Il soggetto e la fenomenalità dell’altro. A partire da Lévinas e Marion
p. 146-153
Texte intégral
1Nel dibattito filosofico contemporaneo la tematica dell’«altro» assume notevole rilevanza almeno a partire dalla trattazione husserliana dell’intersoggettività, il cui luogo canonico è rappresentato dalle Cartesianische Meditationen. La genesi fenomenologica di tale tematica si riflette nelle posizioni filosofiche espresse da Emmanuel Lévinas e Jean-Luc Marion, i quali hanno tentato una rivisitazione radicale della fenomenologia husserliana, configurando in modo diverso – ma con un comune riferimento a Kant – il rapporto tra il soggetto e l’altro. Infatti, mentre Lévinas ritiene che l’appello etico proveniente da altri ecceda l’ambito della fenomenalità – il volto dell’altro non è «fenomeno» –, nella «fenomenologia della donazione» elaborata da Marion tale ambito include anche fenomeni non oggettivabili come il volto d’altri, che appartiene alla classe dei «fenomeni saturi». Nel seguito si analizzeranno i motivi che stanno alla base di questa differenza, la quale risulta connessa alla diversa nozione di soggetto nei due pensatori; tale confronto permetterà inoltre di delineare una concezione della soggettività che, riconoscendo la singolarità dell’altro, attesti l’ineludibilità e la peculiarità della dimensione etica.
1. Coscienza e donazione: l’inversione dell’intenzionalità
2Tanto Lévinas quanto Marion hanno tentato di affrancare la fenomenologia dal privilegio che Husserl aveva accordato alla coscienza, seguendo tuttavia strade diverse. In Totalité et Infini Lévinas si è attenuto alla concezione husserliana della coscienza – ci si consenta quest’approssimazione – soltanto per quanto concerne le relazioni con gli oggetti, laddove il «volto» di Autrui sarebbe in grado di operare una «rottura della totalità»1 costituita dal Medesimo, sottraendosi alla sua Sinngebung. Nella relazione con l’altro avrebbe luogo pertanto un’epoché della fenomenologia2, una «sospensione» che deriva dall’appello etico d’altri; la fenomenologia, nel suoi tratti ancora husserliani, avverte di dover cedere il passo a un’istanza ‘altra’, espressa dall’etica – dalla relazione etica – in quanto «filosofia prima»3. In questo senso, l’impostazione lévinasiana può ancora ritenersi fenomenologica – di là da quanto rivendicato dallo stesso Lévinas4 – solo stravolgendo il significato di tale espressione.
3Al contrario, Marion si è rivolto alla fenomenologia individuando in essa – al pari di Husserl – la nuova «filosofia prima», una volta svincolata dal primato dell’ousia e dell’ego trascendentale5; connettendo la Gegebenheit alla Reduktion, Husserl avrebbe infatti consentito alla fenomenologia di «rivendicare il titolo di filosofia prima»6. Il principio fenomenologico proposto da Marion al termine di Réduction et donation – «autant de reduction, autant de donation [tanta riduzione, altrettanta donazione]»7 – permette di ripensare sia la prote philosophia dell’ousia (aristotelica) che la prima philosophia dell’ego (cartesiano)8, stabilendo che la fenomenologia deve riferirsi a ciò che è assolutamente dato9. La riduzione, ovvero l’«operazione» che ogni fenomenologia mette in atto10, consiste «nell’attenersi soltanto a ciò che è veramente dato. […] Ed è sulla base di ciò che è dato che posso successivamente costituire i fenomeni, andando dai dati assolutamente ridotti ai dati meno ridotti»11. Tuttavia, la donation non è assimilabile alla Gegebenheit husserliana, dato che non è limitata all’oggettualità, ma risulta incondizionata. Se quindi il dato acquisisce una rinnovata centralità nella concezione proposta da Marion12, poiché si sottrae alla presa del soggetto in ragione della sua fenomenalità, esso risulta invece confinato da Lévinas – a causa della sua polemica antiepistemologica – a ciò di cui la coscienza può prendere possesso. Infatti, egli intende la conoscenza esclusivamente in termini di immanenza e di «conferimento di senso», connettendola a un soggetto «assoluto» in quanto assolutamente separato13, che solo un appello etico proveniente da un altro altrettanto assoluto può infrangere.
