Effetto doppio. Il problema della doppia natura del soggetto
p. 70-76
Texte intégral
1Assume un ruolo importante, nell’arco della produzione helleriana, la ricerca di una struttura ontologica che esprima il rapporto che si instaura tra l’uomo e la società. Due momenti sono essenziali in questo percorso. In primo luogo, la tematica della vita quotidiana e, successivamente, l’utilizzo della nozione di condizione umana. La vita quotidiana, centrale nella riflessione degli anni Settanta, è l’insieme di «attività che caratterizzano la riproduzione degli uomini singoli, le quali creano a loro volta la possibilità della riproduzione sociale»1. Il singolo è l’uomo concreto, che vive in una determinata società e occupa un posto determinato nella divisione del lavoro. Ma è, anche, colui che, nella quotidianità, ritrova la propria essenza umana, diviene un individuo completo. La nozione di condizione umana approfondisce la portata ontologica della quotidianità: «Voglio parlare di condizione umana nel senso ontologico, partendo dal fatto che la condizione umana non è una metafora, ma è qualcosa che si sviluppa a partire da una contingenza e da un accidente»2.
2Ponendo questa problematizzazione come orizzonte filosofico, vorrei proporre alcune considerazioni su questa visione prendendo spunto dalla riflessione helleriana su Foucault. La critica formulata dall’autrice ungherese nei confronti del pensatore francese mette bene in luce alcuni nodi teoretici. Sono due gli elementi sottolineati della riflessione foucaultiana. Il primo, è la concezione dell’a priori storico. L’uomo è storicità, non si può liberare dalla storicità ed esiste in un determinato contesto storico imprescindibile. Il secondo elemento, invece, è la dinamica centro-margine che esplica il rapporto tra i differenti a priori storici. Essi non sorgono dal nulla e, inoltre, dalla loro importanza e ruolo nella società deriva la differenza riscontrabile tra le diverse epoche storiche. Nel tempo, gli a priori che esemplificano una determinata società sono posti al margine; mentre quelli marginali possono a loro volta essere i nuovi paradigmi di un’altra epoca storica.
3Emerge, quindi, nel rapporto soggetto-società, da un lato, la tramatura storica del soggetto e dei suoi paradigmi di riferimento e, dall’altro, l’alternarsi di questi ultimi nelle diverse epoche storiche. L’uomo, così storicizzato, è soggetto alle dinamiche sociali e ai rapporti di potere che si vanno a creare. Una visione, questa di Foucault, esemplificata nel concetto di biopolitica3. Per biopolitica egli intende, infatti, l’estensione delle pratiche di potere sui corpi attraverso il sistema disciplinare e la conseguente sussunzione dei soggetti nelle dinamiche di potere, la cui funzione più importante «non è forse più quella di uccidere ma di investire interamente la vita»4.
4Tale prospettiva, per Heller, non tiene conto dell’apertura etica del soggetto, poiché riduce alla sola condizione di singolarità determinata la vita dell’uomo. Infatti, partendo da tale prospettiva, qualsiasi discorso sulla natura dell’uomo è frutto di un a priori storico. Le credenze sull’essenza umana, quindi, non possono avere pretese veritative universali. Per Foucault, infatti, «le nozioni di natura umana, giustizia, realizzazione dell’essenza umana [sono] termini e concetti che si sono costituiti all’interno della nostra civiltà, del nostro tipo di sapere, nella nostra filosofia e che, di conseguenza, fanno parte del nostro sistema di classe e che non possiamo […] fare uso di questi termini per descrivere o giustificare una lotta che dovrebbe – in linea di principio – rovesciare le stesse fondamenta della nostra società»5.
5Il soggetto, contrariamente a questa posizione, è costituito, secondo l’autrice, non solo da determinazioni storiche; ma anche da caratteri propriamente umani. Partendo da quest’ottica, individuare il luogo e il tempo proprio del soggetto significa cercare la struttura soggiacente l’azione umana: sia il peculiare spazio dell’azione, sia la durata dell’azione stessa e dei suoi effetti. Si può affermare, dunque, che all’analisi storica e a quella biologica si affianca l’analisi delle possibilità che possono sorgere in una determinata struttura, possibilità riferibili a delle caratteristiche dell’uomo come attore morale. Negli uomini, infatti, è presente «un’intenzionalità verso il bene, che, se ben seguita, può diventare la luce che illumina un’intera esistenza»6.
