Il soggetto tra realtà e determinismo
p. 77-83
Texte intégral
1Gli obiettivi di questo intervento sono tre: criticare l’antropologia positiva sulla base del rifiuto del concetto di origine; interpretare la terza antinomia kantiana tra determinismo e volontarismo decostruendo il concetto edificante di libero arbitrio e sostenere la possibilità di un naturalismo non scientista successivo all’autocritica della ragione1.
2Le dodici tesi di Henrich contro Habermas2 e alcune osservazioni di Searle3 saranno il punto di partenza per trattare il problema dell’antinomia tra determinismo e libertà in riferimento alla questione del soggetto. Il problema della libertà e quello del soggetto sono intimamente connessi: la risposta che si darà a uno dei due riguarderà anche l’altro.
3La mancanza di fondamento e la critica al concetto di origine sono tratti costitutivi della prima generazione della teoria critica, in particolare di Adorno. L’autocritica della ragione condotta con gli strumenti della ragione stessa implica non solo l’abbandono delle pretese assolutiste della razionalità occidentale ma anche lo scetticismo nei confronti del soggetto moderno. Una delle conseguenze sarà la critica ai programmi normativi basati sull'idea di autonomia.
4Henrich evita la teoria autoriflessiva per cui l'io sarebbe un caso particolare di coscienza di oggetti: in questo modo sottrae la coscienza alla circolarità contradditoria in cui l’identità dell’io nascerebbe da un atto di autoriflessione dell’autocoscienza che presuppene l’io anziché dimostrarlo4. La coscienza sarebbe invece un primitivo, un predicato che non si può analizzare ulteriormente. Essa assume allora il carattere di un presupposto immediato senza dualità interne, che non risulta da un’identificazione o da un autoriferimento, è originaria nel senso che rappresenta la condizione di possibilità di ogni conoscenza.
5Il rischio di ogni soggettivismo consiste nel presupporre un’antropologia positiva che pone l’uomo, o una sua caratteristica, come qualcosa di originario. La crisi moderna del causalismo a favore di una polisemia empirica delle relazioni causali è uno dei motivi del progressivo abbandono del concetto di origine5. In tale processo un ruolo importate è stato svolto dalla fisica, con lo sviluppo di criteri probabilistici e del concetto della relatività. Eppure il mito dell’origine sopravvive e il suo abbandono non sembra trasferirsi facilmente, per usare una distinzione tradizionale, dalle scienze della natura a quelle dello spirito. Rovesciato e sublimato nella causa finale il mito è stato anche paradossalmente rafforzato6.
6Contro una tale sublimazione occorre sostenere il valore della pluralità e mostrare l’impossibilità di una concezione dell’autonomia dell’individuo in termini assoluti. L’autonomia può essere rivendicata esclusivamente in senso relativo: per non ricadere in un’antropologia positiva occorre escludere ogni riferimento a concetti normativi derivati dall’idea di essenza umana. Lo specifico dell’uomo risiede proprio nell’essere privo di essenza e nella sua forte adattabilità. Emancipandosi finalmente dall’idea, romantica e rousseauiana, di uno stato di natura ideale e abbandonati i concetti di origine e fondamento si potrà condurre un’analisi critica della modernità e dei processi di razionalizzazione in maniera immanente e senza presupposti.
7La critica dell’origine e l’idea dell’assenza di fondamento non sono però il centro teoretico di una visione del mondo sostanzialmente relativista, bensì un nocciolo metodologico, capace di mettere in discussione la stessa cristallizzazione dualistica di assolutismo e relativismo. Si tratta di un metodo incline allo scetticismo e al naturalismo ma che tuttavia si caratterizza per la sua opposizione al cinismo e all’innatismo. Si potrebbe definire questo metodo genealogico in quanto mira a smascherare la pudenda origo di ciò che indaga. Non esiste nulla che non sia derivato o determinato. Ma se anche il soggetto è totalmente determinato, sarà ancora libero? È il problema che Kant riassume nella terza antinomia della Critica della ragion pura.
