Postfazione
Tutto cambia, ma non i libri di testo
p. 241-245
Texte intégral
Se si prende in mano un libro a caso, può succedere che la constatazione non sia immediata. Non tutti i brani sono egualmente risibili, a una lettura rapida certe pagine sembrano accettabili...
È solo leggendo con attenzione, rileggendo e ponendo in correlazione le varie pagine che il disegno pedagogico arcaico e regressivo si fa luce.
Umberto Eco, I pampini bugiardi
1Nel 1972 Umberto Eco pubblica I pampini bugiardi. Indagine sui libri al di sopra di ogni sospetto: i testi delle scuole elementari, l’anno successivo Elena Gianini Belotti dà alle stampe Dalla parte delle bambine (1973). È passato quasi mezzo secolo dall’uscita di questi due libri che, da diverse angolature e con accenti differenti, hanno denunciato la miserrima qualità dei testi scolastici e dei libri per l’infanzia diffusi nell’Italia degli anni Settanta. Libri edulcorati, anacronistici e conformisti, incapaci di rappresentare la complessità e la conflittualità dei cambiamenti sociali in atto in quegli anni febbrili. Libri pervasi da evidenti tracce di sessismo, razzismo e da un latente autoritarismo, che però risultano refrattari ad una lettura critica perché sono stati essi stessi la fonte di un immaginario – sessista, razzista, autoritario – che ha nutrito e permeato il substrato culturale in cui gli italiani sono cresciuti e si sono formati, e dal quale è dunque difficile prendere le distanze. Questa sorta di corto circuito attivato dai libri di testo, che li rende impermeabili al cambiamento, è descritto nitidamente da Umberto Eco, in un passo che merita di essere citato con ampiezza:
Alle soglie della loro vita culturale, iniziando l’esperienza difficile ed esaltante della lettura, i nostri figli si trovano a dover affrontare i libri di testo delle scuole elementari. Educati noi stessi su libri pressoché analoghi, con la memoria ancora affollata di ricordi necessariamente cari e tenerissimi, legati alle illustrazioni e alle frasi di quelle pagine, ci è difficile fare un processo al libro di lettura. E ci è difficile farlo perché probabilmente molti dei nostri crampi morali e intellettuali, delle nostre idee correnti più contorte e banali (e difficili a morire) nascono proprio da quella fonte. Allora la fiducia che proviamo, di istinto, per il libro di lettura, non è dovuta ai meriti di quest’ultimo, ma alle nostre debolezze, che i libri di lettura hanno creato e alimentato.
Fare un processo al libro di lettura implica uno sforzo di straniamento: richiede che si legga e rilegga una pagina in cui si diffondono idee che siamo abituati a considerare «normali» e «buone» e che ci chiediamo: ma è proprio così? condizionati come siamo dai nostri antichi libri di lettura, leggere i nuovi significa aver la capacità e il coraggio di dire: «il re è nudo». Un atto di chiarezza che, diversamente che nella fiaba di Andersen, il bambino non può fare. Dobbiamo dunque farlo noi. (Eco, 1972, p. 7)
2Eppure gli adulti – insegnanti, genitori, autori e autrici dei libri di testo, editori scolastici – non sono assolutamente capaci di fare questo “sforzo di straniamento” e continuano a replicare all’infinito idee e rappresentazioni del mondo ritenute – appunto – “normali” e “buone”. Idee che tendono a convergere in un modello-unico che mette d’accordo scuola e famiglia, e che viene trasmesso senza soluzione di continuità alle nuove generazioni. Scrive Elena Gianini Belotti: «Gli autori di libri per bambini si limitano puntualmente a offrire loro gli stessi modelli già proposti in precedenza dalla famiglia e dall’ambiente sociale. La letteratura infantile ha quindi puramente la funzione di conferma dei modelli già interiorizzati dai bambini. La trasmissione dei valori culturali diventa un potente coro senza voci dissenzienti» (1973, p. 106).
