Vergegenwärtigung. Sfida e limite per la filosofia trascendentale
p. 162-170
Texte intégral
1. Osservazioni preliminari
1La parola Vergegenwärtigung, può essere tradotta in italiano con presentificazione e fa riferimento alla possibilità di rendere attuale una posizione filosofica del passato. Lo stesso termine dà il titolo a un noto saggio di Dieter Henrich: Vergegenwärtigung des Idealismus1. La Veregegenwärtigung rappresenta una parte essenziale della metodologia di ricerca storiografica elaborata da Henrich a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta e applicata con particolare efficacia alla ricostruzione della preistoria della filosofia classica tedesca: la cosiddetta Konstellationsforschung (ricerca per costellazioni, d’ora in poi KoFo)2. Già da qualche anno la ricerca per costellazioni è al centro di un intenso dibattito teorico che verte sui limiti, sui tratti fondamentali, sul livello di precisione e sulle possibilità di controllo dei suoi assunti metodologici3.
2Nel quadro di questa discussione la Vergegenwärtigung viene intesa come un’operazione che ciascuno di noi, anche solo implicitamente, compie allorché rivolge la sua attenzione a un autore o a una corrente filosofica del passato. Chiedersi se, e in che termini, un gesto di questo tipo sia possibile e legittimo significa porre il problema della recezione di un autore. La ricerca di Henrich si rivela un punto di partenza privilegiato per riproporre la questione e per ipotizzare alcune integrazioni alla risposta che Henrich stesso fornisce. A tal fine mi concentrerò ad approfondire due concetti che mi pare si trovino alla base della metodologia henrichiana: quello di comunicazione e quello di distanza. Sotteso a una riflessione di questo tipo vi è il proposito di articolare una base minimale di riflessività nella comprensione della relazione immediata che l’io ha con se stesso, particolarmente manifesta nel fenomeno dell’attenzione.
2. Konstellationsforschung: teoria della recezione e filosofia ricorsiva
3La KoFo è rilevante per almeno due ordini di ragioni. Innanzitutto per i suoi risultati empirici. La KoFo restituisce un’immagine del tutto nuova della filosofia post-kantiana, non più identificabile con la scansione kroneriana “Von Kant bis Hegel”, ma nemmeno con la risposta alla domanda “Kant oder Hegel?”4. Il secondo motivo è teorico: la ricerca empirica di Henrich è fondata su una teoria del soggetto che pretende di discriminare sulle domande urgenti nel presente o sui problemi vitali che legittimano l’evidenza delle prospettive sistematiche5.
4Lo scopo della KoFo, infatti, è quello di rintracciare la rete di motivi che porta alla formazione di una straordinaria quantità di concezioni che riflettono un rapporto multiforme con la filosofia di Kant. Le diverse concezioni, che formano lo spettro complessivo di ciò che viene chiamato “filosofia classica tedesca”, sono animate da una medesima tensione problematica. Dopo Kant l’esigenza di una comprensione della libertà concreta del soggetto si lega alla ricerca di una forma concettuale in grado di esprimerla in maniera rigorosa e complessa. La filosofia classica tedesca rappresenta cioè quel luogo in cui la domanda sul senso della vita si lega alla costruzione di una filosofia aus einem Prinzip.
5Va comunque mantenuto fermo il fatto che «la costruzione e l’argomentazione di ciascuna concezione, nella misura in cui sono filosofia, possono essere rappresentate in maniera indipendente dalle condizioni a partire dalle quali sono nate»6. Questo significa che la KoFo, pur descrivendo lo sviluppo della filosofia classica tedesca attraverso un’accurata certificazione del suo contesto, mira a coglierne gli sviluppi secondo percorsi argomentativi diversi dalle sue espressioni originarie. La filosofia classica tedesca, per essere realmente studiata e recepita, deve essere resa pensiero presente, contemporaneo. Senza Vergegewärtigung, infatti, non è possibile individuare i fattori problematici comuni ai membri di una costellazione e, per altro verso, risulta impossibile differenziare una costellazione dalle altre.
6La prospettiva sistematica e l’indagine storica e filologica si trovano perciò in un rapporto sintetico e produttivo. La visione sistematica dei problemi fornisce le ipotesi che guidano la ricerca empirica. La ricerca empirica conferma, o spinge a modificare, le ipotesi sistematiche. La KoFo è perciò diversa dallo studio della recezione di un autore, che nella ricerca specifica di Henrich è la recezione di Kant nella filosofia postkantiana e della filosofia postkantiana in età contemporanea. E si mostra anche differente da una storia delle idee, che parte da strutture concettuali immutabili e le assume come criteri per definire le coordinate dello sviluppo storico del pensiero.