8Il libero arbitrio è stato messo in discussione principalmente da tre forme di determinismo: teologico, economico e biologico. Ci sono naturalmente anche altre forme di determinismo, che si differenziano per il punto di origine individuato, la causa finale o efficiente alla quale ricondurre i fenomeni, ma che sono accomunate dalla negazione della libertà. In una certa misura i dibattiti contemporanei sul riduzionismo fisicalista rispecchiano a livello formale i dibattiti teologici sul libero arbitrio e ne rappresentano forse le secolarizzazioni. Ogni determinismo presuppone sempre l’idea di un originario che rappresenta l’autentico in varie forme, un’autenticità cui è possibile accedere attraverso un sapere spesso esoterico: rispettivamente il sacerdote, l’economista e il neurobiologo avranno quindi un punto di vista privilegiato per la comprensione del reale. Ognuno di questi determinismi rivela come la coscienza della libertà che gli attori si autoattribuiscono sia in realtà un’illusione e che ciò che esiste è solo una sensazione di libertà. La possibilità del determinismo infatti risiede nella differenza tra un lato conscio del nostro agire e un lato inconscio, distinzione riflessa nella separazione tra cause e ragioni. La psicoanalisi rappresenta qui un ponte tra libertà e determinismo7.
9La critica alla visione soggettocentrica della filosofia moderna può essere integrata con l’assunto fondamentale del determinismo fisicalista senza per questo dover negare la possibilità del progresso storico. Non si tratta né di approvare il riduzionismo biologico in quanto tale né di difendere un concetto astratto di libertà, ma di prendere in considerazione il fisicalismo come forma di determinismo utile a proseguire la decostruzione della soggettività come qualcosa di originario e chimerico, come proseguimento della critica al concetto idealistico di una libertà senza inizio e senza fine. Questa è stata anche l’idea del determinismo materialista che, attraverso la negazione del libero arbitrio, la negazione cioè al soggetto della sua attività creatrice, corre sempre il rischio di non ammettere la possibilità di cambiamenti nella storia. Infatti, «la tesi dell’illibertà prolunga metafisicamente la supremazia del dato, si dichiara immodificabile e spinge il singolo, qualora non sia già disposto a ciò, a piegarsi, poiché in fondo non gli resterebbe altro». D’altro canto però «la tesi del libero arbitrio imputa agli individui dipendenti l’ingiustizia sociale, contro cui essi non possono fare nulla, e li umilia di continuo con desiderata che non possono soddisfare»8. Adorno conclude allora che «ogni tesi drastica è falsa» e che «al fondo quella deterministica e quella della libertà coincidono. Entrambe proclamano l’identità»9.
10Secondo la terminologia recentemente usata in ambito analitico, una simile conclusione può essere definita come ‘compatibilista’. Essa risulta però essere anche ‘incompatibilista’: non si dice che non ci sia contraddizione reale tra determinismo e libero arbitrio, che invece sussiste; né si pretende di risolverla a favore dell’una o dell’altra tesi; e neppure si vuole dichiararle compatibili attraverso la conciliazione o una sintesi superiore come sarebbe in Hegel. La contraddizione tra condizionamento e responsabilità sociale rimane e rappresenta la figura morale della non conciliazione di universale e particolare10.
11Kant, riconducendo la terza antinomia alla categoria della relazione, risolveva la contraddizione a livello noumenico e riportava l’antinomia a un uso scorretto delle categorie. La contraddizione tra il movimento della volontà, ovvero la causalità derivante dalla libertà, e la causalità naturale può quindi essere risolta separando gli ambiti. Separando il mondo intelligibile da quello fenomenico, Kant ha potuto conciliare queste due causalità contrapposte. La proposta habermasiana di un ‘naturalismo morbido’, non scientista, trova la propria possibilità di esistere nel rifiuto di una tale ‘ipotesi metafisica di fondo’11, un rifiuto che Habermas riprende da Adorno.