3È passato mezzo secolo da quando Eco e Belotti hanno tratteggiato questo scenario a tinte fosche e nel frattempo qualcosa è cambiato, ma non quanto si sarebbe potuto sperare. Quando anni fa mi sono affacciata a questa area di studi, oggi variamente nominata come “Educazione di genere”, “Pedagogia di genere”, “Pedagogia della (o delle) differenze di genere” (Gamberi, Maio, Selmi, 2010; Leonelli, 2010), non potevo immaginare che puntando lo sguardo sui libri di testo avrei toccato un nervo scoperto del nostro sistema scolastico in relazione alla questione della parità. Il quadro che emerse dalla ricerca fu infatti decisamente sconfortante, e al tempo stesso sorprendente: chi poteva immaginare che agli inizi del Duemila i libri delle elementari veicolassero impunemente, e in maniera martellante, immagini di mamme congelate nel modello della casalinga anni Cinquanta e di papà capifamiglia, dai modi vagamente autoritari, dediti al lavoro e alla gestione economica della famiglia? Non avrei potuto prevederlo, a maggior ragione perché avevo deciso di analizzare libri pubblicati negli anni seguenti al progetto Polite, un progetto voluto e sopportato in maniera capillare dall’Associazione Italiana Editori, che – ipotizzavo – avrebbe apportato grandi rinnovamenti. Mi sbagliavo.
4Sono state fatte varie ipotesi sulle ragioni di questo fallimento del Polite e una delle più accreditate è che il clima politico all’epoca non fosse favorevole e il contesto socio-culturale non fosse ancora “pronto” per comprendere e per supportare un progetto così innovativo. Da allora sono passati quindici anni (il Polite si è concluso nel 2002) e molte cose sono cambiate, ma non i nostri libri di testo. Da un recente studio di Corsini e Scierri (2016) emerge infatti che la rappresentazione dei generi non solo non è migliorata, ma è leggermente peggiorata. Nei libri di lettura per la scuola primaria attualmente in uso ritroviamo, in maniera acuita, tutte le questioni già sollevate diversi anni fa dalla mia ricerca: i protagonisti maschili hanno una presenza schiacciante rispetto a quelli femminili (sono numericamente quasi il doppio) e la loro presenza aumenta ancor di più nel caso in cui la storia sia ambientata in spazi aperti, oppure nel passato o, ancora, nel caso dei racconti d’avventura; il mondo delle professioni è appannaggio degli uomini (nel campione di testi analizzati da Corsini e Scierri vengono conteggiate ben novantadue tipologie professionali per gli uomini e tredici per le donne, queste ultime riconducibili perlopiù ai lavori educativi e di cura); i bambini maschi hanno un’ampia possibilità di scelta dei giochi (videogame, costruzioni e altri giochi da montare, treno elettrico, biglie etc.) mentre per le bambine giocare con le bambole è ancora l’attività prevalente. E ancora, tra le attività preferite dei maschi troviamo “andare in bicicletta e suonare uno strumento musicale” mentre i passatempi prediletti dalle bambine risultano essere “raccontare storie e cucire/ricamare”.
5Come possiamo consentire che nel 2017 i bambini e le bambine della primaria, nel momento cruciale in cui si approcciano alla lettura e ai saperi, siano costretti a rapportarsi con una cultura scolastica così discriminante, anacronistica, congelata nel tempo, non rispondente minimamente ai cambiamenti avvenuti a livello sociale?
6Pur dando per vero che agli inizi del Duemila il clima non fosse favorevole, la situazione attuale sembrerebbe più incline al cambiamento. Nonostante alcune fronde reazionarie che si sono compattate nel cosiddetto “movimento no-gender” (Marzano, 2015), possiamo convenire su alcuni importanti passi avanti fatti dalla società civile in questi ultimissimi anni. Un primo ambito in cui si registra un aumento di consapevolezza sul tema del sessismo è quello della comunicazione massmediatica (Leonelli, Selmi, 2013). Gran parte di questo cambiamento è avvenuto grazie ad un incessante lavoro portato avanti da attiviste, blogger, giornaliste che hanno innescato una discussione “dal basso”, diffondendola sul web. Tra i contributi più incisivi segnalo il prezioso lavoro di Lorella Zanardo (2010, 2012) che da anni ha attivato una campagna di sensibilizzazione sull’oggettivazione del corpo femminile nei mass media italiani e sulla necessità di introdurre un’educazione ad un uso consapevole dei media nelle scuole; altra voce fondamentale è quella di Loredana Lipperini che sul blog “Lipperatura” ci ricorda continuamente perché è così importante collocarsi “ancora dalla parte delle bambine” (Lipperini, 2007) e tenere sempre vigile l’attenzione sulle varie forme di sessismo veicolate dai mezzi di comunicazione di massa. E poi ci sono i movimenti collettivi (SNOQ - Se non ora quando; Non una di meno) che lottano per riaffermare una consapevolezza diffusa sulle varie forme di discriminazione e violenza di genere (sfruttamento, sessismo, razzismo, omofobia), attraverso un fondamentale lavoro diffuso sul territorio.