6Heller mostra, attraverso la critica a Foucault, i rischi nell’assumere una prospettiva biopolitica come l’unico orizzonte esemplificativo del soggetto e della sua condizione esistenziale. Tra struttura sociale e soggetto non può esserci coincidenza. Se così non fosse, si rischierebbe di legittimare la politicizzazione dei corpi, così come avviene, per esempio, nei totalitarismi. L’autrice, di contro, propone una antropologia basata sulla doppia natura del soggetto che si muove all’interno di una condizione esistenziale composta da due ambiti distinti: l’umanità, a sua volta suddivisa in caratteristiche biologiche e aspettative individuali, e la società, come determinazione storica e come orizzonte dell’azione umana. Quindi, da un lato, il soggetto definisce, attraverso una riflessione su di sé, uno spazio sociale di azione e, dall’altro, la società forma il soggetto. Tali ambiti, come precedentemente affermato, non sono coincidenti. Questa proposta antropologica helleriana non è una metaforica immagine della condizione umana; ma una vera e propria descrizione ontologica della realtà in cui è inserito il soggetto stesso.
7Partendo dalla doppia natura del soggetto è necessario, dunque, definire e distinguere ciò che è sociale da ciò che è naturale nell’uomo e, di conseguenza, dover formulare la questione di cosa sia la natura e cosa la società. Tale implicazione la chiamo effetto doppio. In questo contesto, uso tale termine per indicare quel particolare effetto per cui per definire un concetto è indispensabile presupporne due differenti. Una specie di fotomontaggio: per creare una nuova foto, si sovrappongono delle immagini distinte. Si può affermare, nel caso specifico, che tale effetto sia una triangolazione tra soggetto, società e natura che si traduce in due coppie concettuali: società-uomo e natura-uomo. Prima di procedere, vorrei sottolineare come nell’effetto doppio si componga un unico piano che è quello, nello specifico, della condizione umana. L’uomo, da questa visuale filosofica, non è composto da due gradi ontologici diversi, ma è immerso in un unico piano. Rimanendo nella (mia) metafora, si può affermare che è più importante la terza immagine, che ha la caratteristica di essere fittizia e originaria allo stesso tempo.
8Un esempio di questa articolazione nel pensiero di Heller è la dinamica costitutiva del bisogno. I bisogni naturali, nel momento in cui sono soddisfatti, assumono un carattere sociale. Ma, d’altro lato, non si possono ridurre alla società, poiché, pur essendo strutturati socialmente, si riferiscono a delle necessità naturali. Se si analizza la questione dal punto di vista del bisogno naturale, la socialità è nella soddisfazione. Se, invece, si parte dalla sfera sociale, la struttura del bisogno si riferisce a una natura umana che non si riduce ai soli bisogni sociali.
9Heller, a mio avviso, non sembra trovare una risposta soddisfacente alla questione della relazione ontologica soggetto-società. Per preservare l’azione umana dal predominio sociale l’autrice pone un limite naturale. Questo, a sua volta, viene trasceso nell’azione stessa che si svolge nella dimensione sociale. Ma l’azione, paradossalmente, è frutto di una scelta che si riferisce, chiudendo così il cerchio, a una propria individualità, che oltrepassa la singola determinazione: «Ma scegliere in base alla categoria della differenza non significa scegliere in base alla categoria dell’universale. Scegliere se stessi come una persona buona è diverso che scegliersi come pittore, come avvocato eccetera. Scegliere se stessi come persone buone è scegliersi sotto la categoria dell’universale, scelta non semplice e che non tutti sono disposti a fare»7.
10Sono partito, facendo il punto della situazione, dalla constatazione della presenza nel pensiero helleriano di una problematica ontologica che ha al proprio centro il problema della natura dell’uomo e del suo rapporto con la società. In seguito, ho preso in considerazione la critica helleriana a Foucault. Tale critica aiuta a comprendere come la proposta ontologica di Heller ponga una problematica etica all’interno del rapporto tra il soggetto e la società. Ma tale proposta, a mio avviso, non riesce a ben spiegare tale rapporto: i termini società e natura si definiscono solo nella loro contrapposizione. La domanda che mi pongo, a questo punto, è se tale impasse, interna alla condizione umana stessa, sia dovuta a una visione patologica del biopolitico. Mi chiedo se, per far quadrare il cerchio, non sia necessario far attraversare alla doppia natura il biopolitico stesso.
11Seguendo questa opzione, è utile analizzare il modello proposto da Antonio Negri. L’autore esclude qualsiasi rimando a una natura soggiacente la relazione che si instaura tra soggetto e società. La struttura costitutiva del soggetto, quindi, è già di per sé storica e determinata. Una visione fisiologica che si oppone alla visione patologica del biopolitico, come quella proposta da Heller, in cui esso è solo uno schema interpretativo delle dinamiche di potere interne alla società, ma non una proposta antropologica condivisibile.