12La coscienza è frutto di un miscuglio di esperienza e di insegnamenti: questo miscuglio è l’unità complessa e irripetibile chiamata anche individualità. Ogni decisione può essere intesa come causalmente necessaria senza annullare la volontà, proprio perché libero arbitrio e causazione non devono essere contrapposti rigidamente. Infatti una rigida contrapposizione condurrebbe inevitabilmente all’antinomia. Le ragioni si fondano su decisioni pregresse, e proprio le considerazioni intorno alle singole ragioni sono ciò che permette ad alcune di esse di prevalere su altre e determinare infine la decisione. In altre parole, una ragione per essere determinante deve essere prima approvata: questa approvazione è una decisione del soggetto, ma essa non nasce dal nulla, è invece a sua volta determinata dalla storia personale. Non si può però risalire la catena di causazione e decisione all’infinito, ma solo fino a un certo punto, ovvero non prima dell’infanzia. Due conferme indirette di questo processo si possono ravvisare nel fatto che i bambini sono in grado di prendere un numero di decisioni ponderate minore rispetto agli adulti e dal fatto che il sistema giuridico non li considera responsabili delle proprie azioni.
13Un’altra conferma del fatto che la determinazione può rappresentare un presupposto dell’azione libera anziché la sua negazione può essere individuata nel modo in cui si prendono decisioni difficili, estreme o immorali. Cosa si prova mentre si prendono tali decisioni? Come si giustificano? La risposta è sempre che ‘non si poteva decidere altrimenti’. Questa frase è molto interessante: la libertà di prendere decisioni morali è percepita come un'assenza di libertà, come un obbligo ad agire in una maniera determinata. Eppure è proprio nelle decisioni difficili che dovrebbe confermarsi al massimo grado la verità del libero arbitrio. Una simile impostazione mette in evidenza perché non si può trattare il problema della libertà in senso astratto e generale senza rientrare nell’antinomia. Parlare di ‘decisioni prese liberamente’ non ha senso se la frase non è inserita in un contesto specifico. Una frase simile ci appare dotata di senso quando è riferita immediatamente a un contesto, generalmente a un contesto di illibertà. Non esiste libertà che non sia libertà determinata12, che non sia libertà negativa da qualcosa o qualcuno e libertà positiva di fare qualcosa. Una libertà astratta non è immaginabile. La libertà astratta e indeterminata è uguale a tutto ciò che è assolutamente astratto e indeterminato, il nulla per esempio, o l’essere, che come insegna Hegel, coincidono nella misura in cui sono indeterminati. Ricalcare la questione della libertà sul contrasto tra condizionato e incondizionato13 senza essere ricondotti alla terza antinomia kantiana è impossibile, è quindi necessario rinunciare a questa prospettiva. Come dice Adorno: «La libertà si fa concreta nelle figure mutevoli della repressione: resistendo a essa. Vi è stato tanto libero arbitrio, quanta volontà degli uomini di liberarsi. Ma la stessa libertà è talmente intricata con l’illibertà che questa non solo la inibisce, ma è la condizione del suo concetto»14. Non c’è libertà al di fuori delle situazioni concrete in cui ha senso parlare di liberazione da qualcosa o qualcuno. È un fatto riconosciuto anche da Habermas quando sostiene che ‘la coscienza di libertà è un’implicita coscienza dell’azione’15.
14Rifiutare il determinismo a favore di un concetto astratto di libertà è un sintomo di narcisismo umanistico, e forse lo sono anche i tentativi di ridurre il ruolo del condizionamento sociale16. È solo rifiutando questo narcisismo del libero arbitrio, considerando cioé l’individualità come qualcosa di particolare e determinato, che il particolare può opporsi all’universale. L’individualismo non potrebbe esistere senza una decisione libera ma non è detto che questa debba essere completamente autonoma. Come sostiene giustamente Martin Seel «chi non fosse determinato per più riguardi, non potrebbe determinare a sua volta […]. Venire determinati è un sostegno costitutivo all’autodeterminazione»17. È valutando se lasciarsi o no determinare che si esprime la decisione: in altre parole, le decisioni possono essere considerate più o meno ponderate in base al grado di coscienza che si ha di quanto e come si è determinati.
