Semi della violenza1
p. 113-116
Texte intégral
1La seconda relazione dell’Inserm2 sui disturbi del comportamento ha già suscitato la costernazione degli specialisti dell’infanzia e dell’adolescenza. I clinici, psichiatri, neuropsichiatri infantili, psicoterapeuti, psicoanalisti non possono che indignarsi per un’indagine epidemiologica che urta sia per la sua metodologia che per la sua finalità. Si parla addirittura di rischio totalitario3.
2Poiché si tratta, né più né meno, di individuare i rischi di delinquenza, di classificare i soggetti a rischio sin dalla nascita e persino sin dalla gestazione, ci si chiede se la neutralità scientifica sia proprio il motivo di una simile ostinazione. La finalità poliziesca è talmente rivendicata da confondere tutte le piste di ricerca, siano esse di origine sociologica, famigliare o biologica.
3Passi il tentativo di tracciare il profilo dei tipi di devianza e delle correlazioni possibili con disturbi che vi sarebbero associati: o che un sintomo ne nasconda necessariamente un altro o che permetta una “predizione” sull’evoluzione del comportamento globale in età più tardiva.
4Si cercano gli items che definirebbero i disturbi dei comportamenti a una determinata età (furto, menzogna, frode) allo scopo di individuare coloro per i quali i semi della violenza provocheranno, successivamente, le bufere della delinquenza. Giacché, come dice il proverbio, chi ruba oggi è sempre ladro: i comportamenti devianti, secondo una norma morale, sono i segni precursori di una trasgressione della norma sociale? Il bambino comincia allenandosi con la borsa della madre. A partire da quali sintomi associati si può vedere in lui un futuro Arsenio Lupin?
5Ci si chiede, per esempio, se la correlazione tra iperattività e personalità antisociale sia significativa. Si tenta di valutare il ruolo dei fattori ambientali sull’evoluzione della personalità.
6Senza fare della psicoanalisi una scienza sperimentale, possiamo comunque invalidare uno dei rari fatti clinici presentati nella relazione, ovvero la correlazione possibile tra iperattività e devianza sociale (nel vocabolario della relazione, si passa dal DDAI al DOC). Inutile fare statistiche e predizioni se un solo esperimento basta per stabilire, in un caso, una causalità tra iperattività e allucinazione uditiva, in un altro, una relazione causale tra iperattività e condizione di sofferenza della madre. Se c’è violenza, questa è relativa all’angoscia e non può in alcun caso essere assimilata a una devianza. In un caso come nell’altro, il binario dell’interno e dell’esterno non ha alcun valore. Nel primo, l’ambiente è la voce imperativa, nel secondo è la sessualizzazione della relazione con l’Altro. Aggiungiamo che gli psicoanalisti che lavorano su questa patologia pubblicano i loro risultati e, senza riempirsi la testa con la valutazione, dimostrano la validità di queste correlazioni con risultati terapeutici evidenti. Basta leggere le pubblicazioni dell’École de la Cause freudienne. Ma gli autori della relazione non sono per niente interessati.
7Nel caso dei disturbi del comportamento, si tratta di ben altro che di interdisciplinarietà. Si tratta né più né meno di stabilire la causalità biologica della personalità antisociale. Quest’ultima, nonostante sia definita dal DSM-IV come “modo generale di disprezzo e di trasgressione dei diritti altrui a partire dall’età di quindici anni”4, vale a dire con l’uso di concetti giuridico-moralisti, chiama in causa il genoma, che sicuramente deve interferire. La “suscettibilità genetica” debitamente quantificata, il funzionamento neuroendocrino, il deficit cognitivo, uniti all’ambiente famigliare, producono un cocktail esplosivo. Si riabilitano così entità occulte quale “l’asse dello stress”, nuovo flogisto della neuro-biologia anglosassone. Si segnala, ad esempio, che “gli effetti persistenti e accumulati dei fattori ambientali possono influire sui processi cognitivi, sul funzionamento neuroendocrino (sull’asse dello stress in particolare) e sull’attività di diverse strutture cerebrali”5. Certo, si aggiunge una sfumatura rispetto ai “criminali nati”6 di Cesare Lombroso, poiché si fa una concessione ai fattori ambientali.