12L’esito a cui giunge l’autore è la concezione della seconda natura come sovradeterminazione. È presente, da un lato, il legame con la realtà e, dall’altro, il valore positivo dell’agire del soggetto. Una vera e propria produzione di realtà compiuta dal soggetto attraverso il lavoro vivo8. Si delinea una distinzione tra una realtà come prima natura, sociale e biologica, e una seconda natura, caratterizzata dall’operato del soggetto. Tanto che la prima natura sembra quasi scomparire in un susseguirsi di sovradeterminazioni che negano qualsiasi legame a tergo con un orizzonte prettamente umano, sia biologico9 sia culturale10. La seguente affermazione, riferita al pensiero spinoziano, ma che può essere estesa alla stessa visione negriana, è emblematica: «Tocchiamo così il paradosso del pensiero spinoziano e del suo umanesimo: non vi è più natura, in Spinoza, ma solo seconda natura, il mondo non è natura ma produzione. La continuità dell’essere non si forma nel processo che conduce da un principio a un risultato, da una causa a un effetto (su questo nesso e su questa direzione) bensì si rivela come dato, come prodotto, come conclusione. Il risultato è il principio. Ma il principio è l’attualità, è l’attuale ricchezza delle movenze dell’essere. È il suo presente costituito»11.
13In Negri, dunque, la condizione umana altro non è se non il biopolitico stesso. Si va a creare una condizione costituita da pratiche di potere istituzionalizzate e da sedimentazioni sociali da un lato, la prima natura, e, dall’altro, da pratiche di liberazione della potenza ontologica del soggetto, la seconda natura. Questa dinamica è, secondo la mia interpretazione, una riproposizione dell’effetto doppio: è presente un piano ontologico più reale del piano ontologico reale. Infatti, per definire la condizione umana, cioè il piano biopolitico, vengono utilizzate due figure che si definiscono nella loro opposizione: la potenzialità ontologica, il biopolitico, e il biopotere, il risultato, cioè, delle dinamiche di controllo sociale12.
14La questione diviene quella di vedere se la condizione umana, questo unico piano ontologico che comprende i soggetti e la società, è la realtà che, per essere descritta, viene interpretata come la relazione di due elementi tra loro distinti, il sociale e il naturale; oppure se esistono, in realtà, due elementi tra loro distinti, la società e la natura, che vengono, successivamente, declinati in un finzionale piano, chiamato, appunto, condizione umana. Le soluzioni, a questo punto, possono essere due: o una intrinseca dualità dell’esistenza, oppure, un’esistenza frutto di una raccolta di elementi che appaiono in essa. Tali elementi, però, non sono metaforici, tendono alla totalità e non possono presupporre il loro contrario. Ma, d’altro lato, necessitando di una definizione, non possono che basarsi sul loro contrario: un effetto doppio, appunto. Da un lato, si può avere una filosofia che oppone-dispone di gradi ontologici diversi. Nell’altra ipotesi, invece, si ha il riconoscimento della realtà e la ricerca, i cui esiti non sono scontati, di una spiegazione-descrizione della realtà stessa, utilizzando degli elementi che appaiono ma che non è detto che siano effettivamente corrispondenti alla realtà. Da un lato, si ha la tensione unificatrice di un unico piano ontologico, dall’altro, si è in presenza della differenziazione delle diverse componenti che costituiscono la realtà e, di conseguenza, della duplicità dell’uomo stesso.
15Penso che i due filosofi presi in considerazione tendano verso la seconda ipotesi. L’effetto doppio, infatti, rende più importante l’immagine creata, la condizione umana, più che le sue singole componenti. L’immagine composta è attiva, è la ricerca ontologica stessa. Gli elementi costitutivi, anche se sono dovuti venir prima, sono finzionali. È anche vero, d’altro lato, e qui è un punto critico, che i due filosofi non si sottraggono dal caratterizzare l’uomo in generale: l’intenzionalità verso il bene in Heller e la produttività dell’agire umano in Negri. Heller, infatti, ha di fronte l’uomo buono e, solo in un secondo tempo, si pone il problema di come formulare teorie che possano indicare al soggetto la via da seguire per vivere, nella quotidianità, eticamente: «Questo significa che anche nella vita di ogni giorno è possibile un’esistenza autentica, a differenza di quanto ritiene Heidegger, per il quale il Dasein caduto nella semplice quotidianità è sempre alienato e in quanto tale inautentico»13. La stessa proposta negriana si focalizza sul dato empirico del soggetto come lavoro vivo e, alla luce dei suoi studi su Spinoza, come potenza. Si riparte, anche in questo caso, dal soggetto: «Con tutti pongo il problema fra produzione oggettiva delle soggettività e potenza produttiva del soggetto. Su quel nodo che non sappiamo più risolvere. La mia autocritica va a fondo. Una soggettività corporea e contingente, al limite dell’eventuale e del possibile, è quella che sono riuscito a cogliere e a esaltare come funzione di resistenza e di evasione […] La ricerca di un nodo duro di ontologica speranza è quanto sento vivacemente aperto in tutto questo ambiente. (Foglio 116, Parigi, 19-20 ottobre 1983)»14.