15Un fisicalismo conseguente e radicale non dovrebbe sostenere che la chimica del cervello è alla base dei fenomeni della coscienza, perché così manterrebbe la distinzione tra mente e corpo, ma dovrebbe invece sostenere l’identità dei due ambiti: i fenomeni della coscienza hanno una realtà fisica, sono attività cerebrale. Gli esperimenti come quelli di Libet18, che dimostrano degli incrementi di attività cerebrale poco prima delle decisioni non dimostrano il primato di una causazione biochimica, piuttosto individuano la corrispondenza neuronale dell’attività inconscia, dovremmo semmai stupirci se dimostrassero il contrario, se dimostrassero che i fenomeni della mente non hanno alcuna caratteristica fisica. Una volta rifiutata l’idea secondo cui la realtà biochimica del cervello sarebbe originaria rispetto ai fenomeni della coscienza e ammessa quella di una contemporaneità dei due aspetti, il determinismo non avrebbe più l’apparenza di un meccanicismo causalistico: questa è infatti anche la posizione di Searle quando sostiene che «il sistema può essere descritto a livelli superiori e inferiori»19 ma che si tratta sostanzialmente dello stesso fenomeno, descritto nei termini di ragioni a livello della coscienza e a livello cerebrale di cause biochimiche. Per risolvere l’eventuale contraddizione di una sovradeterminazione causale Searle deve ricorrere all’indeterminismo quantistico, è un modo per salvare il libero arbitrio collegandolo all’indeterminatezza, ma Searle stesso non cela il proprio imbarazzo di fronte a un appiglio che non sarebbe altro che il riferimento a una caratteristica della materia20.
16La genealogia critica del soggetto nella sua complessità può essere una soluzione. Tale indagine, seguendo un motto benjaminiano, dovrebbe ricercare sempre l’elemento culturale dietro ciò che si presenta come naturale e l’elemento naturale dietro ciò che si presenta come culturale. Da un lato il carattere affermativo dell’antropologia deve essere decostruito seguendo un orientamento culturalista; dall’altro il carattere affermativo della cultura deve essere interpretato alla luce di elementi istintuali, come l’autoconservazione, o psicologici, come la polarità di Eros e Thanatos. È questo un modo per non contrapporre rigidamente naturalismo e culturalismo, per cercare di integrarli in un punto di vista razionale ma non scientista. Accettare la contraddizione di una sovradeterminazione causale affermando due determinismi contrapposti significa dare l’ultima parola alla libertà in quanto la volontà di sostenere l’esistenza di una contraddizione contraria al senso comune è una dimostrazione della possibilità per il soggetto di sottrarsi al completo condizionamento.
Notes de bas de page
1 Th.W. Adorno e M. Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo, trad. it. R. Solmi, Torino, Einaudi, 1997.
2 D. Henrich, Was ist Metaphysik – was ist Moderne? Zwölf Thesen gegen Jürgen Habermas, in Id., Konzepte, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1987, pp. 11-33; trad. it. Che cos’è la metafisica – che cos’è la modernità? Dodici tesi contro Jürgen Habermas, in Id., Metafisica e modernità. Il soggetto di fronte all’assoluto, a cura di U. Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, 2008, pp. 113-150.
3 J. Searle, Razionalità e libero arbitrio, in Id., Coscienza, linguaggio, società, a cura di U. Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, 2009, pp. 136-176.
4 Cfr. I. Testa, Riconoscimento naturalizzato. Una soluzione scettica al dibattito sull’autocoscienza tra Henrich, Tugendhat e Habermas, in Aa. Vv., Ragionevoli dubbi. La critica sociale tra universalismo e scepsi, Roma, Carocci, 2001, pp. 67-90.
