Sul desiderio dell’analista nella passe1
p. 39-42
Texte intégral
1Notavo nel rapporto sulla Passe 2007-20092 che le testimonianze più autentiche erano quelle in cui il passaggio all’analista è decifrato a partire dal sintomo stesso del soggetto3. Le ultime nomine hanno confermato questo punto di vista. Si colgono meglio le coordinate del desiderio dell’analista con la mutazione del desiderio di sapere, specialmente la rinuncia al sapere assoluto sul significante del godimento. Più il passant raggiunge la singolarità della sua struttura, più affronta i casi clinici della sua pratica senza il conforto di un savoir-faire standardizzato. Questo assioma non è sempre tematizzato dal passant, ma è deducibile dalla comunicazione. Si può notare un momento di mutazione nella sua pratica con gli analizzanti: una riconfigurazione di quest’ultima, uno scioglimento della sua angoscia, un rischio assunto con audacia e invenzione. I passant evitano allora di ricorrere al sintagma di un desiderio puro, come pure alla conformità della loro dedizione a un ideale di purezza, poiché si ha a che fare con un desiderio impuro in quanto esso è contaminato dal sintomo privato, e anche dal fantasma.
2Questi sono i presupposti del desiderio dell’analista che andiamo a illustrare.
3Per esempio, in una collega, si osserva un rimaneggiamento della pratica conseguente a una disillusione dell’amore – la fine dell’analisi si è confusa semplicemente con la deflazione amorosa, vale a dire con la desupposizione del partner. Quest’ultimo fu l’oggetto di una passione: analista lui stesso, fu al contempo marito, grande maestro, tutore, l’almeno-uno insostituibile in un legame amoroso che si prolunga al di là della rottura. In poche parole, la passant ha creduto a Babbo Natale. L’amante, maestro di sapere, vede crollare il proprio prestigio agalmatico dopo la traversata delle coordinate nevrotiche di tale passione. Era il modello dell’analista, il suo mentore. La passant voleva vederci chiaro: scopre così il continente nero di un certo masochismo del godimento e la passione del deciframento da chiara diventa oscura.
4Ma la passant ha altre risorse: le parole, il sapere, motivi di un’energia che l’Altro partner non può consumare – questa energia ratifica una presa del dire sul corpo, verifica che il suo attivismo dipende dal linguaggio, le cui virtù al contempo traumatiche e agalmatiche sono fissate nell’infanzia. La fonte vitale, localizzata unilateralmente nell’Altro, con l’analisi si è spostata e si è rimessa al posto giusto: quello degli effetti di linguaggio sul corpo.
5Simultaneamente si realizza un distacco, parola-chiave dell’analisi, rispetto al mentore e all’analista. La passione per l’uomo e la passione per la verità erano equivalenti; l’una crolla assieme all’altra: è una rivelazione subito messa in pratica. Il distacco, in effetti, nomina ormai l’affetto dell’analista che mira a staccare il desiderio dell’analista dalla passione dell’Altro che caratterizzavano, in lei, il suo entusiasmo e la sua inclinazione verso la sublimazione e la drammatizzazione. Ora, la passant fa l’esperienza di un vuoto; si chiede che cosa la spinga ad analizzare. È questo stesso vuoto dell’Altro oppure l’energia? Noi diremo: è la stessa cosa. L’attivismo, sino ad allora considerato come fuga in avanti e manovra difensiva, corsa alla verità, dopo aver rivelato il suo versante pulsionale, riceve la sua cauzione di sinthomo operativo. La passant lo mette in pratica per distaccare il godimento dei suoi pazienti dalle significazioni dell’Altro che li intralciano come effetti traumatici della lingua4.