7In questo quadro anche la scuola italiana apre spiragli di attenzione alle questioni relative alla lotta al sessismo e alla promozione di una cultura di parità, incentivati anche dal punto di vista istituzionale (basti citare la legge 107/2015 sulla “Buona Scuola” che prevede «l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori» contro femminicidio, omofobia, transfobia). Parallelamente nel mondo accademico assistiamo alla nascita di centri di ricerche dedicate ai gender studies, anche all’interno di corsi di studio finalizzati a formare le future leve di maestri/ maestre, insegnanti, educatori/educatrici. Il tema dell’educazione alla parità tra i generi, collegato ad un progetto politico di prevenzione culturale della violenza di genere, comincia dunque ad attecchire anche in Italia, sebbene in maniera non omogenea sul territorio nazionale.
8La narrativa per l’infanzia rappresenta una cartina al tornasole delle trasformazioni sociali in atto. Se, come denunciava Elena Gianini Belotti (1973, 1978), la letteratura per l’infanzia si è fatta tradizionalmente portatrice di una visione sessista e tradizionalista della famiglia e dei ruoli di genere, dobbiamo constatare che negli ultimi anni in Italia si assiste ad un notevole rinnovamento dell’immaginario di genere veicolato dai libri per bambini, in particolar modo dagli albi illustrati. La produzione editoriale rivolta all’infanzia è in pieno fermento: sono nate case editrici (Settenove, Lo Stampatello) e collane ( “Sottosopra”, edizioni Giralangolo) interamente dedicate all’abbattimento degli stereotipi sessisti, alla promozione della cultura della parità, all’estirpazione delle radici culturali della violenza di genere, alla presentazione di nuovi modelli di famiglia (Contini, Ulivieri, 2010; Gigli, 2011; Crespi, 2015). Leggendo questi libri bambine e bambine si interfacciano con personaggi fuori dagli schemi dettati dalla tradizione, ma forse proprio per questo più aderenti alla realtà e più autentici.
9Viene da domandarsi: perché questa ondata di rinnovamento non ha ancora contaminato l’editoria scolastica? Forse perché gli editori non vogliono correre il rischio di perdere una fetta del mercato floridissimo delle adozioni per cui cercano di accontentare “la media degli insegnanti”. Questa è la conclusione alla quale giunge Umberto Eco ne I pampini bugiardi: «Si deve quindi ritenere che, per accontentare la maggioranza media, per non suscitare dissensi, per non urtare suscettibilità, per piacere a tutti, si cerchi di mantenere il testo al livello dell’ovvietà, del qualunquismo, della acriticità, della idiozia rispettabile» (Eco, 1972, p. 10).
10Ma questo, a parere di chi scrive, è l’esatto contrario di ciò che dovremmo aspettarci dalla scuola. Se la scuola è – o dovrebbe aspirare ad essere – luogo di democrazia e di promozione di uguaglianza sociale, non solo è tenuta a registrare prontamente i cambiamenti più innovativi provenienti dalla società dandone la massima risonanza, ma è chiamata essa stessa a promuovere e incentivare le novità culturali. I libri di testo possono e devono diventare in questo senso il motore di un cambiamento sociale che persegue principi di uguaglianza e non discriminazione. Due principi chiave della Costituzione italiana e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
11I.B.
12settembre 2017
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Educazione sessista
Ce livre est cité par
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