4Il concetto di esperienza, che Lévinas adotta inizialmente in relazione all’«idea dell’infinito»14, viene in seguito riferito esclusivamente agli oggetti: di Autrui non vi sarebbe esperienza, perché quest’ultima è sempre – senza eccezione alcuna – relativa a un soggetto che se ne appropria, mentre «l’etica è […] l’al di là dell’esperienza»15. Marion estende invece tale concetto anche ai fenomeni non oggettivabili, tra i quali vi è il volto d’altri; a tale riguardo, egli ritiene che l’eccesso dell’intuizione rispetto al concetto – ferma restando la concezione husserliana del fenomeno come «riempimento» (Erfüllung) del concetto da parte dell’intuizione16 – dia luogo a un «fenomeno saturo», che non è oggettivabile poiché eccede le condizioni di possibilità dell’esperienza, le quali, poste dal soggetto (trascendentale), sono sempre riferite a oggetti. Di qui l’«equivocità» della nozione di esperienza, che non risulta affatto limitata all’oggettualità, potendo invece trasgredire la propria accezione trascendentale, tramutandosi in “contro-esperienza”. Nei fenomeni saturi l’intenzionalità è contraddetta dall’eccesso di intuizione, la quale «vi dispiega un sovrappiù (surcroît) che il concetto non può ordinare»17, come avviene nel caso del volto d’altri, il cui sguardo oppone resistenza a quello del soggetto. Il volto altrui è «una contro-intenzionalità, che non si manifesta diventando visibile, ma rivolgendomi il suo sguardo […], attraverso la responsabilità che suscita nei miei riguardi»18.
5Anche Lévinas pone un limite all’attività costitutiva della soggettività, ma l’«inversione» dell’intenzionalità espressa in Autrement qu’être19 è concepita come «esposizione» ad altri. In questa prospettiva, «la soggettività del soggetto è la vulnerabilità, esposizione all’affezione, sensibilità, passività più passiva di ogni passività, tempo irrecuperabile, dia-cronia»20. L’inversione dell’intenzionalità assume quindi un rilievo etico, tanto che «la responsabilità per Altri […] non significa affatto lo svelamento di un dato (donné) e la sua recezione o percezione, ma l’esposizione di me ad altri, preliminare a ogni decisione»21 – esposizione «originaria», rivelata dalla «coscienza morale» che ‘inquieta’ il sé ogni volta in cui viene meno alla propria responsabilità, avvertita come Bene. Tale connotazione etica risulta del tutto assente dal pensiero di Marion, il quale intende attenersi al piano dei fenomeni, escludendo ogni riferimento alla trascendenza – i cui tratti rimangono tuttavia ambigui22 – e attuando così una radicalizzazione dell’immanenza.
6La controintenzionalità è propria dei fenomeni saturi come tali – «ogni tipo di fenomeno saturo […] inverte l’intenzionalità»23 –, che Marion descrive seguendo la tavola kantiana delle categorie: oltre all’‘evento’, all’‘idolo’ e alla ‘carne’ (chair), vi è il volto d’altri in quanto “icona”24. Se da un lato l’icona è “inguardabile”, dall’altro essa «esercita a ritroso il suo sguardo su colui che l’affronta»25, chiamandolo alla responsabilità. Ciò nonostante, l’appello altrui può essere eluso, anche se «il disprezzo dello sguardo d’altri non ha qui un senso innanzitutto etico, ma l’accezione strettamente fenomenologica di ricusare, rifiutare ed evitare il faccia a faccia»26. Questo passo rivela che in Marion è del tutto sottaciuta la rilevanza etica della relazione con l’altro, che è ancora più evidente quando ci si sottrae alla responsabilità. Certo, egli riconosce che il volto «compie forse più di ogni altro fenomeno […] l’operazione fenomenologica dell’appello», e tuttavia proprio per questo «deve definirsi non solamente come l’altro dell’etica (Lévinas), ma più radicalmente come l’icona che impone il suo appello»27. L’appello etico si limiterebbe pertanto a esemplificare un avvenimento fenomenologico più originario.