16Se dal punto di vista teoretico si creano le impasse enucleate precedentemente, non bisogna dimenticare che il pericolo, che Heller e Negri vogliono evitare, è la riduzione dell’uomo a un qualcosa di già stabilito e precostituito che limiti la sua libertà d’azione. L’uomo è / deve essere libero dalla società e dalla natura. Per garantire ciò, la natura, ma lo stesso ragionamento si può fare con la nozione di società, può essere inserita nell’impianto teorico nella misura in cui si intenda per natura l’affermazione del contenuto generale dell’uomo.
17Una conclusione che si può, comunque, trarre è la difficoltà stessa nel pensare, senza dover negare il fattore biologico e l’importanza della società, un soggetto tra natura e società che non debba moltiplicarsi (o suddividersi) nel rischio di ritrovarsi ridotto a pura componente biologica o, altresì, ridotto a risultato di tutto un processo sociale indipendente. Fino a questo punto, però, più che in una vera e propria proposta filosofica, si rimane in una prospettiva critica, che riesce a individuare gli effetti di raddoppiamento senza saperli, però, evitare.
Notes de bas de page
1 Á. Heller, Sociologia della vita quotidiana, trad. it. A. Scarponi, Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 21.
2 Á. Heller, Per una antropologia della modernità, a cura di U. Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, 2009, p. 72.
3 «In che modo, nelle società occidentali moderne, la produzione di discorsi cui si è attribuito (almeno per un certo periodo di tempo) un valore di verità è legata ai vari meccanismi e istituzioni di potere?» M. Foucault, La volontà di sapere, trad. it. P. Pasquino e G. Procacci, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 8.
4 Ivi, p. 123.
5 M. Foucault e N.Chomsky, Della natura umana. Invariante biologico e potere politico, trad. it. I. Bussoni e M. Mazzeo, Roma, DeriveApprodi, 2005, pp. 70-71.
6 Á. Heller, Per una antropologia della modernità, cit., p. 58.
7 Ivi, p. 62.
8 «For Negri living labor is a veritable ontological principle of production…», cfr. A. Toscano, Always Already Only Now: Negri and the Biopolitical, in The Philosophy of Antonio Negri. Revolution in Theory, London, Pluto Press, 2007, p. 115.
9 Ciò che, invece, viene delineato in Virno. Cfr. P. Virno, Grammatica della moltitudine. Per un’analisi delle forme di vita contemporanee, Roma, DeriveApprodi, 2002.
10 «C’è una bella frase cartesiana: larvatus prodeo, “avanzo mascherato”. Io credo che effettivamente sia molto utile marciare mascherati, non perché ci sia la comunità operaia dietro, ma perché in effetti del lavoro teorico val sempre la pena di tenere coperte le origini. Parliamo molto delle origini, inflazioniamo le origini… invece in questo modo il lavoro teorico viene fuori più puro». Da un’intervista a Negri in G. Trotta e F. Milana, L’operaismo degli anni Sessanta. Da “Quaderni rossi” a “Classe operaia”, Roma, DeriveApprodi, 2008, p. 796.
11 A. Negri, Spinoza, Roma, DeriveApprodi, 1998, p. 279.
12 «As we shall see, Negri’s approach to biopolitics as a Janus faced notion – both a mark of the most endemic control and a sign of a new insurgent subjectivity – is closely tied to the historical political paradox of real subsumption, which can be said to dominate all of his recent work […] In other words, we have the confrontation between two unmediated totalities, one involving Empire’s new biopolitical sovereignty, and the other for which “the total object is not power but rather what Spinoza called the democratic absolute”. His second totality, then, the concern of a “dogmatic science of desire”, is antidialectical, antiteleological and antitranscendental […] Is this to say that their use of terms like “biopower” and “biopolitics” is merely an illegitimate hypostasis of Foucault’s nominalist methodology?», cfr. A. Toscano, Negri…, cit., pp. 112-114.
13 Á. Heller, Per una antropologia della modernità, cit., p. 60.
14 A. Negri, Diario di una evasione, Milano, M.B.P., 1985, p. 248.
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