7Il lavoro di Henrich presenta comunque due ordini di implicazioni. Il primo: l’idealismo tedesco, nella misura in cui riesce a legare in maniera rigorosa e complessa la domanda sul senso della vita e la ricerca di una filosofia come scienza che muove da un principio, rappresenta un modello che induce a formulare problemi filosofici generali e complessi, vitali e tecnicamente determinati. La filosofia classica tedesca, per questo motivo, sembra essere un’epoca filosofica privilegiata e forse anche l’unica che può essere recepita e presentificata in senso stretto. Il secondo: se è vero che la KoFo assume come epoca privilegiata la filosofia classica tedesca, allora il suo modo di procedere sembra essere ricorsivo. I criteri per la comprensione di un determinato oggetto o stato di cose (cioè lo studio dell’idealismo tedesco) sono giustificati dall’oggetto stesso che viene recepito (cioè dall’idealismo tedesco in quanto espressione di un’epoca determinata dalla tensione fra domanda sul senso della vita e ricerca di una forma concettuale rigorosa).
8Questi due aspetti della KoFo inducono a sospettare che essa non valga per tutta la storia della filosofia. Nondimeno, però, la KoFo esprime un’esigenza significativa: il rigore della ricerca storico-filosofica deve coesistere con la possibilità di ricostruire il passato attraverso i bisogni del presente.
3. Comunicazione e distanza
9La complessità della KoFo può essere resa ancora più esplicita considerando due presupposti attorno ai quali essa viene costruita: un particolare concetto di comunicazione come trasmissione non verbale del pensiero e una concezione della distanza come autodistanziamento riflessivo del soggetto rispetto a se stesso.
10La KoFo pone senz’altro un problema sotto il profilo diacronico. Si devono infatti indagare le condizioni di possibilità per elaborare un problema filosofico omogeneo tanto a una costellazione osservata, quanto ai bisogni del presente. La ricerca per costellazioni non sviluppa i contenuti della filosofia classica tedesca perfezionandoli progressivamente, e dunque interagendo con un orizzonte passato dato una volta per tutte. La KoFo ne esplicita, ne rinnova e ne riconfigura i motivi. In questo modo la legittimità della formulazione fattuale di un pensiero (ciò che nelle costellazioni della filosofia classica tedesca viene “detto”) viene chiarita in funzione di una struttura universale di pensiero che la trascende (quel modello sistematico che la KoFo costruisce attraverso la presentificazione).
11Non opera una effettiva Vergegenwärigung colui il quale è in grado di recepire e ripetere quanto viene detto (o trasmesso) da una tradizione, ma chi è in grado di riformulare autonomamente, e con linguaggi di volta in volta diversi, le strutture concettuali generali che la tradizione riesce a dischiudere. La ricerca sulle condizioni del detto deve cedere il passo a quella sulle condizioni del dire7. La comunicazione, prima ancora che come strumento per l’interazione del sé e dell’altro, esibisce il processo mediante il quale un singolo individuo inscrive consapevolmente i risultati del suo esercizio di pensiero in un orizzonte più ampio definito da strutture concettuali che non coincidono con la formulazione effettuale che le esprime. In questo modello di comunicazione il soggetto, prima ancora che trasmettere un contenuto, sacrifica l’arbitrio della propria creatività individuale a una legge superiore la quale, da una parte, è consaputa a priori sotto forma di sentimento e, dall’altra, si manifesta nella “chiarezza dello sguardo”8.
12Ora, la chiarezza dello sguardo è frutto di un vedere e di un operare attento del soggetto che si rapporta a uno stato di cose e che, per fare questo, prende le distanze rispetto a esso e, proprio in virtù di questa distanza, giunge a determinare il livello di condivisibilità dei suoi asserti. La Vergegenwärtigung, dunque, presuppone un distanziamento del soggetto da se stesso.
