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Intersezionalità

p. 129-133


Texte intégral

1Il termine intersezionalità sta trovando, recentemente anche in Italia, un riconoscimento e un uso relativamente diffuso. Il suo significato mette a tema e propone all’attenzione la questione del soggetto continuamente definito e nuovamente ridefinito all’interno di plurime collocazioni, sesso, razza, classe, orientamento sessuale e affettivo, generazione. Propone dunque un approccio conoscitivo che tende a superare un’interpretazione delle differenze centrata solo su quella sessuale, intrecciando le molteplici appartenenze che, se pure temporaneamente e in perpetuo divenire, compongono l’essere di un soggetto.

2In realtà la vicenda che precede l’uso della parola intersezionalità e la postura critica che ne deriva, ha radici che si prolungano fino a qualche decennio fa, quando le femministe afroamericane si mobilitarono in una critica al femminismo bianco che si presentava, nella sua presunta universalità, come rappresentativo di tutte le donne.

Collocate nella nostra fantasia universalistica bianca e pura come un giglio, disincarnate e smaterializzate, abbiamo pensato davvero di non avere alcun colore. Poi sono arrivate Toni Morrison e bell hooks e ci hanno dato una mano di pittura1.

3L’illusione, o presunzione, di universalità aveva attraversato il femminismo degli anni Sessanta e Settanta negli Stati Uniti e in Europa: a risvegliare dal sogno di una neutralità al femminile ci pensarono le donne nere e questo avvenne inizialmente là dove il problema razziale era ancora fortemente presente, in Europa e soprattutto in Italia il risveglio è stato successivo, quando altre donne ci sono apparse vicine, nelle strade, nelle città del nostro paese.

4Allora il bianco fulgore del femminismo ha cominciato ad attenuarsi anche da noi.

5 Ma torno agli Stati Uniti e al black feminism per trovare gli antecedenti teorici e politici dell’intersezionalità e riprendere, se pure brevemente, la storia di una critica al femminismo bianco che ne svela i limiti e le ambiguità.

La genealogia dell’intersezionalità affonda, infatti, le radici nelle prime manifestazioni del cosiddetto black feminism – tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa, in particolare in Gran Bretagna – trovando terreno fertile nei Postcolonial e Queer studies, come anche in alcune espressioni femministe minoritarie che, mettendo in discussione una visione monolitica ed essenzialista della “donna”, hanno contribuito – perlomeno sul piano teorico – a decentrare la differenza di sesso/genere, restata per lungo tempo prioritaria nell’agenda dei femminismi “bianchi”2.

6In particolare Angela Davis, col suo testo Donne, razza e classe, recentemente ritradotto e ripubblicato in Italia, percorre la storia delle donne Nere (lei usa sempre la lettera maiuscola) dai tempi dello schiavismo in poi e del difficile rapporto con il femminismo delle donne bianche americane, incapaci di comprendere le differenti esperienze e i percorsi biografici e di politicizzazione delle afroamericane. Il suo testo si sofferma sui movimenti suffragisti del diciannovesimo secolo «che accettano definitivamente l’abbraccio fatale del suprematismo bianco», mentre con l’esordio del nuovo secolo «un profondo matrimonio ideologico aveva legato in una nuova foggia razzismo e sessismo […] e mentre il razzismo sviluppava radici durature all’interno delle organizzazioni femminili bianche, anche il culto sessista della maternità si infiltrava in quel movimento che pretendeva di eliminare la supremazia maschilista». Il testo discute anche degli anni Settanta del xx secolo, delle lotte per l’aborto, durante le quali le incomprensioni tra donne divennero sempre più profonde, mostrando come “il colorito pallido” di questa lotta non risiedeva nella scarsa coscienza o nella miopia politica delle donne di colore «quanto nelle condizioni di vita delle donne Nere e latine, che pur vi facevano ricorso, ma non per motivi ideologici e per una rivendicazione di diritti ma per le condizioni miserabili in cui vivevano che non consentivano figli numerosi».

7Dopo le restrizioni della fine degli anni Settanta, quando l’aborto diviene un mezzo cui possono rivolgersi soprattutto le donne privilegiate, per le donne Nere, e non soltanto, si adotta – anche contro la loro volontà – una politica cosiddetta eugenetica. «Le sterilizzazioni continuano a essere finanziate e gratuite, su richiesta, per le donne povere»3.

