso principio come proposto da autori quali Karl Löwith e Carl Schmitt. Il moderno non è riducibile alla categoria della ‘secolarizzazione’, ovvero non può essere compreso come frutto illegittimo dell’espropriazione di un patrimonio altrui o come residuo depauperato di un’epoca precedente. La secolarizzazione è una chiave ermeneutica capace di mettere in luce analogie e persistenze teologico-medievali, ma non di cogliere l’essenza propria della modernità. La concezione della secolarizzazione come indebita sottrazione di qualcosa al legittimo e autentico proprietario può nascondere una visione nostalgica e regressiva della storia, o ciò che Theodor W. Adorno descrive come superstizione dell’origine, ovvero il considerare primo ciò che, banalmente, è stato prima.
La crisi della modernità e il ritorno di Rosenzweig al fondamento divino
11Muovendosi nel solco della “rivoluzione posthegeliana della filosofia”, Rosenzweig rifiuta le pretese dell’assoluto razionale di stampo idealistico, ma, d’altra parte, teme le derive relativiste dello storicismo e delle filosofie irrazionalistiche e vitalistiche3. La soluzione teoretica attraverso la quale egli ritiene di poter evitare gli opposti pericoli viene dal concetto di “rivelazione”. Questa, intesa come “orientamento” (da cui anche il riferimento alla “stella della redenzione”), consente al singolo di trovare le proprie coordinate ontologiche nella rete dinamica delle relazioni con gli altri uomini, con Dio e con il mondo. L’idea stessa di “orientamento” implica un riferimento sicuro (contro il relativismo), ma anche una irriducibile dualità (contro l’assolutezza dell’Uno-Tutto). Quanto al fondamento, il “nuovo pensiero” si caratterizza per una triade gerarchica: uomo, mondo e Dio sono i tre elementi costitutivi e irriducibili dell’essere, per cui nessuno dei tre è tutto, ma Dio costituisce l’origine degli altri due4. Con la riproposizione del fondamento divino, pur con la significativa correzione della distinzione tra Dio e totalità, il “nuovo pensiero” rappresenta un passo indietro dal punto di vista filosofico. La stella della redenzione si chiude con un richiamo alla semplicità e alla fiducia in Dio, che non è né semplicistico né fideistico, ma comunque religioso.
La lezione dei maestri del sospetto
12Una prospettiva filosoficamente più feconda può essere individuata nel metodo di coloro che Paul Ricœur definisce “maestri del sospetto”. La complessità e la ricchezza degli apporti riconducibili a questo orizzonte di pensiero sono accomunate anzitutto dalla determinazione nel condurre fino alle estreme conseguenze la critica al fondamento divino. I medesimi autori mettono in discussione anche il paradigma del pensiero moderno fondato sulla fiducia nel soggetto razionale e trasparente a sé stesso. La falsa coscienza, i condizionamenti ideologici, la componente inconscia dell’io reimpostano in modo radicale la questione del soggetto, per cui, piuttosto che di una res cogitans, si può parlare della risultante instabile di un campo di forze interne ed esterne. Nietzsche sottolinea tale complessità e problematicità, correggendo il celebre detto cartesiano in Cogito ergo est5. Questa riformulazione, oltre a non dare per scontato chi e cosa sia il soggetto pensante, introduce una alterità che la tradizione moderna relegava fuori dal soggetto. La terza persona dell’“est”, accostata alla prima persona del “cogito”, dice l’esperienza con cui l’io vive sé come un altro. Ripensando in termini di estraneamento il socratico “Conosci te stesso”, la filosofia contemporanea riparte da un soggetto ferito che, lungi dal proporsi come fondamento, è problema a sé stesso.
13I singoli contributi dei maestri del sospetto hanno peraltro mostrato essi stessi i propri limiti, finendo talora con il riproporre un’unica chiave di lettura del reale. Per questo, più che i risultati, sembra utile prendere in considerazione il metodo critico e autocritico che sottende e accomuna tali prospettive e che consente anche di ovviare ai limiti di ciascuna di esse. Tale metodo, in ultima istanza, non è altro che il metodo filosofico stesso.