2. L’altro tra ‘fenomeno’ e ‘noumeno’ e la responsabilità del soggetto
7Nel pensiero di Lévinas vi è una fondazione del senso sulla base dei dati percettivi, tranne nel caso di Autrui, il cui sguardo si impone al soggetto eccedendo le forme pure della sensibilità; in questa prospettiva, «il prossimo mi concerne […] prima di ogni a priori», mi riguarda «senza apparire»28. In quanto “espressione” immediata – e non “svelamento” di un dato –, l’altro non rientra nell’ambito della fenomenalità, che per Lévinas è sottoposto interamente al potere di oggettivazione del soggetto: l’altro non è ‘fenomeno’ ma ‘noumeno’. Sebbene Lévinas ricorra a questo “concetto limite” (Grenzbegriff) kantiano anzitutto al fine di circoscrivere le pretese della fenomenalità29, il noumeno lévinasiano assume in realtà anche un significato positivo, dato che l’“espressione” d’altri si traduce in comando etico, nel commandement “non uccidere!”. In questo senso, «Altri che si esprime non si dà (donne)»30, ma si manifesta kath’auto31. Al contrario, la fenomenologia della donazione intende attenersi a ciò che è fenomeno: nella misura in cui si mostra, nemmeno il volto altrui può sottrarsi alla fenomenalità. Alla domanda sulla possibilità di rinunciare a considerare il volto come fenomeno, Marion risponde che certi fenomeni possono apparire «in quanto inguardabili. […] Dobbiamo a Lévinas l’averlo stabilito, determinando per la prima volta il modo della fenomenalità propria del volto»32. In realtà, Lévinas ha sottratto il volto alla fenomenalità, perché in quest’ultima ricade tutto ciò di cui il soggetto può prendere possesso. Riguardo al commandement “non uccidere!”, Marion riconosce che «si tratta di un fatto, impellente quanto un fatto della ragione»33 (è chiaro il riferimento a Kant); tuttavia, in De surcroît egli sostiene che tale comando si impone «anzitutto come un’ingiunzione, indipendentemente dal suo contenuto»34, non riconoscendo così la peculiarità dell’appello etico, considerato alla stregua di altre ingiunzioni.
8Quanto al tema del soggetto, in Étant donné Marion sostituisce all’io trascendentale diverse ‘figure’, anzitutto quella del «testimone», il quale «non esercita […] più né alcuna sintesi né alcuna costituzione […]; la sua donazione di senso (Sinngebung) si inverte»35, poiché il fenomeno ha in sé stesso il suo senso. Al testimone succede l’«attributario», che, come un filtro, «trasforma la donazione in manifestazione, […] permette a ciò che si dà […] di mostrarsi»36. Infine, nel caso del fenomeno saturo l’impatto di ciò che si dà si radicalizza in «appello» e l’attributario in «adonato» (adonné), il quale «si riceve interamente da ciò che riceve»37, ovvero dalla donazione. Si tratta di una figura della soggettività di tipo fenomenologico, del tutto priva di connotati etici; il sé non è pertanto all’accusativo, come il soggetto lévinasiano che è chiamato a rispondere ad altri, ma al dativo: «io mi ricevo dall’appello che mi dà a me stesso»38. Marion riprende alcuni tratti della soggettività descritta da Lévinas in Autrement qu’être – dove «la parola Io significa eccomi»39 –, sopprimendo tuttavia ogni aspetto etico da tale descrizione, poiché l’adonato non è chiamato a rispondere all’altro in quanto tale, ma ai fenomeni; infatti, egli ritiene che la questione non consista nel «decidere se l’adonato è innanzitutto responsabile verso altri (Lévinas)», ma nel comprendere che tale responsabilità deriva dalla «funzione originaria di dover rispondere di fronte al fenomeno»40 – una responsabilità quanto meno singolare, nella quale il debito verso l’altro è ricondotto a un répons indifferenziato.