8Mi sono soffermata, anche se per poco, su alcune parti di questo volume, utilissimo per la comprensione delle storie delle donne di colore, che offre una lezione particolarmente lucida di come un movimento di liberazione – e in questo caso delle donne – per essere realmente sensibile e aperto a tutti i soggetti ne deve conoscere le storie, le differenze, rispettarne i tempi e le consapevolezze, le condizioni diverse di vita e di possibilità di accedere ai concetti di espressione di sé e dei diritti.

9Sono comunque molte le pensatrici che si avvicinano a questi temi nel tempo e sono molti i testi e i movimenti che li articolano e approfondiscono.

10Ma se torniamo al termine intersezionalità comunemente si fa risalire l’origine della parola alla giurista femminista afroamericana Kimberlé Crenshaw, la quale, attraverso l’uso di questo termine introduceva il principio della molteplicità e simultaneità dei sistemi di oppressione nei confronti delle donne nere,

interpretandolo principalmente come uno strumento giuridico in contrapposizione a tutti quei dispositivi legislativi di lotta alle discriminazioni incapaci di riconoscere la simultaneità dei diversi sistemi di dominio4.

11Per meglio chiarire il concetto o i concetti legati alla teoria dell’intersezionalità, la Crenshaw usa la metafora dell’incrocio stradale.

Un’analogia con il traffico di un incrocio, che viene e va in tutte e quattro le direzioni. Così, la discriminazione può scorrere nell’una e nell’altra direzione. E se un incidente accade in corrispondenza di un incrocio, può essere causato dalle macchine che viaggiavano in una qualsiasi delle direzioni e, qualche volta, da tutte. Allo stesso modo, se una donna nera si fa male a un incrocio, il suo infortunio potrebbe derivare dalla discriminazione sessuale o dalla discriminazione razziale […]. Ma non è sempre facile ricostruire un incidente: a volte i segni della frenata e le lesioni semplicemente stanno a indicare che questi due eventi sono avvenuti simultaneamente, dicendo poco su quale conducente abbia causato il danno5.

12Risulta chiara l’importanza dell’intersezionalità come strumento interpretativo per impostare una nuova teoria critica e mettere a punto uno strumento di intervento sociale e politico, unico in grado di intercettare la molteplicità e la simultaneità delle diverse modalità di formazione delle soggettività contemporanee e delle forme di potere che possono agire come oppressive e discriminatorie.

13Ma vi sono alcune attenzioni critiche messe in risalto nel saggio di Perilli e Ellena sulle quali è bene soffermarsi.

14Innanzitutto la considerazione più generale che si tratta di un approccio interpretativo che ci proviene da una realtà diversa dalla nostra e che quindi richiede un necessario ripensamento e adattamento, teorico e pratico, alla situazione del nostro paese.

15Mi sembra questo un richiamo assai utile ogni volta che ci si avvalga di elaborazioni e individuazioni di strumenti che provengono da società e culture diverse dalla nostra: è necessario ogni volta sottrarsi alla tentazione di assumere quanto leggiamo o ascoltiamo in forma acritica.

16Ciononostante risulta indubbia l’utilità, e credo l’indispensabilità ormai, della visione intersezionale, anche se, proprio nel saggio citato, si mettono in evidenza altre critiche o perlomeno un allerta di attenzioni che non devono mai essere dimenticate, altrimenti si corre il pericolo di essenzializzare, rendere categorie alcuni soggetti, se pure definiti in modo non univoco.

17Occorre, in pratica, ricordare sempre che, per quanto riguarda l’approccio intersezionale come ogni altra forma interpretativa, non vanno dimenticate le caratteristiche relazionali di ogni formazione di soggettività, né il loro essere calate in un mondo in divenire continuo, in cui i soggetti e i rapporti tra soggetti mutano e sono in perpetua evoluzione e rinegoziazione, inseriti insomma in una realtà dinamica.

18I contenuti e gli obiettivi di questo mio testo ci riconducono però necessariamente a una serie di riflessioni che non riguardano solo le realtà delle donne e l’intreccio tra sessismo e razzismo, ma interessano quel mondo assai più complesso dei diversi orientamenti affettivi e sessuali, delle differenti identità di genere o negazione di identità fisse e determinate, che si considerano piuttosto in continuo divenire.

19Anche in queste realtà infatti vivono, e dovrebbero essere all’attenzione, le questioni legate alle pluralità che vivono e formano le identità soggettive e quindi alla pluralità dei sistemi di discriminazione. Con la necessità dunque di un approccio intersezionale, pur con le cautele di cui dicevo in precedenza.