13È a questo livello che la definizione della KoFo si salda alla teoria del soggetto elaborata da Henrich. La tensione problematica da cui muove la filosofia classica tedesca trova, infatti, il suo pendant speculativo nella comprensione della soggettività come rete multiforme di conflitti9. La ricerca di un piano per la loro soluzione spinge alla formulazione di pensieri della conclusione (Abschlussgedanken) e alla concretizzazione di questi pensieri in una metafisica della conclusione, che Henrich concepisce sostanzialmente come una metafisica esplorativa. La metafisica esplorativa risolve i conflitti solo su un piano virtuale: non attraverso la costruzione di un sapere ultimativamente fondato, ma mediante pensieri che rinnovano l’esigenza della ricerca di una soluzione ultima. Allo stesso modo la KoFo mostra come il punto determinante della filosofia postkantiana non sia una concezione dell’assoluto come supersintesi, ma il tentativo di rendere chiara a se stessa, rivelandone la dinamica interna, quella vita cosciente che prende necessariamente avvio all’interno di conflitti irresolubili a livello primario10.
14È dunque il presupposto del sapere di sé che – tanto nel corso della storia, quanto nello sviluppo di una teoria – rende possibile una risoluzione della conflittualità interna al soggetto. Ma sapere di sé è sapere di secondo livello. Sapere di secondo livello è sapere riflessivo: sapere che si ottiene distogliendo lo sguardo da un oggetto esterno e riportandolo al soggetto stesso che lo produce. La domanda sul chi dell’io dischiude perciò la possibilità di problematizzare la riflessività come capacità di racchiudere i conflitti di una vita in una forma unitaria e di controllarne gli sviluppi. In questo senso, la riflessività può essere compresa come capacità di differenziare fra le tendenze primarie che si trovano alla base del nostro rapporto con il mondo: nella riflessione viene consaputo ciò che si fa e, attraverso questa consapevolezza, vengono differenziate le tendenze spontanee della vita cosciente. Una seconda importante caratteristica della riflessività è il distanziamento: riflettere significa prendere le distanze dalle tendenze primarie, al fine di comprenderle in un pensiero integrale. Allo stesso modo in cui nella ricerca per costellazioni la Vergegenwärtigung implica una presa di distanza rispetto al passato, ma anche la formulazione di un modello sistematico che permette di comprenderne le diverse linee di sviluppo e di integrarle fra loro.
15Queste analogie, che potrebbero anche risultare estrinseche, trovano una possibile soluzione se si guarda alla definizione henrichiana dell’autocoscienza. Nel saggio sull’Io di Fichte Henrich enuclea quattro componenti dell’autocoscienza. Le prime due – l’autocoscienza è un’attività ed è originariamente motivata solo da se stessa – servono a scardinare ogni teoria della riflessione come base per rispondere alla domanda su che cosa sia l’autocoscienza stessa. Gli altri due – l’io ha bisogno di un concetto di sé, ma non può produrlo e solo nel concetto di sé l’io sa di sé – riabilitano la riflessione in funzione del sapere di sé, e dunque in funzione dell’articolazione discorsiva del momento originario dell’autocoscienza.
16Il terzo momento è quello che tocca più da vicino il nesso fra riflessione e distanza: l’io ha bisogno di un concetto di sé, ma non può produrlo. Il concetto di sé designa, infatti, due realtà in una: l’attività e il sapere di essa. Entrambe sono da pensare nell’unità inscindibile e sincronica che caratterizza la autocoscienza. La complessità coincide qui con l’unità fra la posizione razionale (sapere di sé, concetto di sé), con ciò che la motiva per essenza (bisogno di un concetto di sé come momento necessario per la risoluzione dei conflitti in un pensiero integrale).
17Il discorso di Henrich si regge su un presupposto che a mio avviso è antropologico e trascendentale a un tempo, il quale lascia emergere la funzione decisiva dell’attenzione11. L’attenzione svolge, infatti, una funzione ritenzionale e protenzionale. Nel prestare attenzione l’io si appropria di ciò su cui focalizza lo sguardo e diviene immediatamente consapevole di sé come di colui che esercita un certo tipo di attività (ritenzione: comprendo ciò su cui focalizzo il mio sguardo, ma anche il fatto che sono io a esercitare l’attività di comprensione). Prestando attenzione, in secondo luogo, l’io prende le distanze dalle sue tendenze primarie e formula un sapere di secondo livello: cioè un sapere di sé che mira alla genesi della propria attività e dunque alla definizione analitica di un concetto dell’io. Nel concetto non si trova altro che la riformulazione di ciò che a livello primario viene colto come originario (protensione: riformulo il risultato della mia comprensione come valido anche per altri eventi possibili ancora solo su un piano ideale). Letto in questa chiave, il concetto dell’io è dato e fatto a un tempo. Dato, perché l’attività dell’io emerge come coglimento delle determinazioni della propria attività. Fatto, perché tale coglimento coincide con l’attività stessa.