9Al contrario, per Lévinas il principium individuationis del soggetto è la responsabilità (infinita) per altri41, che tuttavia non considera l’altro nella sua singolarità, il quale appare in realtà come un’istanza impersonale e «astratta» – al pari della tanto criticata legge morale kantiana –, che avrebbe l’unica funzione di richiamare all’etica. Marion denuncia quest’«aporia» del volto42, tentando di risolverla in termini di ‘interdonazione’43, assumendo l’amore quale principio di individuazione dell’altro44. Tuttavia, si può superare tale astrattezza in un’altra direzione, riconoscendo allo stesso tempo, grazie a Lévinas, la peculiarità della dimensione etica: il ‘fatto’ ineludibile del sentirsi infinitamente obbligati verso l’altro – rivelato dalla coscienza morale, che ‘inquieta’ il soggetto nel momento in cui viene meno a ciò che dovrebbe fare – dev’essere disgiunto dall’idea insostenibile dell’«univocità originaria dell’espressione»45 d’altri, che invece reclama un’ermeneutica infinita46. A tale riguardo, in Totalité et Infini Lévinas riconosce che «il volto parla»47, che la relazione etica è linguaggio – al quale Marion dedica scarsa attenzione –, per cui l’ascolto non può che configurarsi come un’infinita interpretazione. Nella sua singolarità, il volto dell’altro chiama il soggetto alla responsabilità secondo una misura che si ricava dalla situazione concreta, a cui Lévinas si riferisce parlando del «terzo» e della «giustizia»48, senza tuttavia delinearla, se non con gesti troppo rapidi.
Notes de bas de page
1 E. Lévinas, Totalité et Infini. Essai sur l’extériorité, Paris, Le Livre de Poche, s.d., p. 30; trad. it. A. Dell’Asta, Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità, Milano, Jaca Book, 19902, p. 38. Nelle citazioni ci si è talora discostati dalle traduzioni italiane esistenti.
2 Cfr. J. Derrida, Adieu à Emmanuel Lévinas, Paris, Galilée, 1997, p. 95; trad. it. a cura di S. Petrosino, Addio a Emmanuel Lévinas, Milano, Jaca Book, 1998, p. 114 ss.
3 Cfr. E. Lévinas, Totalité et Infini, cit., p. 340; it. p. 313.
4 Cfr. E. Lévinas, Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Paris, Le Livre de Poche, s.d., p. 280; trad. it. S. Petrosino e M.T. Aiello, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Milano, Jaca Book, 1983, p. 226.
5 Cfr. J.-L. Marion, Dialogo con l’amore, a cura di U. Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, 2007, p. 35.
6 Ivi, p. 51. In essa «non c’è fondamento perché il suo scopo è lasciare i fenomeni apparire in sé e da sé» (ivi, p. 43).
7 J.-L. Marion, Réduction et donation. Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénoménologie, Paris, PUF, 1989, p. 303.
8 «La riduzione, infatti, è sempre messa in atto dall’ego, ma […] l’ego compie una riduzione di cui non è il “principio” […]; l’ego la compie allo scopo di cogliere un dato incondizionato e assoluto che è altro rispetto a lui, […] come l’ousia» (J.-L. Marion, Dialogo con l’amore, cit., p. 42).
9 Dove tuttavia ciò che è dato – il «fenomeno» – non è l’effetto di una causa, come invece accadeva sino a Kant (cfr. ivi, p. 46).
10 Cfr. J.-L. Marion, De surcroît. Études sur le phénomènes saturés, Paris, PUF, 2001, p. 54.
11 J.-L. Marion, Dialogo con l’amore, cit., p. 41 ss. Se Marion considera come assolutamente data l’Urimpression husserliana, Lévinas ritiene invece che essa rientri nella coscienza in quanto «tempo recuperabile», poiché «non s’imprime senza coscienza» (E. Lévinas, Autrement qu’être, cit., pp. 57 ss.; it. p. 41). Husserl afferma infatti che «il dato originario è già conscio – nella peculiare forma dell’“ora” – senza essere oggettuale. È appunto questa coscienza originaria che trapassa nella modificazione ritenzionale […]: se questa non ci fosse, non sarebbe neppure pensabile alcuna ritenzione; ritenzione di un contenuto inconscio è impossibile» (E. Husserl, Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewußtseins (1893-1917), Husserliana X, Den Haag, Nijhoff, 1966, p. 119; trad. it. a cura di A. Marini, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), Milano, Franco Angeli, 1998, p. 144).