20Anche nelle comunità Lgbtqi infatti sono presenti minoranze che potremmo definire razzializzate, ma da quanto finora ho letto e percepito come attenzioni, soprattutto in Italia, queste presenze non sembrano segnalate o lo sono molto poco6. Per il momento forse anche le comunità Lgbtqi corrono il rischio di presentarsi bianche come un giglio? La loro fluidità in continuo divenire, la loro sostanza queer dovrebbe alzare il livello di attenzione, salvare dalla presunzione bianca, mentre al momento le minoranze discriminate, per appartenenza etnica, religione, emarginazione sociale sembrerebbero non trovare luogo nelle comunità o, se sono presenti, non suscitare dibattito interno, comprensione di ulteriori diversità. Sono periferiche, paiono dimenticate, confinate in un altrove non ancora preso in carico.

21Oppure sfruttate, con le loro presenze trasformate o ingigantite in immagini inquietanti per garantire l’accettabilità di alcune politiche nazionali.

22Ne discute in un suo scritto Gianfranco Rebucini, trattando in particolare, attraverso la lettura di diverse interpretazioni, la situazione statunitense dopo l’Undici Settembre.

23La normalizzazione dei soggetti Lgbtqi bianchi, la loro inclusione o riabilitazione che li rende degni di essere integrati nella comunità nazionale, ha l’effetto, voluto, di creare o consolidare l’immagine dell’altro, inteso come chiunque possa essere percepito come mediorientale, arabo o musulmano, assimilato e identificato come la figura del terrorista. Ma il processo di inclusione ottiene anche un altro risultato poiché presenta la superiorità della civiltà occidentale, in grado di assimilare le diversità sessuali, rispetto ad altre culture arretrate e incapaci di integrazione.

Tale discorso, basandosi su una retorica dell’occidente come essenzialmente gay friendly e tollerante, contribuisce a creare linee di cesura tra un “noi civilizzati” e un “loro barbari” […]. Perché, se l’inclusione dei soggetti queer normalizzati appare sempre più come uno dei pilastri della modernità realizzata e dell’eccezionalismo sessuale, le altre nazionalità e culture che non condividono questa norma sono allora relegate nella tradizione e nel passato. Se esse non si inseriscono in questa configurazione della modernità, in questo progresso sessuale, in questa nuova “democrazia sessuale”, è perché sono “arretrate” e quindi “omofobe” […] La sessualità diviene allora un luogo di definizione culturale, di una produzione identitaria dell’Occidente7.

24L’assunzione di una postura critica permanente, come mi sono proposta con questo libro, non consente l’interruzione di una continua ricerca di discriminazioni, esclusioni, sottovalutazioni anche all’interno delle comunità Lgbtqi.

25Un lavoro che continua, inevitabilmente sposta in avanti discorsi e pratiche e non permette di abbassare il livello dell’attenzione.

Notes de bas de page

1 R. Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, Roma, Luca Sossella, 2002, p. 194.

2 V. Perilli, L. Ellena, Intersezionalità. Una difficile articolazione, in S. Marchetti, J.M.H. Mascat, V. Perilli (a cura di), Femministe a parole. Grovigli da districare, Roma, Ediesse, 2012, pp. 130-135.

3 A. Davis, Donne, razza e classe, Roma, Alegre, 2018, passim.

4 V. Perilli, L. Ellena, Intersezionalità. Una difficile articolazione cit., p. 133.

5 K. Crenshaw, Demarginalizing the Intersection of Race and Sex, University of Chicago Legal Forum, 4, 1989, pp. 136-167. Citato, in J. Hearn, Di cosa parliamo quando parliamo di intersezionalità, www.ingenere.it, 5 aprile 2018 (ultima consultazione 8 aprile 2018).

6 Ricordo a questo proposito l’attenzione che una collana delle edizioni Ediesse propone alle sue lettrici e lettori. Si tratta dalla collana Sessismo e razzismo che intreccia le due problematiche e le affronta, da vari punti di vista, in molte delle sue pubblicazioni.

7 G. Rebucini, Omonormatività e omonazionalismo. Gli effetti della privatizzazione della sessualità, in M. Prearo, Politiche dell’orgoglio. Sessualità, soggettività e movimenti sociali, Pisa, Ets, 2015, pp. 57-75.

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