La filosofia e i condizionamenti del pensiero
14In sintonia col principio aristotelico secondo il quale “l’essere si dice in molti modi”, la filosofia opera come critica dell’ideologia semplificante e come garante della complessità, diacronica e sincronica. Il tentativo di comprendere ogni cosa sulla base di un unico principio si fonda su un bisogno di razionalizzazione che, pur rassicurante, non rappresenta certo un buon maestro per il pensiero. L’appagamento derivante dalla presunta spiegazione di tutto in un sistema coerente è spesso difeso contro l’evidenza dei fatti. Uno dei sintomi ricorrenti di questa patologia del pensiero è il carattere della definitività con cui ciascuno tende a dipingere il proprio sistema, incurante, in questo, di non essere né il primo né l’unico a mostrare tale ingenuità. Persino grandi pensatori come Hegel o Marx, che pure fanno del divenire un dato costitutivo del reale, non resistono alla tentazione di prefigurare uno stadio della storia radicalmente e incomprensibilmente diverso, in cui il divenire è superato nella definitività e compiutezza. Ogni volta che “la fine della storia” è stata prefigurata o, tanto più, decretata, la storia stessa non ha mancato di smentire tali previsioni6.
15La filosofia del Novecento – ma, in un certo senso, tutta la tradizione nel suo versante critico e scettico – mette a frutto quel tanto di consapevolezza e di disincanto necessari a smascherare questi meccanismi. La libertà della filosofia dipende dalla capacità di comprendere nella propria prospettiva anche sé stessa. Si pone in tal modo il problema di liberare il pensiero dai condizionamenti che lo vincolano o, quanto meno, laddove ciò non sia possibile, di cercare di ovviare a questi impedimenti portandoli a coscienza e tenendone debitamente conto. La pretesa di pensare senza presupposti è tanto ingenua quanto impossibile, ma continua pur sempre a valere come preziosa idea regolativa. Tale istanza pone alla filosofia il compito di esercitare la più minuziosa autocritica allo scopo di portare entro l’angolo visuale della coscienza quanto più possibile dei presupposti del pensiero7. La comprensione della storia e il pensiero filosofico procedono per progressivi ampliamenti e crescente complessità. Ogni nuovo contributo – come per esempio i risultati della scienza e della tecnica, la concezione materialistica della storia, il ruolo dell’inconscio – costituisce un’apertura di senso, ma anche uno strumento ermeneutico per l’interpretazione del presente e per la reinterpretazione del passato.
16La filosofia è il tentativo di pensare di più e meglio, estensivamente e intensivamente. Per questo è necessario cercare di pensare altro e oltre. I maestri del sospetto insegnano a pensare l’impensato, a estendere e approfondire il campo d’azione del pensiero. La spinta a trascendere i limiti è un carattere costitutivo della filosofia capace di svelare le potenzialità anche di quel pensiero del «tutto è» di cui Rosenzweig ha mostrato i difetti. Bisogna infatti farsi un’idea del tutto per poter pensare altro dal tutto, più di tutto. Se omnis determinatio est negatio, anche il concetto di tutto è relativo, poiché basta affermarlo per porre al contempo ciò che tutto non è. Di per sé, il tutto, inteso come realtà e non come concetto, resta impensabile, poiché, non appena lo si rappresenta, non è già più tutto; ma proprio per questo, ogni tutto pensato consente di pensare oltre tutto.
17Più che dalla metafora statica del “fondamento”, questa dialettica del pensiero può essere descritta dalla metafora dell’“orizzonte”. La linea più remota della visibilità, infatti, può essere sempre spostata in avanti, ma mai superata. Per quanto possa essere avvicinato, l’orizzonte rimane ciò che sta davanti. Per quanto possa essere ampliato, l’orizzonte non fa che ribadire la dipendenza dal punto di vista, dunque la sua finitezza. Tale carattere è confermato dal fatto che, per restare nella metafora, ampliando l’orizzonte in una direzione, esso si restringe necessariamente in quella opposta, oppure, elevando lo sguardo fino a una visione panoramica, svanisce la percezione dei particolari, e viceversa.
18La filosofia, dunque, vive nella stretta paradossale tra la necessaria consapevolezza dei limiti del pensiero e la inesausta spinta a trascendere tali limiti. Come dice Adorno, la filosofia «è il tentativo di considerare tutte le cose come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione»8. Il condizionale è d’obbligo, perché «il pensiero che respinge più appassionatamente il proprio condizionamento per amore dell’incondizionato, cade tanto più inconsapevolmente, e quindi più fatalmente, in balía del mondo. Anche la propria impossibilità esso deve comprendere per amore della possibilità. Ma rispetto all’esigenza che così gli si pone, la stessa questione della realtà o irrealtà della redenzione diventa pressoché indifferente»9.
Notes de bas de page
1 F. Rosenzweig, Das neue Denken, “Der Morgen”, 1/4 (1925), in Franz Rosenzweig, Der Mensch und sein Werk (d’ora in poi: FR), Nijhoff, Dortrecht, 1984, vol. III, p. 143; trad. it. G. Bonola, Il nuovo pensiero, in Id., La scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, Roma, Città Nuova, 1991, p. 262.