8La naturalizzazione della devianza è al suo apice. Nessuna tipologia del comportamento, sino a ora, è stata così tanto subordinata al modello etologico. È il giardino delle specie di Michel Foucault, all’epoca della naturalizzazione della follia. Almeno quest’ultima restava accessibile all’osservazione, vale a dire all’attenzione rivolta ai segni della patologia, cioè all’enunciazione del malato. In questo caso, invece, non si chiede al DOP di dire qualcosa sulla sua “opposizione provocatoria”.
9Si osservano dei fatti e le loro correlazioni al reale biologico. Sul modello della criminologia americana, si traccia il profilo del predatore vestito da serial killer. Come all’inizio del xix secolo, quando Grandville vestiva da cameriere delle oche o dei corvi umanizzando la natura, mentre Le Brun naturalizzava l’uomo mostrando nei suoi disegni la sua filiazione con i gufi e con le volpi7. Questa metafora morale qui viene presa alla lettera, come una realtà: il DOP è una specie animale. Morderà quando giungerà alla pubertà? A che età violenterà?
10Fare della diagnosi di delinquenza una scienza naturale non rientra solo, purtroppo, in una “ideologia scientifica”, che Georges Canguilhem definiva come “una credenza che guarda storto sul lato di una scienza già istituita di cui riconosce il prestigio e di cui cerca di imitare lo stile”8. Qui prevale piuttosto lo svilimento della scienza, non la sua idealizzazione. Il riferimento obsoleto agli scambi tra cervello e ambiente risale ad Auguste Comte. Si fonda sull’idea di regolazione sociale, propria della religione positivista, tra il dentro e il fuori.
11Da ultimo, la maggior parte dei lettori di tale relazione che hanno a che fare con dei delinquenti sono necessariamente sconcertati dall’assenza di un qualsiasi intento clinico e terapeutico. Le categorie proposte (DSM-IV) sono assolutamente inutilizzabili per i clinici fintanto che i bambini con cui hanno a che fare non avranno cominciato a parlare. Ci sono psicoanalisti nelle prigioni e in altri luoghi chiusi per delinquenti ai quali i responsabili della relazione farebbero bene a dar ascolto.
12L’esperienza mostra allora dei fattori che non derivano né dall’esterno né dall’interno. L’unica correlazione da stabilire è quella dell’atto e del dire che lo motiva (o che non può motivarlo). È almeno da qui che si deve cominciare per intendere qualcosa. Una causalità si rivela molto più temibile della pretesa sensibilità genetica: essa mette in gioco una decisione soggettiva, ovvero l’odio, che non è l’aggressività, il godimento della trasgressione, che non è fuori-legge, la pulsione che, dal 1915 in poi, non è l’istinto, la pulsione di morte che non è l’invito a uccidere.
Notes de bas de page
1 Articolo pubblicato in “La Revue de la Cause freudienne”, n. 62, 2006, pp. 15-17.
2 Cfr. Inserm, Sintesi della Relazione Disturbo dei comportamenti nel bambino e nell’adolescente, Paris, Expertise Collettiva Inserm, 2005.
3 È. Lenoble, M. Bergès-Bounes, S. Calmettes et al., L’Inserm crea problemi, “Le Monde”, 4 ottobre 2005, p. 18.
4 Inserm, Disturbo dei comportamenti nel bambino e nell’adolescente cit., p. 5.
5 Ivi, p. 2.
6 Cfr. C. Lombroso, L’uomo delinquente, Torino, Bompiani, 1897.
7 Cfr. C. Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, Milano, il Saggiatore, 1964.
8 G. Canguilhem, Ideologia e razionalità nella storia delle scienze della vita, Firenze, La Nuova Italia, 1999, p. 39.

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