18Una medesima dinamica emerge, ora, nella Vergegenwärtigung propria della KoFo. Il lavoro storico-filologico (il prestare attenzione a un fatto) è necessario per marcare le distanze rispetto a un evento passato. L’attività di riformulazione delle problematiche caratterizzanti un’epoca passata è però decisiva per mostrare se e come quel passato sia in grado di motivare la sua recezione, la sua problematizzazione e, in ultima analisi, l’esercizio di pensiero che muove da esso.
19La distanza appare, dunque, come la struttura propria dell’autocoscienza e come la condizione di possibilità per la formazione di un pensiero integrale quale via per la soluzione virtuale dei conflitti che costituiscono la vita cosciente in quanto vita concreta. Nella ricerca per costellazioni si mette in opera questa stessa dinamica e si mette in luce il luogo nel quale e dal quale questo modello prende vita: il moderno come epoca in cui la filosofia viene identificata con la ricerca dell’irresolubile e la comprensione della vita umana all’insegna della ricerca della libertà e dell’autonomia. Questa è la caratteristica inaggirabile del moderno:
La coscienza moderna vive nella tensione che […] è stata il problema fondamentale di Fichte […] Da un lato l’esser-sé si mantiene nel costante movimento che da lui scaturisce e dal suo immediato contatto con se stesso. Ma dall’altro lato è consapevole del fatto che, avendo perso il collegamento con una realtà oggettuale che lo vincola e lo giustifica, è ciononostante vivificato e anche sopravanzato da una realtà che lo fonda. L’esser-sé non può mai volere rappresentare questa realtà come un oggetto. Solo attraverso il modo in cui l’esser-sé si realizza e si comprende nella sua realizzazione può anche corrispondere alla realtà che lo fonda […] Fu questa scoperta che fece diventare Fichte anche il visionario di un possibile futuro della vita umana che sia pervenuta alla coscienza della propria libertà. Il pensiero del presente dovrebbe sapersi solidale con lui12.
4. Prospettive?
20La KoFo può dunque essere interpretata come una via che radicalizza l’assunto trascendentale implicito nella teoria del soggetto alla luce di un recupero del problema della storia. L’identificazione della KoFo con una forma di filosofia trascendentale, o anche con una sua applicazione, corre il rischio di riportare la procedura impiegata con successo da Henrich a ciò che essa esplicitamente nega di essere: una Grundsatzphilosophie di tipo reinholdiano o fichtiano13. È possibile recepire e presentificare, nei termini propri della KoFo, un’epoca diversa da quella in cui matura la filosofia classica tedesca?
21Se si assume la KoFo come tecnica di ricerca, si può rispondere affermativamente, ma il prezzo da pagare è un’apertura indefinita delle costellazioni all’universo di una storia delle idee. In questo caso la KoFo viene a perdere una delle sue caratteristiche più interessanti, e cioè la compiutezza ricorsiva.
22Se si assume la KoFo come sostenuta e giustificata da una teoria trascendentale del soggetto si deve rispondere negativamente, perché, come abbiamo visto, solo la filosofia classica tedesca può essere realmente presentificata. In questo caso la KoFo preserva la sua integrità, ma si ripiega su se stessa.
23La comprensione della riflessività come attenzione a sé mette in campo un livello diverso. Non è importante decidere teoricamente sull’identità (e forse anche sull’entità) della KoFo. È però decisivo avviare una ricerca che, senza cedere a tentazioni scettiche e/o relativistiche, arrivi a determinare secondo principi la possibilità che una teoria (e anche una teoria della storiografica filosofica) torni sempre su se stessa a riformulare i suoi criteri di validità e il suo orizzonte di applicazione. In questo senso il problema aperto dalla Vergegenwärtigung è un limite e una sfida per la filosofia trascendentale. Limite, perché la filosofia trascendentale, pur dovendo prendere le mosse da un fatto, non arriva mai a dedurlo o a costruirlo completamente. L’individualità, e in particolare l’individualità storica, non si lascia mai ricondurre pienamente a ragione, ma rappresenta il rovescio stesso della ragione, l’elemento che consente alla ragione di articolarsi come operatività teoretica e pratica14. Sfida, perché la filosofia trascendentale è tenuta, in quanto pensiero che torna sempre su se stesso, a farsi carico di questa sua insufficienza. Questo è ciò che consente alla KoFo di aggirare sempre di nuovo la definizione rigorosa del suo status e di riformulare la questione della sua validità nei termini del consenso motivato dai risultati ottenuti sul piano empirico. Non si tratta di una conclusione, ma dell’inizio di una nuova sfida.