12 Per una critica alla preminenza fenomenologica del dato cfr. M. Ruggenini, I fenomeni e le parole. La verità finita dell’ermeneutica, Genova, Marietti, 1992.
13 Cfr. E. Lévinas, Totalité et Infini, cit., p. 301; it. p. 277. In realtà, la concezione del soggetto conosce un profondo mutamento in Autrement qu’être, dove è pensato come «l’Altro nel Medesimo» (cfr. E. Lévinas, Autrement qu’être, cit., pp. 46 ss.; it. pp. 31 ss.); ne consegue che «l’esposizione all’altro non viene ad aggiungersi all’uno per condurlo dall’interiorità all’esteriorità» (ivi, p. 94; it. p. 71).
14 In Totalité et Infini si dice infatti che «la relazione con l’infinito compie l’esperienza per eccellenza» (E. Lévinas, Totalité et Infini, cit., p. 10; it. p. 23).
15 E. Lévinas, Autrement qu’être, cit., p. 232; it. p. 186, corsivo nostro.
16 Marion si riferisce alla «definizione comune del fenomeno (Kant, Husserl) – la quale mette in relazione due termini (intuizione e concetto/significazione) utilizzando solo due figure del loro rapporto (il difetto di intuizione e l’adeguazione), ma ignorando la terza (l’eccesso d’intuizione)» (J.-L. Marion, Étant donné. Essai d’une phénoménologie de la donation, Paris, PUF, 1997, p. 277; trad. it. R. Caldarone, Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, Torino, SEI, 2001, p. 243).
17 Ivi, p. 314; it. p. 278.
18 J.-L. Marion, De surcroît, cit., p. 94 ss.
19 Cfr. E. Lévinas, Autrement qu’être, cit., p. 81; it. p. 60.
20 Ivi, p. 85; it. pp. 63 ss.
21 Ivi, p. 221; it. p. 177. È singolare che Marion, nel riportare questo passo lévinasiano, dia anche l’impressione di condividerlo (cfr. J.-L. Marion, De surcroît, cit., p. 94 ss.).
22 In Étant donné, seguendo la distinzione husserliana tra due tipi d’immanenza (cfr. E. Husserl, Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, Husserliana II, Den Haag, Nijhoff, 1950, p. 55; trad. it. a cura di E. Franzini, L’idea della fenomenologia. Cinque lezioni, Milano, Bruno Mondadori, 1995, p. 112), Marion ammette che «la riduzione non deve più intendersi come “l’esclusione del trascendente (in senso) reale (réel)”», dato che la donazione – trascendenza nell’immanenza – «sorge precisamente quando l’apparenza dà, oltre a se stessa (immanenza reale), l’oggetto che senza di lei non potrebbe mai apparire, benché non si riassuma in essa (immanenza intenzionale)» (J.-L. Marion, Étant donné, cit., pp. 39 ss.; it. pp. 27 ss.). In realtà, egli sembra privilegiare un’accezione di riduzione che esclude «l’assunzione di ogni trascendenza reale» (ivi, p. 27; it. pp. 16 ss.). Su questo tema cfr. C. Canullo, La fenomenologia rovesciata. Percorsi tentati in Jean-Luc Marion, Michel Henry e Jean-Louis Chrétien, Torino, Rosenberg & Sellier, 2004, pp. 106 ss.
23 J.-L. Marion, Étant donné, cit., p. 369; it. p. 327.
24 In questo modo la classe dei fenomeni saturi rischia di includere delle realtà eccessivamente eterogenee, cfr. D. Janicaud, La phénoménologie éclatée, Paris, Éditions de l’Éclat, 1998, p. 68.
25 J.-L. Marion, Étant donné, cit., p. 323; it. p. 285.
26 Ivi, p. 437; p. 389, corsivo nostro. In realtà, Marion ammette, con accenti lévinasiani, che «sono dunque ossessionato (obsédé) da ciò che non posso o non voglio lasciare che si mostri», ivi, p. 438; it. p. 390.
27 J.-L. Marion, De surcroît, cit., pp. 142 ss.
28 E. Lévinas, Autrement qu’être, cit., p. 138; it. pp. 107 ss.
29 Cfr. E. Feron, De l’idée de transcendance à la question du langage. L’itinéraire philosophique d’Emmanuel Levinas, Grenoble, Millon, 1992, p. 54.