6Un passant maschile è stato, anche lui, abbastanza esplicito sull’emergere del desiderio dello psicoanalista come prova di epurazione. Avendo fatto molti interventi in pubblico, dopo la sua nomina, in questo caso possiamo isolare il ruolo cardine del significante “calzascarpe” nella sua cura. Esso condensa diversi effetti di senso: ospitare, accogliere, raccogliere la parola dell’altro, ma anche misurare, ordinare, pacificare, sistemare, che sono dei tratti di carattere del soggetto: nuovo Protagora (“l’uomo è la misura di tutte le cose”), egli è metro e padrone5 al contempo. L’origine di questo fantasma risiede in un trauma causato dal dolore infinito della madre abbandonata. Qui ha origine la sua vocazione medica e terapeutica: raccoglie il lamento femminile e si fa docile alla sua parola. Con l’analisi, il soggetto si ritrova destituito dalla sua identificazione al fallo materno, il campione universale trova un limite. In un’anamorfosi straordinaria, a seguito di un sogno, una torsione trasforma l’oggetto in “calzascarpe” senza misura, oggetto alla Duchamp. Il calza-scarpe senza limite era anzitutto il soggetto come factotum, l’uomo tuttofare della psicoanalisi, l’oblativo, colui che si dedica senza limite a completare l’altro. Poi questo diventa un ossimoro, un oggetto surrealista, un’unità di misura senza misura, un oggetto senza funzione che non serve più a nulla, poiché non c’è più nulla da misurare. Questo Witz (chiste) viene a ratificare l’impossibile di qualsiasi misura standardizzata nell’atto analitico, l’impossibilità di adattare la verità al reale, ed è dal suo stesso inconscio, in una sorta di auto-derisione, che il soggetto riceve l’invito a una rettifica del suo atto. Nel momento in cui cede sulla sua oblatività, il passant si apre al desiderio singolare di ciascuno: verifica l’incommensurabilità del desiderio rispetto al campione fallico6.
7Un’altra passant confida in modo molto esplicito la genesi del suo desiderio d’analista, prefigurata da un destino precoce. Da bambina si è vista imporre da sua madre sorda il posto di confidente e di traduttrice: aveva il ruolo di interprete presso sua madre. Diversi tratti di carattere derivano da questa origine. Investita del ruolo di portavoce dalla famiglia, la passant avanza sulla scena analitica in un ruolo simile, con un’esigenza di lettura e di commenti rigorosi. Deve tradurre il pensiero di Lacan al meglio e vincere la sordità dell’altro all’inconscio. La sregolatezza del pensiero isterico le fa orrore così come prova antipatia per la mascherata. La cura la confronta con un’interpretazione del suo analista che fa obiezione alla sua comprensione: è intraducibile, o coglie male la parola francese o comprende di traverso. Comincia così a intravedere che “calpesta il desiderio dell’altro”. La sua sicurezza nella traduzione perfetta dell’altro viene scossa, il suo godimento del deciframento non è più così assicurato. Da portavoce qual era, diventa una guastafeste. La struttura ossessiva che, secondo lei, costituiva una garanzia del suo desiderio di sapere ha il suo rovescio nello svilimento del desiderio dell’altro. Il suo godimento del deciframento gli viene rinviato come il sintomo di una inadeguatezza (fallimento) all’atto analitico. La parola vuota per la quale provava avversione garantiva la sua consistenza. Ora è il contrario che si produce: lo scarto di cui consiste la parola analizzante le diventa sopportabile in quanto non richiede nessuna traduzione7.
8Se la genesi dell’atto analitico segue delle vie oscure, assistiamo comunque a esperienze soggettive di rettifica dell’atto analitico nel corso dell’analisi del passant, in un secondo giro che dà all’analista l’occasione di una responsabilità nella produzione dell’inconscio dell’altro, invece di essere solo un luogo di ascolto di un inconscio preesistente.
Notes de bas de page
1 Articolo pubblicato in “La Cause du désir”, n. 83, 2013, pp. 45-47.
2 Cfr. S. Cottet et al., Rapport conclusif du cartel I, “La Cause freudienne”, n. 75, luglio 2010, pp. 95-99.
3 Intervento pronunciato durante l’VIII Congresso dell’AMP, “L’ordine simbolico nel xxi secolo”, Buenos Aires, 23-27 aprile 2012.
4 Cfr. A. Lysy, Enthousiasme et détachement, “La Cause freudienne”, n. 76, 2010, pp. 29-33.
5 In francese mètre et maître hanno lo stesso suono. [N. d. T.]
6 Cfr. in particolare L. Gorostiza, Le chausse-pied-sans-mesure e Le gnomon du psychanalyste, “La Cause freudienne”, n. 74, 2010, pp. 32-36 e pp. 37-43.
7 Cfr. G. Brodsky, Dénouement, “La Cause du désir”, n. 83, gennaio 2013, p. 103.

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