5 Cfr. Th.W. Adorno, Negative Dialektik, in Gesammelte Schriften, Band VI, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1973, p. 262; trad. it. P. Lauro, Dialettica negativa, Torino, Einaudi, 2004, p. 238.
6 «Il processo di demitologizzazione ha arginato la causalità, che è erede degli spiriti agenti nelle cose, e in nome della legge l’ha anche rafforzata». Ivi, p. 263-264; it. p. 239.
7 Habermas ha ripreso in tempi recenti l’analisi adorniana sulla seconda natura individuando nelle «interpretazioni psicanalitiche […] un ponte gettato fra libertà e determinismo». Cfr. J. Habermas, «Ma sono anch’io un pezzo di natura». Adorno sull’intreccio fra natura e ragione. Riflessioni sul rapporto fra libertà e indisponibilità, Fede e ragione, in Id., Tra scienza e fede, trad. it. M. Carpitella, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 85.
8 Th.W. Adorno, Negative Dialektik, cit., p. 261; it. p. 236.
9 Ivi. Si tratta di una formulazione paradossale: è infatti una tesi decisamente drastica affermare che ogni tesi drastica è falsa. Esistono quindi alcune tesi drastiche che possono essere vere.
10 Th.W. Adorno, Negative Dialektik, cit., pp. 278-282; it. pp. 251-256.
11 Cfr. J. Habermas, Freiheit und Determinismus, “Deutsche Zeitschrift für Philosophie”, 6 (2004), pp. 871-890; trad. it. Libertà e determinismo, in Id., Tra scienza e fede, cit., pp. 53-83.
12 Una trattazione approfondita di questo problema si trova in P. Bieri, Das Handwerk der Freiheit. Über die Entdeckung des eigenen Willens, München-Wien, Carl Hanser Verlag, 2001, p. 243: «Es gibt keinen unbedingt freien Willen. […] Unter diesen Worten liegt nichts verborgen, das man weiter artikulieren und immer besser versehen könnte. Die unbedingte Freiheit, könnte man sagen, ist ein rein rhetorisches Gebilde».
13 «Es ist ein fundamentaler Fehler, den Unterschied zwischen Freiheit und Unfreiheit des Willens mit dem Kontrast zwischen Unbedingtheit und Bedingtheit in Verbindung zu bringen. Beides, die Freiheit und Unfreiheit, sind Phänomene, die es, begriflich gesehen, nur im Rahmen vielfältiger Bedingtheit geben kann», ivi.
14 Th.W. Adorno, Negative Dialektik, cit., 262; it. p. 237.
15 J. Habermas, «Ma sono anch’io un pezzo di natura». Adorno sull’intreccio fra natura e ragione. Riflessioni sul rapporto fra libertà e indisponibilità, in Id. Fede e ragione, cit., p. 85.
16 Benché il saggio sinora considerato rappresenti in larga misura un recupero della filosofia adorniana, Habermas ribadisce in questa sede che l’espansione del libero scambio sarebbe a ogni modo minore di quando non credesse Adorno. Cfr. J. Habermas «Ma sono anch’io un pezzo di natura». Adorno sull’intreccio fra natura e ragione. Riflessioni sul rapporto fra libertà e indisponibilità, in Fede e ragione, cit., p. 98.
17 M. Seel, Sich bestimmen lassen, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1981, p. 288. Habermas lo cita in Tra scienza e fede, cit., p. 93.
18 B. Libet, Unconscious Cerebral Initiative and the Role of Conscious Will in Voluntary Action, “The Behavioral and Brain Sciences”, 8 (1985), pp. 529-566; Id., Do have Free Will?, “Journal of Consciousness Studies”, 6 (1999), pp. 47-57. Citati da J. Searle, Coscienza, linguaggio, società, cit., p. 171.
19 J. Searle, Coscienza, linguaggio, società, cit., p. 170.
20 Ivi, p. 169.
Auteur
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