Notes de bas de page
1 D. Henrich, Vergegenwärtigung des Idealismus, in Id., Die Philosophie im Prozess der Kultur, Frankfurt a. Main, Suhrkamp, 2006, pp. 228-248.
2 Su questo cfr. F. Ferraguto, Recezione e Vergegenwärtigung dell’idealismo, “Fenomenologia e Società”, 32/5 (2009), pp. 57-67.
3 I termini del dibattito sono espressi in M. Mulsow e M. Stamm (a cura di), Konstellationsforschung, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 2005 e, in particolare, da D. Henrich, Konstellationsforschung zur klassischen deutschen Philosophie. Motiv-Ergebnis-Probleme-Perspektiven-Begriffsbildung, in Konstellationsforschung, cit., pp. 15-30, p. 23. Per una critica visione d’insieme dei contenuti di questo volume rinvio alla recensione di L. Ostaric, “Internationales Jahrbuch des Deutschen Idealismus”, 2006, pp. 354-361 e a F. Fabbianelli, Alle origini della filosofia classica tedesca. Gli antecedenti dell’idealismo nell’interpretazione di D. Henrich, “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, 2006, pp. 350-361.
4 D. Henrich (a cura di), Kant oder Hegel?, Stuttgart, Cotta, 1983. I risultati del lavoro storiografico di Henrich vengono espressi in maniera globale almeno in D. Henrich, Konstellationen. Probleme und Debatte am Ursprung der idealistischen Philosophie (1789-1795), Stuttugart, Cotta, 1991 e Id., Grundlegung aus dem Ich, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 2004.
5 D. Henrich, Konstellationen, cit., p. 221.
6 D. Henrich, Konstellationsforschung zur klassischen deutschen Philosophie. Motiv-Ergebnis-Probleme-Perspektiven-Begriffsbildung, cit., p. 23.
7 Questo modello rende più agevole la comprensione di quanto Henrich sostiene per distinguere criticamente la propria proposta filosofica da quella di Habermas. La teoria dell’agire comunicativo è il riflesso di una metafisica naturalistica, perché antepone la presenza reale di una comunità di individui che interagiscono linguisticamente alla formazione di un soggetto cosciente di sé. Mentre, secondo Henrich, «bisogna partire dal presupposto che la relazione linguistica ha luogo in un quadro complesso di attività intelligenti che non si trovano l’una con l’altra in un rapporto progressivo» ma trovano nell’autorelazione lo sfondo che permette loro di esplicarsi (cfr. D. Henrich, Metafisica e Modernità. Il soggetto di fronte all’assoluto, a cura di U. Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, 2009, pp. 130 ss.).
8 Ho chiarito questi passaggi dal punto di vista teorico interpretando alcuni testi di J.G. Fichte, cfr. F. Ferraguto, Filosofare prima della filosofia. Il problema dell’introduzione alla dottrina della scienza di J.G. Fichte, Hildesheim, Olms, 2010.
9 D. Henrich, Metafisica e modernità, cit., p. 118.
10 Ivi, p. 122.
11 Per comprendere la portata della nozione di attenzione, sia sul piano teorico, sia per una più ampia comprensione della filosofia classica tedesca, cfr. M. Maesschalk, L’attention chez Fichte comme «phénoménologie de la raison». Essai d’une généalogie, in Idéalisme et phénoménologie, a cura di M. Maesschalck e R. Brisart, Hildesheim, Olms, 2007, pp. 159-183; M. Dessoir, Geschichte der neueren deutschen Psychologie. Zweite völlig umgearbeitete Auflage, Band I, Berlin, Duriker, 1902, pp. 412-420 e D. Braunschweiger, Die Lehre von der Aufmerksamkeit in der Psychologie des 18. Jahrhunderts, Diss., Würzburg, 1899.
12 D. Henrich, Metafisica e Modernità, cit., pp. 57-58.
13 D. Henrich, Konstellationen, cit., pp. 11-13.
14 Questo aspetto è particolarmente evidente nella ricostruzione della filosofia postkantiana fornita da E. Lask, Fichte’s Idealismus und die Geschichte, Tübingen, Mohr, 1902.
Auteur
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Volontà, destino, linguaggio
Filosofia e storia dell’Occidente
Emanuele Severino Ugo Perone (éd.)
2010
Estraneo, straniero, straordinario
Saggi di fenomenologia responsiva
Bernhard Waldenfels Ugo Perone (éd.)
2011