2 Le dimostrazioni dell’esistenza di Dio non sono novità moderne, ma: 1) nell’Antichità, Aristotele, più che dimostrare l’esistenza di un Dio separato dal mondo, dimostra la necessità di alcuni tratti del fondamento mondano che ne rappresentano il carattere divino (finitezza, ordine, causalità, necessità). Non a caso le sue argomentazioni sono a posteriori e si fondano proprio su caratteri del mondo empiricamente esperiti. Si tratta, dunque, di un ragionamento immanente al suo presupposto mondano indiscusso. 2) Nel Medioevo, Anselmo e Tommaso, più che dimostrare l’esistenza di Dio, dimostrano la ragionevolezza di una fede che non viene messa mai realmente in discussione. La loro argomentazione è interna al discorso teologico, tanto che il Proslogion è una riflessione in dialogo con Dio. La novità dell’argomento a priori corrisponde al nuovo presupposto ultramondano, per cui si può pensare a prescindere dal vecchio fondamento, il mondo.
3 «Oggi l’oscuro gorgo di questo Scilla pare aver risucchiato tutti coloro che sono abbastanza intelligenti da saper scampare dalle fauci del Cariddi idealistico»: F. Rosenzweig, Das neue Denken, cit., p. 156; it. p. 276.
4 Attraverso la mediazione del pensiero schellinghiano, Rosenzweig si ricollega alla teoria qabbalistica dello Tzimtzum, secondo la quale l’En-Sof, l’infinito-tutto primordiale di Dio, si sarebbe liberamente ritratto in sé stesso, facendo spazio al nulla fuori di sé, per la creazione del mondo e dell’uomo. Cfr. F. Rosenzweig, Der Stern der Erlösung, Frankfurt a.M., Kauffmann, 1921, in FR, II, pp. 16, 31; trad. it. G. Bonola, La stella della redenzione, Casale Monferrato, Marietti, 1985, pp. 16, 31; F.W.J. Schelling, Die Weltalter, in Sämmtliche Werke, a cura di K.F.A. Schelling, Stuttgart, Cotta, 1856-1861, vol. VIII, pp. 195-344; trad. it. C. Tatasciore, Le età del mondo, Napoli, Guida, 1991.
5 Cfr. F. Nietzsche, Sämtliche Werke, Berlin, de Gruyter, 1980, vol. 11, Nachgelassene Fragmente 1884-1885, § 40[24]; trad. it. S. Giametta, Frammenti postumi 1884-1885, Milano, Adelphi, 1975, § 40[24].
6 Più in generale, Adorno sottolinea il rischio della reificazione del pensiero, tanto che «ogni termine filosofico è la cicatrice di un problema irrisolto». Cfr. T.W. Adorno, Philosophische Terminologie, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1973; trad. it. A. Solmi, Terminologia filosofica, Torino, Einaudi, 2007, p. 213. La fecondità della filosofia sta sicuramente nella capacità di porre domande, ma proprio questa consapevolezza rischia di tramutarsi essa stessa nel culto retorico della domanda, dunque, a sua volta, in una paradossale reificazione. La domanda sorge nel legittimo tentativo di trovare risposta. Il problema non sta nella ricerca della risposta, ma nella fretta di trovarne una, al fine di archiviare rapidamente la domanda e, soprattutto, la fatica che essa comporta.
7 L’ideale della piena trasparenza e della perfetta autocoscienza ripropone la questione dell’assoluto. Come nel caso di ‘trascendenza’, ‘tutto’ o ‘nulla’, anche l’‘assoluto’, se rigorosamente pensato nella sua purezza, più che un concetto rappresenta un limite del pensiero. Infatti, pur non essendo propriamente pensabili, pena la loro negazione, queste rappresentazioni costituiscono una sfida capace di portare il pensiero ai limiti delle proprie possibilità. In tal senso, anche il pensiero di Dio, se non reificato, resta una delle principali sfide ereditate dal pensiero filosofico e, non a caso, Feuerbach sostiene nell’Essenza del cristianesimo che «solo quando tu pensi Dio, tu pensi, parlando in senso rigoroso». Cfr. E. Jüngel, Feuerbachs Behauptung: “Nur wo du Gott denkst, denkst du, rigoros gesprochen” in Id., Gott als Geheimnis der Welt, Tübingen, Mohr Siebeck, 20012, pp. 188-195.
8 T.W. Adorno, Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben, in Gesammelte Schriften, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1951, vol. 4, p. 283; trad. it. R. Solmi, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Torino, Einaudi, 19942, p. 304, corsivo mio.
9 Ibidem.
Auteur
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