30 E. Lévinas, Totalité et Infini, cit., p. 221; it. p. 207.
31 Cfr. ivi, p. 43; it. p. 48.
32 J.-L. Marion, De surcroît, cit., p. 139.
33 J.-L. Marion, Le phénomène érotique. Six méditations, Paris, Grasset, 2003, p. 159; trad. it. L. Tasso e D. Citi, Il fenomeno erotico. Sei meditazioni, Siena, Cantagalli, 2007, p. 128.
34 J.-L. Marion, De surcroît, cit., p. 142.
35 J.-L. Marion, Étant donné, cit., p. 302; it. p. 267. In precedenza egli aveva parlato anche dell’«interloquito» (interloqué; cfr. J.-L. Marion, Réduction et donation, cit., p. 300).
36 J.-L. Marion, Étant donné, cit., p. 364; it. p. 323.
37 Ivi, p. 369; it. p. 327. La traduzione usuale del termine adonné è “dèdito”.
38 Ivi, p. 371; it. p. 329.
39 E. Lévinas, Autrement qu’être, cit., p. 180; it. p. 143. Per Marion, «l’adonato rende visibile […] ciò che gli si dà corrispondendogli nell’atto di rispondere “Eccomi!”» (J.-L. Marion, Étant donné, cit., p. 397; it. p. 353).
40 J.-L. Marion, Étant donné, cit., p. 405; it. p. 360, corsivo nostro. In nota, Marion ribadisce il concetto: a Lévinas, che parla di una «responsabilità per Altri più antica di ogni impegno» (E. Lévinas, Autrement qu’être, cit., p. 88; it. p. 66), egli risponde sostenendo che «nessun “impegno” […] sarebbe pensabile senza la responsabilità, presa nella sua radicalità fenomenologica» (J.-L. Marion, Étant donné, cit., p. 405; it. p. 360). D’altronde, i diversi tipi di fenomeni saturi danno luogo esattamente allo stesso appello (cfr. ivi, pp. 409 ss.; it. p. 364).
41 «Riguardo al famoso problema: “l’uomo è individuato per mezzo della materia o per mezzo della forma?”, io sostengo l’individuazione per mezzo della responsabilità per altri» (E. Lévinas, Entre nous. Essais sur le penser-à-l’autre, Paris, Le Livre de Poche, s.d., p. 118; trad. it. a cura di E. Baccarini, Tra noi. Saggi sul pensare-all’altro, Milano, Jaca Book, 1998, p. 143).
42 Cfr. J.-L. Marion, D’autrui à l’individu, in E. Lévinas, Positivité et transcendance. Suivi de Lévinas et la phénoménologie, Paris, PUF, 2000, pp. 287-308, pp. 296 ss. Su questo si veda anche R. Calin, Levinas et l’exception du soi, Paris, PUF, 2005, pp. 288 ss., dove si sostiene che il problema di Lévinas è l’ipseità, non l’individuazione d’altri.
43 Non si tratterebbe tanto di «riprendere la tematica dell’etica […] e di confermarne – contra Lévinas – la piena legittimità fenomenale», quanto di «approssimarsi a ciò che l’etica non può raggiungere: l’individuazione d’altri» (J.-L. Marion, Étant donné, cit., p. 443; it. pp. 394 ss.).
44 Cfr. J.-L. Marion, Le phénomène érotique, cit., pp. 41 ss.; it. pp. 30 ss., dove la riduzione «epistemica» husserliana e quella «ontologica» (Heidegger) cedono il passo alla «réduction érotique».
45 Cfr. E. Lévinas, Totalité et Infini, cit., p. 222; it. p. 208, corsivo nostro.
46 Alla quale peraltro sembra riferirsi anche Marion, cfr. J.-L. Marion, De surcroît, cit., p. 148.
47 E. Lévinas, Totalité et Infini, cit., p. 61; it. p. 64. In Autrement qu’être l’accento è posto invece sul «Dire» del soggetto, che testimonia la propria esposizione all’altro.
48 Cfr. E. Lévinas, Autrement qu’être, cit., pp. 245 ss.; it. pp. 196 ss.
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